Come inquinare l’ambiente e manipolare i principi dell’economia circolare demolendo le navi in modo illegaledi Marco ArezioAggirare i principi dell’economia circolare e inquinare l’ambiente per soldi. La demolizione delle navi è un’attività di grande interesse dal punto di vista dell’economia circolare in quanto vengono recuperati centinaia di migliaia di tonnellate di materie prime ogni anno, soprattutto acciaio, che rientra nel circuito della produzione salvaguardando l’ambiente e risparmiando risorse naturali ed inquinamento per produrre nuove materie prime.E’ tutto così semplice? Purtroppo no. Le demolizioni delle navi dovrebbero essere eseguite in uno dei 41 impianti autorizzati sparsi nel mondo, dove il materiale da riciclare viene avviato a centri autorizzati e specializzati e le sostanze pericolose ed inquinanti, che sono presenti sulle navi, trovano una corretta collocazione, evitando che vadano disperse nell’ambiente. In realtà, alcuni armatori, per questioni di mero profitto, preferiscono vendere la nave che vogliono rottamare a società che operano fuori dalle regole dell’economia circolare e ambientali, incassando un prezzo molto più interessante rispetto ai centri autorizzati. Il business è più importante di quello che si crede, se consideriamo che, secondo le informazioni dell’ONG Shipbreaking, nel solo 2019 sono state vendute ai cantieri di demolizione 674 navi oceaniche, commerciali, piattaforme galleggianti ed offshore, da carico, petroliere e passeggeri. Questa pratica, definita “Shipwrecking“, viene svolta sulle spiagge principalmente di tre paesi: Banglasedh, India e Packistan, le cui imprese locali, che si occupano della demolizione, arrivano a pagare fino a 400 UDS per tonnellata leggera (ltd) che corrisponde a circa 3-4 volte di più rispetto al ricavo che un armatore può ottenere facendo demolire la propria nave in un cantiere Europeo autorizzato. Dove è il profitto? Chi acquista le navi in questi paesi, ad un prezzo di mercato più alto rispetto ai cantieri autorizzati, fa leva sul basso costo della manodopera, sulla bassa considerazione sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori e sul mancato rispetto dello smaltimento dei rifiuti e delle sostanze pericolose in centri autorizzati e con procedure corrette. Mentre chi rivende le navi, a fronte di un maggiore guadagno, aggira le leggi internazionali, che impongono uno smaltimento controllato, facendo cambiare la bandiera alle navi durante l’ultimo viaggio e togliendosi qualsiasi responsabilità della fine del natante. Per il cambio di bandiera e quindi di proprietà, gli stessi demolitori si occupano di tutta la trafila burocratica semplificando le operazioni. Quale è l’impatto sull’ambiente? Sulle spiagge di Chattogram, Alang e Gadani e altre, vengono smontate le navi trasformando luoghi che fino a poco tempo fa erano incontaminati, in discariche a cielo aperto in cui i materiali nobili, come l’acciaio, vengono rivenduti per la laminazioni ad industrie locali, mentre quelli meno nobili e gli agenti inquinanti o tossici, vengono dispersi nell’ambiente, quali piombo, amianto bifenili policrolurati, mercurio e radio. Il Bangladesh, secondo la ONG Shipbreaking, è la discarica preferita per le imbarcazioni che hanno trasportato sostanze tossiche, causando danni irreparabili all’ambiente proprio in un’area di movimento delle maree. Cosa dicono le normative internazionali? Secondo la convenzione di Hong Kong varata dall’organizzazione marittima internazionale, ci sono regole ben precise e dettagliate sullo smaltimento di una nave a fine vita, inoltre esiste il regolamento Europeo entrato in vigore il primo Gennaio 2019, che impone lo smaltimento dei natanti solo nei centri autorizzati. Inoltre, le norme sulla tutela dei lavoratori, nonostante non sia un aspetto che riguarda le normative marittime in materia di smaltimento delle navi, sono spesso disattese per portare a termine questi tipi di attività. In