I Rifiuti Elettronici: una Filiera con Molte Incognite e Speculazionidi Marco ArezioI rifiuti elettronici sono quella massa di prodotti di uso comune come elettrodomestici, telefonini, televisori, computers e molti altri oggetti che raggiungono, più o meno velocemente, una condizione di obsolescenza, voluta dai produttori o dalla moda o per rotture tecniche, in un tempo sempre più rapido.A differenza dei rifiuti plastici, di vetro, di metallo, di carta o di tessuti, il rifiuto elettronico è un complesso articolato di componenti di varia natura e provenienza che ne fa, di per sé, un oggetto complicato per il riciclo. Inoltre un oggetto elettronico contiene molte sostanze chimiche pericolose che se non trattate in modo corretto comportano seri danni all’ecosistema e all’uomo. Ci sono molti motivi per spingere sull’industria del riciclo legale delle apparecchiature elettroniche, tra le quali possiamo annoverare il rispetto dell’ambiente, la tossicità di alcuni componenti che sono presenti all’interno delle apparecchiature, che devono essere gestiti in maniera corretta e responsabile, ma anche la crescente domanda dei materiali nobili, da parte dei produttori, per la costruzione di nuovi dispositivi. Infatti, molti minerali rari che sono necessari per le moderne tecnologie provengono da paesi che non rispettano i diritti umani. Per evitare di sostenere inconsapevolmente conflitti armati e violazioni dei diritti umani, i deputati del Parlamento europeo hanno adottato norme che impongono agli importatori europei di materiali preziosi di effettuare dei controlli sul ciclo di lavoro per garantire che non si verifichino fenomeni di sfruttamento dei lavoratori, di inquinamento delle terre e di reputazione dei fornitori. Anche per questo motivo la crescita del mercato legale del riciclo di questo settore risulta di particolare importanza. Se volessimo fare una classifica di quale siano i rifiuti elettronici più comuni possiamo dire che i grandi elettrodomestici, come le lavatrici e le stufe elettriche, sono tra i quelli più raccolti e rappresentano oltre la metà di tutti i rifiuti elettrici ed elettronici. Seguono le apparecchiature informatiche e di telecomunicazione (computer portatili, stampanti), le apparecchiature di consumo (videocamere, lampade fluorescenti) e i pannelli fotovoltaici nonché i piccoli elettrodomestici (aspirapolvere, tostapane). Tutte le altre categorie, come gli attrezzi elettrici e i dispositivi medici, rappresentano in totale il 7,2% dei rifiuti elettronici ed elettrici raccolti. Il riciclo dei rifiuti elettronici, nonostante vi siano sostanze preziose al loro interno come il rame, lo stagno, l’oro, il titanio, l’argento, l’alluminio, rimane del tutto insufficiente, in termini di volumi riciclati, rispetto alla produzione annua di apparecchiature nuove. L’ONU nel solo 2017 ha stimato in 50 milioni di tonnellate in tutto il mondo la massa di rifiuti elettronici di cui l’80% è finito nelle discariche. Quali sono i motivi per cui si ricicla così poco?Innanzitutto la complessità degli apparecchi, formati da molti elementi diversi tra loro e l’alto standard qualitativo, che impone l’uso di materie prime chimicamente complesse, che richiederebbe lo smontaggio degli apparecchi per una separazione corretta in elementi costitutivi. In realtà gli molti apparecchi non vengono smontati, specialmente quelli più piccoli, ma macinati e divisi successivamente con la perdita di molti materiali e il parziale inquinamento degli elementi riciclabili. Possiamo dire che solo alcuni produttori hanno avviato il ritiro dei propri prodotti usati a fine vita, come Apple per esempio, creando un flusso di rifiuti del tutto pulito dai quali estrae i materiali più preziosi tra cui l’oro. Inoltre il ritmo di produzione e di vendita degli apparecchi, come i telefonini, vede ogni anno un ciclo di cambio pari a circa il 25% della popolazione, inoltre nelle case sarebbero accumulati 500 milioni di apparecchi inutilizzabili che incombono sulla quota dei rifiuti elettronici globali. I sistemi di riciclo dei rifiuti elettronici - RAEE Il recupero dei componenti degli apparecchi elettronici avviene principalmente attraverso i processi di triturazione e separazione del macinato risultante, secondo la sua natura. Il vetro, la plastica i metalli e altri prodotti minori vengono separati con sistemi meccanici e per densità, creando famiglie omogenee di