La qualità e la resistenza di un cartone ondulato da imballo passa dalla corretta disposizione delle fibre e dalla loro dimensionedi Marco ArezioQuante volte ci sono arrivati, recapitati a casa, i prodotti che abbiamo comprato su internet racchiusi in una scatola di cartone, quante volte nella nostra azienda utilizziamo le scatole, più o meno grandi, per imballare i nostri prodotti da vendere, quante volte facciamo ordine mettendo nelle scatole di cartone le nostre cose. Un tipo di imballo comodo, semplice da usare, duraturo nel tempo ed anche circolare, in quanto facilmente maneggiamo scatole in cartone ondulato fatte con carta prevalentemente riciclate e riciclabili. In un ambito più professionale, quindi in azienda, la qualità degli imballi, qualsiasi essi siano, ricopre un’importanza sostanziale, non solo per presentare i nostri prodotti ai clienti, ma per proteggerli durante il trasporto e lo stoccaggio in magazzino. Come viene prodotto il cartone ondulato riciclato? Per realizzare il prodotto finito partiamo dalla sua origine, quindi vediamo come di realizzano i fogli che costituiranno il cartone ondulato riciclato, facendo un passo indietro fino in cartiera. Infatti è li dove viene la storia ha inizio, utilizzando, come materia prima, il cartone che deriva dalla raccolta differenziata, che compone la parte preminente della ricetta, aggiungendo poi di una piccola parte di fibre di carta vergine, per aumentare la qualità del prodotto finito. La tipologia di ricetta descritta non esaurisce le possibilità di trovare altre miscele, in quanto un cartone ondulato può essere anche prodotto al 100% con il materiale da riciclo o con percentuali di esso più basse. Una volta inserita la materia prima nell’impianto di lavorazione, viene aggiunta acqua e altre sostanze adatte al trattamento, iniziando così un mescolamento della materia prima che porta alla creazione di una pasta fluida, in cui troviamo un elemento di cruciale importanza per la qualità del futuro prodotto finito che sono le fibre. Infatti, sia il cartone da riciclo che la materia prima naturale, che viene dagli alberi, ne contengono di diverse tipologie e costituiscono l’asse portante delle future scatole in cartone ondulato. Una volta realizzata la pasta di carta la si stende, in strati sottili, variabili in base alle richieste commerciali, su piani di lavoro per poi essere inviati all’essicazione dei fogli. Raggiunta l’essicazione corretta i fogli piani vengono interposti ad uno ondulato, realizzato appositamente attraverso l’utilizzo di un’azione meccanica di piegatura coadiuvata dal vapore. I vari strati verranno poi incollati tra loro utilizzando delle colle vegetali derivate dalla fecola di patate o dall’amido di mais. Come si forma la direzione delle fibre e perché è così importante Durante la creazione della pasta, attraverso il movimento della macchina e la presenza dell’acqua, si gioca la partita più importante in merito alla qualità futura del cartone, infatti, con questa operazione si viene a formare la direzione delle fibre che, insieme alla loro lunghezza, determineranno il risultato qualitativo del prodotto. Le fibre sono, come detto, un’armatura per il foglio di carta o di cartone, lo strumento portante del prodotto e, la loro disposizione ne determina la resistenza meccanica monodirezionale o bidirezionale. Infatti se le fibre sono orientare in modo parallele è possibile lacerare il foglio nel senso della direzione delle stesse, ma risulta difficoltoso ed irregolare nel senso opposto. Inoltre, se le fibre non hanno un andamento parallelo ma difformemente distribuito, la resistenza meccanica si ottiene nei due sensi di strappo. Questo non vale solo per la divisione dei due lembi del cartone o della carta, ma anche sulla sua facoltà nell’essere piegato, infatti se non consideriamo la disposizione delle fibre, durante la piegatura di un’ala della scatola, ad esempio, questa risulterà imperfetta e difficoltosa, sia manualmente che attraverso le