La Civiltà del Riuso. Riparare, Riutilizzare, Ridurredi Marco ArezioRaramente ci rendiamo conto che negli hotel, nei ristoranti, nei bar e nei cinema, utilizziamo lenzuola, piatti e posate che sono stati già impiegati centinaia di volte, sediamo su sedie e poltrone che hanno accolto innumerevoli persone prima di noi. L'appartamento in cui viviamo, a meno che non sia stato appena costruito, ha ospitato diverse famiglie. Le città che visitiamo sono state calpestate e abitate per secoli, se non millenni. Il nostro pianeta è un bene condiviso e utilizzato da miliardi di esseri umani attraverso le ere. Il mercato dell'usato rappresenta solo una frazione di questo ciclo di passaggi. Pratiche come il dono, lo scambio, la condivisione, l'abbandono, l'espropriazione e il saccheggio hanno storicamente un impatto ben più significativo di quanto comunemente si creda. Le motivazioni, i sentimenti e gli scopi che stanno dietro a queste azioni rivelano la profondità della nostra relazione con gli oggetti, spesso carica di significati ed emozioni, ben oltre le logiche e le pulsioni che spingono verso l'acquisto del nuovo, dominato da sensazioni e scelte dettate dal mercato.Tuttavia, il riutilizzo nasconde potenzialità enormi che meritano di essere esplorate: la quantità di oggetti che scartiamo quotidianamente è immensa, e il riuso si rivela vantaggioso tanto per chi si disfa di un oggetto quanto per chi lo riceve, riducendo il consumo di risorse naturali e la generazione di rifiuti, incentivando la condivisione e l'integrazione di diversi gusti e stili di vita, oltre a favorire la creazione di nuove opportunità di lavoro. Incoraggiare il riuso è possibile con investimenti minimi e in tempi brevi.
SCOPRI DI PIU'L’alpinista è prima di tutto un fautore della conservazione integrale dell’ambiente. Chi sono questi “signori”? di Marco ArezioI Cinesi sono stati impegnati in una campagna di pulitura dei campi base dell’Everest dove una discarica faceva compagnia alle maestose pareti. Hanno raccolto 8,5 tonnellate di rifiuti lasciati sul posto dalle spedizioni commerciali, turisti alpini improvvisati, che si arrogano il diritto di violentare la natura per il solo fatto che hanno pagato per poter dire: c’ero anch’io. Si è molto parlato dei mari invasi dai rifiuti che vengono abbandonati dall’uomo sulle spiagge, dalle navi, nei fiumi e che arrivano tutti nei mari e negli oceani. Ci siamo molte volte indignati nel vedere le tartarughe impigliate nelle reti abbandonate, nelle plastiche trovate negli stomaci dei pesci, nel tappeto di microplastiche che galleggiano, formando isole infernali. Ma poco si è parlato di un altro ecosistema sottoposto alla violenza e all’inquinamento: le montagne e in particolare le catena Himalayana, che viene percorsa ogni anno da un’orda di spedizioni commerciali che vengono organizzate per portare aspiranti alpinisti in vetta agli 8000. Queste spedizioni reclutano un numero sempre più consistente di partecipanti assicurando loro vitto e alloggio, trasporto dei pesi, il tracciamento della via verso la vetta, attrezzando tutta la salita e assistendoli con un “rinforzo” di ossigeno quando cominciano ad ansimare. La velocità delle spedizioni, data anche dalle finestre di tempo stabile, dai permessi concessi per salire le montagne, dalla convivenza degli spazi con altre spedizioni e dal reclutamento di nuovi partecipanti per nuove salite, ha comportato, negli anni, l’abbandono continuo di rifiuti di tutte le tipologie, da quelli umani a quelli tecnici a quelli di supporto logistico. I cinesi, che sono coinvolti per le salite dal loro versante, si sono posti il problema ambientale dei campi base ai piedi delle montagne. Hanno organizzato un gruppo di raccolta della spazzatura abbandonata che ha portato a valle 8,5 tonnellate di rifiuti. Di questa quantità 5,2 tonnellate