Dopo decenni di sofferenze, depistaggi, omertà, malattie e morti, Chernobyl compie una svolta verde, dal Nucleare al Solare.Il 26 Aprile 1986 ci fu un incidente spaventoso nella centrale atomica Ucraina, ancora sotto il dominio sovietico, che provocò morte e distruzione tra la popolazione vicino all'impianto. Le radiazioni nucleari accompagnarono la vita dei superstiti e dei loro discendenti portando malattie e menomazioni per lunghi anni. L'incidente nucleare alla centrale di Chernobyl fu classificato dall'IAEA a livello 7 della scala INES, il massimo valore possibile dell'indice, che indica l'evento come catastrofico. La storia ci dice che: le cause furono inputate alle gravi mancanze da parte del personale, sia tecnico sia dirigenziale, in problemi relativi alla struttura e alla progettazione dell'impianto stesso e della sua errata gestione economica e amministrativa. Il personale si rese responsabile della violazione di svariate norme di sicurezza e di buon senso, portando a un brusco e incontrollato aumento della potenza (e quindi della temperatura) del nocciolo del reattore n. 4 della centrale: si determinò così la scissione dell'acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno a così elevate pressioni da provocare la rottura delle tubazioni del sistema di raffreddamento del reattore. Il contatto dell'idrogeno e della grafite incandescente delle barre di controllo con l'aria, a sua volta, innescò una fortissima esplosione, che provocò lo scoperchiamento del reattore e di conseguenza causò un vasto incendio. Una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente e rendendo necessaria l'evacuazione e il riposizionamento in altre zone di circa 336 000 persone. Nubi radioattive raggiunsero anche l'Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione decrescenti, toccando anche l'Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l'Austria e i Balcani, fino a porzioni della costa orientale del Nord America. Quest'anno cade il 35° anniversario dell'incidente e le aree limitrofe alla centrale stanno cercando di voltare pagina attraverso nuovi progetti energetici. Nella cittadina di Slavutych, costruita nel 1986 a seguito della catastrofe nucleare, attraverso il progetto Solar Town, la popolazione ha costituito una cooperativa che si occupa di energia solare, un modo per far fronte alle esigenze economiche del paese e alle pressanti necessità di occupazione. Il sistema di gestione della rete distributiva e produttiva di energia elettrica in Ucraina appartiene normalmente ad aziende private, gestite da oligarchi, che hanno accentrato il controllo dell'energia in poche mani. All'inizio degli anni 2000, queste società private incorporarono le linee elettriche delle città, paesi e villaggi per cifre simboliche, creando, di fatto una sorta di monopolio. Le linee elettriche di Kiev, per esempio, appartengono alla società DTEK, il maggior gruppo energetico Ucraino, con a capo l'oligarca Rinat Akhmetov. Il progetto sviluppato a Slavutych è una vera eccezione nel paese in quanto permette l'indipendenza energetica della popolazione attraverso una forma di gestione democratica in una cooperativa. Il parco solare è stato realizzato con un finanziamento acquisito in rete, tramite un intervento di crowfunding, che ha permesso di raccogliere circa 150.000 euro in soli 4 mesi permettendo la costruzione di 3 centrali solari sui tetti piatti dei palazzi. Attraverso la gestione di queste piccole centrali solari, la popolazione del paese rivende l'energia non consumata e destina circa il 5% del ricavato alla comunità per migliorie sociali. Considerando anche il tasso di mortalità della popolazione, a causa dell'inquinamento causato dalle centrali a carbone, che è pari a 43 morti per milione di GJ di carbone utilizzato, contro per esempio la Germania, che conta il doppio della popolazione ma un tasso di mortalità di 1,6 per milione di GJ di carbone utilizzato, si può sperare che progetti come questi possano portare all'aumento della produzione di energie rinnovabili nel paese.Vedi maggiori informazioni sulle energie rinnovabili
