Polipropilene e polietilene da post consumo sembra non possano convivere, ma non è sempre cosìdi Marco ArezioA volte anche le copie più diverse, con attitudini e caratteristiche lontane, con temperature caratteriali agli opposti, con tenacità e debolezze differenti, nella loro unione trovano un equilibrio. Anche il PP/PE questo equilibrio sembra averlo trovato. Nel campo dei polimeri che derivano dalla raccolta differenziata esistono delle famiglie che sono composte da due o più polimeri differenti, come per esempio l’unione tra il polietilene e il polipropilene. Apparentemente sembrano due mondi molto lontani tra loro che, per necessità di consumo dei rifiuti plastici, si è arrivati ad attribuire al nuovo compound una posizione nel mercato dei polimeri. La materia prima che costituisce questa unione, derivando dall’input della raccolta differenziata, si presenta normalmente già miscelata, ed è costituita da parti rigide e da parti flessibili dello scarto plastico domestico. Nel corso degli anni questo mix “naturale” si è molto modificato, in quanto è stato necessario estrarre dalle balle dei rifiuti, una quota sempre più lata di plastiche nono componenti, come il polipropilene, il polietilene di alta e bassa densità. Infatti si è puntato molto sull’estrazione della frazione di polipropilene per destinarlo ad un mercato autonomo. Quello che oggi è definito PO o PP/PE è la parte risultante dei processi di selezione degli scarti plastici derivanti dalla raccolta differenziata, ed è costituito da circa il 30-40% di polipropilene e la restante parte è prevalentemente LDPE. Rispetto ad una decina di anni fa, la base odierna del PO, o PP/PE, è sicuramente meno performante, in quanto il comportamento del polipropilene sulla componente di polietilene di bassa densità, è di difficile gestione, sia in fase di stampaggio che nel risultato estetico dei prodotti finali. Se partiamo dalla considerazione che ci suggerisce l’economia circolare, secondo la quale ai rifiuti plastici dobbiamo trovare, in ogni caso, una collocazione di riutilizzo, anche questo mix povero di PP/PE, con un po’ di buona volontà, può essere utilizzato in molti settori. Il polipropilene contenuto nel mix porta con sé essenzialmente le caratteristiche di rigidità e fluidità, mentre l’LDPE porta con sé la flessibilità e la fusione alle basse temperature. L’antagonismo delle loro caratteristiche avranno conseguenze in fase di stampaggio e di qualità del manufatto se non si interviene durante la produzione del granulo. Per creare una corretta famiglia di PP/PE adatta a molte applicazioni, che tenga conto di differenti fluidità richieste dal mercato, di corrette temperature sia in fase di estrusione del granulo che in fase di stampaggio, di buone resistenze in termini di modulo e IZOD, compatibilmente con il prodotto di qualità bassa di cui stiamo parlando, diventa necessario, a volte, modificare le ricette dei granuli: Il primo intervento che si dovrebbe fare è operare sul bilanciamento tra PP e LDPE, attraverso una quota di HDPE che mitiga la problematica della differenza di temperatura di fusione dei due materiali originari. Questo migliora la stampabilità ma anche la riduzione di possibili striature sulle superfici dei prodotti.Se si desidera aumentare la fluidità del compound che si vuole ottenere, la componente di PP può essere incrementata, in quanto il contributo delle frazioni di LDPE e HDPE da post consumo, in termini di MFI, rimarranno limitate. L’incremento della percentuale di PP all’interno della ricetta è comunque da monitorare, in quanto porta ad un aumento della vetrosità del prodotto finale e riduce la sua resistenza al freddo.Se si desidera aumentare la flessibilità a freddo si può giocare sulla componente LDPE/HDPE, considerando le giuste percentuali in funzione delle richieste estetiche, sul grado di flessibilità e sugli spessori dei prodotti da realizzare.Se si vogliono realizzare colorazioni del