erano rifiuti domestici, mentre 2,3 erano rappresentate da feci umane. Anche il Nepal e l’India si stanno ponendo il problema dell’inquinamento crescente nelle zone di alta quota, ma fanno fatica a rinunciare ai fiorenti compensi che derivano dai permessi delle scalate. Il Nepal ha imposto una cauzione di 4000 dollari, per spedizione, se i partecipanti non riportano a valle almeno 8 Kg. di rifiuti a testa, ma sinceramente, sono solo palliativi, in quanto il costo globale di una spedizione commerciale può assorbire senza il minimo trauma questa multa. Forse, a questo punto ci dobbiamo chiedere se la montagna deve essere per forza accessibile a tutti, con tutti i mezzi e, inoltre, chi è un alpinista? Le aree di alta quota sono state tra l’inizio degli anni 70 e la fine degli anni 80 del secolo scorso, il campo d’azione delle aspirazioni dei giovani alpinisti di allora, che sperimentavano, dopo l’epoca degli anni 50 e 60 fatto di un alpinismo “militare” e massicciamente organizzato, un confronto leale con la montagna e le sue estreme difficoltà, senza l’uso di centinaia di portatori, senza l’uso dell’ossigeno e senza l’uso di alpinisti che attrezzavano la salita a chi sarebbe andato in vetta. Si era sviluppato un alpinismo che rispettava le montagne, dove la misurazione dei propri limiti era leale e l’ambiente solitario e intonso, creava un nuovo mondo, fatto di riscatto personale e venerazione per le ultime aree sfuggite alla manipolazione umana. L’8 maggio 1978 Reinhold Messner e Peter Habeler hanno incarnato le speranze del nuovo alpinismo ecologista, raggiungendo la vetta dell’Everest senza ossigeno e con una spedizione leggera. “Ci dicevano che eravamo matti con tendenze suicide – ha ricordato in un’intervista all’Ansa Messner – con la nostra impresa abbiamo smentito la scienza, che sosteneva che oltre gli 8.500 metri fosse impossibile resistere, che saremmo di certo morti. Noi, invece, siamo saliti a quasi 8.900 metri, per poi scendere al campo base sani e salvi“ Messner continuò il suo alpinismo alla ricerca dei suoi limiti fisici e psicologici riuscendo, per primo, a salire tutte le vette oltre gli 8 mila, portando nel mondo un messaggio chiaro: con la montagna non si deve barare, la sfida è tra te e l’ambiente naturale, senza aiuti esterni. Le montagne in quota dovrebbero essere come le riserve naturali marine, chiuse al pubblico pagante, e accessibili solo ad esperti che ne ripettino la storia, l’ambiente e si preoccupino del loro futuro. Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'Come si Stanno Muovendo le Importazioni di PE in Cina?Nonostante una situazione internazionale molto critica in termini di approvvigionamento di polimeri a causa della scarsità dell’offerta, della difficoltà a reperire i containers e a causa dei prezzi ormai asfissianti, il colosso cinese, la cui economia nel 2020 è cresciuta nonostante la pandemia, continua a macinare record anche nel campo delle importazioni dei polimeri plastici.Nell’analisi fatta da Pinar Polat il mercato cinese del PE ha avuto ottime performance in termini di quantità soprattutto per quanto riguarda l’LDPE. Infatti le importazioni cinesi di PE hanno raggiunto un nuovo record a Gennaio e Febbraio, secondo i dati dell'Amministrazione generale delle dogane. L'ufficio doganale ha elaborato questi dati per i primi due mesi dell'anno (2021) tenendo conto delle distorsioni causate dalla festività del capodanno lunare di una settimana, che quest'anno era a metà Febbraio. La Cina è stata l'unica grande economia che ha registrato una crescita per il 2020, riuscendo ad espandersi del 2,3%. Il successo del paese nel controllo del COVID-19, le misure di stimolo e i bassi tassi del denaro, dopo la revoca del blocco ad Aprile, hanno aumentato la sua quota di scambi e di investimenti globali. Di conseguenza, le importazioni