Sembra si sia formata un’assuefazione ai disastri ecologici attuali e futuri di Marco ArezioQual’è l’impatto del tam-tam mediatico che da qualche anno ci sta avvolgendo e che rimarca una situazione ecologica globale disperata? Abbiamo smarrito la coscienza? A discapito di quello che si pensa, il sentimento nei confronti delle informazioni sull’ambiente che ci giungono, sempre più gravi, documentate con dovizia di particolari da una comunicazione efficiente e puntuale, non coinvolge tutti allo stesso modo e con la stessa enfasi. Diamo per scontato che sia del tutto superfluo, come qualcuno ha l’ardire di sottolineare, discutere se la proporzione del disastro ecologico in cui viviamo sia degna di nota o meno, perché vorrei eliminare quella frangia di persone che tendono a non considerare il problema. Non parliamo solo di gente comune, ma di politici, in posizioni apicali, che ironizzano sull’esistenza del problema ecologico, sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze per la vita di tutti, utilizzando i social quale mezzo di persuasioni delle coscienze influenzabili, dimostrando una cultura scientifica, oltre che morale, del tutto discutibile. La situazione ambientale a cui siamo arrivati è un intreccio così complicato di fili, che rappresentano l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, dei rifiuti e dello scempio delle risorse naturali, i quali si stanno trasformando nella corda che si sta stringendo docilmente al nostro collo. I modesti cambiamenti che i movimenti ecologici e le autorità competenti stanno cercando di apportare al ciclo dei consumi, sono del tutto lodevoli nelle intenzioni e nell’impegno profuso, ma ancora poca cosa rispetto alla situazione globale che necessiterebbe di ben altre decisioni in tempi molto più ristretti. Le notizie sulle multinazionali che si alleano per diffondere un messaggio ecologico sul ciclo della loro produzione, fanno sicuramente piacere, ma questo mi porta a pensare che oggi, incalzate dall’opinione pubblica e con il rischio di essere etichettate come inquinatori seriali, si stiano muovendo per correggere qualche comportamento che va contro la logica ambientale. Razionalmente però, non possiamo immaginare che le industrie, basate sul business, quindi sul profitto ad ogni costo richiesto dagli azionisti, diventino paladine dell’ambiente. Certamente oggi hanno capito che un messaggio di marketing che sposi il filone “verde” potrebbe far acquisire nuove fette di mercato, o nel peggiore delle ipotesi, potrebbe evitare la perdita di clienti. Sono le istituzioni politiche a livello mondiale, supportati dalle menti scientifiche, non colluse con il business economico, che devono imporre a tutti noi, quindi anche al mondo della produzione, regole comportamentali che fermino il proliferare dell’inquinamento a tutti i livelli e inizino a ridurre il disastro ambientale in cui viviamo. Lo dobbiamo fare per noi. Certo, le scelte non sono semplici e implicano una visione molto più allargata di quello che si possa pensare. Io credo che, tra le altre cose, si debba anche considerare chi non si pone questi problemi, non per ignoranza o bieco calcolo, ma perché non può porseli, in quanto stretti tra esigenze quotidiane molto più opprimenti e immediate che pensare alla fine del modo. Come si può pensare di interagire ai fini ambientali con una popolazione povera, distribuita in molte aree del mondo, che deve pensare alla sopravvivenza quotidiana e non al futuro. Come possiamo pensare di incidere sulle coscienze delle persone che subiscono le disuguaglianze economiche trasformandoli in paladini ecologici. La coscienza ambientale, la produzione, i consumi eco-sostenibili, l’economia circolare e il corretto rapporto sulle risorse ambientali, rischiano di apparire un lusso, un ulteriore privilegio di chi può permettersi l’auto elettrica, l’acquisto di cibi bio o vestirsi con costosi abiti griffati provenienti da fonti riciclate. Abbiamo prima di tutto smarrito la coscienza, non solo ambientale, ma anche quella umana, anteponendo l’effimero risultato economico al benessere generale.
