Esiste una Relazione tra l’Inflazione Mondiale e i Trasporti Marittimi?di Marco ArezioIl trasporto marittimo dei containers è diventato quasi proibitivo per le aziende che ne devono usufruire a causa degli aumenti incontrollati che, nel corso dell’anno, hanno fatto lievitare i prezzi dei containers.Ci sono dei porti cinesi come quello di Yantian nel sud del paese, uno dei più trafficati della Cina, che a fine maggio ha comunicato, a seguito della situazione pandemica locale, che non avrebbe più accettato containers, creando un’immensa congestione di navi all’imbocco del porto. Le attività portuali stanno ora lentamente tornando alla normalità ma ci sono ancora bloccate circa 140 navi in attesa di avere l’autorizzazione al carico o allo scarico, con il conseguente rallentamento delle nuove in arrivo. Dopo il problema dei ritardi registrati nel canale di Suez a Marzo a causa dell’incagliamento di una nave, la poca disponibilità di containers liberi ha fatto crescere esponenzialmente il prezzi, portando il prezzo di un container da 40” sulla rotta Shangai- Rotterdam a 11.196 UDS, valore 7 volte superiore rispetto ad un anno fa. L’attuale livello di prezzi e l’estrema lunghezza dei tempi di consegna delle merci sta mettendo in seria difficoltà il commercio mondiale, nel momento in cui ci si aspettava una ripresa dopo la fase più acuta della pandemia. Questa situazione internazionale incide fortemente sul prezzo delle merci e, a sua volta, sull’inflazione dei paesi che importano i prodotti trasportati via nave. Infatti, la Federal Reserve negli Stati Uniti, ha aumentato le previsioni inflazionistiche in quanto le merci in arrivo hanno prezzi decisamente più cari rispetto allo scorso anno e la disponibilità delle stesse è inferiore alla domanda. Mentre si apprezza un generale calo dei prezzi delle materie prime, dopo aumenti incredibili negli ultimi mesi, il loro costo, con il trasporto incluso, non da nessun beneficio al cliente finale. Ma la mancanza di containers liberi non dipende solo dalla congestione dei porti dovuti al COVID, ma anche da nuove regole apportate dall’Organizzazione Marittima Mondiale che ha imposto a tutte le compagnie di navigazione di abbassare la quota di zolfo nell’olio combustibile dal Gennaio 2020, portandolo dal 3,5% allo 0,5%. Questa nuova normativa ha portato alla rottamazione di molte navi vecchie e il revamping di altre, comprese i portacontainers, facendo diminuire la flotta circolante ed aumentare i prezzi dei noli.
SCOPRI DI PIU'I pannelli solari a doppia faccia aumentano la qualità del pannello ma richiedono più vetrodi Marco ArezioChe le energie rinnovabili siano entrate nella nostra vita e nelle nostre aspettative future è una certezza ormai assodata e, che per questo, le aziende e la comunità scientifica si stanno impegnando a trovare dei prodotti sempre più performanti che migliorino, non solo l’efficienza tecnica, ma riducano anche il costo dell’energia prodotta, è un auspicio importante. In quest’ottica il fotovoltaico ha fatto, in pochi anni, passi enormi, creando pannelli solari a doppia facciata che permettono una migliore resa, non soltanto attraverso la luce diretta, ma riuscendo a intercettare anche la luce riflessa dalle superfici circostanti il pannello. Questo miglioramento tecnologico richiede però più vetro, creando un incremento della domanda di materia prima che ha fatto schizzare verso l’alto il prezzo. Il problema non è solo di carattere economico, ma riguarda anche la futura disponibilità di vetro da lavorare nei prossimi anni, risorsa che, se non si dovesse trovare in relazione alla domanda del marcato, metterebbe in difficoltà il settore. Se analizziamo il problema dal punto di vista economico, quindi un aumento dei costi delle materia prime che compongono un pannello solare a doppia facciata, dobbiamo considerare che la quota di mercato attuale di questo tipo di pannello è di circa il 14% di quelli