imballatrici. Quale sono le differenze tra l’uso di fibre lunghe e fibre corte Non tutte le fibre sono uguali: ci sono quelle più sottili, più lunghe più irregolari, molto porose, per nulla porose, con nodi, di forma appuntita o cilindrica e molte altre. Per semplificare, in merito a quale fibra sarebbe meglio utilizzare per produrre una scatola in cartone ondulato, possiamo dire che le fibre lunghe sono quelle più adatte allo scopo, in quanto possiedono una maggiore resistenza e durezza, dovendo realizzare un piano il più possibile rigido. Per completezza possiamo indicare le fibre corte sono un’ottima soluzione per creare carte morbide e cedevoli, che vengono usate per molteplici usi. Utilizzo della carta riciclata per produrre il cartone riciclato Come abbiamo visto, una buona qualità di carta per la realizzazione delle scatole per il packaging, deve impiegare una pasta che contenga una sufficiente quantità di fibre lunghe per armare la struttura. Per poter arrivare alla corretta ricetta, per contenere i costi e per contribuire all’impiego dei rifiuti di carta e cartone che quotidianamente produciamo, la produzione utilizza una buona parte di cartone riciclato. Le operazioni di riciclo comportano, nel tempo, un certo dilavamento delle fibre, con la conseguenza che il loro apporto nella ricetta per la produzione del cartone da imballo, con i vari cicli di trattamento, potrebbe diminuire. In questo caso diventa necessario ricorrere all’aggiunta di fibre vergini per poter bilanciare la diminuzione causata dal riciclo. Categoria: Informazioni tecniche - packaging- cartone - carta - riciclo
SCOPRI DI PIU'Se i termovalorizzatori nascono per utilizzare correttamente l’End of Waste, le cementerie lasciano molti dubbidi Marco ArezioNell’ottica dell’economia circolare, lo scarto dei prodotti del riciclo plastico, che per sua composizione chimica non può essere utilizzato, ha una valenza termica come combustibile. Ma se l’End of Waste non può essere riciclato è perché è composto da un mix di scarti plastici che, se bruciati nei forni, determinano l’emissione di sostanze tossiche che non devono essere immesse in atmosfera. Per questo sono nati i termovalorizzatori. Gli impianti di termovalorizzazione sono progettati, costruiti e destinati alla combustione dell’End of Waste, tenendo in considerazione il processo chimico di trasformazione delle varie plastiche sotto l’effetto del calore. Questo processo comporta la produzione di fumi nei quali sono contenute sostanze pericolose per l’uomo e l’ambiente che, un impianto nato per questo lavoro, gestisce in modo corretto, con l’obbiettivo di abbattere le sostanze dannose. E’ una pratica comune però, destinare una parte dell’End of Waste anche agli impianti di produzione del cemento, che lo utilizza come comburente per i propri forni a prezzi contenuti, ma attraverso impianti che non sono stati progettati specificatamente per lo smaltimento dei rifiuti. Ma cos’è l’End of Waste? Nelle corrette politiche di gestione dei rifiuti urbani ci sono due categorie di scarti che vengono raccolti e trattati in modo diverso e con scopi diversi: I rifiuti organici, che produciamo quotidianamente nell’ambito domestico, che vengono conferiti nei centri di raccolta dei rifiuti differenziati. Questi prodotti vengono trattati per la produzione di biogas, fertilizzante, anidride carbonica per uso anche alimentare ed energia elettrica. I rifiuti urbani, sotto forma di plastiche miste, che vengono selezionati per tipologia di plastica e avviati al riciclo trasformandoli in scaglie, densificati e polimeri. Nell’ambito della selezione delle frazioni di plastica emergono alcune famiglie, le cui caratteristiche non si prestano ad una selezione meccanica come, per esempio, i poli accoppiati, plastiche formate da famiglie di polimeri differenti tra loro ed incompatibili. Quando una plastica, alla fine del suo ciclo non è recuperabile in modo meccanico, può assumere una importante valenza termica creando un