L’incremento dell’uso del vetro si vede al supermercato. di Marco ArezioIl trend di crescita del fatturato degli imballi di vetro nelle catene di supermercati per prodotti alimentari, come evidenziato dal report di Assovetro, riflette un cambiamento significativo nei comportamenti di consumo e nelle politiche ambientali. Questo interesse rinnovato verso il vetro, anziché altri materiali come la plastica, può essere analizzato attraverso diverse lenti: ambientale, economica, e di percezione del consumatore. Contesto Ambientale e Regolamentare Il vetro, essendo completamente riciclabile, si inserisce perfettamente nella narrativa dell'economia circolare, un principio fondamentale per ridurre l'impronta ecologica e migliorare la sostenibilità. L'Europa, in particolare, ha messo in atto numerose direttive volte a ridurre la produzione di rifiuti e aumentare le quote di riciclaggio. La strategia europea per la plastica nel 2018 ha spinto molte aziende a riconsiderare le loro opzioni di imballaggio, promuovendo materiali sostenibili come il vetro. L'obiettivo dell'industria europea di raggiungere un tasso di raccolta del vetro per il riciclo del 90% entro il 2030 è un'espressione di queste politiche ambientali aggressive. Dinamiche di Mercato del VetroI dati presentati da Assovetro mostrano un incremento significativo nel fatturato di prodotti imballati in vetro in categorie diverse, da alimenti base come i sughi a prodotti più voluttuari come il vino e la birra. Questo può essere interpretato come un indicatore di una crescente preferenza dei consumatori per il vetro, visto come più sicuro, riciclabile e meno impattante rispetto alla plastica. Le aziende che operano nei settori alimentare e delle bevande stanno rispondendo a questo cambiamento con investimenti in linee di produzione per imballaggi in vetro e iniziative di marketing che sottolineano la sostenibilità del vetro.Percezione dei Consumatori sulla sostenibilità degli imballi di vetroIl rapporto sottolinea una crescente sensibilità dei consumatori verso la sostenibilità e l'impatto ambientale dei materiali di imballaggio. Anche se la preferenza per il vetro può derivare da una percezione non completamente informata dell'impatto ambientale della plastica, rappresenta comunque una spinta positiva verso materiali considerati più "puliti" e "naturali". Inoltre, il vetro è spesso percepito come un materiale che migliora l'esperienza di consumo, mantenendo meglio le proprietà organolettiche dei prodotti, soprattutto nel settore alimentare e delle bevande. Implicazioni per il Settore Retail e Produttivo I supermercati e i produttori stanno adattando le loro strategie per capitalizzare su queste tendenze. Questo include non solo l'adattamento delle linee di prodotti ma anche l'implementazione di strategie di raccolta e riciclo del vetro per ridurre i costi e migliorare l'efficienza operativa. Il successo in questi sforzi può anche essere un forte punto di differenziazione nel mercato, attrattivo per i consumatori che sono sempre più consapevoli delle questioni ambientali. Conclusione In conclusione, l'aumento del fatturato degli imballi di vetro nei supermercati riflette una trasformazione significativa nelle preferenze dei consumatori e nelle pratiche aziendali. Questo non solo cambia il panorama dei materiali di imballaggio ma segna anche un punto di svolta verso pratiche più sostenibili e responsabili. Tuttavia, affrontare la sfida di aumentare le quote di raccolta e riciclo del vetro sarà cruciale per realizzare appieno i benefici ambientali promessi da questo cambiamento.Categoria: notizie - vetro - economia circolare - rifiuti - rottameVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'La pesca a strascico è un killer per la flora e la fauna dei nostri maridi Marco ArezioI problemi del mare e degli oceani non sono solo le isole galleggianti di rifiuti plastici che si decompongono in microplastiche, entrando nella nostra catena alimentare. Ci sono altri sistemi di distruzione sistematica dell’habitat dei pesci e delle piante acquatiche, con la produzione di quantità impressionanti di CO2 che si riversano in atmosfera. E’ la pesca a strascico, che è una delle più catastrofiche invenzioni dell’uomo per distruggere i mari e gli oceani, colpendo i fondali, le tane dei pesci, favorendo la pesca indiscriminata di specie protette o non commestibili e il rilascio in atmosfera di tonnellate di CO2, che in parte viene anche mischiata nell’acqua creando acidità dei mari. E’ noto infatti che i mari e gli oceani assorbono un terzo dei gas serra immessi in