CERTIFICAZIONE AIMBY: IL NUOVO PARAMETRO PER GLI UFFICI ACQUISTI

Economia circolare
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Sommario

- La globalizzazione degli acquisti e le sue conseguenze

- Delocalizzazione industriale

- Nimby & Aimby

- Certificazione Aimby

Certificazione AIMBY: Il Nuovo Parametro per gli Uffici Acquisti


di Marco Arezio

Gli acquisti delle materie prime, dei semilavorati, dei prodotti finiti o dei servizi, sono una parte importante nel budget delle aziende, dove l’attività professionale, intesa come competenza, ricerca, qualità di negoziazione, creazione di rapporti affidabili, può portare grandi vantaggi alle aziende.

Se partiamo dall’assioma principale di molti imprenditori, dove “ogni soldo risparmiato è un soldo guadagnato”, possiamo dire che la funzione del personale che si occupa degli acquisti è tra le più importanti del sistema produttivo.

Dal 1° Gennaio 1995, con l’istituzione del WTO (Organizzazione mondiale per il commercio) è iniziata, ufficialmente, l’era della globalizzazione commerciale, attraverso la quale l’obbiettivo delle aziende nelle nazioni più avanzate, era quello di minimizzare i costi di acquisto per le materie prime o i prodotti finiti e, per i paesi in via di sviluppo, poter avere un mercato molto più ampio, senza più dazi, in cui riversare le loro merci.


La globalizzazione commerciale sembrava fosse una questione prima di tutto politica, di equità e democrazia tra i popoli più che economica, in un’ottica espansiva del tessuto produttivo internazionale.


Gli uffici acquisti hanno così avuto la possibilità, comprando in paesi diversi rispetto al passato e, spesso, molto più lontani dalla sede produttiva, di ridurre, a volte in modo sostanziale, il costo unitario delle merci che compravano, portando un beneficio immediato alla filiera del margine economico sul prodotto.

Questo ha avviato un volano incredibile nel campo dei trasporti, in primo luogo quelli marittimi, a seguito dell’aumento vertiginoso degli acquisti di prodotti finiti e delle materie prime industriali in tutto il mondo.


Quello che prima si comprava facilmente vicino a casa veniva poi acquistato a migliaia di chilometri di distanza ad un prezzo più basso con una qualità similare.


Non mi voglio soffermare sulle conseguenze industriali e sociali che questo fenomeno ha portato in tutto il mondo, dove, nei paesi più sviluppati si iniziò a deviare i flussi degli ordini delle merci e delle materie prime, dai propri paesi alla Cina, India e altri paesi del sud est asiatico, con un crollo del tessuto produttivo locale di media e piccola grandezza.

Vi è poi stata una seconda fase della globalizzazione commerciale, in cui tutti abbiamo imparato la parola “delocalizzazione”, dove il motore non era più rappresentato dai risparmi sulle materie prime o i semilavorati acquistati in paesi lontani, ma dalla riduzione del costo della manodopera, che serviva per contrastare la discesa dei prezzi dei prodotti finiti sui mercati tradizionali, causata dei produttori che provenivano dai paesi il cui costo generale di produzione rimaneva più basso di quello delle fabbriche occidentali, nonostante il trasporto.

In passato, il costo ambientale che ne è conseguito dal nuovo sistema di circolazione delle merci, in termini di emissioni di CO2, non era mai stato considerato e, se lo fosse stato, era solo una discussione accademica di poco interesse.

Oggi le cose sono molto cambiate in diversi ambiti produttivi, a partire dall’uso dei materiali riciclati, dall’impiego delle energie sostenibili, dal comportamento della finanza, che premia le aziende più green attraverso finanziamenti e li sospende ad aziende che hanno un impatto ambientale “vecchio stile”.

All’interno delle aziende molti metodi di lavoro sono cambiati, molte professionalità nuove, legate alla produzione sostenibile sono comparse negli organigrammi aziendali, il sistema di comunicazione degli uffici marketing ha virato verso una completa vocazione all’economia circolare e la tutela dell’ambiente, per dare le risposte ai clienti che chiedono più sostenibilità.

Ma un altro passo si potrebbe fare anche nell’ambito degli uffici acquisti, indagando nuove strade legate alla sostenibilità del prodotto e del sistema azienda, promuovendo il passaggio dalla fase degli acquisti prevalentemente NIMBY (non nella mia area) ad una fase prevalente AIMBY (tutto nella mia area), tornando al passato, attraverso gli acquisti delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finali vicino a casa.

Questo perché, in accordo con gli uffici marketing, la certificazione AIMBY sulla filiera produttiva, può portare ad un ulteriore riconoscimento positivo da parte dei consumatori, in cui il risparmio di CO2 che si genera nei trasporti intercontinentali o extra nazionali, può essere rivendicato come distintivo green sui prodotti offerti sul mercato.


AIMBY è uno stile di vita, come usare la bicicletta al posto della macchina, il treno al posto dell’aereo o ridurre l’uso della carne sulle nostre tavole o bere l’acqua del rubinetto al posto di quella in bottiglia che viene da centinaia di chilometri di distanza o ridurre l’uso di alimenti in confezioni monouso, o come molti altri comportamenti virtuosi.


Inoltre, la riduzione dei trasporti delle merci via mare ridurrà in modo percentuale la possibilità di incidenti, collisioni, incendi, affondamenti dei cargo per avarie o condizioni metereologiche, che causano diffusi e pericolosi stati di inquinamento dei mari e delle spiagge sulla rotta delle navi.

Tutti noi possiamo fare qualche cosa per aiutare il pianeta e, tutti noi consumatori, attraverso le nostre scelte possiamo indirizzare il mercato e le produzioni degli articoli che compriamo, nessuno si può sottrarre alle leggi di mercato e il mercato siamo tutti noi.

Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti 

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