materiale comburente, di caratteristiche caloriche decisamente apprezzabili, che aiuta, attraverso il suo utilizzo, a continuare il cammino dell’economia circolare. Infatti, oltre a non mandare in discarica questa frazione di plastiche miste, che in termini di volume annuo è decisamente importante, possiamo risparmiare l’utilizzo di risorse naturali derivanti dal petrolio. Con l’End of Waste si alimentano oggi principalmente centrali elettriche e cementifici. L’utilizzo di questo rifiuto nelle centrali elettriche ha ridotto la dipendenza anche verso il carbone, carburante fossile con un tenore di inquinamento molto elevato e responsabile di problemi legati alla salute dei cittadini che vivono nelle vicinanze delle centrali. La produzione di energia elettrica, attraverso l’End of Waste, ha permesso di calibrare la progettazione degli impianti rispetto al prodotto che serve come combustibile, creando un’alta efficienza ecologica rispetto ad altri sistemi. Nel nord Europa la produzione di energia attraverso la combustione di rifiuti plastici non riciclabili, risulta un buon compromesso tra risultato tecnico e ambientale. Il secondo ambito di utilizzo del carburante derivato dall’ End of Waste riguarda l’uso nelle cementerie, che lo impiegano per alimentare i forni per la produzione di clinker. Secondo uno studio fatto Agostino di Ciaula, gli impianti per la produzione di clinker/cemento non sarebbero adeguati, dal punto sanitario, ad impiegare questo tipo di rifiuto plastico. In base a queste ricerche, l’impiego dell’End of Waste nei cementifici, in sostituzione di percentuali variabili di combustibili fossili, causa la produzione e l’emissione di metalli pesanti, tossici per l’ambiente e dannosi per la salute umana. Queste sostanze quando emesse nell’ambiente, sono in grado di determinare un aumento del rischio sanitario per i residenti a causa della loro non biodegradabilità (persistenza nell’ambiente), della capacità di trasferirsi con la catena alimentare e di accumularsi progressivamente in tessuti biologici (vegetali, animali, umani). È stato dimostrato che, per alcuni metalli pesanti (soprattutto quelli dotati di maggiore volatilità), il fattore di trasferimento di queste sostanze dal combustibile derivato da rifiuti alle emissioni dell’impianto, è di gran lunga maggiore nel caso dei cementifici, quando confrontati con gli inceneritori classici. Questo valore è significativamente superiore a quello rilevabile in seguito all’utilizzo di End of Waste in impianti progettati per questo scopo (Termovalorizzatori) e, negli stessi cementifici, in misura maggiore rispetto al solo utilizzo di combustibili fossili. Questo impiego è in grado di incrementare le emissioni nell’ambiente di diossine, PCB e altri composti tossici clorurati persistenti con conseguenze negative sulla salute umana. Fattori di trasferimento considerevolmente maggiori per i cementifici sono anche evidenti nel caso del cadmio, sostanza riconosciuta come cancerogeno certo (emissioni percentuali 3.7 volte maggiori nel caso dei cementifici) e del piombo (fattore di trasferimento percentuale 203 volte maggiore nel caso dei cementifici). Nonostante le misure tecnologiche di limitazione delle emissioni adottate dai cementifici, considerato l’elevato volume di fumi emessi da tali impianti, la quantità totale di Hg che raggiungerà l’ambiente sarà, comunque, tale da incrementare in maniera significativa il rischio sanitario dei residenti nei territori limitrofi. Limitando l’analisi al solo mercurio, è stato calcolato che ogni anno in Europa nascono oltre due milioni di bambini con livelli di mercurio oltre il limite considerato “di sicurezza” dall’OMS. Pur tralasciando l’incremento del rischio sanitario da emissione di metalli pesanti cancerogeni presenti nell’End of Waste (arsenico, cadmio, cromo, nichel), problemi altrettanto rilevanti derivano dalla presenza, concessa nel rifiuto stesso, di quantità rilevanti di piombo. Il fattore di trasferimento del