manufatto, di solito con tonalità scure, è sempre consigliabile aggiungere del masterbach, per i polimeri rigenerati, in fase di estrusione del granulo. Questo perché la dispersione del colorante in un estrusore con una vite lunga porta delle efficienze estetiche migliori. In questo caso dobbiamo considerare che la quota di LDPE, che è quella più a rischio per un’eventuale fenomeno di degradazione sotto l’effetto delle temperature di lavorazione, dovrebbe rimanere la più bassa possibile per evitare danni estetici alle colorazioni del prodotto. Per quanto riguarda l’uso dei masterbach, visto che anche questi prodotti possono essere a rischio di degradazione in fase di estrusione del granulo o durante lo stampaggio, è buona cura assicurarsi a quali temperature massime possono resistere senza alterarsi.Se si vuole aumentare la rigidità dei manufatti si può ricorrere alle cariche minerali, siano esse carbonato di calcio o talco, che possono dare una maggiore robustezza ai prodotti dal punto di vista della resistenza a compressione. Bisogna stare attenti però al comportamento a flessione, in quanto, già di per sé il PP/PE ha un basso valore di resistenza a flessione e l’aggiunta di percentuali eccessive ci cariche minerali ne peggiora la flessibilità. L’utilizzo di questa famiglia di compound in PP/PE ha trovato un largo consenso sul mercato per la produzione di manufatti non estetici e dal costo contenuto. I principali settori di utilizzo sono: Edilizia con la realizzazione di distanziatori per ferri di armatura, canaline non carrabili per l’acqua, protezione copri ferro, secchi, vespai in plastica, grigliati erbosi carrabili, cisterne componibili drenanti da interro e altri prodotti.La logistica con la produzione di bancali, casse da trasporto, armature per bancali, tappi per bidoni e altri prodotti.L’agricoltura con i ganci per l’orticultura, i vasi, le cassette monouso per la frutta e la verdura, pali per le culture e altri prodotti.L’arredo da giardino con la produzione di divani e poltrone in rattan plastico, piccoli mobili, sedie da esterno economiche e altri prodotti.Il settore della pulizia con il supporto per le setole delle scope, i secchielli di piccole dimensioni, le palette e altri prodotti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - post consumo - granuli - PP/PE
SCOPRI DI PIU'Quali sono le caratteristiche delle linnee di trasporto dei fluidi in una produzione industriale di Marco ArezioUna produzione industriale ha, normalmente, la necessità di essere supportata da una serie di fluidi, come l’acqua, l’aria compressa o il vapore.Per poter trasportare i diversi fluidi necessari al funzionamento degli impianti di produzione, bisogna poter contare su tubazioni progettate in base al fluido che dovranno contenere, la distanza del trasporto, il loro diametro e la pressione di lavoro. In questo articolo affrontiamo gli elementi che costituiscono una rete di distribuzione industriale dei fluidi e cosa dobbiamo tenere in considerazione per scegliere i migliori materiali adatti allo scopo. Una rete di tubi per il trasporto dei fluidi industriali può rientrare nella voce delle reti di servizio alla produzione e, per questo motivo, la loro installazione e manutenzione deve essere considerato nei costi degli impianti e in quelli di manutenzione. Quindi, è importante progettare, realizzare ed installare la miglior rete di tubature possibili, in modo da minimizzare i costi generali ed aumentarne la durata nel tempo. Infatti, è sempre utile prevedere un sovradimensionamento, ma con attenzione, della linea e degli elementi che sono a supporto, in quanto potrebbe essere necessario, in futuro, un aumento del fabbisogno di fluidi richiesto da un possibile incremento dei volumi di produzione, senza dover rifare le linee di trasporto. Gli elementi che costituiscono una linea di trasporto della fluida sono costituiti dai seguenti prodotti: • Tubi • Elementi di raccordo • Accessori