Trasparenza, resistenza meccanica, effetto barriera possono variare, modificando il grado di cristallinitàdi Marco ArezioAbbiamo affrontato, in articoli precedenti, alcuni aspetti importanti nell’utilizzo del PET per la produzione di manufatti, come la viscosità e il peso molecolare o i principali fenomeni di degradazione del PET. In questo articolo vediamo un altro aspetto centrale, che riguarda la gestione del grado di cristallinità del PET e come, il suo variare, può influenzare molti fattori strutturali, come la trasparenza dei manufatti, gli aspetti strutturali e meccanici e l’effetto barriera verso i componenti che il prodotto conterrà. Per entrare subito in argomentazioni tecniche, possiamo dire che il PET è un polimero semicristallino, questo vuol dire che la sua struttura solida è costituita da una fase amorfa, in cui le macromolecole che lo costituiscono sono disposte in gomitoli statici, e da una fase cristallina, in cui le catene si dispongono in una forma geometrica precisa. Detto questo, possiamo notare come il PET sia un polimero che possa essere sottoposto alla cristallizzazione, ma, come tutti i polimeri, non la raggiungerà mai completamente a causa della natura stessa delle macromolecole che lo compongono ed alla loro irregolarità. Le catene, infatti, tendono a disporsi verso minime distanze intermolecolari, in quanto il principio generale che regola l'aggregazione delle macromolecole per la formazione di una struttura cristallina è la creazione di interazioni inter e intra-catena, attraverso regolarità degli angoli torsionali della macromolecola. Il rapporto tra le due fasi dipende da molti fattori, come le caratteristiche intrinseche del materiale e i processi termici che ha subito. Durante la fase di cristallizzazione del PET le macromolecole formano una struttura lamellare, in cui le catene si ripiegano su sé stesse in modo ordinato, ma, nello stesso tempo si verifica la creazione di zone esterne disordinate. Il PET, essendo formato da queste due fasi, si dispone e si organizza in domini, in cui le due fasi coesistono, creando un limite massimo di cristallizzazione termica del 50-60% e, in certi casi, occorre utilizzare degli agenti nucleanti per raggiungere il valore limite.Ricordando che la cristallizzazione non ottimale dei polimeri può portare ad una certa opacità dei manufatti, possiamo dire che il PET ha una bassa velocità di cristallizzazione e, per questo, unite ad altre proprietà, ha avuto una rapida diffusione del mondo del packaging. Durante la lavorazione del PET, il picco di cristallizzazione si può raggiungere ad una temperatura di circa 160 - 170 °C, ma esiste anche una altro sistema per raggiungere questa fase, che è quella meccanica. Infatti, con le operazioni di stiro meccaniche ad una certa temperatura, si crea una cristallizzazione indotta, che consiste in una orientazione forzata delle macromolecole nella direzione dello stiro. Nell’orientazione uniassiale, in cui lo sforzo è applicato in un’unica direzione, si formano strutture dette fibrille, in quella biassiale, in cui lo sforzo ha due componenti perpendicolari tra loro, si formano cristalli larghi e piatti (plates).Questo fenomeno è influenzato da quattro fattori principali: - L’entità dello stiro - La velocità dello stiro - La temperatura - Il peso molecolare La combinazione di queste quattro entità determinano le caratteristiche del PET e, di conseguenza la qualità dello stesso, così, per definire un parametro che possa caratterizzare il prodotto in seguito a queste combinazioni, viene utilizzato un indicatore definito in ”grado di cristallinità”, con cui si vuole indicare la percentuale di materiale che si trova in fase cristallina rispetto alla quantità totale presa in considerazione. In particolare, un aumento del grado di cristallinità comporta un maggiore impaccamento e, grazie alla presenza dei domini cristallini che fungono da nodi