Dove il riciclo meccanico non arriva, le nuove tecnologie di riciclo molecolare danno nuove speranze per riciclare la moquettedi Marco ArezioI tappeti e le moquette non sono ben visti perfino nelle discariche per la loro difficoltà di smaltimento, quindi costituiscono un problema sulla circolarità dei prodotti. Il riciclo molecolare dei rifiuti plastici apre a nuove speranze. La plastica non è mai nata con l’intento o l’accortezza dovuta, per chi la produce, di tener in considerazione anche il suo riciclo che, contrariamente alla sua grande dote di longevità, viene principalmente usata come plastica usa e getta. Questa “disattenzione” comporta, nel ciclo di produzione, l’assunzione di additivi di vario tipo, che legandosi ai monomeri del prodotto rimangono saldamente uniti nel tempo, inoltre può avvenire, nella realizzazione di un nuovo prodotto, l’abbinamento con plastiche di diversa composizione chimica, unite termicamente o attraverso collanti. Durante le fasi del riciclo meccanico questi legami rimangono ben consolidati, rendendo difficile il riutilizzo della plastica riciclata come nuova materia prima. Infatti gli impianti meccanici di lavorazione dei rifiuti plastici separano, triturano, lavano ed estrudono il prodotto senza apportare correzioni sostanziali nelle catene polimeriche, ma cercando di creare macro famiglie di polimeri da riutilizzare. Esistono prodotti composti, come alcuni tappeti e le moquette, che sono prodotti con un mix, meccanicamente indissolubile di polimeri e additivi, che rendono il loro riciclo molto complicato. Per questo motivo la tecnologia di riciclo molecolare viene incontro a queste esigenze sfruttando, attraverso la chimica, la separazione delle molecole degli elementi che costituiscono i prodotti plastici. Questo significa che i legami che sarebbero irreversibili, se trattati con ricicli meccanici, diventano reversibili con la chimica, consentendo di riciclare la plastica come fossero nuove molecole, con le quali riprodurre nuovi elementi. Il processo va anche incontro al gravoso problema delle discariche in cui vengono parcheggiati prodotti non riciclabili e che rimangono inalterati per decine, forse centinaia di anni, senza una soluzione, essendo anche incompatibili con l’ambiente.Categoria: notizie - tecnica - moquette - ricicloVedi il prodotto finito
SCOPRI DI PIU'La storia ci ha insegnato come le comunità nere sono state usate per riparare alcuni disastri ambientali di Marco ArezioLe guerre, come si sa, fanno sempre molti morti, ma gli strumenti per combatterle non sempre contemplano le armi. La finanza e l’industria usano strumenti meno eclatanti e rumorosi per ottenere, a volte, le stesse perdite di vite umane. Tutto iniziò nel 1982, quando un produttore di trasformatori elettrici decise di disfarsi dei propri rifiuti composti da PCB, che causarono varie forme di cancro nella popolazione in un’area di 300 km. intorno all’azienda. Quando lo scandalo emerse, lo stato della Carolina del Nord dovette ripulire l’area e scegliere un luogo dove collocare i rifiuti pericolosi. L’area scelta fu Warren, una piccola comunità Afro-americana, proprio per il colore della pelle dei suoi abitanti e per il basso tenore di vita, contadini probabilmente dalla bassa scolarizzazione, che faceva presumere l’accettazione incondizionata delle scorie pericolose. Ma cos’è il PCB? I PCB sono una miscela di diversi isomeri, insolubili in acqua, che vengono utilizzati negli oli e impiegati nei grandi condensatori e trasformatori elettrici, in virtù della loro elevata resistenza alle alte temperature e come isolanti elettrici. La loro tossicità venne studiata, a causa dell’aumento dei casi di eruzioni cutanee, malattie del sangue e di cancro al fegato, in alcune aree industriali dove veniva fatto uso del PBC. Nonostante dagli anni 70 dello scorso secolo, questo tipo di fluido chimico sia andato progressivamente fuori produzione a causa dell’alta tossicità, l’episodio accaduto a