venduti, prevedendo un aumento fino al 50% entro il 2022. Quindi un incremento del prezzo della materia prima che investirà, probabilmente il 50% del mercato, potrebbe portare un aumento di costo del pannello che, nell’economia generale dell’impianto, rischia di assottigliare in modo eccessivo i margini di profitto della filiera senza gli interventi di sostegno statale. Di conseguenza, se i progetti del solare dovessero essere considerati non più remunerativi, probabilmente gli investitori rinuncerebbero a finanziarli con la conseguenza di ridurre la crescita del settore. Per quanto riguarda l’incremento della domanda di vetro vi sono aree del pianeta in cui la raccolta differenziata non funziona o non si applica, la cui conseguenza è che il vetro non viene avviato al riciclo e quindi si perde una risorsa importante. In altre aree della terra la raccolta differenziata non riesce a coprire la domanda crescente di vetro da riciclare da parte delle industrie produttive, con la conseguenza di far aumentare i prezzi e di ridurre la produttività industriale. La Cina è il più grande produttore mondiale di pannelli solari e sta vivendo la difficoltà del reperimento della materia prima e del contenimento dei costi di produzione, problema così importante che i più grandi produttori di pannelli solari, come la LONGi Solar, hanno chiesto al governo Cinese di interessarsi del problema. Considerando che la Cina, avendo dichiarato di voler raggiungere nel 2060 la parità carbonica, è impegnata nell’aumento della produzione di energie da fonti rinnovabili, di cui il solare è un pilastro insostituibile, aumentando questo tipo di produzione dai 210 GW attuali a circa 2200 GW entro il 2060, progetto che può proseguire anche attraverso la risoluzione del problema della mancanza di vetro sul mercato.Categoria: notizie - vetro - economia circolare - rifiuti - fotovoltaico Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'Gli obiettivi di riduzione della CO2, a fronte dell’aumento della richiesta di energia, richiede la rimodulazione delle produzioni attraverso una transizione energeticadi Marco ArezioNonostante sia da anni che si parla di decarbonizzazione, la produzione di energia elettrica, nel mondo, attraverso l’utilizzo delle centrali a carbone, ricopre ancora un ruolo fondamentale. Infatti fino al 2017 non risultavano dismissioni di impianti anzi, c’è stato un incremento della produzione di energia di oltre 250 TWh. La conseguenza di questo comportamento si può vedere dall’incremento delle emissioni di CO2 in atmosfera che, a livello globale, è stato pari all’1,4% e la frazione di competenza delle centrali a carbone nella produzione dell’energia elettrica si attesta intorno al 45%. Nonostante l’avanzamento delle fonti rinnovabili si stima che la produzione di energia elettrica dal carbone vedrà solo una leggera flessione a partire dal 2021, flessione che da sola non da nessun vantaggio apprezzabile a livello ambientale. I più grandi utilizzatori di carbone per la produzione di energia sono: In Asia: la Cina e l’India In Europa: La Germania, la Polonia, la Turchia, la Grecia e il Regno Unito In America: gli Stati Uniti Per invertire la tendenza e contenere l’inquinamento dell’aria che i cittadini respirano e per rientrare negli impegni presi alla conferenza sul clima di Parigi nel 2015, in cui si sono fissati percorsi di sviluppo delle energie rinnovabili come le biomasse, il solare, l’eolico, l’idroelettrico, la geotermica e la marina, si deve intervenire sulla riduzione dell’uso del carbone nelle centrali ancora in funzione. Tra le fonti sopra citate, la biomassa può avere un’affinità industriale con il carbone per creare produzioni di energia elettrica, attraverso la co-combustione tra la frazione composta di carbone e quella naturale, con lo scopo di mantenere l’efficienza di produzione e la riduzione degli inquinanti in atmosfera. Attraverso la co-combustione si sono