Che la vita all’aria aperta, che sia nel tuo giardino o in un conteso come un bosco o in campagna o in montagna, possa avere un affetto benefico sulla salute, è una cosa risaputa da tempo.Ma il meccanismo con cui questo miglioramento dell’umore e dell’autostima si manifesta, non è mai stato chiaro, finché un team di scienziati ha provato a studiare il fenomeno. L’approccio è stato gestito prendendo in esame due aspetti, quello più prettamente fisco e quello mentale. Il beneficio dal punto di vista fisico è stato misurato attraverso il monitoraggio dell’attività con basso sforzo, come invasare, cambiare i fiori nelle aiuole, tagliare l’erba, areare la terra o concimare. Gli sforzi a bassa intensità eseguiti durante le operazioni di giardinaggio interessano un numero elevato di muscoli e per un tempo prolungato, questo permette di bruciare molte calorie senza sovraccaricare il sistema cardiocircolatorio. Quindi si può dire che il movimento distribuito su molte leve muscolari permette di mantenere in forma tutto il corpo, in modo armonioso e senza incorrere, generalmente, a fenomeni di sovraccarico lavorativo. Dal punto di vista mentale, la ricerca si è concentrata sul capire come il cervello possa innescare sensazioni positive e piacevoli durante questa attività. Per capire quale fossero i meccanismi che generano benessere durante le attività di giardinaggio, hanno esaminato molti degli stereotipi in circolazione, come la presenza di batteri nel terreno che avrebbero un’influenza positiva sul cervello, condizione valutata anche sui topi in laboratorio che ha dato scarsa attendibilità. E’ stata presa in considerazione anche la presenza di una maggiore ossigenazione, in presenza di molte piante nella zona di lavoro e di una condizione di maggiore pulizia dell’aria, sempre per l’effetto filtro che le piante possono svolgere. Ma anche qui non sembrerebbe confermare che questi fenomeni possano migliorare le condizioni di ansia e di stress accumulate dall’uomo. Una ipotesi che ha interessato gli studiosi, riguarda le colorazioni che l’occhio percepisce durante la permanenza nella natura, in particolare hanno scoperto che le tonalità verdi possono avere un’influenza benefica sull’umore. Per confutare questa tesi hanno proiettato delle immagini di aree naturali, la cui prevalenza cromatica era composta dal verde, successivamente hanno mischiato i colori dando preferenza al nero, al rosso, al grigio e così via. Il risultato è stato che durante le proiezioni su base verde, il cervello ha reagito in modo da esprimere tranquillità e soddisfazione, mentre utilizzando altri colori, questo benessere è sceso notevolmente. Inoltre, lo studio a preso in considerazione, il livello si ansia e di stress dei partecipanti durante le occupazioni che svolgevano in giardino. Occuparsi del terreno, dei fiori, del prato e delle piante, attivamente, sembra liberi la mente da molti pensieri che la affollano, evitando quel senso di avvitamento umorale che è tipico delle persone che continuano a pensare e ripensare a qualsiasi piccolo o grande problema. Diciamo una sorta di swich-off del cervello che dona maggiore tranquillità e una sensazione di benessere.
SCOPRI DI PIU'Nuovi compounds con carbonio elettricamente conduttivi per batterie flessibilidi Marco ArezioIl mondo della ricerca industriale è freneticamente al lavoro per poter costruire nuove batterie con capacità prestazionali sempre maggiori, studiando nuovi polimeri e nuovi elementi flessibili. I campi di applicazione sono i più svariati: dalla mobilità sostenibile, agli impianti di generazione di energia pulita fino ad arrivare ai piccoli apparecchi che utilizziamo tutti i giorni. L’imperativo è riuscire a concentrare in una batteria la massima durata, il più basso tenore possibile di composti inquinanti, la massima potenza possibile, in funzione delle dimensioni, e infine la praticità d’uso. I ricercatori, in questo caso, si sono spinti molto in là, studiando e progettando una batteria totalmente flessibile che si possa adattare a nuovi usi, forse ancora impensabili. Come riporta la rivista Advance Material, i ricercatori del politecnico di Zurigo hanno messo a punto una batteria molto sottile che può essere piegata, arrotolata, schiacciata senza mai perdere il potere di trasmissione della corrente. Questa novità può essere utilizzata in apparecchiature piccole, di uso comune, ma anche in oggetti decisamente sottili come gli abiti da lavoro e per lo svago. Il cuore di questo prodotto è costituito da un polimero composito flessibile, contenente anche carbonio e quindi elettricamente conduttivo, che compone i due collettori per il catodo e l’anodo e la struttura esterna della batteria. L’interno è costituito da scaglie d’argento sovrapposte in modo tale che si possano adattare alla flessibilità dei movimenti dell’elastomero con cui la batteria è stata progettata, garantendo così il passaggio di corrente anche in condizioni elastiche. Inoltre, su catodo e anodo, si sono posizionati delle polveri di litio-ossido di manganese e ossido di vanadio. Per quanto riguarda l’elettrolita, quell’elemento che permette il passaggio degli ioni di litio, sia durante la fase di utilizzo dell’energia sia in fase di ricarica, è stato costituito con un gel a base di acqua contenente sale di litio che è risultato meno inquinante di altri elementi presenti nelle batterie attuali.Categoria: notizie - tecnica - batterie - polimeri