SCOPRI DI PIU'La coltivazione di alghe necessarie per la creazione di un calcestruzzo ad emissioni zero, attraverso il calcare biogenicodi Marco ArezioIl mondo del cemento e del calcestruzzo è da tempo in fermento per creare nuovi impasti carbon free, non incidenti sulle risorse naturali normalmente prelevate dalle cave. Si sono sperimentate ricette con una percentuale di rifiuti edili provenienti dal riciclo dei materiali delle ristrutturazioni e demolizioni, impasti con percentuali variabili di rifiuti plastici non riciclabili e impasti con scarti provenienti dagli inceneritori dei rifiuti e delle acciaierie. Tutte le ricette sono finalizzate alla migliore gestione dei rifiuti nell’ambito dell’economia circolare, la quale promuove ogni azione indirizzata al riciclo degli scarti che produciamo, la riduzione del prelevamento di materie prime naturali e la riduzione dei rifiuti non riciclabili. Un altro capitolo di sostenibilità è stato aperto, per ora in maniera sperimentale, dall’Università del Colorado, che sta studiando la possibilità di utilizzare delle alghe per la produzione del calcare biogenetico per la produzione di cemento, malte e calcestruzzi bio. L’Università ha creato una coltivazione di Coccolitofori, alghe monocellulari appartenenti alla famiglia delle Aptofite, che hanno la caratteristica di essere ricoperte di scaglie di carbonato di calcio. La presenza di questo elemento nelle alghe può essere la chiave del suo utilizzo nella sostituzione dell’elemento naturale negli impasti cementizi. Infatti il calcare che, per mezzo della fotosintesi le alghe producono naturalmente, può essere compatibile con quello naturale, dando vita ad un componente dell’impasto non solo ad emissioni zero, ma addirittura negative, in quanto le Coccolitofori assorbono CO2 durante la loro vita. Infatti, si può parlare di calcestruzzo o cemento carbon neutral perché l'anidride carbonica rilasciata nell'atmosfera, quando viene bruciata per produrre cemento, è uguale a quella che le microalghe hanno estratto dall'atmosfera durante la sua crescita. Invece si può parlare di cemento o calcestruzzo carbon negativo, se il calcare naturale utilizzato nelle miscele viene sostituito integralmente da quello proveniente dalle alghe, infatti, durante la loro vita hanno assorbito la CO2 nell’ambiente e non è necessario emetterne altra per la sua produzione. Secondo gli studiosi dell’Università l’adozione su larga scala di questa teoria farebbe risparmiare al pianeta circa due gigatonnelate di CO2 emessa all’anno e il sequestro di 250 milioni di tonnellate. I ricercatori Americani stimano che con 500.000 o 1.000.000 di ettari di stagni aperti negli Stati Uniti, il paese potrebbe realizzare abbastanza carbonato di calcio per produrre tutto il cemento di cui ha bisogno. Categoria: notizie - edilizia - economia circolare - riciclo - bio calcestruzzo - bio cemento
SCOPRI DI PIU'I lavoratori che sono selezionati dal manager danno interessanti spunti per fare un quadro della sua personalitàdi Marco ArezioCi sono aziende in cui la selezione dei collaboratori non è affidata ad un ufficio del personale, o scelti direttamente dal proprietario, ma spesso sono selezionati e scelti direttamente dai managers di area. Un direttore commerciale può selezionare i venditori, i collaboratori del back office, del settore post vendita e a volte dei responsabili marketing. Un direttore amministrativo potrebbe scegliere i componenti dell’ufficio contabilità, di quello delle paghe, del settore di controllo ecc.. Dove troviamo delle figure apicali, che potrebbero coinvolgere anche il direttore generale che hanno la responsabilità dell’azienda per conto del proprietario o dei proprietari, è interessante analizzare i collaboratori per capire come sono, caratterialmente il propri superiori. I managers possono essere competenti e determinati, ma possono avere due tipologie di carattere: • sicuro di sé stesso • insicuro di sé stesso Vi chiederete come possa essere importante il carattere personale di un manager se sono riscontrate e avvalorate la loro capacità e determinazione nell’affrontare il lavoro. Il carattere conta molto, invece, in