particolare la manipolazione di sostanze tossiche o pericolose senza le adeguate attrezzature di protezione, la mancanza di strutture mediche e di assistenza e la mancanza prevenzione degli incidenti sul lavoro. Cosa si può fare? Come abbiamo visto, alcuni armatori non consegnano la nave ai centri autorizzati per lo smaltimento, ma la vendono prima della demolizione a società non autorizzate, godendo di una procedura semplice e collaudata che non gli fa correre rischi. Una decisa azione politica internazionale potrebbe cambiare le regole che permettono l’aggiramento della legge in fatto di ultima proprietà e della successiva demolizione della nave, il divieto di smaltimento nei siti non autorizzati che deve interessare, in qualche misura, anche l’armatore per cui la nave ha fatto servizio. Le autorità di polizia internazionale e le autorità della protezione dell’ambiente devono continuare il lavoro di investigazione, per perseguire coloro che creano, per profitto, disastri ambientali, mettono in pericolo anche la salute dei lavoratori. Nel frattempo le istituzioni finanziarie hanno iniziato a disincentivare gli investimenti verso aziende che non seguono una politica di circolarità dell’economia e che non dimostrano di avere un’impronta verde sulla propria attività. Infatti stanno definanziando l’industria petrolifera e hanno iniziato anche un ritiro dalle compagnie di navigazione, come è successo nel 2018 quando i fondi pensionistici KLP e GPFG, hanno alleggerito il loro portafoglio sulle compagnie navali.
SCOPRI DI PIU'Polipropilene, Poliestere e Polietilene sono le principali materie prime che costituiscono i teli sottocoppo e sottotegoladi Marco ArezioNell’ambito della sostenibilità dei materiali che vengono utilizzati nei cantieri edili per l’impermeabilizzazione dei tetti, ci siamo occupati in passato dei sistemi di riciclo delle lastre in cartone bitumato, che servono per la posa di coppi e tegole, rendendo il tetto impermeabile e nello stesso tempo ventilato e delle guaine bituminose, che vengono posizionate sopra la falda del tetto in laterocemento o in legno, per proteggerlo dalle infiltrazioni di acqua. Se nel passato, durante le fasi di demolizione, il materiale di risulta del cantiere veniva inviato senza alcuna selezione preventiva alla discarica, oggi è doveroso e necessario selezionare i prodotti di scarto per il loro recupero. I teli sottotetto e sottotegola sono prodotti relativamente recenti che vengono utilizzati per evitare percolazioni di acqua all’interno dell’abitazione, per riflettere il calore verso l’esterno, per favorire la traspirabilità del pacchetto tetto, per ridurre la formazione di umidità causata da fattori interni ed esterni e per altri scopi. Come sono composti i teli sottotetto?I più diffusi sono realizzati in polipropilene o poliestere o polietilene, attraverso la calandratura delle materie prime in strati sottili e molto resistenti. Sono normalmente realizzati in pacchetti stratificati di due, tre o quatto fogli ognuno con un compito preciso che possiamo riassumere: • Strati di finitura • Strato portante • Strato riflettente • Armature Per renderci conto della costituzione di un metro quadrato di telo impermeabile possiamo dire che le grammature possono variare da 100 a 400 grammi, possono avere alcuni strati accoppiati tra loro o prevedere un’armatura a rete che ne aumenta la resistenza a trazione. Quali funzioni hanno i teli sottotetto?In passato l’impermeabilizzazione del tetto, che fosse costituito da una falda il laterocemento o da un assito in legno, si affidava ai composti bituminosi, guaine liquide o guaine a rotoli, il compito di rendere impermeabile il tetto. Con l’utilizzo su larga scala dei tetti in legno, si è notato che la posa dei composti bituminosi avevano una controindicazione, in quanto l’umidità che migrava dall’abitazione veniva bloccata dallo strato impermeabile, con la conseguenza di far marcire, nel tempo, l’assito