fisici del reticolo, vi è un miglioramento delle proprietà meccaniche.Nello stesso tempo, come abbiamo già avuto modo di dire, un aumento della cristallinità del prodotto, può portare ad una certa opacità dello stesso, a causa dei diversi indici di rifrazione, infatti, questo deve essere preso in seria considerazione se si vogliono produrre delle bottiglie trasparenti. Ma dobbiamo anche prestare attenzione alla dimensione dei cristalli, infatti, due contenitori con lo stesso grado di cristallizzazione possono avere trasparenze od opacità differenti, così, più grandi saranno i cristalli, maggiori possibilità si avranno di produrre flaconi opachi. Alla cristallizzazione per stiro è legato il fenomeno di strain hardening, che comporta un aumento delle proprietà meccaniche, termiche e della resistenza a barriera del polietilentereftalato, determinando il successo nella produzione di contenitori.Il punto che individua l’inizio di tale fenomeno è definito Natural Stretch Ratio (NSR). Di conseguenza, quando si soffia una preforma, si deve raggiungere un grado di deformazione (rapporto di stiro) uguale o di poco superiore al NSR, per poter avere l’aumento delle proprietà necessarie per ottenere un prodotto leggero e conformante.Un altro fattore importante da tenere in considerazione durante il soffiaggio delle preforme, che incide sulla cristallizzazione del materiale, è la presenza di acqua. Infatti, se il contenuto di acqua nel PET può teoricamente arrivare all’1% del suo peso, bisogna considerare che la sua presenza può variare le proprietà fisiche, meccaniche e di barriera. Questo si verifica perché l’acqua è un plasticizzante che ha effetto sull’orientamento del materiale, sulla stabilità termica e, quindi, anche sulla cristallizzazione indotta per stiro, creando una situazione di scorrimento tra le macromolecole, riproducendo una similitudine con un polimero di viscosità inferiore. La percentuale di acqua influisce anche sul natural stretch ratio e, quindi, sulle proprietà del manufatto finito, a parità di stiro assiale e radiale, una preforma contenente acqua avrà proprietà inferiori, come se fosse soffiata a una temperatura più alta. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.
SCOPRI DI PIU'Il problema delle bolle di calore nelle città fortemente cementificate, ha bisogno di risposte tecnico-politiche efficacidi Marco ArezioLe estati, sempre più roventi, stanno portando, soprattutto nelle città, un livello di temperatura molto elevato e distribuito, non solo nelle ore diurne, ma anche durante la notte, rendendo invivibile la vita ai cittadini.Urbanistica e calore urbano L’urbanizzazione delle città storiche, ha visto la crescita di edifici abitativi e attività commerciali in nuclei sempre più stretti tra loro, erodendo il tessuto verde per far posto alla cementificazione continuativa. Oltre alla costruzione di edifici, anche di grandi dimensioni e molto vicini tra loro, se addirittura in una sorta di continuità edificativa, si è provveduto a pavimentare le strade, i parcheggi e le arre di collegamento tra un complesso e l’altro, con elementi impermeabili e assorbenti il calore come l’asfalto. In un contesto di cambiamento climatico, dove le ondate di calore colpiscono duro i centri abitati, la tipologia urbanistica e costruttiva odierna è del tutto inadeguata ad attenuare i fenomeni estremi. Strade ed edifici si caricano di calore durante il giorno, per poi restituirlo dalle ore serali in tutta la sua veemenza, impedendo una tregua dalla calura al calar del sole. La progettazione di soluzioni a queste problematiche, vede la necessità di ridurre le aree impermeabili che trattengono e rilasciano il calore, come da depavimentazione da asfalto o coperture stradali continue, per aumentare le aree verdi, le superfici drenanti al fine di mitigare l’effetto dell’accumulo di calore. Cosa è la depavimentazione urbana La depavimentazione