Alcuni imprenditori concentrano su se stessi il business senza far crescere l’azienda. Il problema degli yes-man e dei familiari all’internodi Marco Arezio Non c’è dubbio che il mercato si è fatto complicato e che le aziende per sopravvivere devono dotarsi di una struttura manageriale indipendente, qualificata e spesso slegata dalla famiglia che ne detiene la proprietà, che goda di una visione internazionale e che abbia potere decisionale per valutare le migliori prospettive per l’azienda prima che per l’imprenditore. Molte aziende familiari, che si occupano di riciclo, stanno vivendo una fase di forte trasformazione a causa dei cambiamenti del mercato, i quali sono maggiormente rappresentati dall’ingresso di società strutturate che si occupavano fino a poco tempo prima di business correlati ma differenti. Il mondo del riciclo delle materie plastiche si è sviluppato agli inizi degli anni 80 del secolo scorso, un po’ in sordina, sotto forma di piccole imprese che raccoglievano la plastica di scarto e ne seguivano la lavorazione, a volte anche con metodi un po’ artigianali. Il loro sviluppo, negli anni successivi, a seconda della collocazione geografica Europea, seguiva i sistemi imprenditoriali nazionali che si basavano, al nord, più facilmente sulla creazione di medie e grandi imprese, mentre nel Sud Europa, il più delle volte, basate sulla crescita di piccole e medie imprese che sfruttavano le opportunità che il mercato poteva offrire. Agli inizi degli anni duemila, il trend di crescita del mercato del riciclo delle materie plastiche e del suo indotto, ha avuto una grande accelerazione, con il passaggio delle aziende a dimensioni di fatturato e produttività sempre maggiori. A partire da questo periodo, il mercato del Sud Europa, contrariamente a quello che è successo nel Nord Europa, si è caratterizzato da un importante numero di piccole imprese che si sono trasformate in medie e grandi società produttrici di polimeri plastici, attrezzature per il riciclo o di servizi per il mercato. Inoltre, molte micro imprese artigianali si sono trasformate in piccole e medie aziende di produzione nell’ambito della plastica. Molti fondatori di queste società, specialmente quelle medio-grandi, hanno seguito passo dopo passo in prima persona, lo sviluppo delle proprie creature dalla loro fondazione, con un successo a volte crescente nel tempo e diventando l’unico punto di riferimento all’interno della società. L’incarnazione del successo commerciale e produttivo in un mercato nel corso degli anni in continua crescita, non ha generalmente creato situazioni in cui ci si potesse fermare per capire se il modello di business, varato dal proprietario-imprenditore, fosse corretto con l’evoluzione dei mercati. Nel frattempo, molte cose sono cambiate, in un mondo sempre più globalizzato e competitivo, non solo dal punto di vista commerciale, ma anche sulle materie prime, sulle innovazioni tecniche, sulla necessaria rapidità nel prendere decisioni e sulla qualità del management necessario per la dimensione aziendale. Alcuni imprenditori, vivendo sui successi passati, non hanno affrontato in modo lucido ed imparziale l’evoluzione del mercato, continuando con un modello di gestione che ruotava, o ruota ancora oggi, intorno a loro, creando un soldato solo sul campo di battaglia. Ci sono delle situazioni cruciali che hanno inciso o incideranno sul destino di queste aziende: Una struttura gestionale sotto dimensionata rispetto al fatturato aziendale Una piramide di valori non indirizzata verso l’attenzione al cliente Una non obbiettiva valutazione delle qualità professionali dei familiari inseriti in azienda a cui si attribuiscono responsabilità e poteri decisionali Una propensione nella creazione di collaboratori yes-man in ruoli chiave Difficoltà nel delegare ai collaboratori compiti specialistici e delicati Incapacità di creare un team manageriale che possa acquisire la gestione di aree aziendali Incapacità di mettersi in discussione Incapacità di dare fiducia Limitazione della professionalità e delle opportunità di carriera dei collaboratori Paura dell’effetto ombra, che alcuni dipendenti potrebbero creare sui parenti che lavorano in azienda Internazionalizzazione non prioritaria Mancata presa di coscienza dei raggiunti limiti di età dei fondatori-manager Mancanza di una strategia aziendale per la successione del leader Oggi, molte di queste aziende, sono frenate e in difficoltà per i motivi sopra descritti e, inoltre, per il rallentamento aziendale dovuto all’eccessiva concentrazione decisionale nelle mani dell’imprenditore che non ha più il tempo e, forse, tutte le capacità legate ai molti ambiti aziendali in evoluzione, anche sotto l’aspetto tecnologico, di seguire il vorticoso flusso del mercato attuale. Si aggiunga inoltre che, da quando la domanda di avere all’interno dei prodotti finiti quote sempre maggiori di materiale plastico riciclato, le grandi aziende, strutturate e lungimiranti, stanno acquisendo quote di mercato attraverso l’incorporazione di riciclatori, che possono garantire la filiera della materia prima seconda. Una parte di questi imprenditori ha capito quanto il mercato stia diventando competitivo, anche per la sproporzione delle disponibilità finanziarie che i nuovi concorrenti possono mettere in campo, ma soprattutto per la capacità di fare rete e di cogliere tutte le opportunità che il mercato concede, quindi decide di cedere l’azienda con l’obbiettivo di rilanciarla oppure per ritirarsi. Un’altra parte di imprenditori crede fermamente nella storia della propria società, facendo conto su se stesso e sulla tradizione che ha contraddistinto il loro cammino, in una sorta di immutabilità delle cose, con la speranza un giorno, il più lontano possibile per loro, che i propri figli indossino la loro corona e diventino i re del loro piccolo regno.
