LA SINDROME NIMBY NON FA BENE ALL’ECONOMIA CIRCOLARE

Ambiente
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Come aiutare la popolazione a prendere decisioni per il bene comune


di Marco Arezio

La sindrome di NIMBY, dall’acronimo inglese “non nel mio cortile” rappresenta la protesta da parte di una comunità verso quei progetti, di interesse nazionale, che prevedono l’istallazione nel loro territorio di cave, autostrade, raffinerie, termovalorizzatori, discariche insediamenti industriali o depositi di sostanze pericolose.

E’ un fenomeno trasversale in tutta Europa, che nasce spontaneo come azione di difesa verso un territorio o verso la popolazione stessa, che vede, attraverso le informazioni in suo possesso, un potenziale pericolo nell’accettare il progetto.

L’economia circolare è spesso vittima della sindrome di Nimby, specialmente quando si tratta di costruire un termovalorizzatore od accettare una discarica o uno stoccaggio di rifiuti, ed è un problema evidente in territori in cui per concludere la circolarità dei prodotti e delle produzioni servono strutture come quelle citate.

Con i sistemi impiantistici a disposizione, il fenomeno dei rifiuti zero è un’utopia e la gente deve sapere che la circolarità si può raggiungere, integrando varie forme di riciclo che non finiscono con la raccolta differenziata.

In alcuni territori, specialmente nel Sud Europa la mancanza di termovalorizzatori di ultima generazione, perché osteggiati dalla gente, porta ad una movimentazione dei rifiuti verso aree dove possono essere lavorarli (da sud al nord Italia per esempio), con costi sugli stessi cittadini contrari e un impatto ambientale elevato.

C’è da tenere in considerazione che la sindrome nasce anche a causa di un’insufficiente coinvolgimento della popolazione da parte delle istituzioni politiche che decidono il progetto, dalla scarsa fiducia che la base ha nei confronti dei propri eletti che amministrano i territori su cui l’opera dovrebbe essere installata.

Anche il possibile fenomeno corruttivo, che incide sulla verifica tecnica del progetto in chiave ambientale e di sostenibilità sociale, fanno parte della possibile sfiducia nelle istituzioni locali o nazionali.

Bisogna investire soprattutto nella cultura della circolarità dei rifiuti, per aiutare i cittadini a capire meglio le proposte che potrebbero incidere sui propri territori e, da parte di chi gestisce politicamente le aree interessate, è necessario mettere a diposizione ogni informazione che permetta alla gente di capire che l’interesse nazionale non si scontri con possibili minori tutele alla salute o con lo stravolgimento delle abitudini di vita locali.

Secondo i dati forniti dal Nimby Forum, al 2016 esistevano progetti contestati che riguardavano le energie rinnovabili, come impianti per biomasse, compostaggio e parchi eolici, per un totale di 359 posizioni aperte.

E’ facile immaginare come queste opposizioni siano oggi amplificate anche dalla rete, attraverso la quale non sempre i partecipanti a queste discussioni hanno una preparazione tecnica qualificata per sostenere i pro e i contro delle opere, con il rischio di una strumentalizzazione sempre possibile.

La storia recente comunque ci dice che grandi progetti sull’economia circolare, di utilità nazionale, si devono poter eseguire nell’interesse di tutti, ma che la popolazione ha diritto ad essere coinvolta, ha diritto a capire e ha diritto ad esprimersi per eventuali modifiche ritenute necessarie.

La democrazia è anche questo.

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