Conosciamo meglio i componenti della famiglia del Polipropilenedi Marco ArezioIl polipropilene, un polimero termoplastico ampiamente utilizzato in vari settori, esiste in diverse forme configurazionali, tra cui le più note sono l'atattico e l'isotattico. Questi termini descrivono la disposizione tattica (ordine di successione) dei gruppi metilici (-CH3) lungo la catena principale del polimero. La comprensione di queste forme e le loro proprietà è cruciale per l'industria delle materie plastiche, in quanto determina le applicazioni e i metodi di produzione del materiale. Cosa è il Polipropilene Atattico? Il polipropilene atattico (a-PP) presenta una disposizione casuale dei gruppi metilici lungo la catena polimerica. Questa configurazione atattica conferisce al materiale una flessibilità maggiore rispetto alla sua controparte isotattica, ma con una minore cristallinità e resistenza termica. L'a-PP è tipicamente amorfo, con una bassa densità e una resistenza chimica relativamente alta. La sua produzione avviene attraverso processi di polimerizzazione in fase gassosa, in soluzione o in sospensione, utilizzando catalizzatori specifici che favoriscono questa disposizione casuale. Cosa è il Polipropilene Isotattico? Il polipropilene isotattico (i-PP), al contrario, si caratterizza per la disposizione uniforme dei gruppi metilici, tutti orientati dalla stessa parte della catena polimerica. Questa configurazione conferisce al materiale un'elevata cristallinità, rendendolo più rigido e resistente al calore rispetto al polipropilene atattico. L'i-PP è prodotto mediante catalizzatori Ziegler-Natta o metalloceni, che consentono un controllo preciso sull'orientamento dei gruppi metilici. Questo tipo di polipropilene trova ampio uso in applicazioni che richiedono robustezza e resistenza termica, come l'imballaggio alimentare, i componenti automobilistici e i tessuti non tessuti. Produzione e Vantaggi sulle Miscele Plastiche La produzione di entrambe le forme di polipropilene richiede accurati processi di controllo per ottenere le proprietà desiderate. Il polipropilene isotattico, grazie alla sua cristallinità e resistenza termica, è ideale per applicazioni strutturali e di imballaggio, mentre l'atattico, con la sua flessibilità, trova applicazione come additivo per migliorare l'impatto e la lavorabilità di altre materie plastiche. I vantaggi dell'utilizzo di miscele di polipropilene includono la possibilità di ottimizzare le proprietà del materiale finale, come la resistenza agli urti, la trasparenza, e la lavorabilità, combinando le caratteristiche uniche di polimeri diversi. Ad esempio, l'aggiunta di polipropilene atattico a miscele plastiche può migliorare la loro elasticità e flessibilità, rendendole più adatte per applicazioni specifiche che richiedono tali caratteristiche. Differenze Tecniche nella Produzione di Prodotti Finiti La scelta tra polipropilene atattico e isotattico nella produzione di prodotti finiti dipende strettamente dalle proprietà fisiche richieste dall'applicazione finale. Il polipropilene isotattico, essendo più rigido e resistente, è spesso preferito per creare oggetti che devono sopportare carichi o temperature elevate. D'altra parte, l'atattico, con la sua maggiore flessibilità, è ideale per applicazioni che richiedono una certa elasticità, come film sottili o componenti che devono assorbire gli urti senza rompersi. In conclusione, la comprensione delle differenze tra polipropilene atattico e isotattico è fondamentale per l'industria delle materie plastiche. Questa conoscenza permette di scegliere il materiale più adatto in base alle esigenze specifiche di ogni applicazione, sfruttando al meglio le proprietà uniche di ciascuna forma per produrre articoli con le prestazioni desiderate. Con l'evoluzione continua dei processi produttivi e dei catalizzatori, si prevede che l'innovazione nel campo dei polimeri continuerà a offrire nuove opportunità per lo sviluppo di materiali sempre più avanzati e sostenibili.
