Anche l’e-Commerce sta acuendo la crisi del mercato della carta riciclata, sprofondata nel 2019di Marco ArezioLa crisi del mercato della carta da macero ha cominciato a manifestarsi nell’Agosto 2017 con l’inizio della discesa dei prezzi sul mercato internazionale, per poi acuirsi nel corso del 2019, dove sia i volumi esportati, che i prezzi per tonnellata, stanno mettendo in crisi il comparto del riciclo. I motivi di questa situazione si possono individuare nella riduzione delle importazioni da parte della Cina, dalla guerra commerciale estesa su molti settori tra gli USA e la Cina e, paradossalmente, dall’accresciuta capacità di raccolta della carta da macero, che non trova utilizzo pieno senza le esportazioni. Se i numeri pre-crisi vedevano la Cina come importatore primario di carta da macero, con circa 30 milioni di tonnellate l’anno e l’Europa con circa 8 milioni, oggi il governo di Pechino importa “solo”12 milioni di tonnellate e, di questa cifra, buona parte viene dalla cordata USA-Regno Unito. Questo surplus di carta che era destinata all’area Cinese, viene collocata in altri mercati, forzando le vendite attraverso la diminuzione del prezzo, con lo scopo di liberarsi degli stock invenduti. Considerando che in Europa, nel corso del 2018 si sono raccolte circa 56 milioni di tonnellate di carta a fronte di un utilizzo di circa 48 milioni, generando così una differenza per eccesso di offerta pari a circa 8 milioni di tonnellate, carta che si accumula anno dopo anno con problemi di gestione molto importanti. Questa situazione genera uno squilibrio, anche finanziario, del sistema di raccolta nel quale manca, sostanzialmente, un livello di vendite accettabile, in termini quantitativi, e un livello remunerativo sul prezzo del prodotto che possa coprire tutti i costi della filiera. Ci sono poi altri fattori, concomitanti e collaterali, che hanno incrementato le problematiche sopra descritte e che potemmo riassumere in questi punti: La disaffezione da parte dei consumatori ad alcuni imballi di plastica ha portato ad un incremento di utilizzo di imballi in carta, con la conseguenza di produrre più rifiutiL’efficienza del sistema di raccolta, come quello del vetro, crea un’offerta superiore alla domanda, su cui si dovrà intervenire attraverso sostegni finanziari all’economia circolare della carta.L’esplosione dell’e-commerce, che ha nell’imballo di cartone il suo packaging preferito, genera un aumento molto importante di rifiuti di cartone.Si è molto discusso sulla valenza sociale ed ecologica del sistema di vendita tramite le piattaforme web, in cui si confrontano i sostenitori dell’efficienza del modernismo tecnologico con chi sostiene che, le vendite on-line di beni non durevoli, sono la conseguenza del capriccio e della pigrizia cresciute con il consumismo e di una totale assenza di rispetto per l’ambiente e per la piccola imprenditoria formata dai negozi di quartiere o di paese. Per inquadrare la dimensione del fenomeno “e-commerce”, dobbiamo farci un’idea sui numeri che genera nel mondo e che sono espressi in circa 3.000 miliardi di dollari, con una previsione di arrivare a circa 4.000 miliardi nel 2022. Le società più rappresentative del fenomeno sono Amazon e Alibaba, che offrono merce in qualsiasi parte del mondo, nel più breve tempo possibile e al prezzo più basso in assoluto. Su questi tre pilasti si fonda il successo delle vendite on-line, sistema che ha messo in crisi la distribuzione tradizionale e, con essa, anche i lavoratori che ne facevano parte. Ma se da un lato non credo si possa addebitare alla formula dell’acquisto on-line, la chiusura di moltissimi negozi medio-piccoli, che erano già entrati in crisi con l’avvento anni fà delle grandi catene distributive, si può certo dire che il business delle consegne a domicilio, di articoli singoli in tempi brevissimi, sta generando un problema ambientale da tenere in considerazione. Non volendo entrare nello specifico del fenomeno dell’aumento del traffico a causa di questo sistema logistico frazionato, dove la movimentazione di un’enorme numero di colli singoli, in continua rotazione tra fornitori, distributori e cliente, crea un apprezzabile valore emissivo di CO2 e di NOx, in quanto merita un