Il Caso della Formula del Polipropilene Perduta a Milano. Capitolo 4: L'Arrestodi Marco ArezioLa mattinata milanese si apriva chiara e promettente, con l'aria fresca che sembrava anticipare nuovi inizi. Nel cuore pulsante della città, il commissario Lucia Marini, l'ispettore Carlo Conti e un gruppo di agenti selezionati erano posizionati con strategica precisione nei pressi dell'abitazione di Enrico Sartori, pronti per un'operazione che aveva richiesto ore di meticolosa pianificazione. Con loro, Martelli, il tecnico del laboratorio coinvolto nella vicenda, mostrava un viso segnato da ansia e determinazione. "Spero davvero che tutto questo finisca oggi," sussurrava Martelli, scrutando con apprensione l'ingresso dell'edificio di Sartori. "Finirà, Luca. Hai fatto la tua parte, ora tocca a noi," rispondeva Marini, la voce calma ma piena di autorità. Fuori dal laboratorio, Luca Martelli è un uomo di semplici piaceri e profondi valori. Cresciuto in una famiglia operaia della periferia milanese, ha imparato il valore del duro lavoro e dell'integrità da suo padre, un meccanico, e da sua madre, una casalinga. Nonostante le lunghe ore trascorse al lavoro, Luca cerca di dedicare il suo tempo libero agli amici e alle sue passioni, che includono il cinema neorealista italiano, le partite di calcio al parco e le gite fuori porta in Vespa, la moto che ha ereditato dal padre. La sua vita affettiva è segnata da una relazione con Giulia, una bibliotecaria appassionata di letteratura italiana, che condivide con lui un profondo amore per la cultura e gli ideali di giustizia e equità. La loro relazione, basata su valori comuni e supporto reciproco, offre a Luca un rifugio dalle pressioni del lavoro e dalle sue crescenti preoccupazioni etiche riguardo alle direzioni prese da Sartori. La scoperta del coinvolgimento di Sartori nel furto della formula segna un punto di svolta nella vita di Martelli. Inizialmente riluttante a credere che il suo mentore possa essere coinvolto in attività illecite, Luca è costretto ad affrontare una dolorosa verità, mettendo in discussione la sua fiducia nelle persone e nei principi che aveva sempre dato per scontati. Quando Sartori fece la sua comparsa, l'adrenalina salì alle stelle. Vestito con un'eleganza sobria, l'uomo attraversò la soglia di casa senza immaginare che quella sarebbe stata una giornata fuori dall'ordinario. Gli agenti, su segnale di Marini, si mossero con coordinazione precisa, circondandolo in un istante. "Sartori, sei in arresto per il furto della formula del professor Ferrari," dichiarava Marini, avanzando con le manette. La sorpresa di Sartori durò poco, presto sostituita dalla rassegnazione. Tuttavia, nel momento in cui gli agenti si avvicinarono per ammanettarlo, l'istinto di sopravvivenza prevalse. Con un movimento repentino e disperato, Sartori spintonò l'agente più vicino e si lanciò in una corsa frenetica. "Prendetelo!" gridava Marini, mentre l'inseguimento si spostava dalle quiete mattutine di un cortile milanese alle affollate vie della città. L'inseguimento a piedi attraverso le strade di Milano fu un'esperienza elettrizzante. Sartori, agile e disperato, si destreggiava tra i passanti sorpresi, sfruttando ogni possibile ostacolo per rallentare i suoi inseguitori. Marini e Conti, insieme ad alcuni agenti, mantenevano una distanza costante, comunicando via radio per cercare di anticipare le mosse dell'uomo. La fuga di Sartori lo portò in una labirintica corsa attraverso vicoli stretti, piazze affollate e persino attraverso un mercato all'aperto, dove banchi di frutta e verdura divennero involontari complici nel tentativo di guadagnare terreno. L'adrenalina dell'inseguimento pulsava nelle vene di inseguitori e fuggitivo, un duello di astuzia e resistenza che metteva alla prova la determinazione di entrambi. La svolta