urbana è un concetto che riguarda la rimozione di pavimentazioni in aree urbane per scopi specifici. L'obiettivo principale di questa pratica è quello di riqualificare spazi urbani per migliorare la qualità della vita delle persone, aumentare la sostenibilità ambientale e creare aree più piacevoli e funzionali per la comunità. Questo processo può riguardare diverse azioni: Rimozione di pavimentazioni asfaltate o cementate, come, strade, parcheggi e piazze che sono coperti da asfalto o cemento. Il lavoro comporta la rimozione di queste superfici dure e impermeabili, restituendo alla zona uno stato più naturale e permeabile.L’asportazione di queste sovrastrutture può essere utilizzata per creare parchi, giardini e spazi verdi in aree precedentemente pavimentate. Questi spazi possono favorire la biodiversità, migliorare la qualità dell'aria e fornire un ambiente più salutare per gli abitanti della città.La rimozione di pavimentazioni impermeabili può contribuire a prevenire allagamenti e migliorare il drenaggio delle acque piovane, permettendo loro di essere assorbite dal suolo e ricaricare le falde acquifere. Inoltre, le superfici impermeabili assorbono e trattengono il calore, contribuendo all'effetto noto come "isola di calore urbana". Rimuovendo alcune pavimentazioni continue e d impermeabili, è possibile migliorare il comfort termico delle zone urbane. Come risolvere il problema delle isole di calore urbane Il problema delle isole di calore urbane può essere affrontato adottando diverse strategie, tra cui la depavimentazione urbana svolge un ruolo importante. Ci sono diversi aspetti da affrontare per favorire questo fenomeno: Rimuovere parti di pavimentazione e sostituirle con spazi verdi, come parchi, giardini e aree alberate, può contribuire a ridurre l'accumulo di calore nelle città. Le superfici verdi assorbono meno calore rispetto al cemento e all'asfalto, fornendo un ambiente più fresco. Utilizzare coperture vegetali su edifici (tetti verdi) o materiali a bassa capacità termica (tetti freschi) può ridurre l'assorbimento di calore e aiutare a raffreddare gli edifici e le aree circostanti. Promuovere la mobilità sostenibile riducendo il traffico veicolare e creando aree pedonali e piste ciclabili può diminuire le emissioni di calore generate dai veicoli e ridurre l'effetto dell'isola di calore. Le decisioni di pianificazione urbana possono influenzare l'intensità dell'isola di calore. Ad esempio, aumentare la densità di edifici e ridurre gli spazi aperti può aumentare l'effetto dell'isola di calore, mentre una pianificazione oculata può promuovere una migliore circolazione dell'aria e una maggiore presenza di aree verdi. Utilizzare materiali più chiari e riflettenti per pavimentazioni e coperture può aiutare a ridurre l'assorbimento di calore. Allo stesso tempo, promuovere superfici permeabili può facilitare il drenaggio delle acque piovane e ridurre il surriscaldamento. Inoltre, alcune città stanno sperimentando sistemi di raffreddamento urbano, come l'utilizzo di acqua riciclata o impianti di raffreddamento evaporativo per ridurre le temperature nelle zone densamente popolate. Infine, è possibile proteggere e ampliare le aree naturali circostanti, contribuendo a mantenere un microclima più favorevole e ridurre l'impatto dell'urbanizzazione sul riscaldamento. Perché le pavimentazioni impermeabili assorbono e rilasciano il calore più di quelle permeabili Le pavimentazioni impermeabili e permeabili influenzano l'effetto delle isole di calore urbano in modo significativo. Vediamo come funzionano e quali sono le differenze tra queste due tipologie di pavimentazione: Pavimentazioni Impermeabili Le pavimentazioni impermeabili, come l'asfalto e il cemento, hanno una bassa capacità di assorbire l'acqua. Quando il sole colpisce queste superfici, esse riscaldano notevolmente, assorbendo il calore e accumulandolo. Di conseguenza, durante