cumulative di PE del paese hanno raggiunto un nuovo record nei primi due mesi del 2021, superando i volumi del 2019. Le importazioni totali di PE nel periodo Gennaio-Febbraio hanno registrato un aumento annuo dell'8,3%, superando i 2,5 milioni di tonnellate, il dato più alto nelle statistiche di importazione ChemOrbis risalente al 2001. Nonostante i volumi di PE di Febbraio sono diminuiti durante le festività natalizie, i valori totali di Gennaio-Febbraio rimangono elevati. Infatti il rallentamento di Febbraio, era ampiamento atteso poiché le attività commerciali sono normalmente ridotte durante le celebrazioni del capodanno cinese. Milioni di lavoratori tornano nella loro città natale per trascorrere le vacanze in modo tradizionale, tuttavia, a causa della pandemia da COVID-19, i viaggi per le vacanze di quest'anno sono stati meno frenetici. D'altra parte, le importazioni cumulative di PE nei primi due mesi del 2021 erano ancora in positivo in un confronto annuale. Tra tutti i prodotti in PE, le importazioni cinesi di HDPE hanno registrato un leggero calo annuale in questo periodo, mentre le importazioni di LDPE e LLDPE hanno registrato incrementi. HDPE I volumi totali di HDPE nel periodo Gennaio-Febbraio hanno registrato una leggera diminuzione del 3,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, attestandosi a 1.097.065 tonnellate. In questo periodo, l'Arabia Saudita è stata il principale fornitore di HDPE in Cina con oltre 230.000 tonnellate. L'Iran ha seguito l'Arabia Saudita con 202,838 tonnellate. LDPE Le importazioni totali di LDPE nel periodo Gennaio-Febbraio, invece, sono aumentate di circa il 24% su base annua, raggiungendo le 544.676 tonnellate. L'Iran è rimasto il principale fornitore di LDPE in Cina con quasi 125.000 tonnellate. LLDPE Pe quanto riguarda l’ LLDPE nei primi due mesi del 2021, i volumi sono aumentati del 17% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, attestandosi a 920.985 tonnellate. In questo periodo, l'Arabia Saudita è stata il primo fornitore della Cina con oltre 200.000 tonnellate, mentre Singapore è stato il secondo fornitore principale con 174.046 tonnellate. Vedi maggiori informazioni sull'economia Cinese e sui riflessi nella nostra vita
SCOPRI DI PIU'Siamo tutti Greta Thunberg quando parliamo con gli amici di ambiente, di sostenibilità, di riciclo, di futuro per i giovani e i nostri figlidi Marco ArezioCi dilunghiamo in discussioni sulla mobilità sostenibile, sulla necessità impellente di una riconversione energetica, di protestare contro i produttori di combustibili fossili che inquinano l’ambiente, di elogiare l’uso dei monopattini e di ridurre l’impronta carbonica. Siamo accaniti odiatori sui social e durante gli aperitivi serali, quando si parla di inquinamento dei mari dalla plastica, dei pesci che muoiono e delle barriere coralline che soffrono per l’aumento della temperatura delle acque. Ci scagliamo contro la deforestazione in Brasile e nel sud est asiatico, prendendocela apertamente contro l’industria del legno, la proliferazione degli allevamenti di animali da macello e dell’agricoltura intensiva per produrre il foraggio necessario a sostenere il business internazionale della carne. Ci indigniamo quando sentiamo che i bambini sono impiegati nell’estrazione di minerali pregiati in Congo, necessari per l’industria moderna e addossiamo la colpa a questa o quella nazione che detiene la proprietà delle miniere. Esibiamo con orgoglio ai tavoli degli spritz serali l’ultima borraccia, rigorosamente di alluminio, per stigmatizzare, al di là di qualsiasi dubbio, che noi abbiamo fatto già molto per l’ambiente e che tutti devono sapere da che parte si sta. Esibiamo il rifiuto del sacchetto in cui riporre lo spazzolino da denti acquistato in negozio, come messaggio forte al negoziante dell’attenzione che abbiamo sul