avvenne quando Sartori, in un tentativo disperato di eludere la cattura, si lanciò in un vicolo cieco. Realizzando troppo tardi l'errore, si voltò solo per trovarsi faccia a faccia con Marini e gli altri agenti, che erano riusciti a prevedere la sua mossa e a chiudergli ogni via di fuga. "Sartori, è finita," dichiarava Marini, il respiro affannoso ma la determinazione incrollabile. In quel vicolo angusto, avvolto dall'ombra delle antiche mura milanesi, il commissario Lucia Marini si trovò faccia a faccia con Enrico Sartori, un uomo che fino a poco tempo prima era stato considerato un luminare nel suo campo. La caccia che l'aveva portata fino a quel momento di svolta non era stata solo fisica, ma anche morale, un viaggio attraverso le ombre del genio umano e dei suoi abissi. "Enrico," iniziò il commissario Marini, la sua voce era un misto di fermezza e di una sorta di tristezza, quasi di lutto per ciò che Sartori era diventato. "Questo è il punto in cui i nostri percorsi si incontrano, in un vicolo cieco che è simbolico delle scelte che hai fatto. Avresti potuto essere ricordato come un pioniere, un innovatore che ha spinto l'umanità verso nuovi orizzonti. Invece, hai scelto un percorso più oscuro." Sartori, con la schiena contro il muro umido e l'aria fredda della mattina che gli sfiorava il viso, sembrava per un momento perso nei suoi pensieri, riflettendo sulle parole del commissario. "Nel mondo della ricerca, commissario, la pressione di emergere, di lasciare un segno è schiacciante. Ho temuto di essere dimenticato, di diventare una nota a piè di pagina in qualche oscuro giornale scientifico. Volevo che il mio nome fosse ricordato, ma mi rendo conto ora del prezzo di quella vanità." Lucia lo osservava, vedendo non solo il criminale ma l'uomo spezzato davanti a lei. "L'ambizione, Enrico, è come il fuoco. Usata con saggezza, può illuminare il mondo. Ma lasciata senza controllo, può distruggere tutto ciò che tocca. Hai avuto fiducia, rispetto, ammirazione... e hai scelto di bruciare tutto per un'illusione di grandezza." Il silenzio che seguì fu pesante, rotto solo dal lontano rumore della città che andava avanti ignara. "Non pensi che ogni uomo desideri lasciare un'eredità? Che abbia paura dell'oblio?" chiese Sartori, quasi sussurrando, cercando negli occhi del commissario una scintilla di comprensione. "La vera eredità, Enrico, non si misura dalle scoperte che rivendichiamo come nostre o dal denaro che accumuliamo. Si misura dall'impatto che abbiamo sulle vite degli altri, dall'integrità con cui viviamo ogni giorno. Hai avuto l'opportunità di ispirare generazioni, di guidare il mondo verso un futuro migliore con la tua intelligenza e la tua passione. Eppure, hai scelto un percorso che porta solo all'isolamento e al rimpianto." Mentre le parole del commissario risuonavano nel vicolo, Sartori abbassò lo sguardo, vinto. Forse, per la prima volta, comprendeva l'ampiezza della sua caduta, non solo agli occhi della legge, ma anche di quelli della propria coscienza. Il commissario Marini, pur consapevole del suo dovere di portare Sartori alla giustizia, non poteva fare a meno di provare una profonda compassione per lui. Era un promemoria doloroso che, al di là delle leggi che si infrangono, ci sono vite che si spezzano, sogni che si trasformano in incubi. La storia di Sartori era un monito per tutti, un ricordo che le scelte che facciamo non solo definiscono il nostro destino, ma tessono anche il tessuto più ampio della nostra umanità condivisa. Con un gesto deciso, il commissario fece segno ai suoi uomini, che attendevano discretamente nelle ombre, di avvicinarsi. Mentre Sartori veniva ammanettato e portato via, Lucia Marini rimase per un momento da sola nel vicolo, contemplando il peso delle parole scambiate e il prezzo della giustizia in un mondo