SCOPRI DI PIU'I Rifiuti Elettronici: una Filiera con Molte Incognite e Speculazionidi Marco ArezioI rifiuti elettronici sono quella massa di prodotti di uso comune come elettrodomestici, telefonini, televisori, computers e molti altri oggetti che raggiungono, più o meno velocemente, una condizione di obsolescenza, voluta dai produttori o dalla moda o per rotture tecniche, in un tempo sempre più rapido.A differenza dei rifiuti plastici, di vetro, di metallo, di carta o di tessuti, il rifiuto elettronico è un complesso articolato di componenti di varia natura e provenienza che ne fa, di per sé, un oggetto complicato per il riciclo. Inoltre un oggetto elettronico contiene molte sostanze chimiche pericolose che se non trattate in modo corretto comportano seri danni all’ecosistema e all’uomo. Ci sono molti motivi per spingere sull’industria del riciclo legale delle apparecchiature elettroniche, tra le quali possiamo annoverare il rispetto dell’ambiente, la tossicità di alcuni componenti che sono presenti all’interno delle apparecchiature, che devono essere gestiti in maniera corretta e responsabile, ma anche la crescente domanda dei materiali nobili, da parte dei produttori, per la costruzione di nuovi dispositivi. Infatti, molti minerali rari che sono necessari per le moderne tecnologie provengono da paesi che non rispettano i diritti umani. Per evitare di sostenere inconsapevolmente conflitti armati e violazioni dei diritti umani, i deputati del Parlamento europeo hanno adottato norme che impongono agli importatori europei di materiali preziosi di effettuare dei controlli sul ciclo di lavoro per garantire che non si verifichino fenomeni di sfruttamento dei lavoratori, di inquinamento delle terre e di reputazione dei fornitori. Anche per questo motivo la crescita del mercato legale del riciclo di questo settore risulta di particolare importanza. Se volessimo fare una classifica di quale siano i rifiuti elettronici più comuni possiamo dire che i grandi elettrodomestici, come le lavatrici e le stufe elettriche, sono tra i quelli più raccolti e rappresentano oltre la metà di tutti i rifiuti elettrici ed elettronici. Seguono le apparecchiature informatiche e di telecomunicazione (computer portatili, stampanti), le apparecchiature di consumo (videocamere, lampade fluorescenti) e i pannelli fotovoltaici nonché i piccoli elettrodomestici (aspirapolvere, tostapane). Tutte le altre categorie, come gli attrezzi elettrici e i dispositivi medici, rappresentano in totale il 7,2% dei rifiuti elettronici ed elettrici raccolti. Il riciclo dei rifiuti elettronici, nonostante vi siano sostanze preziose al loro interno come il rame, lo stagno, l’oro, il titanio, l’argento, l’alluminio, rimane del tutto insufficiente, in termini di volumi riciclati, rispetto alla produzione annua di apparecchiature nuove. L’ONU nel solo 2017 ha stimato in 50 milioni di tonnellate in tutto il mondo la massa di rifiuti elettronici di cui l’80% è finito nelle discariche. Quali sono i motivi per cui si ricicla così poco?Innanzitutto la complessità degli apparecchi, formati da molti elementi diversi tra loro e l’alto standard qualitativo, che impone l’uso di materie prime chimicamente complesse, che richiederebbe lo smontaggio degli apparecchi per una separazione corretta in elementi costitutivi. In realtà gli molti apparecchi non vengono smontati, specialmente quelli più piccoli, ma macinati e divisi successivamente con la perdita di molti materiali e il parziale inquinamento degli elementi riciclabili. Possiamo dire che solo alcuni produttori hanno avviato il ritiro dei propri prodotti usati a fine vita, come Apple per esempio, creando un flusso di rifiuti del tutto pulito dai quali estrae i materiali più preziosi tra cui l’oro. Inoltre il ritmo di produzione e di vendita degli apparecchi, come i telefonini, vede ogni anno un ciclo di cambio pari a circa il 25% della popolazione, inoltre nelle case sarebbero accumulati 500 milioni di apparecchi inutilizzabili che incombono sulla quota dei rifiuti elettronici globali. I sistemi di riciclo dei rifiuti elettronici - RAEE Il recupero dei componenti degli apparecchi elettronici avviene principalmente attraverso i processi di triturazione e separazione del macinato risultante, secondo la sua natura. Il vetro, la plastica i metalli e altri prodotti minori vengono separati con sistemi meccanici e per densità, creando famiglie omogenee di scarti che potranno