problema dei rifiuti, uscendo con il tubetto in tasca, tanto poi il dentifricio lo compriamo su internet, con consegna immediata, che arriverà a casa prima di noi. Ma finiti gli aperitivi con gli amici, spenti i computers, i momenti di socialità quotidiana in cui confrontarsi con la necessità di appartenere a qualche schieramento, capita che si debbano fare delle scelte, in autonomia, che possano toccare il proprio portafoglio e che possano avere dei risvolti sulla sostenibilità della collettività. Ed è proprio in queste occasioni che ci si accorge di come siamo a volte falsi, di come abbiamo un anima come quella di Pinocchio, di come parliamo attraverso le parole degli altri e di come siamo incoerenti. Quando queste scelte toccano direttamente, profondamente e singolarmente noi stessi, il risultato tra ciò che si dice e ciò che si fa è spesso molto diverso. Gli esempi da fare sono così tanti che non saprei veramente da che parte iniziare, così ne prendo uno solo, che può rappresentare il mondo variegato di questo problema, ed è l’emblema del fare il contrario di quello che sempre si sostiene. Un cliente chiede informazioni su un pavimento in plastica riciclata per l’esterno, decantandone poi la funzione sociale del prodotto in quanto riutilizza i rifiuti che diversamente finirebbero nell’ambiente, ne elogia la funzionalità tecnica, vedendo che il prodotto raggiunge standard qualitativi e meccanici superiori, in certi casi, ad un pavimento in cemento tradizionale che ha un impatto ambientate molto più alto. Intuisce che è un prodotto innovativo, ecocompatibile, fortemente adatto a ridurre l’impronta carbonica, leggero così da risparmiare in trasporti ed inquinamento. Ha perfettamente presente che la produzione del massello in cemento divora risorse naturali, come la sabbia, l’acqua, i composti e l’enorme quantità di energia termica e meccanica per produrre il cemento. Si è informato sulla difficoltà attuale del riciclo dei prodotti cementizi e che la maggior parte di essi, a fine vita, finiscono in discarica, con un impatto ambientale molto alto, mentre il massello in plastica, può essere riciclato in ogni caso, sempre. A questo punto, la bilancia pende totalmente a favore del prodotto riciclato quindi, come ultimo tassello si parla di prezzo, già quindi convinto che davanti a casa si poseranno i masselli ecocompatibili in plastica riciclata, convinto dai buoni risultai tecnici del prodotto, dalle certificazioni ufficiali di cui gode e dall’indubbio basso impatto ambientale.Già ci immaginiamo con quale enfasi possa raccontare agli amici della sua scelta personale di posare un pavimento carrabile fatto con materiali riciclati, che sia del tutto rispettoso dei principi dell’economia circolare. Chiudendo la trattativa per l’acquisto, il prezzo del pavimento in materiale riciclato si rilevò allineato con quello in cemento e, a questo punto, come fosse un colpo di teatro, un effetto speciale dei film di Hollywood, il cliente dichiara: “ma se un prodotto fatto di rifiuti plastici costa come uno fatto in cemento, compro quello in cemento”.L’oblio…Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti Vedi ulteriori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Ursula Von der Leyen sola dopo il fallimento della Cop25 a Madrid. Il presidente della commissione Europea, Ursula Von der Leyen, dopo il fallimento dell’assemblea dei principali paesi del mondo, che si sono riuniti a Madrid per discutere della drammatica situazione ambientale, nella speranza di accelerare sul raggiungimento degli obbiettivi di Parigi, si è trovata decisamente sola. Per varie ragioni, come descritto nelle pagine NEWS del portale qualche giorno fà, i maggiori inquinatori del nostro pianeta come gli Stati Uniti, la Cina, il Brasile, l’India e la Russia non solo non hanno dato diponibilità per