SCOPRI DI PIU'Come dai rifiuti si può ottenere un carburante ecologico contribuendo all’indipendenza energeticaPetrolio e gas sono diventati ormai l’incubo della popolazione Europea, che li usa massicciamente per la mobilità e per la produzione di energia elettrica, alimentando le case, le fabbriche, gli ospedali, l’illuminazione stradale, le ricariche dei nostri cellulari, i condizionatori e ogni altro ambito in cui abbiamo bisogno di luce e del funzionamento di un elettrodomestico. Inoltre, la crisi climatica in corso, ci impone un cambiamento radicale basato sull'abbandono graduale delle fonti fossili per arrivare all'utilizzo di fonti rinnovabili ed energia pulita. Nel suo nuovo Green Deal l'Europa si è posta l'obiettivo di diventare carbon neutral nel 2050 e di abbattere le emissioni climalteranti del 40% entro i prossimi dieci anni. Da tanto tempo, quindi, si sta parlando di trovare soluzioni alternative alle fonti fossili per la produzione di energia, prima un po' per snobbismo, poi per questioni ambientali palesi, ed adesso per una questione di sopravvivenza ed economia. Se da una parte c’è stata una recente forte spinta, seppur con molti ritardi, sulle energie rinnovabili tramite l’eolico e il solare, nel campo dei biocarburanti si stanno studiando e testando nuove forme di combustibili ecosostenibili che derivano dai rifiuti. Fino ad oggi conoscevamo i biocarburanti di derivazione agricola, che venivano prodotti attraverso il trattamento degli zuccheri o dagli amidi che, impiegando il processo si sintetizzazione, permetteva di ottenere il bioetanolo. Esiste anche una produzione di biocarburante che parte dal trattamento dei grassi esausti per ottenere il biodiesel. Per chiudere il cerchio delle fonti green usate nelle bioraffinerie, possiamo annoverare anche i rifiuti delle attività legate al legno che, producendo la biomassa, possono essere utilizzate per le attività di bioraffinazione. Un nuovo filone, molto promettente dei biocarburanti, è la loro produzione attraverso l’utilizzo degli scarti alimentari, il cosiddetto FORSU, che ha indubbi vantaggi ambientali, in quanto riduce la presenza dei rifiuti prodotti giornalmente, non impiega i terreni agricoli, ha un impatto modesto sui costi produttivi rispetto ad altri biocarburanti e, altro punto importante, ha un approvvigionamento di materia prima sempre disponibile. Ma come avviene il processo di produzione del bio-olio dagli scarti alimentari? Gli scarti alimentari, quello che definiamo umido, vengono lavorati attraverso un processo chiamato di termoliquefazione, trasformando la massa dei rifiuti e dell’acqua in esso contenuta, in bio-olio a basso contenuto di zolfo. In questa fase del processo produttivo è possibile l’uso del bio-olio per la navigazione marittima, mentre attraverso un successivo passaggio di raffinazione è possibile produrre un bio carburante ad alte prestazioni. Per parlare di numeri e fare un esempio, si può dire che da circa 100 Kg. di rifiuto umido (FORSU) si può ottenere circa 16 kg. di bio-olio e, considerando che solo in Italia vengono raccolte circa 7 milioni di tonnellate di FORSU, si potrebbe auspicare che attraverso una maggiore attenzione nella differenziazione dei rifiuti e una maggiore diffusione degli impianti Waste to Fuel, su tutto il territorio nazionale, potremmo idealmente ricavare ogni anno circa un miliardo di litri di bio-olio. Con questi volumi, che equivarrebbero a circa 6 milioni di barili di greggio all’anno, sarebbe come scoprire un piccolo giacimento senza, però, dover perforare pozzi e senza, soprattutto, emettere ulteriore CO2 nell'ambiente. Attraverso il processo di termoliquefazione possiamo accelerare in poche ore, i processi chimici che il pianeta ha compito in milioni anni creando i depositi fossili, avendo l’opportunità di produrre il bio-olio senza impatti ambientali negativi. Il primo vantaggio della termoliquefazione, rispetto ad altri processi di trattamento dei rifiuti, si concretizza nel non dover rimuovere l’acqua, infatti, in tutti gli altri processi l’acqua viene fatta evaporare riscaldando la biomassa con evidenti costi energetici. Qui, invece, l’acqua viene utilizzata nella reazione stessa, sfruttandone le proprietà ad alta temperatura. Inoltre, si utilizzano temperature più basse: 250-310 °C invece dei 400-500 °C della pirolisi e degli 800-1000 °C della gassificazione. Risulta vantaggiosa anche la resa energetica della termoliquefazione, che raggiunge l'80%.