le giornate calde, queste superfici possono diventare estremamente calde, contribuendo all'effetto di riscaldamento dell'isola di calore urbano. Inoltre, l'acqua piovana scorre rapidamente sulle pavimentazioni impermeabili, accumulando in modo limitato e creando problemi di allagamento e scarico nelle città. Pavimentazioni Permeabili Le pavimentazioni permeabili, come il pavimento in porfido, mattoni porosi, calcestruzzo poroso, i grigliati in plastica e cemento e molti altri prodotti, consentono all'acqua di penetrare attraverso la loro superficie e raggiungere il suolo sottostante. Questo tipo di pavimentazione ha una capacità di drenaggio superiore rispetto alle pavimentazioni impermeabili, consentendo all'acqua piovana di essere assorbita nel terreno, ricaricando le falde acquifere e riducendo il rischio di allagamenti. Inoltre, le pavimentazioni permeabili riflettono meno calore rispetto a quelle impermeabili, poiché l'acqua presente sulla superficie evapora e raffredda l'ambiente circostante. Riduzione del Calore Urbano Le pavimentazioni impermeabili contribuiscono all'effetto di riscaldamento delle isole di calore urbano, mentre le pavimentazioni permeabili possono aiutare a ridurlo. La presenza di pavimentazioni permeabili aumenta la quantità di evaporazione dell'acqua e favorisce una migliore circolazione dell'aria, aiutando a raffreddare l'ambiente circostante. Inoltre, le aree verdi, come i parchi e i giardini, che spesso includono pavimentazioni permeabili, contribuiscono ulteriormente a ridurre il calore urbano attraverso il processo di traspirazione delle piante e l'ombreggiamento. Quali sono i progetti più importanti di depavimentazione urbana Non esistono ancora molti progetti di depavimentazione urbana su vasta scala, ma ci sono stati alcuni progetti pilota e iniziative locali interessanti. Ecco alcuni esempi di progetti di depavimentazione urbana significativi: Progetto Depave Portland, Oregon, USA Il progetto Depave si concentra sulla rimozione di pavimentazioni impermeabili per creare spazi verdi nelle aree urbane di Portland. L'iniziativa mira a creare parchi e giardini, nonché a prevenire inondazioni e proteggere l'ecosistema locale. Progetto Sponge City – Cina Le Sponge Cities sono un progetto sperimentato in diverse città cinesi, come Shanghai e Chengdu, per affrontare problemi di inondazioni e gestione delle acque. Questi progetti incorporano la depavimentazione urbana attraverso l'uso di pavimentazioni permeabili, aree verdi e sistemi di raccolta delle acque piovane per prevenire allagamenti e migliorare la gestione delle risorse idriche. Progetto Green Infrastructure - Città Europee Diverse città europee stanno implementando progetti di green infrastructure che includono la depavimentazione urbana. Ad esempio, Copenaghen in Danimarca ha creato piste ciclabili, aree verdi e parchi su ex parcheggi e strade asfaltate per promuovere uno stile di vita più sostenibile e ridurre l'impatto delle isole di calore. Progetto Raining Street - Tokyo, Giappone A Tokyo, è stato lanciato il progetto "Raining Street" che mira a promuovere l'uso dell'acqua piovana per scopi diversi, come il raffreddamento urbano e l'irrigazione. Ciò include la depavimentazione di alcune aree per consentire il drenaggio dell'acqua piovana e il suo riutilizzo. Progetto Urban Heat Islands - Melbourne, Australia Melbourne ha avviato diverse iniziative per affrontare gli effetti delle isole di calore urbane, tra cui la depavimentazione per creare spazi verdi e piste ciclabili e l'utilizzo di materiali a bassa capacità termica per le coperture degli edifici. Progetto Growsmart - Boston, Massachusetts, USA Growsmart è un programma di depavimentazione urbana avviato a Boston per trasformare ex parcheggi e spazi pavimentati in parchi e aree verdi pubbliche. L'iniziativa mira a migliorare la qualità della vita, la salute e la sostenibilità della città.