In primo luogo possiamo dire che le linee di servizio alla produzione dovrebbero essere visibili e di facile accesso, in modo da poter svolgere le eventuali riparazioni o ispezioni, in modo veloce ed agevole, senza pregiudicare i tempi della produzione. Inoltre, ogni linea deve essere ben riconoscibile in base al flusso che in essa scorre, infatti, i dati che indicano la natura del fluido possono essere riportati sui tubi, in varie forme, quali il nome per esteso, l’abbreviazione o la formula chimica. Per le tubazioni convoglianti fluidi pericolosi, oltre al colore di base, deve essere presente il simbolo di pericolo e il nome o la formula del fluido. Occorre, infine, tenere presente che le tubazioni e tutti i componenti devono essere installati in modo da: • non intralciare il transito • non occupare spazi di lavoro • non essere danneggiati da mezzi di trasporto • non costituire barriera alla diffusione della luce naturale Scelta dei tubi da installare I materiali più comuni che compongono i tubi, utilizzati nelle linee di trasporto dei fluidi in produzione, sono la plastica, il rame, l’acciaio, la ghisa e, misura minore, il calcestruzzo. Per la scelta di una tipologia piuttosto che un’altra, deve essere considerato il tipo di fluido da trasportare, la pressione all’interno del tubo, la temperatura di esercizio, l’aggressività del fluido sulla linea e alcune considerazioni ambientali dello stabilimento, come l’umidità, il calore e l’aggressività di componenti esterni. Inoltre, influisce sulla scelta del tubo, in merito al fluido da trasportare, la filettatura o la saldatura delle giunzioni tra i tubi stessi, che dovrà tenere in considerazione le caratteristiche generali del fluido. Una volta scelto il materiale ed il tipo giuntura più adatta, viene determinato il diametro e lo spessore del tubo. Il diametro viene determinato in base alla portata del fluido da convogliare, tenendo conto di bilanciare economicamente i costi di installazione, crescenti al crescere del diametro delle tubazioni. Tubi in acciaio I tubi in acciaio sono, di gran lunga, la tipologia più usata nelle linee di produzione e vengono classificati in base al loro impiego: • Tubi filettabili • Tubi commerciali • Tubi per applicazioni meccaniche • Tubi per condotte • Tubi speciali • Tubi zincati I tubi in acciaio sono impiegati per il trasporto dei liquidi, anche in presenza di alte temperature, di gas, di sostanze non alterabili e di pressione. Tubi in ghisa I tubi di ghisa sferoidale sono ottenuti per centrifugazione e sono normalmente dotati di giunto a bicchiere con guarnizione in elastomero, oppure per particolari applicazioni, sono disponibili in versione flangiata. Vengono impiegati, normalmente, nel trasporto delle acque nere o del gas, attraverso degli appositi strati di rivestimento in base alla tipologia di fluido da contenere. Tubi in rame I tubi in rame sono caratterizzati da una conducibilità elettrica e termica elevatissime, superate solo da quelle dell'argento, inoltre il rame è molto resistente alla corrosione e non è magnetico. Vengono impiegati per trasportare l’acqua potabile, il gas combustibili, i gas medicali, l’acqua per il riscaldamento e i fluidi per condizionamento e refrigerazione. Infatti, il rame è impermeabile ai gas, facilmente piegabile, resiste alla corrosione e non invecchia se esposto alla radiazione solare. Tubi in plastica I tubi in plastica hanno avuto una veloce diffusione negli ultimi decenni, impiegandoli per il trasporto di liquidi e dei gas, in quanto possiedono una buona resistenza alla corrosione da parte degli agenti chimici, sono leggeri. flessibili e hanno ottime proprietà dielettriche. Grazie a tali caratteristiche, i tubi in plastica hanno trovato applicazione anche per il convogliamento (in pressione e per gravita) delle acque reflue inquinate. Per contro, quelli in PVC, per esempio, non sono adatti per pressioni di esercizio superiori a 16 bar e per