approfondimento dedicato. Vorrei considerare, invece, l’impatto che questo sistema di consegne crea in termini di aumento di imballi in cartone. Infatti il fornitore spedisce l’articolo ai magazzini di una società come Amazon o similare, la quale lo stocca nel proprio magazzino in attesa dell’ordine del cliente. Ricevuto l’ordine, il distributore imballerà l’articolo in una nuova confezione di cartone, adatto per la spedizione in funzione della dimensione del collo acquistato. In pratica, fino a qui, si sono utilizzati almeno due imballi, con i relativi accessori per la confezione. Questa, non è un’azione con un impatto trascurabile, se pensata su larga scala con milioni di colli in movimento ogni giorno e non ha comparazione, dal punto di vista dell’impatto ambientale, se la stessa operazione si facesse dal negozio vicino a casa, il quale utilizzerà solo l’imballo del produttore, o al massimo aggiungerà un sacchetto che potrà comunque essere riutilizzato in casa. Ma se il prodotto fosse rifiutato dal cliente finale? La riconsegna del prodotto respinto ha bisogno di un’ulteriore imballo per la spedizione e, anche qui, non stiamo parlando di piccoli numeri se consideriamo, per esempio, che Zalando, la nota marca di vendite on-line di abbigliamento e accessori, dichiara resi per circa 70 milioni di pacchi. Una cosa importante da notare è che la maggior parte dei pacchi respinti finisce nell’area “Destroy” (area in cui si distruggono gli articoli nuovi) in quanto non c’è convenienza economica nella restituzione dell’articolo al produttore. Questo genera una quantità consistete di rifiuti e di imballi che devono essere gestiti dal paese di distribuzione e non dal produttore.Categoria: notizie - carta - economia circolare - rifiuti
SCOPRI DI PIU'Preparativi, Speranze, Sfide e Tragedie al Cospetto del Nanga Parbat. Capitolo 1: Il Richiamo della Montagnadi Marco ArezioL'alpinismo, nella sua essenza più pura, è sempre stato più di una semplice conquista fisica. Per molti, rappresenta un profondo viaggio interiore, un dialogo tra l'uomo e la natura che trascende i confini della mera avventura fisica. Nessuna storia incarna meglio questa verità di quella della prima salita del Nanga Parbat nel 1970 attraverso la sua imponente parete nord del Rupal da parte dei fratelli Reinhold e Günther Messner. Questa epica ascesa non solo segnò un capitolo cruciale nella storia dell'alpinismo ma anche nel cuore e nell'anima di chi osò affrontarla.Cosa è la Parete Nord del Ruplal sul Nanga Parbat La Parete Nord del Rupal sul Nanga Parbat, spesso descritta come la "parete più alta della Terra", rappresenta una delle sfide più formidabili e impressionanti nell'ambito dell'alpinismo. Con un'altezza verticale di circa 4.600 metri dalla sua base fino alla cima, questa parete è situata sul lato sud della montagna e fa parte del massiccio del Nanga Parbat, che è il nono più alto del mondo, elevandosi a 8.126 metri sul livello del mare.Negli anni '60, la parete nord del Rupal era considerata da molti alpinisti un "ultimo problema dell'Himalaya", un obiettivo estremamente ambito ma altrettanto temuto per le sue difficoltà tecniche, i rischi oggettivi e le sfide logistiche. La parete presentava (e presenta ancora) una combinazione formidabile di ostacoli, tra cui pendii ghiacciati estremamente ripidi, pareti rocciose quasi verticali, e il pericolo costante di valanghe e cadute di sassi. La sua immensità e il suo isolamento aggiungevano ulteriori livelli di difficoltà, rendendo ogni tentativo di scalata un'impresa seria e rischiosa.La percezione degli alpinisti negli anni '60 era fortemente influenzata dalle storie di precedenti spedizioni che avevano tentato di conquistare il Nanga Parbat, alcune delle quali avevano avuto esiti tragici. Tuttavia, questa reputazione contribuiva anche ad alimentare il fascino e l'attrazione verso il Nanga Parbat, poiché alpinisti di tutto il mondo vedevano nella sua conquista non solo una sfida sportiva estrema, ma anche un'opportunità per testare i limiti dell'endurance umana e della capacità tecnica. Profilo dei Principali Alpinisti Reinhold Messner: Considerato uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi, Reinhold era noto per la sua straordinaria