quanto i requisiti che un manager sceglie durante le selezioni dei propri collaboratori, a parità di lavoro, sono decisamente diverse e, nello stesso verso, conoscendo i caratteri dei dipendenti scelti dal manager, è abbastanza facile farsi un quadro della sua personalità. Il manager sicuro di sé cerca delle figure capaci di reggere lo stress del lavoro, che abbiano un carattere forte, che accettino lo scontro di opinioni, che siano propositivi nei cambiamenti, leali con gli altri collaboratori, non accettino scorciatoie, che sappiano dire quando sbagliano e riconoscere anche i successi degli altri. Il collaboratore deve sapere fare squadra, non ha bisogno dell’approvazione degli altri e nemmeno del proprio superiore e ha un rapporto aperto ma corretto. Il manager sicuro darà ampie deleghe nelle attività, senza la paura che qualcuno lo possa scavalcare, farà lavorare al meglio la squadra e darà loro le giuste soddisfazioni, mettendosi a volte anche in ombra. Il manager insicuro di sé seleziona i propri collaboratori che abbiano una passione per il lavoro, diretto da altri, capaci ma non intraprendenti, che abbiano idee ma non il carattere di farle valere in un gruppo aperto, che siano psicologicamente un po' manipolabili in modo da creare un rapporto di sudditanza e di necessità verso il capo. Il manager insicuro non selezionerà figure che possono metterlo in ombra con i suoi superiori, che possano avere delle idee vincenti prima di lui, che possano fare squadra con gli altri lavoratori, ma tenderà a verticalizzare la piramide del suo potere per gestire e controllare ogni posizione a sé. Non delegherà molto e cercherà di ridurre le autonomie lavorative per paura di essere un giorno scavalcato, tenderà a mettere in competizione personale i collaboratori, gestirà divisioni e litigi, dissapori e vendette. Considererà ogni sforzo che le fazioni del gruppo spenderanno per contendersi la visibilità verso il manager come una forma di controllo indiretto e non si preoccuperà delle tante energie perse. Le aziende che selezioneranno, a loro volta questi managers, devono, per il bene dell'impresa, cercare di capire il loro carattere perché, la sicurezza o l’insicurezza di sé, crea dei reparti aziendali con performaces nel tempo molto diverse.
SCOPRI DI PIU'Rallentare, ridurre i consumi e migliorare la propria vita con un approccio meno esigentedi Marco ArezioIn un mondo che corre sempre più veloce, dove il consumo sembra non conoscere freni, emerge una necessità impellente: rallentare. Non solo per dare respiro alle nostre vite spesso troppo affannate ma per garantire un futuro al pianeta che abitiamo.È qui che si intrecciano due concetti fondamentali per la sostenibilità del nostro mondo: l'economia circolare e la vita lenta. Seppur apparentemente distanti, queste due filosofie condividono un obiettivo comune: promuovere un'esistenza più equilibrata e rispettosa dell'ambiente.L'economia circolare, con il suo invito a ridurre, riutilizzare e riciclare, ci offre una strada per diminuire l'impronta ecologica delle nostre attività produttive. Questo modello si distacca radicalmente dall'approccio lineare di "prendere, fare, disfarsi", tipico del sistema economico prevalente, che ha portato a uno sfruttamento insostenibile delle risorse naturali. Ma come si collega questo alla slow life? La slow life è un invito a rallentare, a riconnettersi con i ritmi naturali, a valorizzare la qualità della vita rispetto alla quantità dei consumi. In questo contesto, rallentare significa anche riflettere sul nostro impatto ambientale, scegliere con cura ciò che acquistiamo, privilegiando prodotti sostenibili, riciclati o riciclabili, che rispecchiano i principi dell'economia circolare. Immaginiamo, ad esempio, il semplice atto di acquistare un capo di abbigliamento. In una logica di consumo veloce, la scelta potrebbe ricadere su prodotti di moda, economici ma di doppia durata e provenienza. Invece, adottando una prospettiva lenta e circolare, potremmo preferire capi prodotti con materiali sostenibili, magari riciclati o provenienti da filiere etiche, che garantiscano una maggiore durabilità. Questo non