rispettare i limiti ambientali stabiliti in precedenza ma, alcuni di essi, hanno addirittura chiesto di uscire dall’accordo di Parigi. Il sentimento condiviso da questi paesi è quello di essere libero di produrre e inquinare a loro piacimento, senza necessità di sottomettersi a regole e controlli stringenti, con la conseguenza di diventare più competitivi commercialmente sul mercato rispetto a quei paesi che rispettano le normative ambientali. Sembrerebbe sia stata una grande delusione, prima di tutto politica, da parte dell’Unione Europea, che si trova a portare avanti da sola questa battaglia sulla salvaguardia del pianeta. Ma nonostante gli insuccessi di Madrid il presidente della commissione Europea ha deciso di continuare la sua lotta verso i cambiamenti climatici e all’inquinamento, varando il programma “European Green Deal” che esprime la volontà comunitaria di far diventare l’Europa il primo continente ad impatto zero entro il 2050. Attraverso nuove proposte legislative e cospicui finanziamenti comunitari che il presidente vuole mettere in campo, entro due anni, si vuole arrivare al controllo delle emissioni, alla creazione di un mercato verde, anche nel campo lavorativo e spingere sull’innovazione, punto dolente rispetto a nazioni come Cina e USA. La nuova politica comunitaria toccherà diversi settori: l’agricoltura, l’industria, l’energia, la tecnologia, i trasporti e la chimica. Ci sono ancora alcuni paesi comunitari che sono contrari o scettici al nuovo programma, specialmente quelli dell’est, legati a doppio filo al carbone per la produzione di energia elettrica. Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria vorrebbero un rinvio della partenza del piano per avere più tempo per poter convertire i propri impianti dal carbone ad una fonte energetica più pulita. Sicuramente il piano è ambizioso e impegnativo, in quanto coinvolge non solo l’adeguamento tecnologico di sistemi produttivi di energia obsoleti ed inquinanti, come il carbone, ma anche il reperimento di risorse economiche enormi, circa 100 miliardi l’anno, da investire per aiutare i paesi dell’EST al raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050. Risorse che oggi non sono facili da reperire tra i paesi della comunità Europea. Ma c’è anche un aspetto importante da tenere presente, che riguarda lo svantaggio commerciale dei prodotti realizzati all’interno del mercato Europeo, governato dalle stringenti norme ambientali, rispetto a paesi che hanno la facoltà di derogare a questi impegni, diventando quindi più competitivi dal punto di vista commerciale. Per far fronte a questo problema si sta pensando ad un ritorno dell’investimento pubblico in settori strategici come quello tecnologico, industriale e dell’energia. Questo potrebbe servire per diminuire il differenziale tra il costo di produzione Europeo e quello di altri paesi che producono energia da fonti fossili. Tuttavia l’investimento pubblico non è l’unico pensiero che ha Bruxelles per aiutare le imprese Europee a rimanere competitive nelle esportazioni, ma sta pensando anche ad una sorta di “Carbon Tax”, una tassa per gli inquinatori, rivolta alle merci di quei paesi che producono ed esportano i loro beni, utilizzando energia non verde, quindi meno cara e più inquinante. A catena, si potrebbero aggregare idee circa il blocco dell’accordo di libero scambio dei beni tra l’Europa e il Mercosur, colpendo il commercio della carne Brasiliana, in quanto il presidente del Brasile, Bolsonaro, è ritenuto responsabile della deforestazione dell’Amazzonia, con tutte le conseguenze ambientali relative. Le intenzioni sono buone, ma il processo di compimento del nuovo piano verde comporta molta politica e molti soldi, due cose da prendere con le pinze.Vedi maggiori informazioni sull'argomento
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