SCOPRI DI PIU'Un atteggiamento a volte dettato dalla fretta, dalla superficialità e dall’idea di essere fortiPer offendere le persone, creare una insanabile distanza, costruire piano piano dei muri, non sempre è necessario farlo con argomentazioni o con azioni eclatanti e nette. Il linguaggio del corpo, la mancanza di attenzione, il dare per scontato una serie di rapporti e di posizioni, il non rivolgere la parola e, soprattutto, la mancanza di una disponibilità concreta nello stare ad ascoltare gli altri crea distanza, frustrazione e irriconoscenza.L’eccessiva concentrazione su noi stessi, sui nostri progetti, sui nostri obbiettivi, marginalizzano le persone che abbiamo intorno, gli amici, anche chi ci vuole bene. Se ci fermiamo a pensare quante volte può esserci capitato nella vita, sia di subire che di far subire questi comportamenti, forse riflettendo potremmo migliorare noi stessi. Questo esercizio lo fece anche Charles Plumb, un pilota di aerei nella guerra del Vietnam. Dopo molte missioni di combattimento, il suo aereo fu abbattuto da un missile. Plumb si paracadutò, fu catturato e trascorse sei anni in una prigione nordvietnamita. Al suo ritorno negli Stati Uniti, ha iniziato a tenere conferenze raccontando la sua esperienza in prigione e ciò che aveva imparato. Un giorno, in un ristorante, fu accolto da un uomo: - Ciao, sei Charles Plumb, eri un pilota in Vietnam e sei stato abbattuto, vero? "Sì, come fai a saperlo?" chiese Plumb. - Sono stato io a piegare il tuo paracadute. Sembra che abbia funzionato bene, vero? Plumb quasi annegò di sorpresa e rispose con gratitudine: "Certo che ha funzionato, e ti sono grato, altrimenti non sarei qui oggi." Essendo solo quella notte, Plumb non riusciva a dormire, pensando e chiedendosi: Quante volte ho visto quest'uomo sulla portaerei e non gli ho mai detto buongiorno? Io ero un pilota arrogante e lui un semplice marinaio. Pensò anche alle ore che il marinaio trascorreva umilmente in barca avvolgendo i fili di seta di diversi paracadute, tenendo tra le mani la vita di qualcuno che non conosceva. Ora, Plumb inizia le sue lezioni chiedendo al suo pubblico: - Chi ha piegato il tuo paracadute oggi? Quante volte nella nostra giornata siamo arroganti, ignoranti, maleducati a causa della fretta del lavoro, delle faccende domestiche o dei problemi personali? Spesso questo accade a persone che amiamo e che vogliono il nostro bene o anche con un semplice sconosciuto.Sconosciuto
SCOPRI DI PIU'Nell’era del boom economico, il 1963 segna una data importante per un’azienda lungimirante che pensava fuori dagli schemidi Marco ArezioI primi anni ’60 la plastica iniziava a compiere i primi e decisivi passi che avrebbero poi caratterizzato lo sviluppo economico e sociale del secolo scorso. Pochi anni prima Giulio Natta aveva ottenuto il Nobel per la chimica per le sue ricerche che lo portarono alla scoperta del polipropilene. I Caroselli nella TV in bianco e nero di allora magnificavano i molteplici usi del Moplen, con il quale si potevano realizzare contenitori leggeri, resistenti e colorati, perfettamente in grado si sostituire quelli fatti in lamiera verniciata, pesanti e che potevano arrugginirsi. Nella sale cinematografiche, intanto, gli italiani si appassionavano al Gattopardo. È infatti nel 1963, come abbiamo detto, in pieno boom economico, che grazie all’intuizione e ad una visione illuminata di Innocente Caldara e del cognato Mario Pontiggia, nasce la “Pontiggia & Caldara” che sessant’anni più tardi sarebbe diventata la Caldara Plast che conosciamo oggi. Il Sig. Innocente girava instancabilmente l’Italia con il suo camion, un OM Tigrotto, in un periodo di grandi innovazioni in tutti i settori. È in questo scenario, in un’Italia in grande fermento, in cui tutti gli scantinati di Milano erano occupati da qualche laboratorio dove si produceva “qualcosa”, che Innocente Caldara vide due residui plastici che molte industrie eliminavano, una risorsa da riutilizzare e riportare a nuova vita. Erano solo gli anni Sessanta ma questa è l’idea che oggi