solo riduce la quantità di rifiuti generati ma promuove anche pratiche di produzione più rispettose dell'ambiente e dei lavoratori. La transizione verso una vita più lenta e circolare non si limita al consumo consapevole ma si estende a tutti gli aspetti della nostra esistenza. Dal cibo che scegliamo di consumare, preferibilmente locale e di stagione, al modo in cui decidiamo di spostarci, privilegiando mezzi di trasporto meno inquinanti o, perché no, il buon vecchio camminare. Rallentare ci permette di apprezzare di più ciò che ci circonda, di instaurare relazioni più significative con gli altri e con l'ambiente. Questa maggiore consapevolezza ci rende anche più inclini a riconoscere il valore intrinseco delle cose, non solo il loro valore economico, spingendoci a prendere decisioni più sostenibili. Ma come può ciascuno di noi contribuire a questo cambiamento? La risposta sta nella quotidianità delle nostre scelte. Si comincia con piccoli gesti: riparare anziché sostituire, condividere invece di possedere, riutilizzare piuttosto che scartare. Attraverso la piattaforma rMIX, per esempio, possiamo dare vita a un circolo virtuoso di offerte e richieste su prodotti riciclati e servizi sostenibili, creando un mercato che premia le scelte consapevoli. Promuovere un'esistenza più lenta e circolare è un cammino che richiede tempo e impegno, ma è anche un'opportunità per riscoprire il piacere di vivere in armonia con il mondo che ci ospita. È un invito a guardare al futuro con speranza, consapevoli che ogni nostra azione può contribuire a costruire un mondo migliore, più giusto e sostenibile per noi e per le generazioni a venire.
SCOPRI DI PIU'Il Caso della Formula del Polipropilene Perduta a Milano. Capitolo 2: Ombre e Sospettidi Marco ArezioNel tessuto urbano di Milano, tra le sue nebbie e i suoi fulgidi tramonti, il commissario Lucia Marini e l'ispettore Carlo Conti vivono e respirano la vita di una città pulsante, portando con sé il peso e l'onore di servire la legge. Le loro vite, intrecciate dal destino professionale, sono ricche di sfumature che vanno ben oltre i distintivi che indossano con orgoglio. Lucia Marini, al di là della divisa, è una donna di grande cultura e sensibilità, tratti che la rendono unica nel suo genere. Figlia unica di una famiglia della classe lavoratrice milanese, ha ereditato dai suoi genitori un'etica del lavoro ferrea e una bussola morale inattaccabile. Dopo la scomparsa dei suoi, Lucia ha trovato nella polizia non solo una carriera ma una vera e propria chiamata. La sua casa, un appartamento sobrio ma accogliente nei pressi del centro, è il suo rifugio personale, dove le pareti sono adornate da scaffali di libri che spaziano dalla letteratura classica alla moderna, testimonianza della sua passione per la lettura. Nonostante la natura esigente del suo lavoro, Lucia cerca di ritagliarsi del tempo per visitare le mostre d'arte e assistere a concerti di musica classica, momenti in cui riesce a disconnettersi dalle responsabilità quotidiane. Questi brevi interludi culturali sono per lei fonte di ispirazione e di equilibrio interiore. Carlo Conti, dall'altra parte, vive immerso nel calore e nel caos affettuoso della sua grande famiglia. La sua casa è sempre piena di vita: i compiti dei bambini sparsi sul tavolo della cucina, i disegni appiccicati al frigorifero, e il costante via vai di amici e parenti per le cene che organizza con Angela, la sua moglie. La cucina di Carlo è un luogo di esperimenti culinari e di condivisione, dove le ricette tradizionali italiane si fondono con nuove influenze, metafora della sua apertura verso il mondo e dei suoi molteplici interessi. Il calcetto con gli amici il giovedì sera e le gite fuori porta con la famiglia durante i weekend, sono sacre per Carlo, momenti in cui ricarica le energie e si ricorda di ciò che conta davvero. Questa sua capacità di bilanciare il duro lavoro con la vita familiare e sociale è ciò che gli permette di mantenere una prospettiva ottimista e un'indomita energia, anche nei momenti più bui. Nonostante le differenze nelle loro vite personali, Lucia e Carlo condividono un profondo senso di dedizione