Warren, al di là dei problemi sanitari riscontrati, fece emergere un movimento di protesta che sottolineava l’uso del razzismo ambientale per la risoluzione dei problemi legati all’ecologia. Nonostante le proteste da parte dei cittadini e la causa intentata, il sito fu decontaminato solamente nel 2000 e l’azione legale finì in un nulla di fatto. Nella contea di Warren, vicino alla discarica, abitavano fino al 78% di afro-americani e la violazione del diritto alla loro salute fece nascere in quegli anni il movimento per la giustizia ambientale, che si proponeva non solo di combattere le fonti di inquinamento industriale e le discariche, ma si poneva anche l’obbiettivo di difendere la popolazione afro-americana dalle pressioni per delocalizzare le produzioni inquinanti e i rifiuti pericolosi nelle aree in cui abitavano, senza coinvolgerli nelle scelte. Il movimento assunse un valore politico e cercò di analizzare I motivi e le implicazioni che le decisioni di installare delle discariche e delle produzioni pericolose, arrecassero alla popolazione nera. Nel 1987, lo studio ToxicWaste and Race in the United States, realizzato dalla Chiesa progressista nera United Church of Christ, aveva evidenziato che la razza era il principale fattore di scelta per la localizzazione di una discarica pericolosa, come successe per Warren, parlando così di razzismo ecologico. La questione razziale non era probabilmente sentita all’interno dei movimenti ambientalisti tradizionali, come il Sierra Club, la Audubon Society, la Wilderness Society, il WWF e l’Environmental Defense Fund che, in quegli anni, poco tolleravano la vicinanza ai movimenti ambientalisti neri, tanto che, spesso, disertavano le loro marce di protesta. Non dobbiamo però pensare che il problema del razzismo ambientale sia da confinare solo negli Stati Uniti, ma viene espresso anche in Gran Bretagna e in Francia, in cui non solo il colore della pelle costituiva il fatto denigratorio, ma le classi sociali e le condizioni economiche dei residenti. Vedi maggiori informazioniFoto: Greg Gibson / AP
SCOPRI DI PIU'Alcuni imprenditori concentrano su se stessi il business senza far crescere l’azienda. Il problema degli yes-man e dei familiari all’internodi Marco Arezio Non c’è dubbio che il mercato si è fatto complicato e che le aziende per sopravvivere devono dotarsi di una struttura manageriale indipendente, qualificata e spesso slegata dalla famiglia che ne detiene la proprietà, che goda di una visione internazionale e che abbia potere decisionale per valutare le migliori prospettive per l’azienda prima che per l’imprenditore. Molte aziende familiari, che si occupano di riciclo, stanno vivendo una fase di forte trasformazione a causa dei cambiamenti del mercato, i quali sono maggiormente rappresentati dall’ingresso di società strutturate che si occupavano fino a poco tempo prima di business correlati ma differenti. Il mondo del riciclo delle materie plastiche si è sviluppato agli inizi degli anni 80 del secolo scorso, un po’ in sordina, sotto forma di piccole imprese che raccoglievano la plastica di scarto e ne seguivano la lavorazione, a volte anche con metodi un po’ artigianali. Il loro sviluppo, negli anni successivi, a seconda della collocazione geografica Europea, seguiva i sistemi imprenditoriali nazionali che si basavano, al nord, più facilmente sulla creazione di medie e grandi imprese, mentre nel Sud Europa, il più delle volte, basate sulla crescita di piccole e medie imprese che sfruttavano le opportunità che il mercato poteva offrire. Agli inizi degli anni duemila, il trend di crescita del mercato del riciclo delle materie plastiche e del suo indotto, ha avuto una grande accelerazione, con il passaggio delle aziende a dimensioni di fatturato e produttività sempre maggiori. A partire da questo periodo, il mercato del Sud Europa, contrariamente a quello che è successo nel Nord Europa, si è caratterizzato da un importante numero di piccole imprese che