forza fisica, la sua volontà di ferro e la sua filosofia di vita avventurosa. Pioniere dello stile alpino nelle grandi montagne, la sua visione dell'alpinismo enfatizzava la purezza dell'esperienza e il rispetto profondo per la natura. Oltre alla sua carriera in montagna, è un difensore appassionato della conservazione ambientale e un autore prolifico, con numerosi libri che esplorano la filosofia dell'avventura e dell'esplorazione. Günther Messner: Fratello minore di Reinhold, Günther condivideva la passione per l'alpinismo e l'avventura. Sebbene meno conosciuto del fratello, la sua competenza tecnica e la sua resistenza erano fondamentali per il successo delle loro imprese congiunte. La loro stretta relazione fraterna e la fiducia reciproca erano evidenti in tutte le loro scalate, con Günther che svolgeva un ruolo cruciale nel supportare le ambizioni alpinistiche di Reinhold.La squadra era composta anche da altri alpinisti di talento, ognuno dei quali portava competenze e esperienze vitali alla spedizione. Tuttavia, il focus emotivo e narrativo rimane sui fratelli Messner, il cui legame profondo e la visione condivisa erano al cuore dell'impresa. Il Nanga Parbat, noto anche come la "Montagna Assassina", si erge maestoso tra le vette dell'Himalaya, sfidando gli alpinisti con le sue pendici inospitali e le sue condizioni estreme. Eppure, fu proprio questa montagna a richiamare i fratelli Messner, attirandoli con la promessa di un'avventura che avrebbe messo alla prova, non solo il loro coraggio e la loro resistenza, ma anche la loro volontà e il loro spirito. La decisione di affrontare la parete nord del Rupal, la più alta parete rocciosa del mondo, era emblematica del loro desiderio di esplorare i limiti dell'essere umano, di sfidare se stessi contro le forze della natura in una delle sue forme più incontaminate e temibili. L'attrazione di Reinhold e Günther Messner verso il Nanga Parbat non era motivata semplicemente dal desiderio di successo o dalla fame di riconoscimenti, piuttosto, rifletteva una connessione spirituale con la montagna, una comprensione che la scalata era tanto un viaggio verso l'interno quanto un'ascesa fisica. Vedevano la montagna come un luogo di prova e rivelazione del sé, un'arena dove potevano confrontarsi con i loro limiti più profondi, superare le loro paure e scoprire la propria essenza più autentica. Questa visione dell'alpinismo, radicata in una cultura che valorizza l'autenticità dell'esperienza e il rispetto profondo per la natura, li distingueva in un'epoca in cui l'esplorazione delle grandi vette era spesso dominata dalla conquista piuttosto che dalla comprensione. Il loro approccio era antitetico alla nozione di dominio sull'ambiente; piuttosto, cercavano un dialogo, una sorta di comunione con la montagna, che li vedeva come ospiti piuttosto che come conquistatori.La scelta di scalare la Parete del Rupal del Nanga Parbat era dunque un'affermazione di principi e valori. Non si trattava solo di affrontare una sfida fisica estrema, ma di intraprendere un percorso di ricerca interiore che li avrebbe trasformati. La montagna, con le sue impervie pareti e il suo ambiente inospitale, era il medium attraverso il quale i Messner cercavano risposte a questioni esistenziali, un luogo dove la lotta per la sopravvivenza esterna si specchiava in una battaglia interna per la comprensione di sé. In questa luce, il Nanga Parbat non era semplicemente una montagna da scalare, ma un passaggio verso una più profonda consapevolezza di sé. La loro ascesa si proponeva di esplorare non solo i confini geografici dell'Himalaya, ma anche i confini interiori dell'anima umana. La Parete del Rupal diventava così un simbolo potente della ricerca umana di significato, un luogo dove la fisicità della scalata si intrecciava indissolubilmente con lo spirito di chi osava affrontarla. Le Motivazioni alla Base della Spedizione Al centro dell'organizzazione della spedizione c'erano diverse motivazioni. Primo, vi era il desiderio di superare una delle sfide alpinistiche più ardue e pericolose dell'epoca. La Parete del Rupal del Nanga Parbat era considerata la "parete assassina", un muro di 4500 metri che rappresentava uno degli ultimi problemi irrisolti