SCOPRI DI PIU'Le azioni termo-ossidative a cui sono sottoposte le materie plastiche riciclate necessitano un miglioramento delle miscele degli antiossidantidi Marco ArezioI polimeri riciclati, specialmente se parliamo di plastiche da post consumo, sono materie prime che più di altre, per la loro storia di fusioni e raffreddamenti, cicli di vita soggetti alle condizioni ambientali e a causa delle condizioni di usura meccanica, vanno spesso incontro al degrado dei componenti. Infatti, sotto l’effetto del calore, dell’irradiazione solare, delle sollecitazioni meccaniche, come gli sforzi di taglio e molti altri fattori, si possono creare, nella materia plastica, dei radicali liberi che causano una degradazione ossidativa. Inoltre, in presenza di ossigeno, i radicali liberi generano radicali perossidici, che sottraggono atomi alla catena polimerica. I perossidi di idrogeno che si formano in questo modo, si scompongono formando altri radicali creando una reazione a catena che porta alla degradazione delle materie plastiche. Per questi motivi, l’utilizzo degli antiossidanti nelle miscele polimeriche durante le fasi di fusione, è ritenuto indispensabile per mantenere le proprietà meccaniche, reologiche, ottiche e di durabilità. Cosa sono gli antiossidanti per i polimeri riciclati Prima di tutto possiamo dire che gli antiossidanti sono degli additivi che vengono impiegati come masterbaches, al fine di migliorare le caratteristiche del prodotto plastico finale. Le famiglie possono essere classificate tra antiossidanti primari e secondari, in base alla loro funzione finale nell’impasto. Gli antiossidanti primari presentano atomi reattivi di H2 che reagiscono ai radicali liberi, come i fenoli inibiti stericamente, le ammine aromatiche e ammine inibite stericamente. Gli antiossidanti secondari hanno la funzione di scomporre i perossidi d’idrogeno, impedendo così la ramificazione della catena. A questo gruppo appartengono i fosfiti e i tioesteri. Sono in corso interessanti studi circa l’utilizzo combinato di due tipologie di antiossidanti, specialmente nel campo del PE, dove si è notato che l’azione sinergica di due elementi posa portare ad un risultato maggiore rispetto all’utilizzo dei singoli componenti impiegati separatamente. Infatti, come sappiamo, i materiali riciclati, rispetto a quelli vergini, provengono da cicli di usura e di sofferenza termica maggiori, quindi l’impiego di antiossidanti, non solo diventa consigliabile, ma lo studio delle loro miscele può portare a risultanti interessanti. Come abbiamo detto, il materiale riciclato può aver subito cicli ossidativi dati dalle condizioni meccaniche e termiche durante la sua vita, ma dobbiamo anche considerare quello che viene chiamato il processo termo-ossidativo iniziato con il contatto della plastica con l’ossigeno. La successiva fusione degli scarti plastici per creare il nuovo polimero riciclato può decisamente aggravare la qualità futura del manufatto, in quanto si riutilizzerà una materia prima già stressata. Per evitare quindi il degrado termo-ossidativo di un polimero è consigliabile utilizzare uno o più antiossidanti, miscelati tra loro, per prolungare la vita utile della materia plastica prevenendone il degrado. E’ raro notare come un solo antiossidante, che appartenga al tipo primario o secondario, possa coprire tutte le specificità, in termini di degrado ossidativo, che la plastica può presentare, quindi potrebbe essere necessario la combinazione di due tipologie di protettivi che possano migliorare il risultato, solo se combinati, ottenendo un effetto sinergico migliore dell’utilizzo dei due antiossidanti distinti. Una buona soluzione per la stabilizzazione, durante la lavorazione, è il cosiddetto fenolo-fosfito, che è la combinazione di un fenolo impedito con un fosfito organico, presentando quindi un eccellente effetto sinergico che migliora le proprietà rispetto all’effetto di ciascuno di essi impiegati separatamente. La stabilità fornita dalla miscela è in funzione della sua concentrazione. Nella la lavorazione della materia plastica riciclata, il fosfito reagisce disattivando gli idroperossidi che si formano durante l'auto-ossidazione delle poliolefine, mentre il fenolo agisce intrappolando i radicali liberi che si formano.