in legno. Si iniziò quindi ad adottare, per questa tipologia di costruzione, le lastre in cartone riciclato imbevute di bitume, che permettevano, attraverso la loro conformazione, sia la ventilazione del tetto che la facilità di posa della copertura in laterizio. L’adozione successiva dei teli sottotetto ebbe una più rapida impiego nel nord Europa, in quanto l’uso del legno per i tetti era più diffuso che nel sud, inoltre la copertura finale era spesso rappresentata dalle tegole e, queste, risultavano di facile posa su una doppia listellatura in legno anziché sulle lastre bitumate. Nacque così una vasta gamma di prodotti per le esigenze più disparate: • Impermeabilità • Traspirabilità • Riflettenza • Protezione • Isolamento • anticondensa Come riciclare i teli sottotetto?La grande diffusione di questi sistemi di protezione ha, negli ultimi trent’anni, incrementato in modo esponenziale la produzione creando, dopo un lasso di tempo naturale, i primi ritorni come rifiuti da riciclare. Normalmente, essendo i prodotti costituiti da polimeri primari, come il polipropilene, il poliestere e il polietilene, il loro recupero segue la strada dei rifiuti plastici da post consumo, con il conferimento alle piattaforme di riciclo che provvederanno alla loro selezione, macinazione, lavaggio, densificazione, pronti per essere estrusi in nuova materia prima riciclata. Un percorso più problematico esiste per quei teli che sono composti da plastiche differenti, come l’abbinamento con poliuretani, poliesteri, film di alluminio o spalmature varie. In questi casi il conferimento agli impianti di riciclo meccanico di questi teli composti, crea un percentuale di rifiuti non riciclabili piuttosto elevata, in quanto diventa difficile la separazione per tipologia di polimeri dei vari strati e, quindi, il loro riciclo come nuova matria prima. Sicuramente alcune combinazioni tra i polimeri, come il PE+PET, potrebbero trovare un utilizzo come materie prime riciclate, ma restano comunque di difficile riciclo le altre tipologie. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - edilizia - teli impermeabili e traspiranti
SCOPRI DI PIU'L'oscuro viaggio dei rifiuti tossici dall'Italia all'Africa, un affare criminale da 20 miliardi di euro di Marco ArezioL'Africa, da tempo al centro di una crisi ambientale aggravata dall'importazione illegale di rifiuti dall'Europa, è diventata la destinazione finale per enormi quantità di materiale spesso pericoloso. Questo business illegale, che vede l'Italia come uno dei principali snodi, genera un giro d'affari mondiale stimato in 20 miliardi di euro. Nel corso degli ultimi mesi, sono stati effettuati significativi sequestri in Toscana, Campania e Emilia-Romagna, che hanno messo in luce la portata di questa attività criminale. Il Meccanismo del Traffico Illecito Il processo di trasporto di rifiuti dall'Europa all'Africa è complesso e altamente organizzato. I rifiuti, spesso di natura pericolosa come materiali tossici, elettronici o plastici non riciclabili, vengono stipati in container e spediti ufficialmente come "materiali per il riciclo". Paesi come Tunisia, Ghana, Senegal e Mauritania finiscono per essere le destinazioni principali di questi carichi illeciti. Queste spedizioni sono spesso camuffate da legittime esportazioni di rifiuti destinati al riciclaggio. Tuttavia, una volta giunti a destinazione, i rifiuti vengono frequentemente abbandonati in discariche all'aperto o bruciati, causando gravi danni ambientali e rischi per la salute pubblica. Le regolamentazioni esistenti, come la Convenzione di Basilea sulla movimentazione transfrontaliera dei rifiuti, sono sistematicamente violate in questo processo. L'Inchiesta e i Sequestri in Italia Le autorità italiane, in risposta a crescenti preoccupazioni, hanno intensificato le indagini e i controlli sui movimenti di rifiuti destinati all'esportazione. Negli ultimi mesi, significativi sequestri sono stati effettuati