dell'alpinismo himalayano. La sua conquista prometteva non solo un posto nella storia dell'alpinismo ma anche un'opportunità per i fratelli Messner di testare i loro limiti fisici e psicologici. Secondo, c'era una spinta verso l'innovazione tecnica e tattica nell'alpinismo. I fratelli Messner erano pionieri dello stile alpino nell'Himalaya, un approccio che privilegiava la leggerezza, la velocità e l'autosufficienza rispetto alle spedizioni pesanti e assai supportate che erano la norma. Questo stile rifletteva un rispetto più profondo per la montagna e una ricerca di un'esperienza più pura e diretta. Terzo, la spedizione rappresentava un viaggio interiore, una ricerca di significato oltre i confini del mondo conosciuto. Per i Messner, come per molti alpinisti, la montagna era un luogo di riflessione spirituale, un ambiente dove confrontarsi con le proprie paure, dubbi e aspirazioni più profonde. La decisione di intraprendere la scalata della Parete del Rupal era quindi il risultato di una complessa interazione di motivazioni personali, professionali e filosofiche. Per i fratelli Messner e per i loro compagni di squadra, la spedizione rappresentava l'apice di una vita dedicata alla ricerca dei limiti dell'umano possibile, sia fisicamente che spiritualmente. La montagna chiamava, e loro rispondevano non solo con i loro corpi e le loro menti, ma con tutto il loro essere. In questo primo capitolo della loro straordinaria avventura, il richiamo della montagna emerge non solo come una sfida fisica ma come una chiamata alla scoperta di sé, un invito a entrare in un dialogo con l'infinito.Alla vigilia della partenza, mentre i fratelli Messner ultimavano i preparativi, si trovavano di fronte a una confluenza di emozioni. L'entusiasmo per l'imminente avventura si mescolava a un senso di riverenza e umiltà davanti alla maestosità del Nanga Parbat. Era chiaro che ciò che stavano per affrontare non era un semplice traguardo fisico; era una peregrinazione verso gli abissi più profondi della loro esistenza. La montagna, con la sua imponenza e la sua ineludibile presenza, li chiamava a una sfida che era tanto contro se stessi quanto contro gli elementi naturali. La notte prima della partenza, sotto un cielo stellato che sembrava quasi un presagio del percorso insidioso che li attendeva, Reinhold e Günther condivisero un momento di quiete riflessione. Consapevoli del fatto che il viaggio che stavano per intraprendere avrebbe potuto cambiarli in modi che allora potevano solo immaginare, si promisero l'un l'altro di affrontare ogni difficoltà con coraggio e determinazione, mantenendo sempre un profondo rispetto per la montagna che si apprestavano a scalare. Questa connessione quasi mistica con il Nanga Parbat non era solo una testimonianza del loro amore per l'alpinismo, ma rifletteva anche una comprensione più ampia del loro posto nel mondo. Vedevano la montagna non solo come un avversario da conquistare, ma come un maestro severo e imparziale, capace di impartire lezioni di vita profonde e durature.Avvicinamento al Campo BaseLa spedizione sarebbe iniziata con l'arrivo dei fratelli Messner e del resto del team all'aeroporto di Rawalpindi, vicino a Islamabad, che all'epoca era il principale aeroporto internazionale che serviva la capitale del Pakistan.Dopo l'arrivo, la squadra avrebbe organizzato il trasferimento verso il nord del Pakistan, direzione Gilgit o Chilas. Data l'epoca, è probabile che abbiano viaggiato per strada, affrontando un lungo e arduo viaggio attraverso la Karakoram Highway (KKH), che era in fase di costruzione in quegli anni e non completamente operativa come oggi. Questo viaggio avrebbe offerto loro la prima vera visione della maestosità e della sfida rappresentata dalle montagne dell'Himalaya e del Karakorum.Da Gilgit o Chilas, il team avrebbe proseguito verso il villaggio di Tarashing, situato alla base del versante. Questa parte del viaggio avrebbe potuto essere compiuta utilizzando mezzi di trasporto locali disponibili come camion o jeep adattati per gestire le strade di montagna.L'ultima parte del viaggio verso il campo base del Nanga Parbat avrebbe comportato un trekking di più giorni attraverso paesaggi montani imponenti. Questo percorso