imperfetto. Dopo l'arresto di Enrico Sartori, il commissario Lucia Marini e l'ispettore Carlo Conti furono convocati nell'ufficio del questore, un uomo di mezza età dalla presenza autorevole e dallo sguardo penetrante, che aveva seguito con crescente interesse l'evolversi delle indagini. L'incontro era destinato a essere un momento cruciale, non solo per condividere i dettagli dell'operazione, ma anche per consolidare le prove raccolte in vista del processo imminente. Maurizio Romano, Questore della città di Milano, è un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio della giustizia. La sua carriera, iniziata sul campo come semplice agente, è stata costellata da un'ascesa costante, grazie alla sua abilità nell'investigazione, alla leadership innata e a un'incrollabile etica del lavoro. Nel corso degli anni, Romano ha visto la trasformazione della sua città e del suo corpo di polizia, adattandosi ai cambiamenti con pragmatismo ma mantenendo sempre vive le tradizioni e i valori che considera fondamentali. Come Questore, Romano è profondamente rispettato dai suoi colleghi per la sua equità, il suo coraggio e la sua capacità di guidare con l’esempio. Nonostante la posizione di alto rango, non ha mai perso il contatto con la realtà del lavoro sul campo, spesso spendendo tempo con i suoi agenti e partecipando attivamente alle fasi cruciali delle indagini. Al di là della divisa, Maurizio Romano è un uomo di sorprendente sensibilità e cultura. Amante dell'arte e della storia, trova rifugio e ispirazione visitando le numerose gallerie e musei di Milano. La sua passione per la lettura spazia dalla letteratura classica italiana a opere di filosofia e storia, riflettendo il suo desiderio di comprendere il mondo in tutte le sue sfaccettature. Romano è vedovo, avendo perso la moglie Caterina a causa di una malattia alcuni anni prima degli eventi narrati. La loro era una relazione profonda, fondata su un amore reciproco per l'arte e il dialogo intellettuale. La perdita ha lasciato un vuoto nella vita di Maurizio, che tuttavia trova conforto nel ricordo della loro condivisione e nella vicinanza di sua figlia, Sofia, studentessa universitaria in lettere. Il questore accolse Marini e Conti con un cenno del capo, invitandoli a prendere posto davanti alla sua scrivania. "Commissario Marini, ispettore Conti," iniziò con tono misurato, "avete condotto un'indagine complessa con dedizione e acume notevoli. Sono ansioso di ascoltare il racconto delle vostre azioni e di comprendere come abbiate costruito il caso contro il signor Sartori." Lucia prese la parola per prima, delineando con precisione e chiarezza le fasi dell'indagine, dalla raccolta iniziale di indizi alla sorveglianza sotto copertura, fino all'arresto decisivo nel vicolo. Carlo, dal canto suo, fornì dettagli tecnici sull'analisi delle prove e sulla ricostruzione degli eventi che avevano portato alla svolta del caso. Mentre ascoltava, il questore annuiva, visibilmente impressionato dalla metodologia e dalla rapidità con cui l'indagine era stata portata a termine. Al termine del racconto, si alzò in piedi, esprimendo il suo apprezzamento con parole ponderate. "Commissario Marini, ispettore Conti, desidero esprimervi il mio più sincero elogio per l'eccellente lavoro svolto," disse, il suo sguardo spazzando tra i due. "In tempi in cui la fiducia nel nostro lavoro è messa alla prova, il vostro impegno e la vostra integrità sono un esempio lampante dell'eccellenza che caratterizza la nostra forza. Avete non solo risolto un caso complesso in un lasso di tempo incredibilmente breve, ma avete anche dimostrato una dedizione incommensurabile alla giustizia." Si avvicinò, porgendo loro una mano in segno di congratulazioni. "La vostra abilità nel raccogliere e consolidare le prove contro Sartori è stata fondamentale. Grazie al