piombo, dall’End of Waste alle emissioni, è circa 203 volte maggiore nei cementifici, rispetto agli inceneritori tradizionali, e i valori emissivi sono resi, nel caso dei cementifici, ancora più problematici da un volume medio di fumi emessi, circa cinque volte maggiore nei cementifici rispetto agli inceneritori classici. Anche per il piombo, come per gli altri metalli pesanti, il rispetto dei limiti di legge non è in grado di tutelare adeguatamente l’età pediatrica. L’esposizione a piombo, infatti, come quella da mercurio, inizia durante la vita fetale (in utero) e comporta un accumulo progressivo e irreversibile nell’organismo. Per limitarsi all’assunzione di piombo attraverso l’acqua potabile, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’assunzione di acqua con concentrazioni di piombo pari a soli 5 μg/L comporta un apporto totale di piombo che varia da 3.8 μg/giorno in età pediatrica a 10 μg/giorno per un adulto. Un altro problema riscontrato sono le emissioni di diossina, che anche se contenute all’1% è pur sempre una quantità da considerarsi ad alto rischio per la formazione e la conseguente emissione in atmosfera di diossine, (delle quali il cloro è precursore) e altri composti tossici clorurati, da parte dei cementifici che impieghino la co-combustione dell’End of Waste in sostituzione dei combustibili fossili. Le alte temperature presenti in alcuni punti del ciclo produttivo di questi impianti favoriscono la disgregazione delle diossine. Tuttavia, evidenze scientifiche mostrano con chiarezza come, sebbene le molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature superiori a 850°C, durante le fasi di raffreddamento, (nella parte finale del ciclo produttivo la temperatura scende sino a circa 300°C) esse si riaggregano e si riformano, comparendo di conseguenza nelle emissioni. Rapporti SINTEF e pubblicazioni scientifiche internazionali, documentano la produzione di diossine e di naftaleni policlorurati da parte di cementifici con pratiche di co-combustione e, un recente studio, ha dimostrato quantità considerevoli di diossine nella polvere domestica di case localizzate nei territori limitrofi a cementifici con co-combustione di rifiuti. La Convenzione di Stoccolma richiede la messa in atto di tutte le misure possibili utili a ridurre o eliminare il rilascio nell’ambiente di composti organici clorurati (POPs) e, i cementifici con co-combustione, di rifiuti sono esplicitamente menzionati in essa. Inoltre, anche quando le emissioni di diossine siano quantitativamente contenute, l’utilizzo di combustibile derivato da rifiuti plastici, può generare la produzione e l’emissione di ingenti quantità di PCB (concentrazioni migliaia di volte superiori), composti simili alle diossine in termini di pericolosità ambientale e sanitaria. Le diossine sono composti non biodegradabili, persistenti nell’ambiente con una lunga emivita (che per alcuni congeneri arriva a superare il secolo), trasmissibili con la catena alimentare e, soprattutto, bio-accumulabili. La Environmental Protection Agency (USA EPA) ha recentemente ricalcolato il livello giornaliero di esposizione a diossine considerato non a rischio per l’organismo umano, che è pari a 0.7pg (0.0007ng) di diossine per Kg di peso corporeo.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - termovalorizzatoriApprofondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'Nel settore del packaging dei prodotti in carta la società Italiana Lucart ha acquisito il controllo della società Inglese ESP un traspformatore di prodotti professionali in carta.Lucart ha acquisito il 100% del capitale sociale di ESP Ltd (Essential Supply Products Ltd.). Si tratta del principale trasformatore indipendente di prodotti professionali per l'igiene della Gran Bretagna. Il Gruppo prosegue così il proprio piano di internazionalizzazione, nonostante le incertezze derivanti dalla Brexit e dalla pandemia.L'investimento contribuirà a rafforzare in maniera decisiva la leadership di Lucart nel