verso il loro lavoro e una forte amicizia, forgiata nel fuoco delle numerose indagini condivise. I loro pranzi insieme, spesso consumati in fretta tra una riunione e l'altra, sono occasioni per discutere dei casi ma anche per condividere pezzi delle loro vite, risate e, a volte, confidenze più personali. In un mondo dove la linea tra il bene e il male si fa sempre più sottile, Lucia e Carlo rappresentano due fari di integrità e umanità. La loro storia è un promemoria del fatto che, anche nelle sfide più ardue, è possibile trovare momenti di gioia e significato, e che ogni sacrificio porta con sé la possibilità di fare la differenza, non solo nella società ma anche nella vita di chi ci sta accanto. Il commissario Lucia Marini e l'ispettore Carlo Conti si trovavano nell'ombra maestosa dell'Università di Milano, un luogo dove secoli di sapere sembravano palpabili nell'aria carica di promesse e sogni. La loro missione li aveva portati lì per interrogare colleghi e conoscenti del professor Ferrari, nella speranza di trovare qualche indizio che potesse condurli al colpevole del furto della formula. Il primo incontro fu con il professor Bianchi, un uomo anziano con occhi che brillavano di intelligenza dietro a spessi occhiali. "Commissario Marini, ispettore Conti, immagino che siate qui per il disastroso furto della formula di Ferrari," disse con una voce che tradiva più curiosità che preoccupazione. "Sì, professor Bianchi," rispose Marini, "siamo interessati a sapere se avete notato qualcosa di insolito nei giorni precedenti al furto, o se Ferrari aveva menzionato qualcuno che potesse avere un motivo per danneggiarlo." Bianchi si accigliò, riflettendo. "Devo dire che Ferrari era sempre molto riservato riguardo al suo lavoro. Tuttavia, ricordo che qualche settimana fa sembrava particolarmente preoccupato. Disse che aveva l'impressione che qualcuno lo stesse osservando, ma non entrò nei dettagli." Conti prese appunti, poi chiese: "C'era qualcuno, tra i suoi collaboratori o anche tra i suoi rivali, che avesse avuto dei dissapori con lui?" Il professor Bianchi sorrise amaramente. "In ambito accademico, i dissapori sono all'ordine del giorno. Ma dire se qualcuno fosse arrivato al punto da rubare... beh, è difficile. Tuttavia, ricordo che Ferrari aveva avuto delle discussioni piuttosto accese con un certo Dr. Lorenzi su alcuni aspetti della formula. Non so se possa essere rilevante." "Ogni informazione è utile, grazie," Marini annuì con gratitudine prima di proseguire verso il prossimo incontro. L'incontro successivo fu con una giovane ricercatrice, la dottoressa Marta Vezzoli, che lavorava al piano di sotto rispetto al laboratorio di Ferrari. "Commissario, ispettore, è terribile quello che è successo. Il professor Ferrari era, è, un genio. Chiunque abbia rubato quella formula non solo ha danneggiato lui, ma tutto il mondo della scienza." "Dottoressa Vezzoli, aveva notato qualcosa di insolito ultimamente? Qualcuno che poneva troppe domande sulla ricerca del professor Ferrari o che si comportava in modo sospetto?" chiese Conti, cercando di cogliere ogni possibile sfumatura. Marta rifletté un istante. "Non sono sicura... però c'era questo uomo, che ho visto un paio di volte aggirarsi nei corridoi. Non era uno studente, né un membro dello staff. La prima volta che l'ho visto, ho pensato fosse un visitatore, ma la sua presenza mi ha colpito perché sembrava fuori luogo." "Potrebbe fornirci una descrizione di quest'uomo?" Marini era visibilmente interessata. "Certo," Marta annuì, "era alto, con i capelli scuri e portava sempre con sé una borsa a tracolla. Non era giovane, ma neanche troppo anziano. Spero possa essere d'aiuto." "Lo sarà, grazie," Marini sorrise, mentre lei e Conti si scambiavano uno sguardo complice. Avevano un nuovo filo da seguire. Mentre lasciavano l'Università di Milano, il crepuscolo iniziava a stendere il suo velo sulla città, ma per Marini e Conti, la giornata era tutt'altro che finita. Ogni interrogatorio, ogni frammento di conversazione li avvicinava un passo alla soluzione del mistero, in quella tessitura complessa di ombre e sospetti che era il loro caso.
SCOPRI DI PIU'