scarti che potranno diventare nuova materia prima. Purtroppo, all’interno di un apparecchio elettronico, una quota considerevole di materiali non può essere separato e riciclato per la complessità delle ricette chimiche richieste durante la loro produzione. Per queste difficoltà e per gli alti costi di riciclo, attualmente una quota tra il 60 e 80% dei rifiuti elettronici a fine vita vengono inviati in paesi in via di sviluppo, a volte in maniera poco trasparente, dove gli apparecchi vengono separati manualmente, con sistemi che comportano enormi problemi sanitari e ambientali in cui avviene il lavoro. Molti degli prodotti che sono avviati al riciclo o alla discarica sono strumenti ancora validi e recenti, ma attualmente la loro costituzione, strutturale e di processo per il loro funzionamento, ne rende difficile o antieconomica la riparazione, a volte volutamente impossibile dai produttori, così da creare un volano di nuovi acquisti e di conseguenza un aumento esponenziale dei rifiuti. In un’ottica generale questo consumismo sfrenato in cui la vita del prodotto viene programmata per durare il meno possibile, creando un nuovo bisogno di acquisto, va contro ogni logica di sostenibilità a cui gli organi competenti devono dare un freno.Categoria: notizie - RAEE - economia circolare - rifiuti Vedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Una funzione aziendale molte volte sottovalutata dagli imprenditori del settore di Marco ArezioNon basta essere consci di fare un lavoro che rientra nelle attività comprese nell’economia circolare, non basta affinare la macchina produttiva che realizzi prodotti provenienti da materie prime riciclate, non basta certificarsi a livello aziendale e sul prodotto per appartenere alla filiera “green” e non basta nemmeno avere un sito internet in cui appendere, come un albero di natale, tutte le buone cose fatte dalla tua impresa. Bisogna comunicarlo in modo costante ed efficace ai clienti.Che siate piccole o medie imprese attive nel settore del riciclo, che vi siate costruiti pietra dopo pietra la vostra credibilità aziendale, che abbiate raggiunto un livello qualitativo ragguardevole in produzione, che rispettiate le leggi sui rifiuti e sul trattamento e trasformazione degli stessi, che spendiate in ricerca una parte importante delle vostre entrate per creare prodotti riciclati sempre più raffinati, che siate in ordine con il fisco, con i fornitori e con il rispetto delle leggi sul lavoro, che vi vogliate dare una visione internazionale dopo tanta gavetta nel vostro paese, che vi stiate impegnando per far crescere la vostra azienda coinvolgendo tutte le risorse umane a vostra disposizione, che crediate fermamente in quello che fate, tutto questo non basterà a navigare in tranquillità. Se tutte queste vostre prerogative non vengono trasmesse ai clienti, ai fornitori e al mercato, tanti sforzi fatti saranno vani. I mercati oggi sono così ampi e veloci che, nonostante le vostre qualità aziendali e umane, è facile scomparire dall’orizzonte dei potenziali clienti e perdere il mordente sui clienti acquisiti. La funzione della comunicazione aziendale ti permette di informare dettagliatamente e con scadenza regolare il tuo mercato di riferimento sulla tua azienda, i tuoi processi produttivi, la disponibilità dei prodotti, le novità nate nella tua struttura, le offerte particolari e la storia che ha consolidato il tuo cammino. La comunicazione serve anche a quelle aziende giovani o piccole che vogliono emergere e farsi conoscere al grande pubblico per aumentare le occasioni commerciali e diffondere la propria competenza imprenditoriale. Il delicato compito di informare è tanto più efficace quanto più chi si assume questa responsabilità conosca, non solo i mezzi di comunicazione moderni, ma anche il settore in cui operi in modo da permettere all’azienda di trarre il massimo beneficio. Un mix di articoli tecnici e commerciali sul blog aziendale creato appositamente, la gestione dei canali social adatti alla tua azienda, l’uso dei portali specializzati del settore e la promozione on line utilizzando una pubblicità mirata a basso impatto economico, creano la giusta ricetta per migliorare la presenza della tua azienda sul mercato. La consulenza sulla comunicazione nel settore del riciclo, gestita in un arco temporale corretto, rimette in moto la tua visibilità accrescendo le opportunità che cerchi. Siamo a disposizione per conoscere la tua azienda e fornirti il miglior preventivo possibile per una consulenza sulla comunicazione in base ai tuoi obbiettivi.