sta alla base dell’economia circolare. In quei primi faticosi ma emozionanti anni, l’azienda faceva trasporti per varie società situate nella provincia di Lecco, operanti nella distillazione del metacrilato, portando il monomero ai clienti di queste ditte. Il modus operandi era semplice ma efficace: da queste ditte che producevano lastre di metacrilato venivano ritirati gli scarti prodotti e, successivamente, gli stessi venivano venduti alle aziende che si occupavano di distillazione. Con l’evoluzione del mercato e dei materiali, (erano anni di gran fermento nell’industria dei polimeri), al metacrilato trattato inizialmente si aggiunsero presto anche gli scarti di Policarbonato, dell’ABS, della Poliammide e del Polistirolo. Così, anche l’azienda, come il mercato, stava cambiando. Negli anni Settanta venne costruito, non con pochi sacrifici, il capannone di Caslino d’Erba, paese d’origine della famiglia Caldara, necessario ormai per contenere tutti gli scarti ritirati. Qui vennero posizionati i primi mulini acquistati per macinare le diverse tipologia di materiali, e stoccare il macinato pronto da rivendere in Italia ma anche all’estero. Giungono in fretta gli anni Novanta e la ditta diventa “Innocente Caldara snc”. Accanto al Sig. Innocente inizia a lavorare a 17 anni il figlio Attilio, il secondo dei suoi figli, che si occupa della macinazione degli scarti. Anche Massimiliano, il figlio maggiore, lascia la società in cui lavorava ed entra nell’azienda di famiglia. Avendo la patente per guidare il camion si alterna al papà nella guida del nuovo Iveco 190, anche lui girando l’Italia recuperando scarti di polimeri da avviare alla macinazione. Nel 1994, il terzo figlio, Alessandro, si unisce ai fratelli e al padre occupandosi anche lui di trasporti e macinazione. A supportare tutto questo gran lavoro negli uffici arriva Ester, che si occupa di amministrazione e contabilità e che affianca la Sig.ra Angela, moglie del Sig. Innocente, che da sempre, con costanza e rigore, tiene le fila della parte amministrativa dell’azienda. Ora, che la quantità di scarti aumenta, sorge un dubbio ai Caldara “ma che ce ne facciamo di tutti questi scarti acquistati e macinati? Sono belli, colorati, perfino simpatici, gli ambientalisti non sono ancora intervenuti gridando che la plastica è uno dei mali del mondo, ma nel nostro magazzino incominciano a diventare un po' troppi.” E allora? Internet e il web ancora non esistevano... così si incominciò con il telefono e le pagine gialle a trovare potenziali clienti a cui interessassero le plastiche macinate, e altri potenziali fornitori da cui acquistare scarti di lavorazione. Massimiliano, approfittando di uno stop forzato a seguito di un incidente in moto, iniziò a stare al telefono e ad occuparsi in prima persona della ricerca di clienti e dei rapporti con i fornitori. Siamo negli anni Novanta e in Caldara è già iniziata l’era dell’economia circolare. Continua… Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.Fonte: Caldara
SCOPRI DI PIU'I polimeri sembrano materiali recenti ma la loro origine è più lontana di quanto non sembridi Marco ArezioLa storia della nascita dei polimeri è molto meno lineare di quanto si possa pensare, con le intuizioni di alcuni precursori che, a volte, rimanevano ferme in laboratorio per decenni, in quanto la conoscenza delle reazioni chimiche o il limitato progresso tecnologico impiantistico ne inficiavano lo sviluppo. E’ interessante notare che, per alcune combinazioni chimiche che hanno poi portato alla nascita di una determinata famiglia di polimeri, la casualità poteva aver giocato anche un ruolo primario, creando situazioni inaspettate, frutto di reazioni chimiche non cercate ma subito capite e sfruttate. Sicuramente il secolo scorso è stato fondamentale per lo sviluppo dei polimeri di base, in quanto si sono verificate due situazioni formidabili: - la prima era la progressione continua della conoscenza della chimica industriale, i cui albori si possono indentificare nel XIX° secolo, - la seconda è il grande