mercato europeo dei prodotti per l’igiene Away from Home. Massimo Pasquini, Amministratore Delegato di Lucart, ha così commentato l'importante traguardo: “Questa operazione ha una rilevanza strategica per tutto il Gruppo, in quanto ci permette di consolidare la nostra presenza in Gran Bretagna, che rappresenta, per i prodotti in carta tissue, il secondo mercato più grande d’Europa. La nostra solidità finanziaria e la volontà di perseguire gli obiettivi strategici del Gruppo, unitamente alla consapevolezza che le difficoltà legate al momento storico che stiamo vivendo non debbano farci perdere la visione di lungo periodo - prosegue Pasquini - ci hanno consentito di superare anche le incertezze generate dalla Brexit e dalla pandemia Covid-19. Abbiamo portato a termine un importante ulteriore passo per lo sviluppo futuro di tutto il Gruppo”. Essential Supply Products Ltd Fondata nel 1990, Essential Supply Products Ltd registra oggi un fatturato pari a circa 30 milioni di euro all’anno. La Società, con sede e stabilimento produttivo a Malvern, impiega 85 persone su 5 diverse linee di trasformazione. Gli impianti produttivi si sviluppano su una superficie di 77.000 mq, di cui 15.000 coperti. Per posizione, mercato e tipologia di produzione, questi permetteranno di attivare importanti sinergie con gli altri stabilimenti del Gruppo. Il fondatore Carl Theakston collaborerà in prima persona per favorire il passaggio di consegne. Le sue parole riflettono la consapevolezza di aver trovato in Lucart l'acquirente ideale per il futuro della Società: "Negli anni abbiamo effettuato numerose operazioni per permettere a ESP di continuare a competere ai massimi livelli. Col tempo però mi sono reso conto che lo standard di investimenti necessario a rendere concrete le mie ambizioni per questa azienda necessitava di un investitore che condividesse i valori della famiglia ESP e che avesse la visione e il desiderio di far crescere la società in modo sostenibile e al suo pieno potenziale. Lucart - conclude Theakston - è un gruppo multinazionale a conduzione familiare che opera da 68 anni. La sua storia, visione e impegno verso i modelli di sviluppo sostenibile lo rendono l’investitore ideale perché l’avventura di ESP possa proseguire nel migliore dei modi”.Info da Lucart
SCOPRI DI PIU'Il Regno Unito Ricicla Meno Rifiuti di Quanti ne Bruciadi Marco ArezioTutta l’Europa è protesa ad alzare i tassi di riciclo delle proprie nazioni, con una gara all’eccellenza espressa in quantità di rifiuti selezionati e immessi nuovamente sul mercato sotto forma di materia prima.L’Italia è il primo paese in Europa in termini di quantità riciclate con il 79,3%, secondo il rapporto GreenItaly della Fondazione Symbola, seguita dalla Francia a 55,8%, con una media europea al 39,2%. In alcuni paesi, come il Regno Unito si avvertono delle incongruenze, secondo gli osservatori locali, sia in termini di sistemi di conteggio delle percentuali riciclate che dei sistemi di smaltimento dei rifiuti. Infatti, un'indagine del programma Dispatches di Channel 4 del Regno Unito rivela che l'11% dei rifiuti domestici britannici, raccolti per il riciclaggio, viene inviato agli impianti di incenerimento invece che essere riutilizzato o riciclato. Le emissioni totali di carbonio dall'incenerimento hanno ora superato quelle del carbone. Fino alla metà degli anni '90 il Regno Unito inviava il 90 percento dei suoi rifiuti in discarica, quale modo semplice ed economico per smaltire i rifiuti. Il governo britannico ha poi introdotto una tassa sulle discariche rendendo molto più costoso lo smaltimento attraverso questo canale, quindi il mercato ha trovato un'alternativa. La soluzione era "energia dai rifiuti", dove gli stessi vengono bruciati per produrre elettricità. Nel 2008 il governo britannico ha fissato l'obiettivo di riciclare il 50% dei rifiuti domestici entro il 2020, ma negli ultimi cinque anni il tasso di riciclaggio si è fermato al 45%. Uno dei massimi esperti di riciclaggio