SCOPRI DI PIU'Perché si sono scelti alcuni colori che impongono l’uso della plastica non riciclata? di Marco ArezioE’ davvero un controsenso, un cortocircuito verso i principi dell’economia circolare la scelta di fabbricare pattumiere per i rifiuti domestici di colori come il giallo, il rosso, l’azzurro, il bianco o il silver, per citarne alcuni, che difficilmente possono essere fatte con la plastica riciclata. I rifiuti domestici, che tanto diligentemente i cittadini separano in casa, servono alla collettività per essere trasformati, secondo i principi dell’economia circolare, in nuovi materiali di uso quotidiano, evitando di utilizzare risorse naturali, come il petrolio, per costruire prodotti che si possono fare con quello che noi scartiamo. Tra questi rifiuti, nelle case viene separata la plastica dal vetro, dal metallo e dalla carta, che prendono percorsi di riciclo diversi in modo da essere lavorati e offerti nuovamente sul mercato come materie prime seconde. La plastica viene raccolta dai comuni ed inviata ai centri di selezione che sono incaricati di dividere il contenuto dei sacchetti della raccolta domestica, nelle varie tipologie di plastiche che vengono raccolte all’interno della casa. Vediamo alcuni impieghi dei rifiuti plastici raccolti: Le bottiglie dell’acqua e delle bibite in PET saranno lavorate per creare nuovo granulo per la produzione di altre bottiglie, di fibra per i vestiti e per l’imbottitura dei divani, per le regge adatte al confezionamento degli imballi industriali, per fare le vaschette alimentari trasparenti. I flaconi dei detersivi in HDPE vengono lavorati per produrre materia prima con cui si ottengono altri flaconi per i detersivi o gli oli industriali, taniche per la benzina, prodotti per l’edilizia, film da copertura per i bancali di prodotti, tubi rigidi di irrigazione per l’agricoltura, raccordi idraulici per l’irrigazione, membrane di protezione, grigliati erbosi carrabili, reti di segnalazione e contenimento. Con gli imballi rigidi in PP si possono fabbricare pattumiere, cassette da trasporto, sedie e tavoli per il giardino, divani e poltrone tipo rattan, palette e scope, armadi da esterno, bauli per il giardino o per la casa, secchi per la pulizia, carrelli e imballi vari. Con la plastica flessibile degli imballi in LDPE, selezionata per tipologia, si possono creare altri sacchetti per la pattumiera, film da copertura agricola, tubi flessibili per l’irrigazione in agricoltura o per il giardino, teli da copertura per l’edilizia, vasi, supporti per le reti dei letti, secchi, lastre in legno polimero, pannelli divisori per pareti, camminamenti agricoli. Abbiamo quindi visto alcuni esempi di come i materiali che provengono dal riciclo domestico possono, e devono, essere riutilizzati per produrre nuovi prodotti senza sfruttare le risorse della terra. Tecnicamente, si possono reimpiegare i rifiuti urbani, creando prodotti utili alla comunità, di buona qualità tecnica e con un buon impatto estetico, il quale, però, non dovrebbe mai essere una discriminante nella scelta del consumatore, in quanto, se una pattumiera è marrone scuro invece che gialla, non credo che per contenere dei rifiuti possa fare la differenza in casa. In realtà, su questo inutile valore estetico, i consumatori, o chi sceglie per loro, consegnandogli la pattumiera per la raccolta differenziata, fanno una differenza sostanziale se contribuire al ciclo dell’economia circolare o vanificare gli sforzi di separazione dei rifiuti che non verranno riutilizzati. Infatti, pattumiere in polipropilene con colori sgargianti, quali il bianco, il rosso, il celeste, il giallo, il colore panna, il silver, l’azzurro o il verde chiaro, solo per citarne alcuni, difficilmente possono essere prodotte utilizzando la plastica riciclata in quanto, questa, provenendo da un mix di colori degli imballi raccolti, non permette solitamente di arrivare a colori così chiari. Di conseguenza, o vengono prodotti con materiali vergini, quindi granuli di derivazione petrolifera e non riciclati, o il produttore deve fare delle miscele nelle quali inserire una piccola percentuale di materiale riciclato e poi aggiungere del materiale vergine. Le pattumiere fatte con il granulo proveniente dal post consumo, quindi dalla raccolta differenziata, sono sostanzialmente prodotte con colori scuri, quali il nero, il verde, il marrone, il blu e il grigio scuro. A chi interessa la perfezione estetica di un prodotto destinato ai rifiuti se questo comporta problemi all’ambiente?Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti - pattumiereVedi il prodotto finitoVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Dopo la pandemia, ed ora, nel pieno di una crisi internazionale, i lavoratori sono profondamente cambiatiStiamo attraversando un periodo di profondo stress sociale, cominciato dall’isolamento creato dalla pandemia all’interno delle nostre case, dall’utilizzo a tappeto dello smart working, dalla perdita della socialità lavorativa e da nuove regole e paure nella vita privata. Siamo stati per decenni convinti che la massima forma di realizzazione personale e sociale fosse una buona posizione lavorativa, il raggiungimento di un centro di potere, piccolo o grande che sia, una visibilità sociale positiva, frutto della propria posizione conquistata a fatica negli anni e, infine, un benessere finanziario che sottoscrivesse il nostro successo. Per questi motivi e, probabilmente, per altri del tutto personali, ci si è immolati ad una intensa attività lavorativa, dedicando tutte le proprie forze disponibili per i propri obbiettivi, ben oltre quello che poteva essere racchiuso in un contratto di lavoro. Un’idea di abnegazione al lavoro socialmente accettata e valutata in modo normale e positivo da tutti, retaggio di un concetto di laboriosità e responsabilità dell’individuo all’interno della società. Ma poi arrivò il Covid, le aziende si svuotarono, molti lavoratori furono parcheggiati a casa, in attesa che l’epidemia passasse, altri venivano organizzati per il lavoro da remoto, cambiando completamento il rapporto tra l’azienda, il lavoratore e l’ambito lavorativo. I dipendenti che hanno continuato a lavorare da casa si sono spogliati delle vesti e delle maschere che spesso si portavano con loro, la mancanza di socialità ha concentrato lo sforzo esclusivamente sul lavoro e non anche sul contesto lavorativo, creando un abbassamento delle tensioni personali. I lavoratori hanno avuto modo, attraverso l’esperienza della produttività remota, di ripensare al modello aziendale in cui vivevano, alle contraddizioni, agli sforzi profusi negli anni, alle soddisfazioni e alle brucianti amarezze subite, ai dispetti e alla marginalizzazione a volte provate, alle motivazioni passate e a quelle attuali, al risvolto economico ed al tempo che si spende dentro un’azienda rispetto a quello all’esterno di essa. Molti hanno fatto dei bilanci, hanno sperimentato nuove priorità, creato un nuovo rapporto con il denaro guadagnato, con i desideri, le ambizioni e i progetti futuri. Al rientro in presenza nelle aziende i lavoratori non erano più gli stessi di due anni prima, ognuno segnato dalle proprie trasformazioni, alcuni più profondamente per la perdita di parenti od amici, con diverse centralità rispetto al passato e nuove aspettative. Un contesto del tutto nuovo anche per i managers, che dovevano continuare a gestire la forza lavoro ed elaborare strategie per ricominciare un percorso lavorativo insieme. In questa particolare occasione il comparto dirigenziale si è distinto in due categorie: la prima che ha preso coscienza che non era possibile non considerare quello che il mondo, e i lavoratori avevano vissuto, cercando di avere un approccio empatico e comunicativo con la forza lavoro, in modo da considerare nuove strategie di gestione che tenessero conto del carico di stress accumulato, per capire come evitare dei pericolosi punti di rottura. Managers che si sono improvvisati un po’ psicologi, il cui intento era capire come fosse cambiato il singolo lavoratore, quali nuove aspettative potesse avere e quali problemi si portava con sé, quali fossero le sue ambizioni e come si potesse farle coincidere con la crescita aziendale, insomma creare soddisfazione e appartenenza al gruppo. La seconda categoria di managers ha continuato a rapportarsi e a gestire i dipendenti come se nulla fosse successo, contando sulla dedizione al lavoro della squadra, sui loro sacrifici in termini intellettivi e di tempo e spronandoli a correre come prima, anzi più di prima, visto il tempo perso durante il Covid, facendogli capire ogni giorno che dovevano ringraziare l’azienda per la conservazione