diventare nuova materia prima. Purtroppo, all’interno di un apparecchio elettronico, una quota considerevole di materiali non può essere separato e riciclato per la complessità delle ricette chimiche richieste durante la loro produzione. Per queste difficoltà e per gli alti costi di riciclo, attualmente una quota tra il 60 e 80% dei rifiuti elettronici a fine vita vengono inviati in paesi in via di sviluppo, a volte in maniera poco trasparente, dove gli apparecchi vengono separati manualmente, con sistemi che comportano enormi problemi sanitari e ambientali in cui avviene il lavoro. Molti degli prodotti che sono avviati al riciclo o alla discarica sono strumenti ancora validi e recenti, ma attualmente la loro costituzione, strutturale e di processo per il loro funzionamento, ne rende difficile o antieconomica la riparazione, a volte volutamente impossibile dai produttori, così da creare un volano di nuovi acquisti e di conseguenza un aumento esponenziale dei rifiuti. In un’ottica generale questo consumismo sfrenato in cui la vita del prodotto viene programmata per durare il meno possibile, creando un nuovo bisogno di acquisto, va contro ogni logica di sostenibilità a cui gli organi competenti devono dare un freno.Categoria: notizie - RAEE - economia circolare - rifiuti Vedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'di Marco ArezioIl settore della produzione del cemento è uno tra quelli energivori e, oggi, con l’aumento del prezzo del gas, il costo di produzione è esploso.Nei forni per la produzione di cemento è possibile utilizzare, come combustibile, quella parte dei rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata che, attraverso il riciclo meccanico, vengono scartati perché non più riciclabili. Questo rifiuto del rifiuto, inutilizzabile in ottica di un reintegro nella circolarità dei prodotti può avere tre strade: • Il riciclo chimico (poco)• La discarica • L’utilizzo come combustibile Secondo i dati elaborati dalla Federbeton Confindustria i costi per produrre il cemento sono aumentati del 50% a causa del costo dell’energia, infatti il gas è aumentato di otto volte e il petcoke, combustibile utilizzato negli impianti, è aumentato di tre volte rispetto al gennaio 2020. Come mitigare il problema? Qui entra in gioco il CSS, sigla che indica appunto quella massa di rifiuti non più riciclabile, che da una buona resa termica negli impianti per la produzione di cemento in sostituzione dei combustibili fossili. Il CSS è considerato un combustibile a kilometro 0 in quanto prodotto abbondantemente in ogni paese, non soggetto a ricatti internazionali ed è economico. Nonostante questa massa di rifiuti combustibili vada ancora a finire nelle discariche o trasportato all’estero per il suo utilizzo, con costi in termini economici per il loro smaltimento e di produzione di inquinamento nelle fasi di trasporto, il loro impiego in modo strutturale è ancora abbastanza relativo in Italia. Se consideriamo che l’utilizzo del CSS in Europa varia tra il 60 e l’80%, in base ai paesi, in Italia ci fermiamo intorno al 20% o poco più. L’incremento dell’utilizzo del CSS nelle cementerie aiuterebbe sicuramente a ridurre l’impatto ambientale che i rifiuti non riciclabili hanno, riducendo lo scarico degli stessi nelle discariche, in attesa che si sviluppi, in modo consistente, il riciclo chimico dei rifiuti non riciclabili. Secondo il laboratorio REF, che ha elaborato una stima sul possibile utilizzo del CSS in Italia, la percentuale di sostituzione delle fonti fossili come combustibile attraverso i rifiuti potrebbe essere del 66%, il che comporterebbe una mancata emissione di CO2 di circa 6,8 milioni di tonnellate. Perché non decolla questo carburante?In Italia, nonostante la tecnologia degli impianti permetta un uso ampio del CSS, e nonostante gli standard emissivi possano essere controllati attraverso impianti di filtrazione comuni con quelli di altri impianti Europei, permane una diffidenza di base, sia a livello politico che sociale all’utilizzo dei rifiuti come combustibile. In alcuni paesi del nord Europa, notoriamente green, sugli impianti di incenerimento rifiuti che producono energia elettrica, si può sciare, inserendo così nel contesto urbano queste attività industriali. In Italia questi impianti sono ancora oggi, nonostante la diversificazione energetica attuale molto carente, oggetto di discriminazione da parte di alcune forze politiche. Il CSS può essere considerato una fonte rinnovabile come il vento, il sole o l’acqua, che producono energia elettrica e che dovranno sostituire le fonti fossili nel modo più rapido possibile, se vogliamo che le fabbriche continuino a funzionare, le nostre case possano ricevere la corrente per i nostri consumi e le nostre macchine elettriche possano circolare.
