TRANSIZIONE ENERGETICA: DAL CARBONE ALLA BIOMASSA-CARBONE

Ambiente
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Gli obiettivi di riduzione della CO2, a fronte dell’aumento della richiesta di energia, richiede la rimodulazione delle produzioni attraverso una transizione energetica


di Marco Arezio

Nonostante sia da anni che si parla di decarbonizzazione, la produzione di energia elettrica, nel mondo, attraverso l’utilizzo delle centrali a carbone, ricopre ancora un ruolo fondamentale. Infatti fino al 2017 non risultavano dismissioni di impianti anzi, c’è stato un incremento della produzione di energia di oltre 250 TWh.

La conseguenza di questo comportamento si può vedere dall’incremento delle emissioni di CO2 in atmosfera che, a livello globale, è stato pari all’1,4% e la frazione di competenza delle centrali a carbone nella produzione dell’energia elettrica si attesta intorno al 45%.

Nonostante l’avanzamento delle fonti rinnovabili si stima che la produzione di energia elettrica dal carbone vedrà solo una leggera flessione a partire dal 2021, flessione che da sola non da nessun vantaggio apprezzabile a livello ambientale.

I più grandi utilizzatori di carbone per la produzione di energia sono:

  • In Asia: la Cina e l’India
  • In Europa: La Germania, la Polonia, la Turchia, la Grecia e il Regno Unito
  • In America: gli Stati Uniti

Per invertire la tendenza e contenere l’inquinamento dell’aria che i cittadini respirano e per rientrare negli impegni presi alla conferenza sul clima di Parigi nel 2015, in cui si sono fissati percorsi di sviluppo delle energie rinnovabili come le biomasse, il solare, l’eolico, l’idroelettrico, la geotermica e la marina, si deve intervenire sulla riduzione dell’uso del carbone nelle centrali ancora in funzione.

Tra le fonti sopra citate, la biomassa può avere un’affinità industriale con il carbone per creare produzioni di energia elettrica, attraverso la co-combustione tra la frazione composta di carbone e quella naturale, con lo scopo di mantenere l’efficienza di produzione e la riduzione degli inquinanti in atmosfera.

Attraverso la co-combustione si sono rilevate efficienze produttive maggiori rispetto all’uso della biomassa al 100%, un costo di riconversione delle centrali a carbone inferiore rispetto a costruire nuovi impianti funzionanti solo a biomassa e un allungamento della vita delle centrali a carbone, finchè la transizione energetica possa dare uno stop a questo tipo di attività.

Dal punto di vista economico la co-combustione non dà risparmi rispetto alla produzione tradizionale con il solo carbone e non è sempre semplice abbinare l’eterogeneità della biomassa durante la fase produttiva con la lignite, ma di certo, dal punto di vista ambientale ci sono degli indubbi vantaggi.

Ma per rendere appetibile la riconversione delle centrali a carbone è necessario che gli stati creino forme di incentivazione economica per abbassare il costo dell’energia prodotta senza far rimpiangere la produzione tradizionale.

Ci sono paesi che stanno producendo regolarmente attraverso il processo di co-combustione e che, nello stesso tempo, hanno strutturato fondi per la sostenibilità economica della produzione, come la Danimarca, i Paesi Bassi e il Regno Unito.

Ci sono invece altri paesi, come la Germania, l’Italia, la Francia e la Finlandia, dove esistono impianti similari, in cui questa forma di produzione di energia non riceve piani di incentivazione preferendo investire le risorse disponibili in fonti totalmente rinnovabili.

Ci sono invece paesi, soprattutto nell’est dell’Europa, come la Repubblica Ceca, la Polonia la Bulgaria, ma anche il Kossovo e la Grecia dove l’energia elettrica viene principalmente prodotta attraverso la lignite e una prima riconversione ad un’attività di co-combustione, in attesa che si affermino le energie rinnovabili, creerebbe un miglioramento ambientale importante per la popolazione.

Nei paesi extraeuropei il maggiore consumatore di carbone per la produzione di energia è sicuramente la Cina, la quale ha avviato una massiccia riconversione della produzione inserendo le biomasse nelle proprie centrali a carbone con lo scopo di combattere lo spaventoso problema dell’inquinamento ambientale.

Infine, negli Stati Uniti, in Australia e in Sud Africa, nonostante abbiano a disposizione abbondanti fonti di biomassa (Stati Uniti) e di carbone (Australia e Sud Africa) questo tipo di tecnologia non si è sviluppata a causa della mancanza di incentivi statali.

C’è anche da tenere in considerazione che il processo di utilizzo del carbone nelle centrali porta alla produzione di scarti, sotto forma di ceneri, che costituisce un rifiuto solido da smaltire.

Attualmente il 50% circa delle ceneri di scarto finiscono nelle discariche e questo sta diventando un problema in quanto le normative internazionali spingono alla disincentivazione dell’uso delle discariche.

Sono quindi nati dei progetti che impiegano le polveri di scarto delle centrali a carbone, come la creazione di zeoliti, minerali microporosi di conformazione tridimensionale, che, in virtù della loro struttura ramificata e inglobante, vengono utilizzati nella bonifica dei suoli e di acque contaminate.

Un’altra applicazione la possiamo trovare nell’ambito delle piastrelle, in particolare nel gres porcellanato, dove la polvere del carbone viene impiegata in miscela risparmiando materia prima naturale.

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