del loro posto di lavoro. Questa seconda categoria non si è accorta che il suo esercito è composto di persone che non vedono più nella loro divisa l’unica soddisfazione della propria vita, cerando, giorno per giorno, una frattura sempre più ampia. La presa di coscienza di una minore motivazione che le persone trovavano in un’azienda gestita da managers distanti, senza la capacità di una concreta comunicazione, con la mancanza di ascoltare il proprio gruppo, può creare al fenomeno chiamato Quiet Quitting. Il Quiet Quitting è un atteggiamento da parte dei lavoratori che, sintetizzato, significa fare il minimo sforzo possibile entro i termini corretti del contratto di lavoro, senza più farsi trascinare nel consumo delle proprie energie mentali e di tempo per l’azienda. Un modello di approccio al lavoro che è fortemente destabilizzante per le aziende, se non lo si capisce in tempo e se non si trovano gli strumenti corretti per arginarlo ed evitarlo. Non ci sono, richiami, minacce, allusioni ad aumenti di stipendio o altri bonus che possono risolvere il problema, in quanto il lavoratore non sta violando nessuna regola e la carota dei soldi non fa più presa come un tempo. Se il manager non capisce che nella propria squadra è nata un’insoddisfazione profonda, dove i lavoratori non hanno la possibilità di esprimersi, di realizzarsi, di trarre piacere da quello che fanno, all’interno dell’azienda, i dipendenti hanno due strade: cambiare lavoro o restare applicando il Quiet Quitting. Per i quadri direttivi è importante capire che il mondo è cambiato, che l’inquietudine e le difficoltà fuori dall’azienda hanno trasformato soprattutto i giovani, la forza più propositiva e dinamica di un’impresa, e che i rapporti e gli ambiti lavorativi devono essere diversi e gestiti in modo più collegiale ed empatico.
SCOPRI DI PIU'Odori nella Plastica: Controllare la Filiera per Evitare Contestazionidi Marco ArezioSe è risaputo che nei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata e quindi dal post consumo, la presenza degli odori può permanere in modo consistente, una volta trasformato in granulo, le aspettative sulle produzioni di materia prima dagli scarti post industriali o dai compounds post industriali + post consumo, dal punto di vista degli odori, sono decisamente più alte.Così alte, che ci si aspetta di non dover affrontare la problematica di consegnare al cliente, granuli plastici adatti a produrre articoli che fino a pochi anni fa erano fatti con materia prima vergine, che contengano un gradiente odoroso sgradevole. Le ambizioni qualitative di questi clienti che comprano la materia prima in plastica riciclata, rimangono elevate (quasi comprassero ancora una materia prima vergine), così da poter fregiarsi di produzioni green, ma nello stesso tempo non dover rischiare di perdere i loro clienti finali per una questione legata ad odori sgradevoli. Un binomio di richieste davvero difficile da sostenere, dove il produttore di materia prima plastica riciclata deve trovare soluzioni certe per controllare la sua filiera produttiva, con lo scopo di evitare di acquistare scarti e gestire processi che potrebbero incrementare il problema. Ma quali strumenti oggi abbiamo per poter creare una strategia di controllo che ci avverta quando uno scarto plastico in ingresso possa provocare odori nel granulo finale, con la conseguente possibile contestazione del cliente che lo compra, o quali strumenti abbiamo per capire se l’estrusione della materia prima crei dei processi di degradazione che potrebbero generare odori? Per prima cosa possiamo dire che lo strumento per il controllo degli odori in tutte le fasi della produzione esiste, ci dà una fotografia chimica dei nostri processi e ci indica dove può trovarsi l’errore che causerà la contestazione. Questa macchina da laboratorio, grande quanto una stampante da scrivania, è un gascromatografo unito ad uno spettrometro a mobilità ionica che, attraverso un’analisi veloce e senza una preparazione dei campioni particolare, ci dice quale sia, chimicamente, l’origine delle fragranze che il naso umano intercetta ma che non sa separarle e capirne la provenienza. Se pensate possa essere utile solo per dare una patente odorifera al granulo plastico che producete, siete solo a un terzo della strada, in quanto l’aiuto che questo tipo di analisi può dare all’azienda non è solo il controllo finale della materia