SCOPRI DI PIU'L'accordo tra Eni gas e luce, CNA COSTRUZIONI e Harley&Dikkinson, annunciato attraverso il comunicato stampa di Eni, al fine di promuovere l'avvicinamento dei cittadini alle incentivazioni governative sulle riqualificazioni energetiche, realizza un costruttivo progetto d'informazione e di gestione delle problematiche sia tecniche, che fiscali, che va incontro alle problematiche realizzative sugli interventi di ristrutturazione e sugli obbiettivi nazionali di modificare, nella direzione della sostenibilità, il patrimonio immobiliare Italiano.Eni gas e luce, CNA COSTRUZIONI e Harley&Dikkinson hanno stipulato un accordo per promuovere le opportunità connesse alla riqualificazione energetica e la messa in sicurezza sismica degli edifici, al fine di poter sfruttare le opportunità degli incentivi fiscali in ambito ecobonus, sismabonus e Superbonus 110%, introdotto dal recente Decreto Rilancio 34/2020 (convertito in legge n. 77 del 17 luglio 2020). Inoltre, grazie a quest’accordo, la rete nazionale dei consorzi territoriali, promossa da CNA Costruzioni e denominata Riqualifichiamo l’Italia, potrà aderire in qualità di Partner al servizio CappottoMio con la possibilità, in particolare, di cedere a Eni gas e luce i crediti di imposta derivanti dagli interventi. L’accordo sottoscritto tra Eni gas e luce, CNA Costruzioni e Harley&Dikkinson persegue l’obiettivo strategico di accrescere l’interesse del Paese verso la riduzione dei consumi energetici, che portano vantaggi concreti per l’ambiente, valorizzando allo stesso tempo il patrimonio abitativo e aumentando le opportunità di mercato per le imprese dell’edilizia. Attraverso la realizzazione di incontri formativi specifici sul territorio nazionale, previsti anche in modalità webinar, a cui parteciperanno gli esperti di Eni gas e luce e Harley&Dikkinson, unitamente a specifiche comunicazioni attraverso i canali informativi di CNA COSTRUZIONI, tutti i consorzi di imprese che aderiscono a Riqualifichiamo l’Italia potranno approfondire le opportunità derivanti dagli interventi di riqualificazione energetica e la messa in sicurezza sismica degli edifici, anche grazie agli incentivi previsti, con la possibilità, volendo, di qualificarsi come partner del Progetto CappottoMio di Eni gas e luce. “Grazie a quest’accordo, abbiamo l’opportunità di poter potenziare il numero delle imprese partner di CappottoMio per consolidare la nostra capillarità su tutto il territorio nazionale e offrire al cliente un alto standard di qualità del servizio” ha commentato Alberto Chiarini, Amministratore Delegato di Eni gas e luce. “Per Eni gas e luce è fondamentale promuovere sinergie anche con le Associazioni di categoria dell’artigianato e della piccola e media impresa come CNA COSTRUZIONI per offrire un’opportunità di sviluppo alle economie locali, con l’obiettivo comune di accrescere il comfort e il valore delle case dei clienti per fare un uso più razionale ed efficiente dell'energia, per usarla meno e meglio". "CNA COSTRUZIONI – dichiara il suo Presidente nazionale Enzo Ponzio - con questa iniziativa intende posizionare al meglio le imprese artigiane e PMI associate sul mercato della riqualificazione del parco immobiliare italiano e della rigenerazione urbana, valorizzando il loro protagonismo e la loro autonomia imprenditoriale, utilizzando al meglio la presenza diffusa e capillare su tutto il territorio nazionale della nostra Associazione imprenditoriale. E ciò a vantaggio di tutti gli attori coinvolti: cittadini, imprese e Pubblica Amministrazione territoriale e nazionale” Ha dichiarato infine Alessandro Ponti, Amministratore Delegato di Harley&Dikkinson, “H&D, da sempre volta all’ottimizzazione dal punto di vista tecnologico, organizzativo e, soprattutto, finanziario delle relazioni che concorrono alla valorizzazione dell’edificio, nel progetto della cessione del credito d’imposta, fin da subito, ha voluto mettersi al fianco di importanti associazioni di categoria come CNA Costruzioni e dei suoi associati al fine di garantire l’autonomia dell’intera filiera della riqualificazione."