SCOPRI DI PIU'Economia Circolare: il Rifiuto del Rifiuto va “in Cenere”?Niente si scarta nei termovalorizzatori moderni. Dopo la produzione di corrente e di calore per il riscaldamento, anche la cenere ha una sua collocazione La cenere che viene prodotta attraverso l’incenerimento dei rifiuti nei termovalorizzatori, può avere una collocazione nell’ambito dell’economia circolare, in base a come si identifica il rifiuto dei forni e in base alle legislazioni nazionali vigenti in materia ambientale e di riutilizzo del materiale. La termovalorizzazione dello scarto non riciclabile dei rifiuti non è mai da vedere come una opzione al sistema di separazione e riciclo dei rifiuti, ma bensì un sistema integrativo al riciclo meccanico che intercetta e gestisce quella parte dei rifiuti non più riutilizzabili. L’incenerimento di questo scarto genera normalmente energia elettrica e calore per il riscaldamento delle nostre abitazioni, oltre ad essere impegnato in altri ambiti industriali come carburante alternativo alle fonti fossili. Quelle che vengono definite “Bottom Ashes” in campo internazionale, riguardano le ceneri residuali del processo di combustione dei rifiuti, che sono rappresentate dagli scarti incombusti delle masse poste nei forni. La composizione delle ceneri incombuste contempla residui di vetro, minerali, metalli ferrosi e non ferrosi e ceramiche, nella misura del 20-25% per ogni tonnellata immessa nel forno, secondo le indicazioni dell’ISWA (International Solid Waste Organization) che si occupa di promuovere e sviluppare la gestione sostenibile e professionale dei rifiuti in tutto il mondo. Le ceneri residuali vengono estratte dai forni attraverso un processo in cui si usa l’acqua per raffreddarle e per evitare che si creino polveri potenzialmente dannose, quindi la loro rimozione dagli impianti avviene sotto forma di agglomerati umidi e compatti. Fino a qualche anno fa, generalmente, le ceneri estratte non avevano una collocazione diversa da quello della discarica, ma con l’avvento dei processi dell’economia circolare, si è iniziato a considerare la possibilità di riutilizzarle. Considerando che i composti chimici contenuti nelle ceneri sono mediamente composti da Sodio, Alluminio, Potassio, Magnesio, Ferro, Calcio e Silicio, possiamo dire che la prevalenza dei componenti è normalmente è costituita da silicio, calcio e ferro. In merito alle analisi chimiche medie che ogni impianto fornisce, molti paesi si sono dotati di una legislazione per classificare queste ceneri e ne hanno consigliato i trattamenti e gli utilizzi. Vediamo quali indicazioni vengono da alcuni paesi: In Italia, in base al decreto n° 22 del 5 Febbraio 1997, le ceneri provenienti dagli impianti di incenerimento possono essere riutilizzate, se non contengono sostanze nocive, come inerte cementizio, ma solo dopo essere state opportunamente trattate. In realtà il loro utilizzo nel paese rimane ancora limitato rispetto alla produzione. L’Olanda regola la gestione delle ceneri all’interno del piano nazionale della gestione dei rifiuti (LAP) in cui compaiono, tra le altre, alcune indicazioni in merito all’uso del materiale di scarto dove trova largo impiego come componente dei terrapieni. In Danimarca, già nel 1987, il governo aveva permesso l’utilizzo delle ceneri prodotte dagli impianti di incenerimento come inerte per la costruzione delle strade, con l’obbiettivo di trovare un impiego per almeno l’85% dello scarto prodotto. Inoltre ne ha permesso l’utilizzo anche nell’edilizia civile abitativa solo a seguito del parere di carattere ambientale dell’Environmental Protecion Act. La Francia ha deciso di classificare le ceneri residuali attraverso analisi che possano identificare tre categorie ben distinte: V, M es S, attribuendo