temperature superiori a 60 °C o per frequenti variazioni di temperatura. Infine subiscono un sensibile invecchiamento (che li rende fragili) se sono sottoposti all’esposizione prolungata della luce e frequenti sbalzi termici. I principali materiali di cui sono costituiti i tubi di materiale polimerico sono: • Polipropilene (PP) • Polietilene (PE) • Policloruro di vinile (PVC) • Plastici rinforzati con fibre di vetro (PRFV) Un altro vantaggio molto importante delle tubature realizzate con i polimeri plastici è la loro notevole durata, specialmente quelli prodotti in PVC, che può raggiungere anche i 50 anni di esercizio se conservati e protetti in modo idoneo. Dilatazioni termiche La presenza di calore nella linea deve far riflettere, non solo sulla tipologia di materia prima da utilizzare per i tubi, ma anche sui comportamenti che queste materie prime possono avere durante le variazioni di temperatura in funzione della lunghezza della linea stessa. Non solo sono da tener presente, al fine della corretta progettazione dei tubi, le temperature di esercizio e di picco, ma anche gli sbalzi termici che possono avvenire tra parti di impianti più freddi e altri più caldi. Inoltre, in una tubazione rettilinea di diametro contenuto, l’allungamento può comportare una flessione (carico di punta) in grado di sollecitare pericolosamente le flange di collegamento della tubazione alle apparecchiature. Categoria: notizie - tecnica - produzione - linee di tubazioni
SCOPRI DI PIU'Come aiutare la popolazione a prendere decisioni per il bene comune di Marco ArezioLa sindrome di NIMBY, dall’acronimo inglese “non nel mio cortile” rappresenta la protesta da parte di una comunità verso quei progetti, di interesse nazionale, che prevedono l’istallazione nel loro territorio di cave, autostrade, raffinerie, termovalorizzatori, discariche insediamenti industriali o depositi di sostanze pericolose. E’ un fenomeno trasversale in tutta Europa, che nasce spontaneo come azione di difesa verso un territorio o verso la popolazione stessa, che vede, attraverso le informazioni in suo possesso, un potenziale pericolo nell’accettare il progetto. L’economia circolare è spesso vittima della sindrome di Nimby, specialmente quando si tratta di costruire un termovalorizzatore od accettare una discarica o uno stoccaggio di rifiuti, ed è un problema evidente in territori in cui per concludere la circolarità dei prodotti e delle produzioni servono strutture come quelle citate. Con i sistemi impiantistici a disposizione, il fenomeno dei rifiuti zero è un’utopia e la gente deve sapere che la circolarità si può raggiungere, integrando varie forme di riciclo che non finiscono con la raccolta differenziata. In alcuni territori, specialmente nel Sud Europa la mancanza di termovalorizzatori di ultima generazione, perché osteggiati dalla gente, porta ad una movimentazione dei rifiuti verso aree dove possono essere lavorarli (da sud al nord Italia per esempio), con costi sugli stessi cittadini contrari e un impatto ambientale elevato. C’è da tenere in considerazione che la sindrome nasce anche a causa di un’insufficiente coinvolgimento della popolazione da parte delle istituzioni politiche che decidono il progetto, dalla scarsa fiducia che la base ha nei confronti dei propri eletti che amministrano i territori su cui l’opera dovrebbe essere installata. Anche il possibile fenomeno corruttivo, che incide sulla verifica tecnica del progetto in chiave ambientale e di sostenibilità sociale, fanno parte della possibile sfiducia nelle istituzioni locali o nazionali. Bisogna investire soprattutto nella cultura della circolarità dei rifiuti, per aiutare i cittadini a capire meglio le proposte che potrebbero incidere sui propri territori e, da parte di chi gestisce politicamente le aree interessate, è necessario mettere a diposizione ogni informazione che permetta alla gente di capire che l’interesse nazionale non si scontri con possibili