SCOPRI DI PIU'Ricevette il Premio Nobel per aver inventato il polipropilene Conosciamolo megliodi Marco ArezioAttraverso lo studio delle macromolecole e dei “catalizzatori dei polimeri” Giulio Natta intuì la potenzialità della chimica applicata alla plastica. Giulio Natta nacque a Porto Maurizio (I) il 26 Febbraio del 1903 da Francesco Maria, magistrato e da Elena Crespi che si adoperò per l’educazione di Giulio nella tenera età. Si diplomò con largo anticipo all’età di 16 anni al liceo classico di Genova specializzandosi successivamente in matematica. Nel 1921 si iscrisse alla facoltà di ingegneria industriale presso il Politecnico di Milano dove fu assistente del professor Bruni presso il dipartimento di chimica generale. Sempre in anticipo sui tempi nel 1924 si laureò a soli 21 anni. Accettò poi nel 1925 una borsa di studio a Friburgo in Germania, presso il laboratorio del professor Seemann, occupandosi di macromolecole. E’ qui che natta intuì l’importanza e la potenzialità delle macromolecole che continuò a studiare al suo ritorno a Milano studiando la struttura cristallina dei polimeri. Tra il 1925 e il 1932 fu professore di chimica al politecnico di Milano e nel 1933 vinse il concorso per diventare professore di chimica generale presso l’università di Pavia e nel 1935 passò a all’università La Sapienza di Roma e nel 1937 al Politecnico di Torino. L’anno successivo ritornò al Politecnico di Milano che lasciò dopo 35 anni nel 1973. Durante questa lunga carriera Natta poté sperimentare numerosi studi come la produzione di Butadiene, collaborò con la ditta Montecatini dedicandosi quasi esclusivamente alla chimica industriale. Dal 1952 Natta cominciò ad interessarsi alle scoperte di Karl Ziegler il quale nel 1953 riuscì a sintetizzare il polietilene lineare, mentre l’anno successivo Natta riuscì a produrre i primi campioni di polipropilene. La Montecatini a questo punto patrocinò la collaborazione tra i due scienziati portando alla creazione di un laboratorio internazionale che coinvolse molti studiosi che portò alla scoperta dei polimeri isotattici, registrati con il nome commerciale di Moplen. La scoperta dei catalizzatori Ziengler-Natta fruttò ad entrambi il premio Nobel per la chimica nel 1963. Ma cosa scoprirono esattamente i due scienziati tanto da vincere il premio Nobel? Nel 1953 Karl Ziegler scopri che una miscela di TiCl4 e AlEt3 (alluminio trietile) catalizzava la polimerizzazione dell’etilene in polietilene. Giulio Natta scoprì che questo catalizzatore non era utilizzabile per la produzione di polimeri del polipropilene, infatti, con questo catalizzatore si ottenevano solo oligomeri del propilene ad elevato contenuto atattico. Nel 1954 Natta e Ziegler scoprirono una nuova ricetta di Dietil Alluminio Cloruro e DEAC che dava una elevata resa di polipropilene isotattico. A questo punto la Montecatini iniziò la produzione industriale con un notevole successo commerciale.Categoria: notizie - tecnica - plastica - giulio natta - PP - storia
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