in diverse regioni, tra cui Toscana, Campania e Emilia-Romagna. Questi sequestri hanno rivelato non solo la scala dell'illecito ma anche le sofisticate tecniche di mascheramento usate dagli operatori del settore. Le indagini hanno evidenziato come molte delle aziende coinvolte utilizzino documentazione falsa per classificare i rifiuti come materiali non pericolosi. Inoltre, sono stati scoperti accordi corrotti con funzionari locali, sia in Italia che nei paesi di destinazione, per facilitare l'ingresso dei rifiuti nei mercati africani senza le dovute verifiche. Impatto Ambientale e Sanitario L'impatto di queste pratiche illecite è devastante per l'ambiente e la salute delle popolazioni locali. Le discariche illegali, spesso situate vicino a comunità vulnerabili, contaminano il suolo e le acque, portando malattie e problemi sanitari a lungo termine. Inoltre, la combustione incontrollata di plastica e rifiuti elettronici rilascia sostanze chimiche tossiche nell'aria, contribuendo a un più ampio problema di inquinamento atmosferico. Risposta Internazionale e Azioni Future La comunità internazionale, comprese le organizzazioni ambientali e le agenzie delle Nazioni Unite, ha richiamato ad una maggiore cooperazione tra i paesi per fermare il traffico di rifiuti. È urgente un rafforzamento delle leggi e delle misure di controllo, nonché una maggiore trasparenza e tracciabilità delle spedizioni di rifiuti. Inoltre, è fondamentale che i paesi europei, inclusa l'Italia, investano in tecnologie di riciclaggio più avanzate e in politiche di gestione dei rifiuti sostenibili, per ridurre la quantità di rifiuti prodotti e la loro pericolosità. Il traffico illecito di rifiuti verso l'Africa rappresenta non solo un grave rischio ambientale e sanitario, ma solleva anche questioni morali e etiche urgenti che richiedono un'immediata azione collettiva. La gestione irresponsabile e illegale dei rifiuti, specialmente quelli pericolosi, non è solo un problema di non conformità alle normative internazionali, ma riflette una più ampia crisi di responsabilità ambientale e umanitaria. Per affrontare efficacemente il fenomeno, è essenziale esaminare ulteriormente le dinamiche di questo traffico, le sue conseguenze e le misure necessarie per eradicarlo.
SCOPRI DI PIU'Cosa sono, cosa servono e come si scelgono gli additivi stabilizzanti per il PVC riciclatodi Marco ArezioÈ importante sapere che il PVC puro non si presta a quasi nessuna applicazione: per questo motivo, nei processi di trasformazione, vengono sempre aggiunti al PVC degli additivi che proteggono il polimero durante la lavorazione, così da impedirne la degradazione e permettono, inoltre, di migliorare le caratteristiche del manufatto risultante in funzione della sua destinazione d’uso finale. La formulazione del materiale è infatti definita considerando tre aspetti fondamentali: – Tipo di lavorazione: il materiale deve essere in grado di resistere alle sollecitazioni e alle temperature coinvolte nel processo, essere nella forma giusta (dry-blend, granulo, lattice, ecc.), essere sufficientemente stabile e avere proprietà adeguate per il tipo di lavorazione; – Applicazione finale: bisogna tenere in considerazione l’utilizzo finale del prodotto, le sollecitazioni, ambienti ostili, o anche limitazioni particolari imposte, per esempio, per contatto cibi o in campo medico; – Costo: aspetto sempre importante; funzione della quantità e del tipo di additivi. Una formulazione tipica, per il PVC rigido, comprende la resina, lo stabilizzante termico (evita la degradazione), gli aiutanti di processo (migliorano le caratteristiche del fuso e la lavorabilità) e il lubrificante. Per il PVC plastificato si utilizza una base analoga, ma si aggiungono i plastificanti. Altri additivi sono i coloranti e le cariche. Le cariche vengono inserite principalmente per ridurre le quantità di PVC a parità di volume e quindi per ridurre i costi, ma influiscono anche sulle