vostro lavoro, ora possediamo un caso solido da presentare in tribunale, aumentando significativamente le possibilità di una condanna. Questo non solo riafferma il nostro impegno nei confronti della legalità e dell'ordine pubblico, ma ristabilisce anche la fiducia dei cittadini nel nostro operato." Con un ultimo sguardo di approvazione, il questore concluse: "La vostra azione rappresenta il meglio di noi. Questo successo è un merito che condividete non solo come individui ma come rappresentanti dell'intera forza di polizia. Vi esorto a continuare su questa strada, mantenendo alti gli standard di eccellenza e dedizione che avete dimostrato."
SCOPRI DI PIU'Rallentare, ridurre i consumi e migliorare la propria vita con un approccio meno esigentedi Marco ArezioIn un mondo che corre sempre più veloce, dove il consumo sembra non conoscere freni, emerge una necessità impellente: rallentare. Non solo per dare respiro alle nostre vite spesso troppo affannate ma per garantire un futuro al pianeta che abitiamo.È qui che si intrecciano due concetti fondamentali per la sostenibilità del nostro mondo: l'economia circolare e la vita lenta. Seppur apparentemente distanti, queste due filosofie condividono un obiettivo comune: promuovere un'esistenza più equilibrata e rispettosa dell'ambiente.L'economia circolare, con il suo invito a ridurre, riutilizzare e riciclare, ci offre una strada per diminuire l'impronta ecologica delle nostre attività produttive. Questo modello si distacca radicalmente dall'approccio lineare di "prendere, fare, disfarsi", tipico del sistema economico prevalente, che ha portato a uno sfruttamento insostenibile delle risorse naturali. Ma come si collega questo alla slow life? La slow life è un invito a rallentare, a riconnettersi con i ritmi naturali, a valorizzare la qualità della vita rispetto alla quantità dei consumi. In questo contesto, rallentare significa anche riflettere sul nostro impatto ambientale, scegliere con cura ciò che acquistiamo, privilegiando prodotti sostenibili, riciclati o riciclabili, che rispecchiano i principi dell'economia circolare. Immaginiamo, ad esempio, il semplice atto di acquistare un capo di abbigliamento. In una logica di consumo veloce, la scelta potrebbe ricadere su prodotti di moda, economici ma di doppia durata e provenienza. Invece, adottando una prospettiva lenta e circolare, potremmo preferire capi prodotti con materiali sostenibili, magari riciclati o provenienti da filiere etiche, che garantiscano una maggiore durabilità. Questo non solo riduce la quantità di rifiuti generati ma promuove anche pratiche di produzione più rispettose dell'ambiente e dei lavoratori. La transizione verso una vita più lenta e circolare non si limita al consumo consapevole ma si estende a tutti gli aspetti della nostra esistenza. Dal cibo che scegliamo di consumare, preferibilmente locale e di stagione, al modo in cui decidiamo di spostarci, privilegiando mezzi di trasporto meno inquinanti o, perché no, il buon vecchio camminare. Rallentare ci permette di apprezzare di più ciò che ci circonda, di instaurare relazioni più significative con gli altri e con l'ambiente. Questa maggiore consapevolezza ci rende anche più inclini a riconoscere il valore intrinseco delle cose, non solo il loro valore economico, spingendoci a prendere decisioni più sostenibili. Ma come può ciascuno di noi contribuire a questo cambiamento? La risposta sta nella quotidianità delle nostre scelte. Si comincia con piccoli gesti: riparare anziché sostituire, condividere invece di possedere, riutilizzare piuttosto che scartare. Attraverso la piattaforma rMIX, per esempio, possiamo dare vita a un circolo virtuoso di offerte e richieste su prodotti riciclati e servizi sostenibili, creando un mercato che premia le scelte consapevoli. Promuovere un'esistenza più lenta e circolare è un cammino che richiede tempo e impegno, ma è anche un'opportunità per riscoprire il piacere di vivere in armonia con il mondo che ci ospita. È un invito a guardare al futuro con speranza, consapevoli che ogni nostra azione può contribuire a costruire un mondo migliore, più giusto e sostenibile per noi e per le generazioni a venire.