SCOPRI DI PIU'La combinazione di utilizzo di granuli plastici e macinati impone delle valutazioni e delle scelte sulla miscelazione automaticadi Marco ArezioNella produzione di compounds polimerici riciclati o nel riutilizzo degli scarti della propria attività di lavorazione delle materie plastiche, sia essa di stampaggio, soffiaggio, estrusione o termoformatura, il riutilizzo dei macinati necessita di un’attenta valutazione nell’ambito delle ricette finali. I macinati plastici possono essere aggiunti al polimero principale per migliorare la fluidità, ridurre il prezzo, modificare il DSC, alzare o abbassare l’Izod, modificare il modulo o, semplicemente, riutilizzare gli sfridi di lavorazione che si generano nell’attività quotidiana. Per poter immettere nel fuso principale un macinato plastico, è necessario utilizzare un dosatore che possa simulare una ricetta studiata per soddisfare le esigenze estetiche e qualitative del polimero di cui abbiamo bisogno. In questo caso, ci avvaliamo di un dosatore che ha la funzione di rendere automatico il principio di miscelazione nelle dosi che riteniamo opportune al fine di realizzare il nostro lavoro. Non c’è dubbio che questa operazione potrebbe essere svolta anche a mano, inserendo nella tramoggia la quantità di macinato stabilita, ma, questa attività, impone la presenza costante di una risorsa umana che compia un’operazione facilmente automatizzabile. I dosatori di cui parleremo oggi sono quelli definiti volumetrici e gravimetrici. In linea generale sono entrambi impianti che sono deputati a rilasciare nel fuso plastico, in modo continuativo, la percentuale scelta di macinato che abbiamo stabilito nella nostra ricetta. Il dosatore volumetrico, come dice la parola, una volta caricato, intuisce quale possa essere la massa in volume di materiale da rilasciare che l’operatore ha stabilito preventivamente per realizzare il compound. Questo calcolo, da impostare nel dosatore, è frutto di una serie preventiva di tests che portano a calcolare quale possa essere il volume corretto di macinato da miscelare con la materia prima principale. E’ una vera e propria calibrazione del dispositivo di dosaggio utilizzato per il materiale da misurare, attraverso esercizi di cronometraggio, pesatura e rappresentazione grafica dei risultati. Questo è un passaggio critico che richiede abilità per garantire che le impostazioni del timer inserite nel controllo del mixer forniscano il volume corretto di ciascun materiale in base al tempo. Il principio di funzionamento invece dei dosatori gravimetrici lavora sul valore del peso del materiale da immettere, quindi calcola automaticamente la quantità di macinato che l’operatore macchina ha impostato, senza dover ricorrere al lavoro di calibrazione della macchina. Quali sono le differenze pratiche, tra i due sistemi, nel dosaggio e i problemi utilizzando i macinati? Possiamo dire che un dosatore volumetrico è impostato per calcolare ed immettere un certo volume di materiale sempre costante, questo è fattibile, esprimendo una certa precisione, se il macinato utilizzato è composto sempre da materiale uniforme e costante. Ma come sappiamo il macinato utilizzato, specialmente se deriva dal riciclo del post consumo, può avere una certa instabilità sia dimensionale che di densità, mettendo probabilmente in crisi il sistema di dosaggio. Il problema si riduce, ovviamente, se il macinato che proviene dagli scarti di produzione è uniforme e costante, così da dare una certa corretta ripetitività al calcolo della macchina che esegue sul volume della plastica. I dosatori gravimetrici, invece, utilizzano il valore del peso per verificare praticamente ogni dose calcolata, infatti, la macchina si accorge delle differenze tra un richiamo e l’altro di materiale, andando a correggere le differenze durante il richiamo successivo. Tutte le variazioni di portata, massa, tempo sono calcolate dal dosatore gravimetrico in modo da esprimere la massima precisione ed aderenza alla ricetta impostata in modo automatico. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - dosatori - polimeri plastici
SCOPRI DI PIU'I Viaggi che Contano non hanno Bisogno di Grandi BagagliFaremo piuttosto un viaggio insieme,un viaggio di scoperta negli angoli più segrete della nostra mente.E per intraprendere un viaggio del genere bisogna viaggiare con poco bagaglio;non possiamo essere appesantiti dalle opinioni, pregiudizi e conclusioni,tutto quel vecchio bagaglio che abbiamo messo insieme negli ultimi duemila anni e più.Dimenticate tutto quello che sapete su voi stessi;dimenticate tutto quello che avete pensato su di voi;cominceremo come se non sapessimo niente.KrishnamurtiCategoria: Slow life - vita lenta - felicità
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