progresso industriale che ha potuto mettere a disposizione dei chimici, sia in laboratorio che nelle sedi industriali, efficienti ed innovative macchine che assecondassero le idee degli scienziati. Come ci racconta, Michele Seppe, già negli anni 30 del secolo scorso, la moderna industria della gomma aveva già quasi cento anni, la celluloide era disponibile in commercio da oltre mezzo secolo e i fenoli erano una forza dominante in un'ampia varietà di industrie. Con poche eccezioni, tutti gli sviluppi significativi nella tecnologia dei polimeri fino a quel momento sono stati i sistemi dei reticolati, noti anche come materiali termoindurenti. Oggi l'industria ha un aspetto molto diverso, i termoplastici sono i materiali dominanti e, all'interno di questo gruppo, il polipropilene, il polietilene, il polistirene e il PVC sono le quattro materie prime che rappresentano la maggior parte del volume consumato a livello mondiale. Ma i materiali termoplastici che possono davvero competere con le prestazioni, alle temperature elevate dei metalli e dei polimeri reticolati, sono materiali come le poliammidi (nylon), i policarbonati e il PEEK. Tracciare lo sviluppo storico dei termoplastici può essere impegnativo, perché molte volte la scoperta di un materiale in laboratorio non ha avuto un percorso rapido verso la sua commercializzazione. Il polistirene fu scoperto per la prima volta nel 1839, ma fu prodotto commercialmente solo nel 1931, a causa di problemi con il controllo della reazione esotermica di polimerizzazione. Il PVC è stato scoperto nel 1872, ma i tentativi di utilizzarlo commercialmente all'inizio del XX° secolo sono stati ostacolati dalla limitata stabilità termica del materiale. Infatti, la temperatura richiesta per convertire il materiale in una massa fusa, era superiore alla temperatura alla quale il polimero iniziava a decomporsi termicamente. Questo fu risolto nel 1926 da Waldo Semon, presso BF Goodrich, infatti, mentre cercava di deidroalogenare il PVC in un solvente per creare una sostanza che legasse la gomma al metallo, scoprì che il solvente aveva plastificato il PVC. Ciò abbassò la sua temperatura di rammollimento e aprì una finestra per la lavorazione alla fusione. Il polietilene fu creato per la prima volta in laboratorio nel 1898 dal chimico tedesco Hans von Pechmann scomponendo il diazometano, una sostanza che aveva scoperto quattro anni prima. Ma il diazometano è un gas tossico con proprietà esplosive, quindi, non sarebbe mai stata un'opzione commerciale praticabile per la produzione su larga scala di un polimero, che ora è utilizzato in volumi annuali incredibilmente alti. Il materiale fu riscoperto nel 1933 da Eric Fawcett e Reginald Gibson mentre lavoravano all'ICI in Inghilterra. Sperimentarono il posizionamento di vari gas ad alta pressione, e quando misero una miscela di gas etilene e benzaldeide sotto un'enorme pressione, produssero una sostanza bianca e cerosa che oggi conosciamo come polietilene a bassa densità. La reazione fu inizialmente difficile da riprodurre, solo due anni dopo un altro chimico dell'ICI, Michael Perrin, sviluppò controlli che resero la reazione abbastanza affidabile da portare alla commercializzazione nel 1939, più di quarant'anni dopo che il polimero fu prodotto per la prima volta. Il polietilene ad alta densità è stato sintetizzato con l'introduzione di nuovi catalizzatori nei primi anni 1950. Nel 1951, mentre J. Paul Hogan e Robert Banks lavoravano alla Phillips Petroleum, svilupparono un sistema basato sull'ossido di cromo. I brevetti furono depositati nel 1953 e il processo fu commercializzato nel 1957, ed ancora oggi il sistema è noto come catalizzatore Phillips. Nel 1953, Karl Ziegler introdusse un sistema che utilizzava alogenuri di titanio combinati con composti di organoalluminio e, più o meno nello stesso periodo, un chimico italiano, Giulio Natta, apportò modifiche alla chimica di Ziegler. Entrambi i sistemi hanno consentito una riduzione sia della temperatura che della pressione necessarie per produrre l'LDPE altamente