rilevate efficienze produttive maggiori rispetto all’uso della biomassa al 100%, un costo di riconversione delle centrali a carbone inferiore rispetto a costruire nuovi impianti funzionanti solo a biomassa e un allungamento della vita delle centrali a carbone, finchè la transizione energetica possa dare uno stop a questo tipo di attività. Dal punto di vista economico la co-combustione non dà risparmi rispetto alla produzione tradizionale con il solo carbone e non è sempre semplice abbinare l’eterogeneità della biomassa durante la fase produttiva con la lignite, ma di certo, dal punto di vista ambientale ci sono degli indubbi vantaggi. Ma per rendere appetibile la riconversione delle centrali a carbone è necessario che gli stati creino forme di incentivazione economica per abbassare il costo dell’energia prodotta senza far rimpiangere la produzione tradizionale. Ci sono paesi che stanno producendo regolarmente attraverso il processo di co-combustione e che, nello stesso tempo, hanno strutturato fondi per la sostenibilità economica della produzione, come la Danimarca, i Paesi Bassi e il Regno Unito. Ci sono invece altri paesi, come la Germania, l’Italia, la Francia e la Finlandia, dove esistono impianti similari, in cui questa forma di produzione di energia non riceve piani di incentivazione preferendo investire le risorse disponibili in fonti totalmente rinnovabili. Ci sono invece paesi, soprattutto nell’est dell’Europa, come la Repubblica Ceca, la Polonia la Bulgaria, ma anche il Kossovo e la Grecia dove l’energia elettrica viene principalmente prodotta attraverso la lignite e una prima riconversione ad un’attività di co-combustione, in attesa che si affermino le energie rinnovabili, creerebbe un miglioramento ambientale importante per la popolazione. Nei paesi extraeuropei il maggiore consumatore di carbone per la produzione di energia è sicuramente la Cina, la quale ha avviato una massiccia riconversione della produzione inserendo le biomasse nelle proprie centrali a carbone con lo scopo di combattere lo spaventoso problema dell’inquinamento ambientale. Infine, negli Stati Uniti, in Australia e in Sud Africa, nonostante abbiano a disposizione abbondanti fonti di biomassa (Stati Uniti) e di carbone (Australia e Sud Africa) questo tipo di tecnologia non si è sviluppata a causa della mancanza di incentivi statali. C’è anche da tenere in considerazione che il processo di utilizzo del carbone nelle centrali porta alla produzione di scarti, sotto forma di ceneri, che costituisce un rifiuto solido da smaltire. Attualmente il 50% circa delle ceneri di scarto finiscono nelle discariche e questo sta diventando un problema in quanto le normative internazionali spingono alla disincentivazione dell’uso delle discariche. Sono quindi nati dei progetti che impiegano le polveri di scarto delle centrali a carbone, come la creazione di zeoliti, minerali microporosi di conformazione tridimensionale, che, in virtù della loro struttura ramificata e inglobante, vengono utilizzati nella bonifica dei suoli e di acque contaminate. Un’altra applicazione la possiamo trovare nell’ambito delle piastrelle, in particolare nel gres porcellanato, dove la polvere del carbone viene impiegata in miscela risparmiando materia prima naturale.Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'Con la CO2 recuperata dall'incenerimento dei rifiuti si favorisce il processo di fotosintesidi Marco ArezioA Madrid è andato in scena l'ennesimo raduno oceanico di giovani e meno giovani, capeggiati da Greta, in concomitanza con la riunione Cop25, dal quale è emersa una sonora bocciatura delle aspirazioni ambientaliste, promosse dalla piazza, da parte di un gruppo dei paesi che hanno partecipato alla riunione. Con una serie di rinvii delle decisioni da prendere, in merito al taglio e ai crediti della CO2, al Fondo per i danni causati dai cambiamenti climatici e la ratificazione degli impegni presi in merito