si sono trasformate in medie e grandi società produttrici di polimeri plastici, attrezzature per il riciclo o di servizi per il mercato. Inoltre, molte micro imprese artigianali si sono trasformate in piccole e medie aziende di produzione nell’ambito della plastica. Molti fondatori di queste società, specialmente quelle medio-grandi, hanno seguito passo dopo passo in prima persona, lo sviluppo delle proprie creature dalla loro fondazione, con un successo a volte crescente nel tempo e diventando l’unico punto di riferimento all’interno della società. L’incarnazione del successo commerciale e produttivo in un mercato nel corso degli anni in continua crescita, non ha generalmente creato situazioni in cui ci si potesse fermare per capire se il modello di business, varato dal proprietario-imprenditore, fosse corretto con l’evoluzione dei mercati. Nel frattempo, molte cose sono cambiate, in un mondo sempre più globalizzato e competitivo, non solo dal punto di vista commerciale, ma anche sulle materie prime, sulle innovazioni tecniche, sulla necessaria rapidità nel prendere decisioni e sulla qualità del management necessario per la dimensione aziendale. Alcuni imprenditori, vivendo sui successi passati, non hanno affrontato in modo lucido ed imparziale l’evoluzione del mercato, continuando con un modello di gestione che ruotava, o ruota ancora oggi, intorno a loro, creando un soldato solo sul campo di battaglia. Ci sono delle situazioni cruciali che hanno inciso o incideranno sul destino di queste aziende: Una struttura gestionale sotto dimensionata rispetto al fatturato aziendale Una piramide di valori non indirizzata verso l’attenzione al cliente Una non obbiettiva valutazione delle qualità professionali dei familiari inseriti in azienda a cui si attribuiscono responsabilità e poteri decisionali Una propensione nella creazione di collaboratori yes-man in ruoli chiave Difficoltà nel delegare ai collaboratori compiti specialistici e delicati Incapacità di creare un team manageriale che possa acquisire la gestione di aree aziendali Incapacità di mettersi in discussione Incapacità di dare fiducia Limitazione della professionalità e delle opportunità di carriera dei collaboratori Paura dell’effetto ombra, che alcuni dipendenti potrebbero creare sui parenti che lavorano in azienda Internazionalizzazione non prioritaria Mancata presa di coscienza dei raggiunti limiti di età dei fondatori-manager Mancanza di una strategia aziendale per la successione del leader Oggi, molte di queste aziende, sono frenate e in difficoltà per i motivi sopra descritti e, inoltre, per il rallentamento aziendale dovuto all’eccessiva concentrazione decisionale nelle mani dell’imprenditore che non ha più il tempo e, forse, tutte le capacità legate ai molti ambiti aziendali in evoluzione, anche sotto l’aspetto tecnologico, di seguire il vorticoso flusso del mercato attuale. Si aggiunga inoltre che, da quando la domanda di avere all’interno dei prodotti finiti quote sempre maggiori di materiale plastico riciclato, le grandi aziende, strutturate e lungimiranti, stanno acquisendo quote di mercato attraverso l’incorporazione di riciclatori, che possono garantire la filiera della materia prima seconda. Una parte di questi imprenditori ha capito quanto il mercato stia diventando competitivo, anche per la sproporzione delle disponibilità finanziarie che i nuovi concorrenti possono mettere in campo, ma soprattutto per la capacità di fare rete e di cogliere tutte le opportunità che il mercato concede, quindi decide di cedere l’azienda con l’obbiettivo di rilanciarla oppure per ritirarsi. Un’altra parte di imprenditori crede fermamente nella storia della propria società, facendo conto su se stesso e sulla tradizione che ha contraddistinto il loro cammino, in una sorta di immutabilità delle cose, con la speranza un giorno, il più lontano possibile per loro, che i propri figli indossino la loro corona e diventino i re del loro piccolo regno.