ramificato e hanno prodotto un polimero lineare molto più forte, più rigido e più resistente al calore rispetto all'LDPE. Questi sviluppi illustrano come di diversi gruppi di chimici, che lavorarono in modo indipendente sugli stessi problemi, arrivarono a sviluppare soluzioni quasi contemporaneamente. I nuovi catalizzatori hanno anche permesso di produrre versioni commercialmente utili del quarto membro della famiglia dei polimeri di base, il polipropilene. Questo era stato prodotto da Fawcett e Gibson a metà degli anni 1930. Dopo i loro esperimenti di successo con il polietilene, hanno naturalmente ampliato il loro lavoro per includere altri gas, ma i loro risultati con il polipropilene furono deludenti. Invece di produrre un materiale che fosse solido a temperatura ambiente e mostrasse utili proprietà meccaniche, la reazione produsse una massa appiccicosa interessante solo come adesivo. Fawcett e Gibson avevano prodotto quello che in seguito sarebbe stato conosciuto come polipropilene atattico. A differenza del polietilene, in cui tutti i gruppi attaccati allo scheletro di carbonio sono atomi di idrogeno, ciascuna unità di propilene nello scheletro di polipropilene contiene tre atomi di idrogeno e un gruppo metilico molto più grande. Nel polipropilene atattico, il gruppo metilico può apparire in una qualsiasi delle quattro possibili posizioni all'interno dell'unità di ripetizione, impedendo la cristallizzazione del materiale. I nuovi catalizzatori crearono una struttura in cui il gruppo metilico si trovava nella stessa posizione in ogni unità ripetuta. La regolarità strutturale ha portato a un materiale in grado di cristallizzare, infatti questa forma cristallina di polipropilene aveva forza, rigidità e un punto di fusione persino superiore all'HDPE. Questo rapido sviluppo ha creato due materiali che rappresentano oggi oltre il 50% della produzione mondiale annuale di polimeri. È interessante notare che la moglie di Giulio Natta, Rosita Beati, che non era un chimico, ha coniato i termini atattico, isotattico e sindiotattico per descrivere le diverse strutture che si potevano creare polimerizzando il polipropilene. Oggi usiamo questi termini per riferirci in generale alle strutture isomeriche che si possono formare quando i polimeri vengono prodotti utilizzando vari tipi di catalizzatori. .
SCOPRI DI PIU'Cosa Sta Succedendo alle Foreste Artiche a Causa dell'Inquinamento?Abbiamo trattato in articoli precedente la devastante azione dell'uomo sullo sfruttamento della foresta amazzonica e sullo sfruttamento del legname nei boschi della Romania ma ora troviamo interessante proporre un articolo apparso su Science che informa della situazione delle foreste artiche russe a causa dell'inquinamento causato dalle attività industriali dell'uomo.Il dilagante inquinamento atmosferico nella Siberia settentrionale sta bloccando la luce solare e rallentando la crescita delle foreste boreali, suggerisce una nuova ricerca Il più grande studio sugli anelli degli alberi a Norilsk, la città più inquinata della Russia e la città più settentrionale del mondo, ha scoperto che l'inquinamento atmosferico da miniere e fonderie locali è almeno in parte responsabile di un fenomeno noto come "oscuramento artico". Simile all'``oscuramento globale '', questo effetto più regionale si verifica quando minuscole particelle - da inquinamento atmosferico, eruzioni vulcaniche e polvere - si raccolgono nell'atmosfera, dove assorbono o disperdono parzialmente l'energia solare, interferendo con la disponibilità di luce, l'evaporazione e l'idrologia. il terreno. Osservazioni a lungo termine e misurazioni satellitari hanno dimostrato che la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie dell'Artico è diminuita dalla metà del secolo, ma non era chiaro se ciò fosse dovuto all'inquinamento umano nella regione. Oggi, dopo quasi un secolo di attività mineraria pesante e non regolamentata, la morte degli alberi vicino a Norilsk si è estesa fino a 100 chilometri, ma questo è uno dei primi studi per collegare quella