avrebbe messo alla prova la loro resistenza e avrebbe segnato l'inizio del loro adattamento all'altitudine. I fratelli Messner e il loro team avrebbero portato con sé attrezzature, cibo e altri materiali necessari, affidandosi anche all'aiuto di portatori locali per trasportare i pesi più ingenti.Il capitolo si conclude con i fratelli Messner che si avviano verso la base della Parete del Rupal, le loro figure piccole ma risolute contro l'immenso sfondo della montagna. In questo momento di partenza, erano pienamente consapevoli della grandezza della sfida che avevano scelto di affrontare, ma erano guidati da un irriducibile spirito di avventura e da una sete insaziabile di conoscenza.Il loro passo era fermo, il cuore pieno di speranza e la mente aperta alle infinite possibilità che il Nanga Parbat aveva da offrire. Era l'inizio di una leggendaria impresa alpinistica, ma anche di una profonda odissea personale che avrebbe lasciato un'impronta indelebile sulla loro vita e sull'intero mondo dell'alpinismo.
SCOPRI DI PIU'Granulo in rPET per Contatto Alimentare: la Società Arezio Marco in Inghilterradi Marco ArezioLa produzione di bottiglie in PET riciclato, che in massima parte occupano la maggior parte del mercato del packaging in PET insieme alle vaschette alimentari, hanno guadagnato velocemente marcato tra i consumatori finali, ci quali sono sempre alla ricerca di imballi che siano i più sostenibili possibili.I produttori di acque e bibite si stanno adeguando alle crescenti richieste di packaging riciclato, inserendo nelle loro produzione l’rPET, materia prima riciclata in granuli che è certificata per il contatto alimentare. In realtà, a fronte di un’enorme richiesta di materia prima riciclata, la necessità dei produttori di bottiglie di avere un fornitore di rPET food, che riassuma diverse caratteristiche tecnico-commerciali non è sempre facile. La società Italiana Arezio Marco è stata incaricata di valutare e proporre tre fornitori affidabili per l’inserimento della materia prima, rPET food, nella produzione di imballi per bevande in Inghilterra. Le valutazioni hanno riguardato: • Le certificazioni sul prodotto, per valutare se il granulo rispettasse i livelli qualitativi della produzione che fino ad ora era espressa solamente attraverso l’uso di PET vergine. • La certificazione sulla compatibilità alimentare per verificare la rispondenza alle normative EFSA • L’analisi del ciclo di produzione attraverso la valutazione della selezione per colore, la macinazione il lavaggio, la sanificazione e l’estrusione del prodotto. • Il controllo di qualità del granulo prodotto prima della consegna al cliente • Le disponibilità trimestrali per permettere programmi di approvvigionamento regolari Terminate queste valutazioni è stato seguito un programma di tests delle campionature consegnate al cliente, che sono passate attraverso le analisi di laboratorio per certificare l’allineamento dei dati dichiarati dal produttore di granulo e, successivamente, con una quantità di materia prima crescente, si sono effettuati tests di produzione su larga scala. Una volta approvati i prodotti e le compatibilità rispetto alle produzioni dei vari packaging, si sono iniziate le forniture della materia prima riciclata.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti - PETVedi il prodotto finito
SCOPRI DI PIU'Il controllo e gli interventi programmati possono mantenere in efficienza il dosatore per le materie plastichedi Marco ArezioIl dosatore gravimetrico è una macchina estremamente utile nella lavorazione delle materie plastiche in quanto, in modo automatico, dosa e rilascia la quantità prestabilita di materiale all’interno degli estrusori o delle presse ad iniezione. I dosatori gravimetrici possono lavorare sia con i granuli, che con i macinati che con le polveri, permettendo un preciso comportamento all’interno del compound che si vuole preparare. Ma, essendo un impianto meccanico, è soggetto ad una normale usura e, quindi, è necessario programmare in modo preciso gli intervalli di manutenzione e controllo delle sue parti, per evitare rotture o pesature errate, che comporterebbero un dispendio economico elevato se il prodotto finale risultasse non conforme. Inoltre, un miscelatore