proprietà aumentando la durezza e rigidità del prodotto finito. Un additivo non deve né volatilizzare durante la trasformazione né essudare verso la superficie nel corso dell’utilizzazione del manufatto. Ciò significa che l’additivo deve avere una bassa tensione di vapore ad alte temperature e non deve precipitare o cristallizzare migrando dalla matrice polimerica durante l’invecchiamento. Mentre gli additivi insolubili, come le cariche e i pigmenti, non danno luogo a questi fenomeni di migrazione, al contrario, gli additivi solubili, come i plastificanti di basso peso molecolare, sono suscettibili di fenomeni di migrazione sia durante la trasformazione che durante l’uso, e possono perfino agire da veicolo per la migrazione di altri additivi presenti in minore quantità.Vediamo da vicino gli stabilizzanti Com’è già noto il principale svantaggio nell’uso del PVC è la sua instabilità termica; infatti a circa 100°C subisce una degradazione chiamata deidroclorinazione, ovvero rilascia acido cloridrico. Ciò determina un abbassamento delle proprietà meccaniche e una decolorazione. La trasformazione del PVC in manufatti richiede sempre l’aggiunta di stabilizzanti termici che evitano e riducono la propagazione della degradazione termica, dovuta allo sviluppo di acido cloridrico del PVC durante la fase di gelificazione e di lavorazione. Questi prodotti permettono, inoltre, di migliorare la resistenza alla luce solare, al calore e agli agenti atmosferici del manufatto. Infine, gli stabilizzanti hanno un forte impatto sulle proprietà fisiche della miscela nonché sul costo della formula. In genere vengono addizionati all’1% al PVC e restano saldamente ancorati alla matrice polimerica. La scelta dello stabilizzante termico adeguato dipende da diversi fattori: i requisiti tecnici del manufatto, le normative vigenti ed i costi. I più comuni stabilizzanti sono generalmente dispersi in un co-stabilizzante di natura organica che ne aumenta le caratteristiche di stabilizzazione. I principali stabilizzanti sono: stabilizzanti allo stagno, stabilizzanti al cadmio, stabilizzanti al piombo, stabilizzanti bario/zinco, stabilizzanti Ca/Zn, stabilizzanti organici. Stabilizzanti Ca/Zn Sviluppati di recente e con ottimo successo si stanno proponendo come validi sostituti degli stabilizzanti al piombo sul piano pratico ed anche sul piano economico. Il loro funzionamento si basa sugli stessi principi degli stabilizzanti al piombo, ma, al contrario di questi, non danno problemi ambientali o di salute nell’uomo. Per migliorare l’efficienza di questi sistemi di stabilizzazione talvolta si aggiungono altri elementi come composti a base di alluminio o magnesio. Per alcune applicazioni è necessario l’impiego di co-stabilizzanti come polioli, olio di soia, antiossidanti e fosfati organici. A seconda del tipo di sistema stabilizzante si possono ottenere prodotti finali con elevato grado di trasparenza, buone proprietà meccaniche ed elettriche, eccellenti proprietà organolettiche ed un elevato grado di impermeabilità. Di pari passo agli stabilizzanti Ca/Zn si stanno mettendo a punto sistemi calcio-organici che affianco ai tanti lati positivi: buona processabilità, buona stabilità termica legata all’assenza di Zn (il cui eccesso potrebbe innescare una brusca degradazione del prodotto) presentano alcuni lati negativi come ad esempio il tono colore della base (tendente al giallo). Stabilizzanti Organici Gli stabilizzanti organici non sono considerati, a tutt’oggi, degli stabilizzanti primari e, ancora meno, particolarmente potenti. Alcuni sono impiegati a causa della bassa tossicità, altri sono usati come co-stabilizzanti in abbinamento con stabilizzanti primari. Un rappresentante particolarmente importante che rientra in questa famiglia di lubrificanti è l’olio di soia epossidato. L’olio di soia epossidato è composto dal 10% di acido stearico e da acido palmitico per il resto da acidi grassi polinsaturi parzialmente epossidati. Esso viene usato nelle formulazioni in quantità che vanno dalle 2 alle 5 phr in base alla funzione che dovrà avere. In quantità minore di 2 phr avrà funzione co-stabilizzante, in quantità superiore avrà anche funzione lubrificante.