minori tutele alla salute o con lo stravolgimento delle abitudini di vita locali. Secondo i dati forniti dal Nimby Forum, al 2016 esistevano progetti contestati che riguardavano le energie rinnovabili, come impianti per biomasse, compostaggio e parchi eolici, per un totale di 359 posizioni aperte. E’ facile immaginare come queste opposizioni siano oggi amplificate anche dalla rete, attraverso la quale non sempre i partecipanti a queste discussioni hanno una preparazione tecnica qualificata per sostenere i pro e i contro delle opere, con il rischio di una strumentalizzazione sempre possibile. La storia recente comunque ci dice che grandi progetti sull’economia circolare, di utilità nazionale, si devono poter eseguire nell’interesse di tutti, ma che la popolazione ha diritto ad essere coinvolta, ha diritto a capire e ha diritto ad esprimersi per eventuali modifiche ritenute necessarie. La democrazia è anche questo.Vedi maggiori informazioni sul fenomeno Nimby
SCOPRI DI PIU'Storia delle Calze (Collant) da Donna: dalla Seta al Nylon al PET Riciclatodi Marco ArezioIl 1935 fu una data importante per la moda femminile ma lo è anche stata per la ricerca fatta sui polimeri plastici e in particolar modo nell’ambito della poliammide.Vi chiederete cosa centra la moda con la plastica, in realtà centra molto, in quanto le calze (collant) per le donne, agiate, erano fatte di seta, capo molto costoso che era destinato ad un mercato ristretto. Wallace Hume Carothers scoprì nel 1935 il naylon e depositò nel 1937 il brevetto, senza forse immaginare quale successo questo tipo di materiale potesse avere negli anni successivi. Il nome nylon, che derivava dalla parola no-run (non si smaglia), fu ben pensato dalla ditta DuPount, che il 24 ottobre del 1939 iniziò la distribuzione sul mercato di un lotto di 4.000 calze (collant) con l’intenzione di fare un test per vedere se il prodotto fosse gradito alle donne. Le calze (collant) vennero vendute in tre ore quindi, forti di questo successo, il 15 Marzo del 1940, iniziò la distribuzione ufficiale in tutti gli Stati Uniti d’America, con un risultato di vendita di circa 4 milioni di paia nei primi quattro giorni di vendite. Dopo il 1942, ossia dopo l'ingresso degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale, il nylon assunse un nuovo ruolo. Grazie alla sua resistenza, suscitò l'interesse delle forze armate Americane, tanto che per la produzione di calze venne utilizzato quasi esclusivamente il nylon, diventando così una merce rara, utilizzata sul mercato nero come moneta di scambio. In Europa, durante la seconda guerra mondiale, le calze venivano prodotte da una ditta Tedesca con il nome commerciale di Perlon, ma dopo la caduta del terzo Reich, gli Americani smantellarono le fabbriche della IG Farben che producevano il prezioso filato. Dalla fine della seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti, la moda delle calze di Nylon esplose, anche a seguito della riduzione progressiva dei prezzi che fece aumentare la platea femminile che poteva permettersi un capo così ricercato, ma anche per l’indubbio fascino che le gambe delle donne, attraverso le calze (collant) di nylon, davano alle stesse. Dal punto di vista tecnico lo spessore delle calze passò da 70 denari ai 40, per poi ridursi ulteriormente negli anni 50 fino a 10 denari. Intorno al 1960 ci fu una doppia rivoluzione, da una parte il settore industriale produsse macchine che permettevano la produzione dei collant tubolari, senza quindi la tanto inconfondibile cucitura e, dal punto di vista della ricerca chimica, la DuPont brevettò l’elastane con il nome di Lycra. La caratteristica principale di questo nuovo tessuto era la possibilità di allungare il capo fino a quattro volte la lunghezza dello stesso. Si può dire che, indirettamente, ci fu una terza rivoluzione nell’abbigliamento intimo delle donne a seguito della diffusione delle calze di lycra, che fu quello della scomparsa