SCOPRI DI PIU'Al lavoro, a casa, con gli amici, essere sempre disponibile per non sentirsi esclusidi Marco ArezioStare in un contesto sociale, che sia il lavoro, la tua famiglia o i tuoi amici, comporta sempre di costruire un rapporto che dovrebbe soddisfare entrambe le parti. Nelle relazioni tra le persone e i gruppi di essi, entra però in gioco il carattere di ognuna che ha il potere di modificare un rapporto diretto o lo spirito del gruppo. A volte può succedere che nel contesto quotidiano, un crescente aumento degli impegni vengano svolte da poche o dalle uniche persone che si sentono investite dal dovere di farlo. Non è sempre una questione di pressione o sopraffazione di un individuo sull’altro che indirizzano impegni continui su alcuni soggetti, ma più spesso sono le queste persone che si rendono eccessivamente disponibili facendosi carico di oneri eccessivi. All’interno dei team di lavoro, specialmente quelli gerarchici, si intravede in poco tempo i soggetti che, volenti o nolenti, sono destinatari di attività e di impiego di tempo lavorativo più lungo di altri. Nella famiglia capita spesso che, specialmente le donne, siano oberate da lavori, commissioni, impegni e responsabilità, creando loro stesse un disequilibrio di forze che le penalizza, consumando il loro tempo e non apprezzando la loro vita. Anche in un contesto di amicizie, che esista un gruppo numeroso o pochi amici, si creano delle gerarchie in cui esiste quasi sempre un elemento che si mette a disposizione di altri, si sacrifica per rendere fluido il rapporto e si carica di impegni più o meno importanti. Queste persone sono generalmente vittime di se stesse, difficilmente sono costrette a impiegare il proprio tempo per gli altri, ma si sentono di doverlo fare principalmente per farsi accettare, per credere di essere utili e per questo necessari al gruppo, senza il quale pensano che resterebbero soli. A volte la sottostima di se stessi porta a fare in modo che l’accrescere di sforzi ed impegni possa colmare quell’insicurezza che si ha, pensando che quanto fatto per gli altri sia inteso come una qualità della persona stessa. Ritorniamo sempre nell’ottica di farsi accettare, di essere all’interno di un sistema, di non restare soli e di pensare che, solo attraverso uno sforzo extra, possiamo mascherare l’inadeguatezza che si prova. E’ una forma di annullamento personale che si baratta con un posto in un consesso di persone, che sia il lavoro, la famiglia o gli amici, un vicolo cieco in cui non si riesce ad uscire o non si vuole uscire per paura che i fragili equilibri raggiunti vadano in pezzi. Come uscirne? Prima di tutto c’è da valutare se il tempo speso per i continui impegni possa dare dei ritorni personali sufficienti rispetto allo sforzo compiuto. Se questo non è bisogna ricordare che il tempo rubato a qualcuno, anche involontariamente, è perso per sempre. Ogni essere umano investe il proprio tempo per fare qualche cosa che possa farlo stare bene o possa soddisfare le sue necessità, materiali od affettive, ed è proprio per questo che questa soddisfazione deve avere un equilibrio altrimenti non ne vale la pena. Se tu vai a lavorare 8 al giorno ore prenderai un salario, con questo soddisfi i tuoi bisogni materiali, ma se a parità di salario dovessi lavorarne 16 al giorno, forse sarebbe meglio pensare ad un lavoro diverso. Quindi, nei rapporti con le persone vale più o meno la stessa regola, il tempo speso dovrebbe avere un ritorno