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PVC - stabilizzanti Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'Come si Stanno Muovendo le Importazioni di PE in Cina?Nonostante una situazione internazionale molto critica in termini di approvvigionamento di polimeri a causa della scarsità dell’offerta, della difficoltà a reperire i containers e a causa dei prezzi ormai asfissianti, il colosso cinese, la cui economia nel 2020 è cresciuta nonostante la pandemia, continua a macinare record anche nel campo delle importazioni dei polimeri plastici.Nell’analisi fatta da Pinar Polat il mercato cinese del PE ha avuto ottime performance in termini di quantità soprattutto per quanto riguarda l’LDPE. Infatti le importazioni cinesi di PE hanno raggiunto un nuovo record a Gennaio e Febbraio, secondo i dati dell'Amministrazione generale delle dogane. L'ufficio doganale ha elaborato questi dati per i primi due mesi dell'anno (2021) tenendo conto delle distorsioni causate dalla festività del capodanno lunare di una settimana, che quest'anno era a metà Febbraio. La Cina è stata l'unica grande economia che ha registrato una crescita per il 2020, riuscendo ad espandersi del 2,3%. Il successo del paese nel controllo del COVID-19, le misure di stimolo e i bassi tassi del denaro, dopo la revoca del blocco ad Aprile, hanno aumentato la sua quota di scambi e di investimenti globali. Di conseguenza, le importazioni cumulative di PE del paese hanno raggiunto un nuovo record nei primi due mesi del 2021, superando i volumi del 2019. Le importazioni totali di PE nel periodo Gennaio-Febbraio hanno registrato un aumento annuo dell'8,3%, superando i 2,5 milioni di tonnellate, il dato più alto nelle statistiche di importazione ChemOrbis risalente al 2001. Nonostante i volumi di PE di Febbraio sono diminuiti durante le festività natalizie, i valori totali di Gennaio-Febbraio rimangono elevati. Infatti il rallentamento di Febbraio, era ampiamento atteso poiché le attività commerciali sono normalmente ridotte durante le celebrazioni del capodanno cinese. Milioni di lavoratori tornano nella loro città natale per trascorrere le vacanze in modo tradizionale, tuttavia, a causa della pandemia da COVID-19, i viaggi per le vacanze di quest'anno sono stati meno frenetici. D'altra parte, le importazioni cumulative di PE nei primi due mesi del 2021 erano ancora in positivo in un confronto annuale. Tra tutti i prodotti in PE, le importazioni cinesi di HDPE hanno registrato un leggero calo annuale in questo periodo, mentre le importazioni di LDPE e LLDPE hanno registrato incrementi. HDPE I volumi totali di HDPE nel periodo Gennaio-Febbraio hanno registrato una leggera diminuzione del 3,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, attestandosi a 1.097.065 tonnellate. In questo periodo, l'Arabia Saudita è stata il principale fornitore di HDPE in Cina con oltre 230.000 tonnellate. L'Iran ha seguito l'Arabia Saudita con 202,838 tonnellate. LDPE Le importazioni totali di LDPE nel periodo Gennaio-Febbraio, invece, sono aumentate di circa il 24% su base annua, raggiungendo le 544.676 tonnellate. L'Iran è rimasto il principale fornitore di LDPE in Cina con quasi 125.000 tonnellate. LLDPE Pe quanto riguarda l’ LLDPE nei primi due mesi del 2021, i volumi sono aumentati del 17% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, attestandosi a 920.985 tonnellate. In questo periodo, l'Arabia Saudita è stata il primo fornitore della Cina con oltre 200.000 tonnellate, mentre Singapore è stato il secondo fornitore principale con 174.046 tonnellate. Vedi maggiori informazioni sull'economia Cinese e sui riflessi nella nostra vita
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