a queste tre categorie la percentuale di ceneri (50%, 30% e 20%) ammesse all’interno dei composti utilizzabili. In Spagna la maggior parte delle ceneri viene ancora inviata alle discariche anche se si sta promuovendo un uso, quale inerte, per la costruzione delle strade. In Finlandia l’uso degli inceneritori non è una priorità per il governo che preferisce seguire la strada dello smaltimento dei rifiuti tramite i gassificatori, quindi, indirizza le basse quantità di ceneri prodotte in discarica. La Germania dal 2006 permette l’utilizzo delle ceneri nella costruzione di strade, sempre che le analisi chimiche non individuino elementi potenzialmente dannosi per l’ambiente. Insieme all’Olanda, la Danimarca e la Francia, la Germania è il paese che riutilizza maggiormente questo scarto. L’impiego delle ceneri che provengono dagli impianti di incenerimento dei rifiuti, ove possibile, costituisce la piena circolarità delle materie prime, utilizzando integralmente ogni parte dei rifiuti attraverso i processi di riciclo, produzione di energia e riutilizzo degli scarti finali.Vedi maggiori informazioni sull'argomento
SCOPRI DI PIU'Umidità nei polimeri: materiali Igroscopici e non IgroscopiciTutte le materie polimeriche durante la fase di sintesi, di trasporto e di stoccaggio hanno la tendenza a trattenere l’umidità, raggiungendo un valore di equilibrio con l’ambiente, che dipende dal tipo di polimero, dall’umidità e dalla temperatura dell’aria, dalle dimensioni del granulo e da molti altri fattori che si studieranno dettagliatamente nel prossimo capitolo. In base alla capacità di assorbire le molecole d’acqua presenti nell’ambiente circostante, le materie plastiche si possono suddividere in: igroscopiche e non igroscopiche. Nei polimeri igroscopici l’acqua è assorbita all’interno del granulo plastico e si lega chimicamente con il materiale stesso. Appartengono a questo gruppo polimeri ingegneristici come poliammide (PA), policarbonato (PC), polimetilmetacrilato (PMMA), polietilentereftalato (PET), acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS). Nei polimeri non igroscopici, invece, l’acqua non penetra all’interno del materiale ma si deposita solo sulla superficie. Polietilene (PE), polipropilene (PP), polistirene (PS) sono polimeri di questo tipo. Il processo di asportazione dell’umidità superficiale nei materiali non igroscopici risulta essere semplice e veloce e richiede l’utilizzo di essiccatori ad aria calda. Nel caso dei polimeri igroscopici, invece, la rimozione dell’umidità residua è più difficoltosa e richiede l’utilizzo di deumidificatori nei quali l’aria calda, insufflata per asportare l’acqua contenuta nei granulati polimerici, è preventivamente deumidificata. Molti polimeri tecnici (chiamati anche “tecnopolimeri” o “polimeri ingegneristici”) sono igroscopici e sono caratterizzati da una determinata percentuale di umidità che li rende saturi e da una precisa velocità di assorbimento. Quando un polimero igroscopico è esposto all’atmosfera, le molecole d’acqua diffondono all’interno della struttura polimerica legandosi alle catene molecolari e causando la riduzione dei legami intermolecolari e aumentando la mobilità delle molecole, fungendo da plastificante. In generale l’igroscopicità di un polimero è legata alla polarità della struttura chimica delle macromolecole del polimero stesso. Un’importante caratteristica dell’acqua è data dalla polarità della sua molecola, con momento di dipolo molecolare pari a 1,847 D. La molecola dell’acqua forma un angolo di 104,5º con l’atomo di ossigeno al vertice e i due atomi di idrogeno alle due estremità. Dato che l’ossigeno ha una elettronegatività maggiore, il vertice della molecola ospita una parziale carica elettrica negativa, mentre le estremità