atmosfera, facendo depositare il carbonio nei sedimenti marini, che sono degli enormi stoccaggi per la terra. Stiamo parlando di circa un miliardo di tonnellate di CO2 annue, una quantità paragonabile alla somma delle emissioni del traffico aereo mondiale, che la pesca a strascico rimuove dai fondali, facendoli riemergere a danno per la nostra salute. Ma come avviene questo tipo di pesca? La pesca a strascico comporta la stesura di una rete a sacco molto grande, trainata da due pescherecci, con una parte della rete piombata in modo che possa lavorare sul fondo. Lo spostamento di trascinamento simultaneo, comporta un movimento a strascico che causa l’estirpazione di tutto ciò che incontra, distruggendo in modo indiscriminato i fondali e raccogliendo qualsiasi cosa. Nella rete rimangono pesci commestibili e non commestibili, specie protette, coralli, specie in estinzione come lo squalo mako, lo smeriglio, la ventresca e le tartarughe, che vengono tirate a bordo, molte volte già mortalmente ferite nel tentativo di fuggire. Inoltre la tecnica della pesca a strascico comporta spesso la rottura delle reti che sono fatte da fili di nylon, materiale non degradabile, che finiscono trasportate dalle correnti insieme agli altri rifiuti in plastica e con lo stesso destino, cioè finire sulla nostra tavola attraverso i pesci che ci mangiamo. Le reti abbandonate sono i peggiori nemici per i delfini, le tartarughe, i cuccioli dei grandi pesci, che vi finiscono dentro restando impigliati, con la conseguenza di una morte quasi certa. Secondo i dati della Fao, nei mari ci sono circa 640.000 tonnellate di reti in plastica abbandonate, costituendo il 10% dei rifiuti plastici che galleggiano o si spostano a media profondità sospinte dalle correnti. Ci sono alcuni paesi che hanno regolamentato la pesca a strascico in modo da vietare che le reti raschino il fondo, distruggendo tutto, ma permettendo questa tecnica a medie profondità, salvaguardano l’habitat delle specie viventi. Inoltre la dimensioni imposte delle maglie delle reti hanno una larghezza tale da permettere la fuoriuscita di pesci di piccola taglia, assicurando che il pesce di quelle dimensioni possa continuare a vivere e a riprodursi. Purtroppo molti altri paesi non si curano del problema, lasciando libera la pesca o controllando poco o niente le conseguenze di questa attività che, tra l’altro, comporta una quantità di scarto di pescato pari a circa 5 milioni di tonnellate all’anno, pesci morti inutilmente. Arare il fondale con questo sistema è sicuramente più vantaggioso economicamente per chi pesca, in quanto intercetta circa il 20% di pesce in più, ma lascia danni all’ambiente incalcolabili minando, nel tempo, la pesca stessa.
SCOPRI DI PIU'Dove il riciclo meccanico non arriva, le nuove tecnologie di riciclo molecolare danno nuove speranze per riciclare la moquettedi Marco ArezioI tappeti e le moquette non sono ben visti perfino nelle discariche per la loro difficoltà di smaltimento, quindi costituiscono un problema sulla circolarità dei prodotti. Il riciclo molecolare dei rifiuti plastici apre a nuove speranze. La plastica non è mai nata con l’intento o l’accortezza dovuta, per chi la produce, di tener in considerazione anche il suo riciclo che, contrariamente alla sua grande dote di longevità, viene principalmente usata come plastica usa e getta. Questa “disattenzione” comporta, nel ciclo di produzione, l’assunzione di additivi di vario tipo, che legandosi ai monomeri del prodotto rimangono saldamente uniti nel tempo, inoltre può avvenire, nella realizzazione di un nuovo prodotto, l’abbinamento con plastiche di diversa composizione chimica, unite termicamente o attraverso collanti. Durante le fasi del riciclo meccanico questi legami rimangono ben consolidati, rendendo difficile il riutilizzo della plastica riciclata come nuova materia prima. Infatti gli impianti meccanici di lavorazione dei rifiuti plastici separano, triturano, lavano ed estrudono il prodotto senza apportare correzioni sostanziali nelle catene polimeriche, ma cercando di creare macro famiglie di polimeri da riutilizzare. Esistono prodotti composti, come alcuni tappeti e le moquette, che sono prodotti con un mix, meccanicamente indissolubile di polimeri e additivi, che rendono il loro riciclo molto complicato. Per questo motivo la tecnologia di riciclo molecolare viene incontro a queste esigenze sfruttando, attraverso la chimica, la separazione delle molecole degli elementi che costituiscono i prodotti plastici. Questo significa che i legami che sarebbero irreversibili, se trattati con ricicli meccanici, diventano reversibili con la chimica, consentendo di riciclare la plastica come fossero nuove molecole, con le quali riprodurre nuovi elementi. Il processo va anche incontro al gravoso problema delle discariche in cui vengono parcheggiati prodotti non riciclabili e che rimangono inalterati per decine, forse centinaia di anni, senza una soluzione, essendo anche incompatibili con l’ambiente.Categoria: notizie - tecnica - moquette - ricicloVedi il prodotto finito