all'accordo di Parigi, si sono delineati alcuni blocchi composti da stati con visioni ambientali completamente diverse: Chi non vuole cambiare le cose, anzi, come gli Stati Uniti, vogliono uscire dall'accordo di Parigi per avere mano libera nella gestione del processo di inquinamento. In questo blocco possiamo includere anche l'Arabia Saudita, l'Australia, Brasile e la Russia che non vogliono ulteriori tagli sulle emissioni di CO2. Chi sta lavorando per il rispetto dei limiti imposti a Parigi, in primis l'Unione Europea, che sembra l'unica che si stia impegnando a prendere sul serio il problema del cambiamento climatico. All'interno del suo gruppo però, ci sono dei paesi del blocco dell'Est, capeggiati dalla Polonia, le cui economie sono ancora profondamente legate all'uso del carbone e che, quindi, sono ostili ad ulteriori revisioni al ribasso dei limiti sulle emissioni. Chi sta alla finestra senza prendere sostanziali decisioni, come la Cina e l'india, il cui mercato economico è fortemente legato alla gestione lassista delle normative ambientali (emissioni, rifiuti, riciclo, riuso, scarichi industriali e urbani). Nel frattempo l'Europa, chiaccherando forse meno, sotto la spinta delle direttive del parlamento in fatto ambientale, ha liberato una serie di energie propositive, sia imprenditoriali che accademiche, che vogliono studiate e sfruttare nuove idee nel campo della gestione dei rifiuti e del risparmio energetico. Una di queste prevede il recupero della CO2 che viene generata dall'incenerimento di quei rifiuti non riciclabili, per usi civili. Questa operazione ha degli indubbi vantaggi diretti ed indiretti: - L'operazione di incenerimento di rifiuti, che andrebbero in discarica, non crea emissioni di CO2 in ambiente in quanto viene completamente recuperata e riutilizzata. - Con l'attività di incenerimento si può fornire energia elettrica e riscaldamento alle città limitrofe all'impianto, risolvendo il problema dei rifiuti locali. - La CO2 recuperata viene utilizzata, tra l'altro, per attività agricole, in certi periodi, dell'anno e per ridurre i costi della gestione dell'impianto. Ma come avviene questa applicazione nel campo agricolo? I fumi prodotti dalla combustione dei rifiuti urbani hanno un contenuto di anidride carbonica che oscilla tra il 5 e il 20%, oltre ad altre tipologie di gas come l'ossigeno, gli ossidi di zolfo, gli ossidi di azoto e varie frazioni di polvere. Questi fumi vengono convogliati in un impianto specifico che ha lo scopo di separare la CO2 dagli altri elementi, così da poter avviare il processo di sterilizzazione dell'anidride carbonica, che si otterrà alla fine del ciclo di trattamento, così da renderla utilizzabile per usi industriali e alimentari. Questa separazione avviene facendo passare i fumi in un solvente che ha lo scopo di assorbire la CO2 e respingere gli altri componenti. La soluzione, solvente+CO2, viene avviata in un altro impianto che ha lo scopo di far bollire la soluzione in modo da separare nuovamente il solvente, che rientrerà nel ciclo di produzione, dalla CO2 sotto forma di gas. L'anidride carbonica gassosa passerà in un altro impianto di purificazione e, attraverso una serie di filtri, terminerà il processo di purificazione del gas, passando poi alla fase di compressione della CO2 per portarla ad una consistenza liquida. Questo nuovo elemento liquido verrà poi stoccato e avviato nelle serre per facilitare il processo di crescita dei fiori, delle piante e dei frutti. Infatti questo processo è influenzato dalla temperatura, dalla luce, dall'acqua e dalla CO2 assorbita dalle piante. Ma tra tutti gli elementi sopra citati, è proprio l'aumento della concentrazione di CO2 che influenza in maniera drastica il processo di fotosintesi, infatti un incremento di anidride carbonica doppia rispetto alle concentrazioni naturali, porterà ad uno sviluppo maggiore della pianta di circa il 15-20%, a parità degli altri