recano una parziale carica elettrica positiva. Una molecola che presenta questo squilibrio di cariche elettriche è detta essere un dipolo elettrico. Nella struttura molecolare di molti polimeri igroscopici è presente il gruppo carbonilico, che è un gruppo funzionale costituito da un atomo di carbonio e uno d’ossigeno legati da un doppio legame. La particolarità di questo gruppo è che l’ossigeno è molto elettronegativo e conferisce una polarità al legame. Dato che l’ossigeno ha una elettronegatività maggiore, esso ospita una parziale carica elettrica negativa, mentre al carbonio rimane una parziale carica elettrica positiva. Polimeri che contengono molti gruppi carbonilici presentano, quindi, una carica negativa sull’ossigeno che attrae la carica positiva presente sull’atomo di idrogeno della molecola d’acqua. L’attrazione tra la carica positiva e quella negativa genera un legame debole chiamato a ponte d’idrogeno. Il gruppo carbonilico è presente in molti polimeri igroscopici come policarbonato (PC), polietilentereftalato (PET) e polibutilentereftalato (PBT). I legami a ponte d’idrogeno sono deboli rispetto ai forti legami presenti nella catena polimerica, ma sono forti abbastanza da provocare l’assorbimento delle molecole d’acqua fino ad un valore d’equilibrio che è caratteristico per ogni tipo diverso di polimero. Nelle poliammidi l’idrogeno legato all’azoto ha una debole carica positiva, poiché l’atomo di azoto è molto più elettronegativo dell’atomo di idrogeno, e una volta attratto dalla carica negativa dell’ossigeno della molecola d’acqua forma un legame a ponte d’idrogeno. Inoltre anche nelle poliammidi è presente il gruppo carbonilico che forma legami deboli con l’idrogeno presente nelle molecole d’acqua. L’igroscopicità dei polimeri, quindi, è legata alla struttura delle macromolecole e alla formazione di legami a ponte d’idrogeno che provocano l’adsorbimento dell’umidità. Infatti polimeri che contengono il gruppo carbonilico e polimeri come le poliammidi sono igroscopici ed assorbono umidità attraverso la formazione di legami ad idrogeno. I polimeri non polari, invece, come le poliolefine (polipropilene e polietilene) e polistirene non assorbono umidità attraverso legami a idrogeno.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - umidità
SCOPRI DI PIU'PLASTIMAGEN ® MEXICO Si stima che la domanda globale di prodotti in plastica continuerà ad aumentare, come risultato di uno sviluppo industriale dinamico, di nuovi standard di vita e di accesso ai beni di consumo più elevati da parte della popolazione. Pertanto, senza apportare cambiamenti profondi nel settore della della plastica, come l'economia circolare, la crescita della domanda si tradurrà in un aumento delle emissioni di carbonio derivanti dalla plastica.PLASTIMAGEN ® MEXICO presenta oltre 870 aziende che rappresentano oltre 1.600 marchi provenienti da più di 27 paesi, 14 padiglioni internazionali e il padiglione ANIPAC (l'Associazione nazionale delle industrie della plastica in Messico). Con più di 40.000 m2 di spazio espositivo PLASTIMAGEN ® MEXICO è la fiera della plastica più completa e importante dell'America Latina, un evento progettato per soddisfare le esigenze di oltre 28.000 visitatori che cercano soluzioni innovative per le loro aziende. PLASTIMAGEN ® MEXICO è la principale fiera del settore nella regione, dove i principali fornitori mondiali si riuniscono in un unico forum per fornire ai decisori chiave soluzioni all'avanguardia per: • Macchinari e attrezzature • Materie prime • Trasformazione di materie plastiche e prodotti in plastica • Servizi per l'industria della plastica Per maggiori informazioni è a disposizione il sito internet di PLASTIMAGEN ® MEXICO
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