SCOPRI DI PIU'Certificazione AIMBY: Il Nuovo Parametro per gli Uffici Acquistidi Marco ArezioGli acquisti delle materie prime, dei semilavorati, dei prodotti finiti o dei servizi, sono una parte importante nel budget delle aziende, dove l’attività professionale, intesa come competenza, ricerca, qualità di negoziazione, creazione di rapporti affidabili, può portare grandi vantaggi alle aziende.Se partiamo dall’assioma principale di molti imprenditori, dove “ogni soldo risparmiato è un soldo guadagnato”, possiamo dire che la funzione del personale che si occupa degli acquisti è tra le più importanti del sistema produttivo. Dal 1° Gennaio 1995, con l’istituzione del WTO (Organizzazione mondiale per il commercio) è iniziata, ufficialmente, l’era della globalizzazione commerciale, attraverso la quale l’obbiettivo delle aziende nelle nazioni più avanzate, era quello di minimizzare i costi di acquisto per le materie prime o i prodotti finiti e, per i paesi in via di sviluppo, poter avere un mercato molto più ampio, senza più dazi, in cui riversare le loro merci. La globalizzazione commerciale sembrava fosse una questione prima di tutto politica, di equità e democrazia tra i popoli più che economica, in un’ottica espansiva del tessuto produttivo internazionale. Gli uffici acquisti hanno così avuto la possibilità, comprando in paesi diversi rispetto al passato e, spesso, molto più lontani dalla sede produttiva, di ridurre, a volte in modo sostanziale, il costo unitario delle merci che compravano, portando un beneficio immediato alla filiera del margine economico sul prodotto. Questo ha avviato un volano incredibile nel campo dei trasporti, in primo luogo quelli marittimi, a seguito dell’aumento vertiginoso degli acquisti di prodotti finiti e delle materie prime industriali in tutto il mondo. Quello che prima si comprava facilmente vicino a casa veniva poi acquistato a migliaia di chilometri di distanza ad un prezzo più basso con una qualità similare. Non mi voglio soffermare sulle conseguenze industriali e sociali che questo fenomeno ha portato in tutto il mondo, dove, nei paesi più sviluppati si iniziò a deviare i flussi degli ordini delle merci e delle materie prime, dai propri paesi alla Cina, India e altri paesi del sud est asiatico, con un crollo del tessuto produttivo locale di media e piccola grandezza. Vi è poi stata una seconda fase della globalizzazione commerciale, in cui tutti abbiamo imparato la parola “delocalizzazione”, dove il motore non era più rappresentato dai risparmi sulle materie prime o i semilavorati acquistati in paesi lontani, ma dalla riduzione del costo della manodopera, che serviva per contrastare la discesa dei prezzi dei prodotti finiti sui mercati tradizionali, causata dei produttori che provenivano dai paesi il cui costo generale di produzione rimaneva più basso di quello delle fabbriche occidentali, nonostante il trasporto. In passato, il costo ambientale che ne è conseguito dal nuovo sistema di circolazione delle merci, in termini di emissioni di CO2, non era mai stato considerato e, se lo fosse stato, era solo una discussione accademica di poco interesse. Oggi le cose sono molto cambiate in diversi ambiti produttivi, a partire dall’uso dei materiali riciclati, dall’impiego delle energie sostenibili, dal comportamento della finanza, che premia le aziende più green attraverso finanziamenti e li sospende ad aziende che hanno un impatto ambientale “vecchio stile”. All’interno delle aziende molti metodi di lavoro sono cambiati, molte professionalità nuove, legate alla produzione sostenibile sono comparse negli organigrammi aziendali, il sistema di comunicazione degli uffici marketing ha virato verso una completa vocazione all’economia circolare e la tutela dell’ambiente, per dare le risposte ai clienti che chiedono più sostenibilità. Ma un altro passo si potrebbe fare anche nell’ambito degli uffici acquisti, indagando nuove strade legate alla sostenibilità del prodotto e del sistema azienda, promuovendo il passaggio dalla fase degli acquisti prevalentemente NIMBY (non nella mia area) ad una fase prevalente AIMBY (tutto nella mia area), tornando al passato, attraverso gli acquisti delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finali vicino a casa. Questo perché, in accordo con gli uffici marketing, la certificazione AIMBY sulla filiera produttiva, può portare ad un ulteriore riconoscimento positivo da parte dei consumatori, in cui il risparmio di CO2 che si genera nei trasporti intercontinentali o extra nazionali, può essere rivendicato come distintivo green sui prodotti offerti sul mercato. AIMBY è uno stile di vita, come usare la bicicletta al posto della macchina, il treno al posto dell’aereo o ridurre l’uso della carne sulle nostre tavole o bere l’acqua del rubinetto al posto di quella in bottiglia che viene da centinaia di chilometri di distanza o ridurre l’uso di alimenti in confezioni monouso, o come molti altri comportamenti virtuosi. Inoltre, la riduzione dei trasporti delle merci via mare ridurrà in modo percentuale la possibilità di incidenti, collisioni, incendi, affondamenti dei cargo per avarie o condizioni metereologiche, che causano diffusi e pericolosi stati di inquinamento dei mari e delle spiagge sulla rotta delle navi. Tutti noi possiamo fare qualche cosa per aiutare il pianeta e, tutti noi consumatori, attraverso le nostre scelte possiamo indirizzare il mercato e le produzioni degli articoli che compriamo, nessuno si può sottrarre alle leggi di mercato e il mercato siamo tutti noi.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti Approfondimenti sull'economia circolare
SCOPRI DI PIU'Vediamo cosa è emerso dopo l’analisi di 408 campioni L’associazione francese Agir Pour l’Environnement ha analizzato nel totale 408 dentifrici (per bambini e per adulti) che sono venduti in diversi supermercati tra cui Auchan, Leclerc, Lid e Carrefour. Dal risultato delle analisi svolto su di essi si è evinto che in 2 su 3 è presente biossido di titanio. L’analisi sui dentifrici di Agir Pour l’Environnement L’associazione francese Agir Pour l’Environnement ha analizzato 408 dentifrici di cui 59 per bambini e 78 organici. Dall’analisi si è evinto che in 2 dentifrici su 3 è presente biossido di titanio. Nel dettaglio tale sostanza è stata rinvenuta in 271 dentifrici di cui 29 per bambini (e quindi il 49,1%) ed in 25 organici e quindi il 32%. Per chi non lo sapesse il biossido di titanio è un composto chimico che si presenta come una polvere cristallina con un colore che è tendente al bianco. Esso viene identificato con la sigla E171 quando viene utilizzato negli alimenti ma è presente come ingrediente anche nei cosmetici. Come additivo alimentare viene usato nella produzione di prodotti a base di pesce e formaggio, salse, caramelle ed in altre tipologie di alimenti come colorante mentre (ad esempio) nelle creme per cambiare il pannolino e nei dentifrici viene usato perché conferisce al prodotto una colorazione bianca ed inoltre per le sue proprietà assorbenti. I marchi importanti dell’analisi effettuata da Agir Pour l’Environnement Tra i marchi di spicco dei dentifrici analizzati dall’associazione francese “Agir Pour l’Environnement” ci sono Oral-B, Colgate, Aquafresh e Signal. In quest’ultimo, ad esempio, anche la versione bambini presenta tracce di biossido di titanio. Dall’analisi di Agir Pour l’Environnement si evince inoltre che nessuno dei 271 dentifrici incriminati specifica sulla confezione se il biossido di titanio si trova nel dentifricio sotto forma di nanoparticelle. Il regolamento Europeo numero 1223/2009 in vigore dal 2013 comunica invece che se c’è un ingrediente nei prodotti cosmetici sotto forma di nanomateriale c’è l’obbligo che esso venga indicato. Per l’esattezza il nome dell’ingrediente presente deve essere seguito dalla parola “nano” che dovrà essere messa tra parentesi. Ma quali sono gli effetti del biossido di titanio sulla salute? Come già comunicato nei prodotti cosmetici il biossido di titanio viene utilizzato per dare quel colore bianco al prodotto. Per quanto concerne gli effetti sulla salute, i pareri sono controversi. Per gli esperti, comunque, esso può portare rischi, ad esempio, al fegato e agli organi riproduttivi e va considerato anche un possibile cancerogeno. Inoltre esso è pericoloso a causa delle nanoparticelle (meno di cento nanometri di dimensione) che facilitano la penetrazione nel corpo umano. Al momento in Francia si attende un provvedimento che vieti il biossido di titanio in tutti i prodotti che possono essere anche parzialmente ingeriti (come dentifricio e medicinali) così come accade per il cibo.
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