del Regno Unito, il professor Karl Williams, direttore della gestione dei rifiuti presso l'Università del Lancashire centrale, ha espresso seri dubbi anche su questa cifra: "Non è una cifra reale, perché quando parliamo di tassi di riciclaggio si parla solo di tassi di raccolta. Quindi il modo in cui conteggiamo i dati sul riciclaggio, al momento, viene espresso tramite la quantità di materiale che raccogliamo dalle famiglie, questo poi viene misurato e pesato, trasformando questo valore come dato sul riciclaggio ". Gli studi dimostrano che più del 50% di ciò che le persone mettono nei rifiuti potrebbe essere riciclato o compostato se fosse fatta una differenziazione corretta. Quello che stanno bruciando sono risorse preziose I sostenitori dell'incenerimento dicono che questa è una soluzione sostenibile al problema dei rifiuti, evitando che milioni di tonnellate vadano nelle discariche. La giustificazione per loro è "che non abbiamo attualmente le sufficienti strutture per riciclare tutta la plastica”. “Abbiamo molti rifiuti, secondo loro, che non possiamo gestire, a parte il conferimento in discarica. Pertanto, ha senso bruciarli per ricavarne energia invece di bruciare altri tipi di combustibili fossili”, afferma il Professor Williams. Ma Georgia Elliott-Smith, un ingegnere ambientale, crede che si potrebbe fare di più per fermare la combustione di materiali riciclabili: “La realtà è che circa il 60 per cento di ciò che va in questi inceneritori di rifiuti nel Regno Unito possa essere riciclabile. E’ quindi essenziale capire che ciò che stanno bruciando sono risorse preziose che dovrebbero rimanere nell'economia, essere riciclate, riutilizzate e non e bruciate. Al momento, gli obiettivi di riciclo assegnati ad ogni autorità locale responsabile dei rifiuti non sono raggiunti, ma, nello stesso tempo, non ci sono sanzioni per il mancato raggiungimento degli obbiettivi assegnati ". La crescita dei termovalorizzatori ha creato un mercato dell’input vorticoso, che deve assicurare carburante da bruciare agli impianti con la necessità di generare rifiuti in modo continuo. Le emissioni totali di carbonio dall'incenerimento hanno superato quelle del carbone Le emissioni di carbonio, C02, sono uno dei principali motori del cambiamento climatico, motivo per cui c'è stato un allontanamento dall'energia creata con il carbone, tuttavia più inceneritori che generano energia significano un costante incremento di C02. I dati per il 2019 mostrano che i 48 inceneritori del Regno Unito hanno emesso un totale di circa 12,6 milioni di tonnellate di CO2. In confronto, il settore del carbone, in declino, ha prodotto 11,7 milioni di tonnellate di CO2. Tutti i produttori di energia devono pubblicare le loro emissioni totali di anidride carbonica, ma l'industria dell'incenerimento deve solo tenere conto del C02 dalla combustione di rifiuti fossili come la plastica. Quindi non devono segnalare le emissioni da fonti come il cibo e i rifiuti del giardino, noti come CO2 biogenica. Gli attivisti ambientali affermano che questa è una "contabilità creativa del carbonio". “Al momento gli inceneritori di rifiuti sono completamente esclusi da qualsiasi tipo di tassa sul carbonio. Non pagano alcuna tassa sul carburante che ricevono, che è il rifiuto, e non pagano alcuna tassa sulle emissioni che creano, quindi hanno questo doppio vantaggio economico che li rendono vantaggiosi, economici e redditizi ", afferma ingegnere ambientale Georgia Elliott-Smith.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti Vedi maggiori informazioni sull'argomentoFonti wmw
