WORKAHOLISM: LA DIPENDENZA DA LAVORO CHE MINACCIA LE AZIENDE

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Workaholism: La Dipendenza da Lavoro che Minaccia le Aziende


di Marco Arezio

La sindrome da ubriacatura da lavoro o dipendenza da lavoro è una malattia neuro-psichiatrica scoperta in America agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso.

In questo articolo non tratteremo l’aspetto medico, cioè le mutazioni che questa malattia infligge sul soggetto malato, ma illustreremo le ricadute che può avere nell’ambito aziendale.

Nel corso degli anni si è spesso confuso, forse per convenienza, la differenza tra uno stacanovista e un lavoratore affetto da dipendenza cronica da lavoro.

Quale è la differenza vista dal punto delle attività aziendali?

Lo stacanovista, che ha ruoli dirigenziali, lo possiamo vedere come un soggetto responsabile, affidabile, ambizioso e fidato che trascina il proprio team a raggiungere gli obbiettivi aziendali o i budget affidati, attraverso la costruzione di un clima competitivo e appagante i cui ogni partecipante al progetto si sente inserito in una catena motrice, con lo scopo comune di far girare il motore al giusto livello per raggiungere il traguardo comune.

Collegialità degli obbiettivi, degli sforzi e delle gratificazioni sono la chiave per ottenere i migliori risultati lasciando, nel leader, ma anche i tutti i soggetti della squadra, la piacevolezza dell’impegno e la riconoscenza delle qualità dei singoli, ognuno nella giusta misura.

La valorizzazione degli sforzi dei singoli e del team, a tutti i livelli, dona una sorta di protezione del branco e una carica autorigenerante per le sfide di tutti i giorni.

Il leader che guida il gruppo, per stimolare le energie di tutti, deve essere inclusivo, rassicurante, sincero nell’illustrare rischi e obbiettivi, ma soprattutto deve sporcarsi le mani in prima linea, nella stessa trincea e condividere sul campo le strategie.

In caso di raggiungimento degli obbiettivi il gruppo sarà compatto e più forte, soddisfatto, gratificato, sicuro del fatto che l’unione fa la forza e che, egoismi o prevaricazioni interne, siano deleteri per ognuno dei partecipanti.

Se guardiamo invece il leder di un gruppo affetto da dipendenza da lavoro, ci troviamo di fronte ad un soggetto che vive per raccogliere adrenalina con la quale alimentare la propria giornata.

Gli obbiettivi aziendali sono una scusa per applicare questa dipendenza alla propria vita, trascinando tutta la squadra in un ciclone di stress costante.

Chi vive questa dipendenza mobilita una competizione sterile, volta ad accrescere il volume di lavoro in modo negativo, mettendo sotto pressione i collaboratori senza capire i limiti e le esigenze delle persone.

Non è capace di fare squadra perché vive in modo egocentrico l’attività, quindi si rapporta con i colleghi come se fossero un tassello al proprio progetto finalizzato al risultato.

Gli obbiettivi aziendali sono un propellente che alimenta la spirale di impegno, la benzina che accende un motore che deve girare al massimo e la componente umana non è considerata come parte della partita.

Chi soffre di dipendenza da lavoro non riesce a staccare, perde il contatto con la vita reale e pretende che i collaboratori lavorino secondo il suo schema e i suoi interessi.

Facilmente mette in cattiva luce chi non lo segue, crea zizania per incrementare la competitività reciproca, e non dialoga con la squadra.

Non concepisce chi dissente o chi ha un atteggiamento verso il lavoro più equilibrato, dove ogni componente della propria vita deve avere un peso ponderato.

Farsi dirigere da un soggetto che soffre di dipendenza da lavoro ha l’effetto negativo di lavorare in un ambiente in costante tensione, dove la paura di sbagliare riduce i risultati, dove il rischio di sfuriate dal leader del team sono all’ordine del giorno, con possibili conseguenze sulla posizione lavorativa.

La paura di sbagliare o di essere traditi dai compagni di lavoro crea correnti interne, fazioni più o meno vicine al leader, il cui scopo non è più il raggiungimento del traguardo aziendale ma quello della sopravvivenza del rapporto di lavoro.

I componenti del team tendono a ritirarsi in gusci protettivi, fanno quello che gli viene detto di fare, anche se lo reputano improduttivo od addirittura sbagliato.

Non si espongono con idee o proposte per non esporsi a reazioni non calcolabili, sapendo quanto un soggetto affetto da questa malattia possa essere irascibile, scostante nell’umore e rischiando di mettersi in cattiva luce.

Un ambiente come quello descritto focalizzato su un soggetto che crede di correre una gara da solo, umilia il lavoro di tutti, a volte anche le persone, trasformando la spinta propositiva di un team in passività lavorativa, lasciando al leader ogni decisione e ogni conseguenza.

La spirale porta la figura apicale a doversi occupare di tutto, non avendo più una squadra su cui contare, con l’avvitamento del carico di lavoro e la riduzione della lucidità nelle decisioni e la trascuratezza della qualità generale dei risultati.

Si crea uno scollamento che alimenta risentimento tra il leader e la squadra, un generale disinteresse all’azienda e al suo futuro, creando la costruzione di prove che possano difendere le singole posizioni in attesa della catastrofe imminente.

Infatti, le giornate lavorative passano non finalizzate al miglioramento delle perfomances societarie, ma nell’attesa del giorno del fallimento della loro team, con la speranza che il loro comportamento minimale ed ossequioso possa salvargli il posto di lavoro.

Se partiamo da un paradigma molte volte usato, ma reale, che dice che i successi delle aziende sono fatti di persone guidate da leader capaci, dobbiamo quindi monitorare comportamenti eccessivi sia di lassismo che di iper lavoro.




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