del reggicalze, fino a quel momento indispensabile. A partire dagli anni settanta l’importanza delle calze (collant) di nylon diminuì a causa del cambiamento dei costumi delle donne che si spostarono verso abiti più maschili, attraverso l’uso dei pantaloni con i quali non era più importante esibire le gambe fasciate dalle calze di nylon. Oggi si vive un ritorno della calza sottile e fasciante, come oggetto di seduzione e di eleganza, ma nello stesso tempo si ricercano capi che abbiano un impatto ambientale contenuto. Sono quindi nate le calze il cui filo è composto in PET riciclato, permettendo di realizzare un capo da 50 denari nero, del tutto compatibile con l’economia circolare. La produzione di questo filato riciclato riduce l’emissione di CO2 del 45% e il consumo di acqua del 90% rispetto alla produzione con materia prima vergine.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - calze - nylon - seta - collant Vedi maggiori informazioni sulla storia dei tessuti
SCOPRI DI PIU'Nel settore del packaging dei prodotti in carta la società Italiana Lucart ha acquisito il controllo della società Inglese ESP un traspformatore di prodotti professionali in carta.Lucart ha acquisito il 100% del capitale sociale di ESP Ltd (Essential Supply Products Ltd.). Si tratta del principale trasformatore indipendente di prodotti professionali per l'igiene della Gran Bretagna. Il Gruppo prosegue così il proprio piano di internazionalizzazione, nonostante le incertezze derivanti dalla Brexit e dalla pandemia.L'investimento contribuirà a rafforzare in maniera decisiva la leadership di Lucart nel mercato europeo dei prodotti per l’igiene Away from Home. Massimo Pasquini, Amministratore Delegato di Lucart, ha così commentato l'importante traguardo: “Questa operazione ha una rilevanza strategica per tutto il Gruppo, in quanto ci permette di consolidare la nostra presenza in Gran Bretagna, che rappresenta, per i prodotti in carta tissue, il secondo mercato più grande d’Europa. La nostra solidità finanziaria e la volontà di perseguire gli obiettivi strategici del Gruppo, unitamente alla consapevolezza che le difficoltà legate al momento storico che stiamo vivendo non debbano farci perdere la visione di lungo periodo - prosegue Pasquini - ci hanno consentito di superare anche le incertezze generate dalla Brexit e dalla pandemia Covid-19. Abbiamo portato a termine un importante ulteriore passo per lo sviluppo futuro di tutto il Gruppo”. Essential Supply Products Ltd Fondata nel 1990, Essential Supply Products Ltd registra oggi un fatturato pari a circa 30 milioni di euro all’anno. La Società, con sede e stabilimento produttivo a Malvern, impiega 85 persone su 5 diverse linee di trasformazione. Gli impianti produttivi si sviluppano su una superficie di 77.000 mq, di cui 15.000 coperti. Per posizione, mercato e tipologia di produzione, questi permetteranno di attivare importanti sinergie con gli altri stabilimenti del Gruppo. Il fondatore Carl Theakston collaborerà in prima persona per favorire il passaggio di consegne. Le sue parole riflettono la consapevolezza di aver trovato in Lucart l'acquirente ideale per il futuro della Società: "Negli anni abbiamo effettuato numerose operazioni per permettere a ESP di continuare a competere ai massimi livelli. Col tempo però mi sono reso conto che lo standard di investimenti necessario a rendere concrete le mie ambizioni per questa azienda necessitava di un investitore che condividesse i valori della famiglia ESP e che avesse la visione e il desiderio di far crescere la società in modo sostenibile e al suo pieno potenziale. Lucart - conclude Theakston - è un gruppo multinazionale a conduzione familiare che opera da 68 anni. La sua storia, visione e impegno verso i modelli di sviluppo sostenibile lo rendono l’investitore ideale perché l’avventura di ESP possa proseguire nel migliore dei modi”.Info da Lucart
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