soddisfacente per te, che sia sotto forma di relazione affettiva, materna, di amicizia e anche in un consesso lavorativo. Inoltre è necessario rompere quella catena che lega i tuoi rapporti con gli altri con la valutazione che fai di te stesso, pensando che ogni essere vivente ha pregi e fragilità e, molto spesso, si tende a mascherare le fragilità ed esaltare i pregi, non conoscendo mai le persone per quelle che sono. Creare un equilibrio tra quello che fai e quello che ricevi considerando che si deve avere il diritto di cercare la soddisfazione della propria vita, senza mettersi a pieno servizio degli altri in modo unilaterale.Categoria: Slow life - vita lenta - felicità Foto: Corriere della Sera
SCOPRI DI PIU'Tavole, bancali, segatura, blocchetti per pallets, biomasse, pavimenti, pannellature, pellets, arredamento, porte, isolanti in fibra riciclata e serramentidi Marco ArezioSul portale del riciclo rMIX puoi trovare offerte, richieste e notizie sul mondo del legno riciclato, sia sotto forma di materia prima che di prodotto semilavorato o finito. Il legno riciclato proviene dalla raccolta dello scarto che viene inviato al riciclo, mentre i prodotti finiti in legno riciclato sono recuperati da ristrutturazioni o cambio di destinazione d'uso.I prodotti principale trattati sono:travicapriatepavimentipannelliinfissimobiliassipalletspelletspackaging variobiomassescarti di lavorazioneCategoria: notizie - legno - economia circolare - riciclo - rifiuti
SCOPRI DI PIU'Nylon, Polipropilene, Polietilene, Poliestere sono i principali polimeri che costituiscono le reti da pesca modernedi Marco ArezioLe reti da pesca vengono costruite in Nylon, Polipropilene, Polietilene, Poliestere ed altri materiali che ne rendono economica e tenaci le strutture, ma che comportano un grave problema ambientale se abbandonate nel mare. Questo fenomeno dipende molto spesso da situazioni accidentali in cui le navi da pesca perdono le reti o parti di esse, per svariati motivi, uno tra questi sono le perturbazioni o le condizioni difficili del mare. Il problema dell’inquinamento delle attrezzature da pesca disperse in mare era già stato segnalato nel 2009 da un rapporto della FAO quando non si parlava ancora di inquinamento da plastica nei mari. Secondo il rapporto 2020 dell'ECA Europa l’abbandono e la dispersione di plastica nell’ambiente danneggiano gli ecosistemi terrestri e marini. Ogni anno viene immessa nell’oceano una quantità di rifiuti di plastica compresa tra 4,8 a 12,7 milioni di tonnellate. Le proporzioni tra rifiuti di plastica terrestri e marini variano da regione a regione. Secondo uno studio recente, le reti da pesca costituirebbero anche il 46 % della Grande chiazza di immondizia del Pacifico (Great Pacific garbage patch). In Europa, l’85 % circa dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge è di plastica. Il 43 % circa di questi rifiuti marini è costituito da plastica monouso e il 27 % da attrezzi da pesca. In un altro rapporto scritto da Greenpeace nel novembre 2019 si stimava che 640.000 tonnellate di attrezzature da pesca abbandonate o perse, entravano nell'oceano ogni anno, equivalenti in peso a oltre 50 mila autobus a due piani. In totale, costituiscono circa il 10% dei rifiuti di plastica nei nostri oceani, intrappolando e uccidendo la vita marina. Il rapporto è stato scritto mentre la nave di Greenpeace, Arctic Sunrise, stava esaminando il Monte Vema, una montagna sottomarina biodiversa nell'Atlantico, a 1.000 chilometri al largo della costa del Sud Africa, dove si possono ancora trovare i resti dell'industria della pesca un tempo attiva. Parlando della spedizione sul Monte Vema, Thilo Maack, della campagna Protect the Oceans di Greenpeace, aveva dichiarato: "Molto tempo dopo il loro abbandono, le attrezzature da pesca continuano ad uccidere, mutilare