SCOPRI DI PIU'Intervista al consulente della plastica riciclata e dell’economia circolare L’argomento di interesse durante l’intervista riguarda la gestione del rifiuto plastico che diventa un bene nell’ottica dell’economia circolare e non un problema, come lo si vede normalmente La plastica oggi, oggettivamente, fa parte della nostra vita e, se volessimo di colpo rinunciarvi faremmo un salto indietro di 100 anni, bloccando completamente la nostra vita e la nostra economia. Non più cellulari, computer, macchine, elettrodomestici, presidi sanitari sterili, componenti d’arredo, imballi e molte altre cose. Certo, non si può dire che non si possa trovare un’alternativa, ma ci vuole tempo, risorse e la verifica che queste alternative trovate siano ad impatto zero, altrimenti non ne vale la pena. La plastica è economica, leggera, resistente, duttile, resistente, durevole, estetica, isolante, riciclabile e.. molte altre cose. Sicuramente dobbiamo impegnarci di più per assicurarci che il rifiuto, a fine vita, non venga buttato stupidamente nell’ambiente anziché nei centri di raccolta e selezione, per potergli dare una nuova vita senza dipendere dalla natura. Perché è questo il problema: è l’uomo incivile, non la plastica che inquina. Nell’intervista, di cui potrete sentire uno stralcio, si parla proprio dell’economia circolare della plastica, definendo il percorso dei prodotti realizzati “dalla culla alla culla” in quanto una volta realizzato un elemento in plastica di uso comune, se ne segue il percorso fino alla fine del suo utilizzo. Quando diventa rifiuto il compito del prodotto non è finito, in quanto attraverso il riciclo, meccanico o chimico, diventa ancora materia prima per la sua rinascita, infinite volte. E’ questa l’importanza e la bellezza dell’economia circolare, riutilizzare i prodotti che diventano spazzatura per non attingere alle risorse naturali limitate del nostro pianeta.Categoria: notizie - plastica - economia circolare
SCOPRI DI PIU'Gli scarti da post consumo costituiscono la base di tre tipologie differenti di pavimentazioni modulari carrabili da esternodi Marco ArezioIl settore dell’edilizia è nel pieno della rivoluzione green, che non riguarda solo il recupero degli scarti durante le demolizioni di tutti quei materiali riciclabili, ma anche dei nuovi prodotti che possono essere fatti, in parte o al 100% con materiali riciclati da post consumo. I produttori di articoli edili hanno trovato alcune brillanti soluzioni che possono raggiungere un doppio obbiettivo: creare dei prodotti circolari e ridurre, attraverso il riutilizzo, i rifiuti sul mercato. Nell’ambito delle pavimentazioni modulari per esterni prendiamo in esame tre tipologie differenti di prodotti, che hanno un approccio all’utilizzo dei rifiuti molto diversi tra loro, ma il cui risultato tecnico e architettonico soddisfa pienamente la clientela. I prodotti presi in esame sono: • Masselli autobloccanti in PVC da scarti di cavi esausti • Piastrelle modulari composte da scarti di vetro, bottiglie, sacchetti in PE e scarti di ceramica • Piastrelle modulari composte da scarti misti in plastica non riciclabili, ceneri degli altiforni e scarti di piastrelle. Gli approcci sono differenti, ma la qualità dei prodotti e la funzione di riciclo dei rifiuti ne fa una proposta interessante, da inserire nei cantieri in cui la voce sostenibilità è tenuta in considerazione. Il massello in PVC riciclato e riciclabile è un prodotto in diretta concorrenza con i masselli in cemento, da cui eredita la carrabilità e l’alta resistenza a compressione, ma aggiunge molte altre caratteristiche migliorative, in quanto è completamente isolante, non assorbe liquidi, non viene macchiato da olio o benzina, si taglia facilmente a mano, è verniciabile e non è soggetto all’azione aggressiva dei sali stradali. Inoltre non attinge a risorse naturali, acqua, sabbia, ghiaia e ha un impatto ambientale in fase di produzione molto più limitato rispetto alla produzione del cemento. Le piastrelle modulari formate dagli scarti di vetro provenienti dalla raccolta differenziata, mischiati con i rifiuti in PE e gli scarti di ceramica, sono una buona soluzione non solo per il riciclo composto da materiali diversi, ma anche per la durabilità dell’elemento che vede nella ceramica e soprattutto nel vetro una robustezza nel tempo importante. Anche queste piastrelle sono carrabili, resistono ai sali stradali e all’abrasione della circolazione veicolare, in virtù del macinato di vetro contenuto. Infine, le piastrelle modulari costituite dai rifiuti non riciclabili della raccolta differenziata, mischiati con le ceneri degli altiforni e con gli scarti delle piastrelle esauste macinate, danno un gradevole aspetto estetico al pavimento e un ottimo passaporto green sul riciclo in quanto, utilizzano due componenti classificati come rifiuti non riciclabili e quindi da smaltire in discarica, quindi ben oltre i materiali riciclati tradizionali. Sono piastrelle modulari che vengono impiegate normalmente i passaggi pedonali, piazze e marciapiedi rendendo sostenibile l’intervento di ripristino edile dell’area.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti - pavimentazioni - edilizia
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