SCOPRI DI PIU'Quali possibili danni per la salute dei lavoratori e quali comportamenti da adottaredi Marco ArezioI fumi, generati durante l'estrusione o l’iniezione delle materie plastiche da post consumo, possono contenere una varietà di sostanze chimiche e particelle solide, alcune delle quali possono essere tossiche o potenzialmente dannose per la salute umana.Tipologia di inquinanti nella fusione delle materie plasticheLa tossicità dei fumi dipende dalla composizione specifica delle materie plastiche da post consumo e dalle condizioni operative del processo di estrusione. Alcuni dei potenziali rischi per la salute associati ai fumi di estrusione includono: Particelle solide: durante l'estrusione, possono essere generati fumi che contengono particelle solide sospese nell'aria. Queste particelle possono includere residui di plastica non completamente fusi o frammenti di plastica, che possono essere inalati e causare irritazione delle vie respiratorie o problemi respiratori. Emissioni gassose: i fumi possono contenere emissioni gassose derivanti dalla decomposizione o combustione incompleta dei materiali plastici. Queste emissioni possono includere sostanze chimiche tossiche o irritanti come monomeri, polimeri degradati, agenti di stabilizzazione termica o additivi chimici presenti nelle materie plastiche da post consumo. Composti organici volatili (COV): alcuni fumi possono contenere composti organici volatili, come solventi o altre sostanze organiche che si vaporizzano a temperature elevate. L'esposizione a COV può causare irritazione delle vie respiratorie, mal di testa, nausea, vertigini o effetti a lungo termine sulla salute. Additivi chimici: le materie plastiche da post consumo possono contenere additivi chimici, come plastificanti, ritardanti di fiamma o additivi antistatici. Durante l'estrusione, questi additivi possono degradarsi o essere rilasciati nei fumi, potenzialmente causando rischi per la salute umana a seconda delle sostanze chimiche coinvolte. Polveri e particelle ultrafini: l'estrusione può generare polveri e particelle ultrafini che possono essere inalate e penetrare profondamente nei polmoni. Queste particelle possono causare irritazione polmonare, infiammazione o effetti a lungo termine sulla salute respiratoria. La valutazione specifica dei rischi per la salute dei fumi di estrusione delle materie plastiche da post consumo richiede una conoscenza dettagliata della composizione chimica dei materiali utilizzati e delle condizioni operative specifiche. Fattori di insorgenza degli inquinanti I principali fattori che influenzano la pericolosità dei fumi durante la fusione delle plastiche riciclate si raggruppano in questi fattori: Composizione dei materiali riciclatiLa composizione delle plastiche riciclate può variare notevolmente a seconda delle fonti di riciclo e dei processi di riciclaggio utilizzati. Alcuni materiali riciclati possono contenere sostanze chimiche nocive o additivi che possono essere rilasciati durante l'estrusione. Temperatura di estrusioneLa fusione delle plastiche richiede temperature elevate, e il riscaldamento dei materiali riciclati può causare la generazione di fumi e vapori. Alcune sostanze chimiche presenti nelle plastiche riciclate possono decomporsi a temperature elevate, producendo composti potenzialmente pericolosi. Durata dell'esposizioneLa durata dell'esposizione ai fumi durante la fusione delle plastiche riciclate può influenzare il potenziale impatto sulla salute dei lavoratori. Effetti sulla salute dei lavoratori Gli effetti sulla salute dei lavoratori possono dipendere dalla concentrazione e dalla durata dell'esposizione ai fumi nocivi.I fumi che scaturiscono dalla fusione delle materie plastiche possono rappresentare diversi rischi per la salute dei lavoratori, tra cui: Irritazione delle vie respiratorie I fumi possono irritare le vie respiratorie, causando tosse, difficoltà respiratorie, congestione e infiammazione delle mucose. Effetti sul sistema nervoso Alcune sostanze chimiche presenti nei fumi possono avere effetti sul sistema nervoso, come mal di testa, vertigini, affaticamento o disturbi neurologici. Effetti sul sistema cardiovascolare L'esposizione a fumi nocivi può influenzare il sistema cardiovascolare, aumentando il rischio di malattie cardiovascolari. Effetti sul fegato e sui reni Alcune sostanze chimiche presenti nei fumi possono essere