la vita marina e inquinare anche ecosistemi remoti come la montagna sottomarina del Monte Vema. Abbiamo visto un fantastico mondo sottomarino pieno di vita e colori qui. È assolutamente triste vedere attrezzature della pesca distruttiva in un luogo così remoto come questo. “Anche il Tristan Lobster, una specie iconica del Monte Vema, che è stata per due volte sull'orlo dell'estinzione, sta ora mostrando segni di ripresa della popolazione, grazie al divieto attuale di pesca sul fondo. Questo mostra come gli oceani abbiano una straordinaria capacità di rigenerarsi. Il rapporto "Ghost Gear" mostra che il 6% di tutte le reti utilizzate, il 9% di tutte le trappole e il 29% di tutti i palangari (lenze di diversi chilometri) rimangono a inquinare il mare. Non solo i vecchi rifiuti di pesca continuano a uccidere la vita marina, ma danneggiano anche gravemente gli habitat sottomarini. Le montagne sottomarine sono particolarmente colpite perché sono spesso pesantemente sfruttate a causa della varietà di animali selvatici che vivono intorno a loro. Greenpeace chiede che venga attuata un'azione più forte contro l'attrezzatura fantasma mortale, compreso l'accordo di un forte Trattato Globale sull'Oceano alle Nazioni Unite che potrebbe proteggere almeno il 30% degli oceani del mondo entro il 2030, rendendolo off-limits per attività umane dannose, compresa la pesca industriale. Mentre secondo un rapporto della FAO, già nel 2009 si denunciava la pericolosità dell'abbandono delle reti in mare, mettendo tuttavia in evidenza che la maggior parte delle attrezzature da pesca non viene deliberatamente abbandonata ma viene persa durante le tempeste, trasportata via da forti correnti, o è il risultato dei cosiddetti "conflitti tra attrezzature", per esempio, quando si pesca con le reti in aree dove sono già state sistemate sul fondo trappole in cui le nuove reti possono incagliarsi. I principali danni causati dalle reti abbandonate o perse sono: • la cattura continua di pesci - conosciuta come "pesca fantasma" - e di altri animali quali tartarughe, uccelli marini e mammiferi marini, che rimangono intrappolati e muoiono; • l'alterazione degli ecosistemi dei fondali marini; • la creazione di rischi per la navigazione in termini di possibili incidenti in mare e danni alle imbarcazioni. I tramagli, le nasse e le trappole per pesci contribuiscono alla "pesca fantasma", mentre le reti da pesca estese tendono prevalentemente a intrappolare altri organismi marini e le reti a strascico a danneggiare gli ecosistemi sottomarini. La pesca fantasma In passato, le reti da pesca mal gestite portate alla deriva dalla corrente erano additate come le principali responsabili, ma la loro messa al bando in molte aree nel 1992 ha ridotto il loro contributo alla pesca fantasma. Oggi sono i tramagli posti sui fondali ad essere più spesso riconosciuti come il principale problema. L'estremità inferiore di queste reti è ancorata al fondale marino, mentre alla sommità sono posti dei galleggianti, così da formare un muro sottomarino verticale di reti che può estendersi dai 600 ai 10 000 metri di lunghezza. Se un tramaglio viene abbandonato o perso, può continuare a pescare da solo per mesi - a volte anni - uccidendo indiscriminatamente pesci ed altri animali. Le trappole per pesci e le nasse sono un'altra principale causa di pesca fantasma. Nella Baia di Chesapeake, negli Stati Uniti, si stima vengano perse ogni anno circa 150 000 trappole per granchi, su un totale di 500 000. Solo sull'isola caraibica di Guadalupe, circa 20 000 di tutte le trappole sistemate ogni anno vengono perse in ogni stagione degli uragani, un tasso di perdita pari al 50%. Come i tramagli, queste trappole possono continuare a pescare da sole per lunghi periodi di tempo.Foto:FAO
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