parametri nutrizionali. La concimazione carbonica, così chiamata, ingenera un incremento della crescita di molte specie vegetali, ma i risultai più evidenti si notano nell'aumento della qualità del prodotto e la riduzione dei cicli produttivi.Categoria: notizie - rifiuti - economia circolareVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Come si Stanno Muovendo le Importazioni di PE in Cina?Nonostante una situazione internazionale molto critica in termini di approvvigionamento di polimeri a causa della scarsità dell’offerta, della difficoltà a reperire i containers e a causa dei prezzi ormai asfissianti, il colosso cinese, la cui economia nel 2020 è cresciuta nonostante la pandemia, continua a macinare record anche nel campo delle importazioni dei polimeri plastici.Nell’analisi fatta da Pinar Polat il mercato cinese del PE ha avuto ottime performance in termini di quantità soprattutto per quanto riguarda l’LDPE. Infatti le importazioni cinesi di PE hanno raggiunto un nuovo record a Gennaio e Febbraio, secondo i dati dell'Amministrazione generale delle dogane. L'ufficio doganale ha elaborato questi dati per i primi due mesi dell'anno (2021) tenendo conto delle distorsioni causate dalla festività del capodanno lunare di una settimana, che quest'anno era a metà Febbraio. La Cina è stata l'unica grande economia che ha registrato una crescita per il 2020, riuscendo ad espandersi del 2,3%. Il successo del paese nel controllo del COVID-19, le misure di stimolo e i bassi tassi del denaro, dopo la revoca del blocco ad Aprile, hanno aumentato la sua quota di scambi e di investimenti globali. Di conseguenza, le importazioni cumulative di PE del paese hanno raggiunto un nuovo record nei primi due mesi del 2021, superando i volumi del 2019. Le importazioni totali di PE nel periodo Gennaio-Febbraio hanno registrato un aumento annuo dell'8,3%, superando i 2,5 milioni di tonnellate, il dato più alto nelle statistiche di importazione ChemOrbis risalente al 2001. Nonostante i volumi di PE di Febbraio sono diminuiti durante le festività natalizie, i valori totali di Gennaio-Febbraio rimangono elevati. Infatti il rallentamento di Febbraio, era ampiamento atteso poiché le attività commerciali sono normalmente ridotte durante le celebrazioni del capodanno cinese. Milioni di lavoratori tornano nella loro città natale per trascorrere le vacanze in modo tradizionale, tuttavia, a causa della pandemia da COVID-19, i viaggi per le vacanze di quest'anno sono stati meno frenetici. D'altra parte, le importazioni cumulative di PE nei primi due mesi del 2021 erano ancora in positivo in un confronto annuale. Tra tutti i prodotti in PE, le importazioni cinesi di HDPE hanno registrato un leggero calo annuale in questo periodo, mentre le importazioni di LDPE e LLDPE hanno registrato incrementi. HDPE I volumi totali di HDPE nel periodo Gennaio-Febbraio hanno registrato una leggera diminuzione del 3,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, attestandosi a 1.097.065 tonnellate. In questo periodo, l'Arabia Saudita è stata il principale fornitore di HDPE in Cina con oltre 230.000 tonnellate. L'Iran ha seguito l'Arabia Saudita con 202,838 tonnellate. LDPE Le importazioni totali di LDPE nel periodo Gennaio-Febbraio, invece, sono aumentate di circa il 24% su base annua, raggiungendo le 544.676 tonnellate. L'Iran è rimasto il principale fornitore di LDPE in Cina con quasi 125.000 tonnellate. LLDPE Pe quanto riguarda l’ LLDPE nei primi due mesi del 2021, i volumi sono aumentati del 17% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, attestandosi a 920.985 tonnellate. In questo periodo, l'Arabia Saudita è stata il primo fornitore della Cina con oltre 200.000 tonnellate, mentre Singapore è stato il secondo fornitore principale con 174.046 tonnellate. Vedi maggiori informazioni sull'economia Cinese e sui riflessi nella nostra vita
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