tossiche per il fegato e i reni, se assorbite nel corpo. Effetti cancerogeni Alcuni composti chimici presenti nei fumi possono essere cancerogeni o aumentare il rischio di sviluppare malattie tumorali. Mitigazione dei rischi sanitari nelle produzioni di materie plastiche per fusione Per mitigare i rischi per la salute dei lavoratori durante l'estrusione delle plastiche riciclate, sono necessarie misure di prevenzione e sicurezza appropriate, tra cui: Ventilazione adeguata: è importante garantire una buona ventilazione nell'area di lavoro per diluire e rimuovere i fumi generati durante l'estrusione. Uso di dispositivi di protezione individuale (DPI): i lavoratori devono utilizzare DPI appropriati, come maschere respiratorie, occhiali di protezione e guanti, per ridurre le possibili esposizioni ai fumi nocivi. Monitoraggio dell'ambiente di lavoro: è consigliabile effettuare il monitoraggio regolare dell'ambiente di lavoro per valutare la presenza di sostanze nocive nei fumi e per garantire che i livelli di esposizione siano al di sotto dei limiti di sicurezza. Formazione e sensibilizzazione dei lavoratori: è importante fornire una formazione adeguata ai lavoratori riguardo ai rischi associati all'estrusione delle plastiche riciclate, inclusi i fumi generati, e alle misure di sicurezza da adottare per proteggere la propria salute. Buone pratiche di gestione e manipolazione: adottare buone pratiche di gestione e manipolazione dei materiali riciclati, tra cui l'uso di sistemi chiusi, la riduzione dell'esposizione alla polvere e l'adozione di procedure di pulizia adeguate. Monitoraggio medico: è consigliabile effettuare un monitoraggio medico regolare dei lavoratori esposti ai fumi per identificare eventuali effetti sulla salute e intervenire tempestivamente. Tecnologie per la riduzione degli inquinanti nei reparti di fusione delle plastiche Per la filtrazione dei fumi provenienti dall'estrusione delle materie plastiche da post consumo, vengono utilizzati sistemi di filtrazione industriale, appositamente progettati per catturare e rimuovere le particelle solide e le sostanze inquinanti presenti nei fumi. Alcune delle tipologie di filtrazione industriali comunemente impiegate includono: Filtrazione a cartucce Questo tipo di filtrazione prevede l'utilizzo di cartucce filtranti che catturano le particelle solide e altre sostanze inquinanti presenti nei fumi. Le cartucce filtranti possono essere realizzate con materiali diversi, come polipropilene, poliestere o fibra di vetro, a seconda delle esigenze specifiche dell'applicazione. Filtrazione a sacchi I sistemi di filtrazione a sacchi utilizzano sacchi filtranti per trattenere le particelle solide presenti nei fumi. I sacchi filtranti sono realizzati in materiali porosi che consentono il passaggio dell'aria mentre intrappolano le particelle. Filtrazione elettrostatica La filtrazione elettrostatica sfrutta la carica elettrostatica per attirare e trattenere le particelle presenti nei fumi. I sistemi di filtrazione elettrostatica utilizzano elettrodi carichi e filtri carichi elettrostaticamente per catturare le particelle. Filtrazione a secco La filtrazione a secco prevede l'utilizzo di dispositivi, come precipitatori elettrostatici a secco o filtri a gravità, per separare e trattenere le particelle solide presenti nei fumi. Questi dispositivi possono essere efficaci nella rimozione di particelle di grandi dimensioni. Filtrazione a umido La filtrazione a umido coinvolge l'utilizzo di sistemi di scrubbing o lavaggio che rimuovono le particelle solide e i gas inquinanti dai fumi attraverso l'utilizzo di acqua o altri liquidi. È importante valutare attentamente le esigenze specifiche del processo di estrusione delle materie plastiche da post consumo per determinare la tipologia di filtrazione industriale più adatta. Le scelte dipenderanno dalle caratteristiche dei fumi generati, dalla dimensione delle particelle da rimuovere e dagli obiettivi di purificazione dell'aria.
SCOPRI DI PIU'