foresta in diminuzione con la luce solare ridotta. "Sebbene il problema delle emissioni di zolfo e del deperimento forestale sia stato affrontato con successo in gran parte dell'Europa, per la Siberia non siamo stati in grado di vedere quale sia stato l'impatto, in gran parte a causa della mancanza di dati di monitoraggio a lungo termine", afferma Ulf Büntgen, analista di sistemi ambientali dell'Università di Cambridge. Eppure, questa regione è una delle più fortemente inquinate al mondo. Quindi, leggendo migliaia di anelli di alberi di conifere vive e morte che circondano la città di Norilsk, i ricercatori hanno cercato di ricostruire quello che è successo a questa foresta un tempo incontaminata. Usando il legno e la chimica del suolo, hanno mappato l'entità della devastazione ambientale incontrollata di Norilsk nel corso di nove decenni. "Possiamo vedere che gli alberi vicino a Norilsk hanno iniziato a morire in maniera massiccia negli anni '60 a causa dell'aumento dei livelli di inquinamento", afferma Büntgen. Utilizzando la radiazione solare che raggiunge la superficie come proxy per l'inquinamento atmosferico, i modelli del team forniscono "una forte prova" che l'oscuramento artico ha sostanzialmente ridotto la crescita degli alberi dagli anni '70. Oggi, dicono gli autori, anche le foreste boreali in Eurasia e nel Nord America settentrionale sono diventate in gran parte una "discarica per grandi concentrazioni di inquinanti atmosferici di origine antropica", e quindi gli effetti dell'oscuramento artico potrebbero essere avvertiti in modo molto più ampio al di fuori della regione di Norilsk studiata qui . Sfortunatamente, a causa dei modelli di circolazione su larga scala, sappiamo che gli inquinanti tendono ad accumularsi nell'atmosfera artica, e questo significa che gli ecosistemi a nord possono essere particolarmente vulnerabili all'inquinamento globale nel suo complesso. Anche sapendo questo, gli autori non erano preparati per l'entità del problema che avevano scoperto. "Ciò che ci ha sorpreso è quanto siano diffusi gli effetti dell'inquinamento industriale: l'entità dei danni mostra quanto sia vulnerabile e sensibile la foresta boreale", afferma Büntgen. "Data l'importanza ecologica di questo bioma, i livelli di inquinamento nelle alte latitudini settentrionali potrebbero avere un enorme impatto sull'intero ciclo globale del carbonio". Né l'inquinamento è l'unica minaccia per questi preziosi ecosistemi, a volte descritti come "polmoni" per il nostro pianeta. Sembra che il cambiamento climatico stia anche alterando la diversità delle foreste boreali, mentre gli incendi più intensi e frequenti stanno spazzando via enormi aree della Siberia ogni anno, contribuendo a un ulteriore inquinamento atmosferico regionale. Mentre alcuni modelli di riscaldamento globale suggeriscono che la crescita degli alberi aumenterà con il cambiamento climatico, la nuova ricerca evidenzia che l'inquinamento atmosferico potrebbe superare questo, il che significa che gli alberi nel nord artico cresceranno più lentamente e più deboli di prima. Ulteriori ricerche dovrebbero esaminare come l'inquinamento atmosferico potrebbe portare a una riduzione della radiazione solare, assorbendo la radiazione solare direttamente o indirettamente attraverso i suoi effetti sulle nuvole. Considerata l'importanza di queste foreste boreali come pozzo di carbonio e quanto vulnerabili sembrano essere, gli autori chiedono ulteriori informazioni sugli effetti a lungo termine delle emissioni industriali sulle foreste più settentrionali del mondo. "Questo studio appare particolarmente opportuno alla luce del rilascio, senza precedenti a Norilsk di oltre 20.000 tonnellate di gasolio nel 2020", scrivono, "un disastro ambientale che sottolinea la minaccia del settore industriale di Norilsk sotto il rapido riscaldamento dell'Artico e lo scongelamento del permafrost, e sottolinea anche la vulnerabilità ecologica delle alte latitudini settentrionali ". Carly Cassella
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