gravimetrico mal funzionante può comportare un dispendioso uso e consumo di additivi senza ragione. In linea generale possiamo dire che gli intervalli di manutenzione dovrebbero essere scadenzati al massimo ad un anno di distanza tra loro, anche se la macchina risulta funzionante in modo corretto. Quali sono gli interventi di controllo principali? Cominciamo dalle valvole e dalle serrande di dosaggio che permettono l’erogazione dei materiali da miscelare, controllando il sincronismo corretto impostato, la corsa che non deve avere ostacoli e la velocità di movimento. È necessario inoltre controllare i binari delle serrande scorrevoli, la posizione del cilindro e la corretta chiusura delle porte. Il movimento di chiusura dovrebbe essere rapido e non deve essere sottoposto a sforzi, inoltre il limite di chiusura non deve oltrepassare il bordo più lontano per non creare la possibilità di incepparsi con il materiale. È inoltre consigliabile verificare il perno che collega il cilindro pneumatico che non sia usurato, rotto o mal funzionante. La verifica della corretta pressione dell’aria, il serraggio delle chiusure e che i tubi di alimentazioni siano integri e perfettamente funzionanti, sono tests importanti. Per quanto riguarda le celle di carico è consigliabile l’ispezione per rimuovere eventuali residui di materiali, accumulati nel tempo, attraverso l’uso dell’aria compressa. In base all'esposizione alla polvere dei materiali normalmente lavorati, la contaminazione della cella di carico può essere un problema permanente per il miscelatore, e potrebbe essere necessaria una chiusura della cella di carico più raffinata. Per quanto riguarda i contenitori del materiale da pesare, bisogna controllare il funzionamento delle valvole di scarico e degli sportelli di aperura e chiusura, avendo cura di controllare che i punti di rotazione dei meccanismi siano sempre essere liberi ed efficienti. Il meccanismo della valvola deve accogliere l'accumulo statico di pellet senza interferire con l'arresto del flusso di materiale. Esaminare inoltre attentamente tutte le parti del piatto di pesatura e la relativa staffa di supporto, per assicurarsi che nulla tocchi alcuna parte fissa del miscelatore, e che il suo peso sia completamente supportato dalle celle di carico, come previsto. Una leggera pressione sul contenitore dovrebbe mostrare un cambiamento nella lettura del peso sul display. La rimozione di quella pressione dovrebbe riportare lo schermo esattamente allo stesso numero, più o meno 1 o 1/10 grammi. Per quanto riguarda la camera di miscelazione bisogna controllare le lame metalliche che miscelano il materiale, in modo da verificare che non siano piegate od usurate a causa dell’abrasione dei prodotti utilizzati. Infatti utilizzare lavorare con le lame usurate potrebbe aumentare il rischio che queste si possano staccare danneggiando la vite.
SCOPRI DI PIU'La demonizzazione dei dischi in vinile di PVC, in quanto plastica, è esagerata e superficiale di Marco ArezioNell’era della digitalizzazione e dell’immaterialità musicale pensiamo che il disco, o come in passato si chiamava, LP, possa avere un impatto ambientale negativo in quanto prodotto con il PVC, una plastica vergine di derivazione petrolifera e che la musica che ascoltiamo in streaming, non essendo riprodotta da un oggetto solido, come il disco, abbia un impatto ridotto o nullo. Niente di più sbagliato. La storia dei dischi in vinile a 33 giri, nasce nel 1948, alla fine del secondo conflitto mondiale, ad opera della ColumbiaRecords negli Stati Uniti, a seguito di un’evoluzione tecnologica della produzione musicale che era retta dai dischi in gommalacca, i famosi 78 giri, che permettevano un ascolto maggiore in termini di tempo, raggiungendo i 30-40 minuti per lato. Le innovazioni tecniche riguardarono non solo i materiali utilizzati per la produzione del disco, passando appunto dalla ceralacca del 78 giri al PVC del 33 giri, ma anche attraverso le novità sulla tecnologia di riproduzione della musica nel disco stesso. Si passò quindi dalla tecnologia del 78 giri, che utilizzava un macro solco profondo, alla tecnologia del microsolco con la memorizzazione dei segnali sonori per via analogica. Se il materiale