prima, ma individuare le fasi critiche della produzione in modo da evitare che gli odori si formino. Le aree di impiego della tecnologia si possono qui riassumere: Acquisto degli scarti plastici per la produzioneChe siano post consumo o post industriali, un’azienda che produce granulo riciclato ha diversi fornitori di scarti plastici e, non tutti lo lavorano nello stesso modo: lavaggi con efficacia differenti, selezione del rifiuto con impianti e metodologie diverse, rischi di contaminazioni degli scarti con altre plastiche e molte altre situazioni simili. Quindi è necessario costruire un’anagrafica qualitativa dei fornitori, per quanto riguarda gli odori degli scarti, in modo che si possa, chimicamente, avere una fotografia di cosa lo scarto può contenere e come questo scarto potrebbe comportarsi nella sua trasformazione in granulo plastico. L’analisi chimica dei flussi in ingresso ci fa capire quale fornitore, per materia prima, possiamo utilizzare per creare le nostre ricette di granulo, senza che si possano generare spiacevoli inconvenienti odorosi in fase di produzione. Le analisi dei flussi creano una banca dati attraverso la quale si può attribuire un determinato scarto, di un determinato fornitore ad una nostra determinata ricetta. Se la fotografia chimica di un flusso di scarti plastici contempla la presenza di una serie di composti chimici in una determinata quantità, possiamo sapere con certezza quale impronta odorosa avrà il nostro granulo finale. Granulazione degli scarti plasticiIn questa fase può succedere che, senza una fotografia chimica dell’input che entra nell’estrusore, lo scarto possa essere utilizzato per la produzione di granulo, senza che possiamo intercettare un disturbo odoroso particolare, confidando quindi di produrre un granulo di buona qualità, confortati magari dal fatto che le analisi di laboratorio che normalmente si fanno, come la densità, il DSC, le ceneri e la fluidità, ci dicano che il materiale può essere idoneo. Ma durante la produzione ci possono essere frazioni molto piccole, in termini di quantità, di materiali estranee alla materia prima principale, che possono degradare creando segnali odorosi importanti che potrebbero far contestare il materiale. La fotografia chimica ci restituisce delle indicazioni che sono espresse in valori così piccoli che i composti chimici in ingresso nell’estrusore e quelli che si possono generare durante la lavorazione, siano precisamente intercettati e definiti analiticamente. Quindi anche il controllo della fase di estrusione delle materie plastiche riciclate ci restituisce un quadro preciso, non empirico degli odori, sui quali poter lavorare per un eventuale aggiustamento delle ricette. Controllo di qualità nella vendita e nel post venditaCome si può definire un odore di un polimero riciclato? Visto dal produttore in un modo, visto da un acquirente magari in un altro. Questa differenza di valutazione crea il maggior numero di contestazioni e di imbarazzi commerciali che, a volte, si chiude con una resa del produttore per mancanza di prove certe. Questa resa si trasforma quasi sempre in danni economici da riconoscere al cliente da parte del produttore di polimeri ma, nella maggior parte delle volte, subentra anche un’incertezza commerciale tra cliente e fornitore gestita in modo del tutto empirico attraverso la prova del naso. Il cliente ha i suoi uomini che annusano l’odore del granulo che ricevono e ne danno una valutazione, mentre il fornitore fornisce la sua squadra. In tutte e due i casi il naso umano, per quanto sofisticatissimo, può interpretare l’odore in modo differente. Per risolvere l’incertezza, le possibili contestazioni e la possibile perdita di fiducia da parte del cliente, fornire allo stesso una fotografia chimica di ciò che si sta vendendo è il miglior modo per dimostrare che il prodotto è formato da elementi chimici che possono generare gradienti di odori nei limiti che il cliente ha preventivamente accettato, non attraverso un naso opinabile ma attraverso la chimica. Infatti cliente e fornitore possono creare, in modo certo e analitico, un accordo che limiti certe sostanze chimiche che generano gli odori a dei valori accettati da entrambe le parti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - odori - post consumo - contestazioniVedi maggiori informazioni sulla gascromatografia
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