che costituiva il 33 giri rimaneva abbastanza invariata negli anni, la qualità del suono inciso aumentò progressivamente a partire dagli anni 60 dello scorso secolo, quando venne introdotta la tecnologia quadrifonica a matrice, incidendo separatamente nel disco i segnali musicali, dando l’impressione di essere avvolti dalla musica. Nonostante questa tecnologia non decollò in modo importante a causa dell’alto costo degli impianti di riproduzione musicale, l’LP ebbe un formidabile successo mondiale, incontrastato mezzo per ascoltare la musica fino alla fine degli anni 70 quando iniziò la produzione delle musicassette e dagli anni 80 quella dei CD. La parabola discendente delle vendite di dischi in vinile continuò fino ai primi anni 90 quando si cessò la produzione in buona parte del mondo. Oggi in cui viviamo nell’epoca dell’uso dei prodotti, senza possederli, la musica si ascolta in streaming, sulle piattaforme come Spotify, Apple Music, solo per citarne alcune, in una continua attività di usa e getta, con volumi di ascolto enormi. Proprio in questo periodo di immaterialità, sta ritornando prepotentemente alla ribalta il possesso dell’LP come oggetto da collezione, come fosse un quadro, un libro pregiato, un gioiello, che sono e saranno elementi che faranno parte della nostra vita. Questa attività non riguarda solo i vecchi dischi in formato 33 giri stampati negli anni 60-80, ma riguardano anche le nuove produzioni, tanto che le case discografiche si sono nuovamente attrezzate per fornire un formato fisico alla musica dei propri artisti. Ma come è fatto un LP? I dischi in vinile vengono realizzati attraverso il processo di stampaggio a caldo, utilizzando una pressa alimentata da un PVC granulato, opportunamente modificato e chiamato biscotto, con il quale si realizza la forma e i solchi provenienti da uno stampo madre. Dopo la pressatura i dischi possono presentare bordi irregolari, motivo per il quale vengono rifilati per dare al disco l’aspetto che tutti conosciamo. Il disco in PVC inquina più dello streaming? Possiamo quindi dire che un disco in PVC non è altro che uno dei tanti prodotti plastici che vengono realizzati nel mondo e che la sua esistenza, di per se, non è un elemento inquinante, ma come tutti i prodotti, anche quelli non plastici, devono rientrare in un’ottica di economia circolare. Fa specie leggere articoli di testare autorevoli che definiscono un prodotto in PVC, in quanto tale, pericoloso per l’ambiente e la salute dei lavoratori, a seguito delle esalazioni e degli inquinanti che le produzioni realizzerebbero. Non fa specie tanto quello che è stato detto, che segue l’onda popolare, con poca competenza sul problema della plastica, ma induce ad una certa perplessità pensare che testate giornalistiche di primo livello, trattino in modo così poco professionale il problema della plastica e del PVC. In ogni caso, l’LP, ha una produzione, in termini quantitativa, molto limitata e ancora più improbabile che il disco in vinile finisca dopo l’ascolto in pattumiera, in quanto è un oggetto che crea empatia con chi l’ha acquistato e verrà conservato, probabilmente, con molta cura e per molto tempo. Dobbiamo però considerare anche l’impatto che l’ascolto in streaming della musica produce ogni giorno sull’ambiente, perchè il fatto di non possedere un oggetto, come un disco che potrebbe trasformarsi in rifiuto, non significa che l’impatto ambientale dell’ascolto della musica sia zero. Infatti la disponibilità di miliardi di brani di musica sui nostri telefoni, laptop o tablets comporta l’archiviazione dei file musicali in apposite strutture, che vengono alimentate utilizzando l’energia che non sempre è rinnovabile. Se è vero che lo streaming di un singolo brano comporta un consumo energetico molto limitato, è anche vero che la disponibilità di musica senza limiti ha incrementato in maniera esponenziale l’ascolto dei brani con le relative conseguenze ambientali. Negli Stati Uniti si è stimato che le emissioni, in termini di gas serra, relative al settore dello streaming musicale, sono circa 200 milioni di tonnellate, secondo stime prudenziali e 350 milioni secondo altre stime.Vai al prodotto finito
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