SCOPRI DI PIU'Raccolta differenziata: Il XIX° secolo fu un periodo di grandi cambiamenti sociali e sanitaridi Marco ArezioNel corso dei secoli, a partire dal Neolitico, il problema dei rifiuti e delle condizioni igienico sanitarie della popolazione non erano prese in seria considerazione e non erano vissuti come un problema importante. Per quanto riguarda i rifiuti prodotti dall’uomo nell’era preindustriale, dove la concentrazione di popolazione in agglomerati urbani non era elevata, questi non costituivano un ostacolo in quanto tutto quello che era riutilizzabile veniva recuperato sia per le attività umane che per quelle animali. Gli scarti alimentari, il legno e il ferro venivano recuperati, persino a volte gli escrementi, che venivano accuratamente raccolti, seccati e riutilizzati o venduti come concime. Non si può dire certamente che le città o i villaggi fossero puliti o igienicamente indenni da malattie derivanti dal diffondersi di batteri e virus, ma si può dire che la scarsa presenza umana in ragione del territorio occupato manteneva un equilibrio tra i problemi sanitari dati dalla scarsa igiene pubblica (e personale) e dai rifiuti non utilizzati, rispetto la vivibilità degli agglomerati urbani. Le cose cambiarono in modo repentino e drammatico nel corso del 1800 quando iniziò l’urbanizzazione massiccia delle città e l’avvento della rivoluzione industriale che fece da attrazione per le popolazioni povere che si spostarono dalle campagne alle città per cercare lavoro. Per esempio, Londra nei primi 30 anni dell’ottocento raddoppiò la popolazione toccando il milione e mezzo di persone ed arrivò a due milioni e mezzo nei vent’anni successivi. Questa crescita spropositata di persone che normalmente viveva in condizioni sanitarie precarie e in alloggi fatiscenti, creò una catena di eventi drammatici sulla salute pubblica. Nel 1832 scoppiò a Londra e anche a Parigi, un’epidemia di colera che causò decine di migliaia di morti. Pur non conoscendo le cause di morte della popolazione, si attribuì il problema al gran puzzo delle discariche a cielo aperto, strade e fiumi compresi, che accoglievano tutti gli scarti umani e industriali di cui si disfaceva l’uomo. I primi interventi post epidemia si concentrarono su questi rifiuti, più per una questione di decoro sociale che di vera coscienza sanitaria, infatti la conoscenza scientifica del colera avvenne solo nel 1883 ad opera dello scienziato tedesco Robert Koch che ne individuò l’esistenza, nonostante sembrerebbe che già nel 1854 l’Italiano Fabrizio Pacini avesse isolato il batterio. Si costruirono le prime fognature, si cercò di collegare tra loro interi quartieri che utilizzavano i pozzi neri e si convogliarono i liquami industriali nelle nuove fogne. Non avvenne tutto così semplicemente come raccontato infatti, i problemi furono enormi e all’inizio i risultati scarsi, in quanto le acque convogliate finivano comunque nei fiumi e i problemi si presentarono nuovamente a valle delle città. Si dovette aspettare fino alla fine del secolo quando gli studi sulla microbiologia iniziarono a trovare efficaci soluzioni anche nel campo della depurazione delle acque, uniti al miglioramento dell’igiene personale della popolazione nonché le prime vaccinazioni. Per quanto riguarda i rifiuti solidi, non recuperabili, che normalmente erano depositati fuori dagli ambienti domestici, la crescita della popolazione nei nuovi agglomerati urbani, portò a nuovi problemi. Nonostante la maggior parte dei beni che veniva venduta non prevedeva alcun involucro o raramente in fogli di carta e tutto quello che era possibile riciclare veniva preso seriamente in considerazione, la spazzatura indifferenziata iniziò comunque ad accumularsi. Le colonie di topi vivevano a stretto contatto con le popolazioni dei quartieri più poveri, attratti dai rifiuti gettati liberamente sul territorio cittadino, creando ulteriori problemi sanitari. Fu un fatto anche di decoro che, per primo, Ferdinando II di Borbone, re del regno delle due Sicilie, emanò il 3 Marzo 1832, una norma che regolava la gestione dei rifiuti urbani, prevedendo regole severe sul loro abbandono e imponeva la separazione degli stessi per materiale che li componevano. Il regio decreto non era da prendere alla leggera perché erano previste anche pene detentive per i trasgressori. Istituì inoltre delle discariche dove la gente doveva portare i propri rifiuti e delle regole di pulizia degli ambiti esterni alle abitazioni.Categoria: notizie - storia - economia circolare - riciclo - rifiuti - raccolta differenziata
SCOPRI DI PIU'Non ci sono solo fonti conosciute di produzione del PM 2,5 come i motori termici o le caldaie, ma anche molti altri aspetti che dovremmo conoscere megliodi Marco ArezioNonostante abbiamo imboccato la strada della consapevolezza ambientale, l’enorme massa di interventi che dobbiamo fare per rendere l’aria che respiriamo, non eccelsa ma almeno meno nociva, è ancora da sbrogliare. Ad ogni passo avanti, come le normative europee per l’elettrificazione della mobilità privata e commerciale, la produzione di energia rinnovabile eolica, idraulica, solare e l’idrogeno verde, sembra si compia anche un passo indietro, a causa delle crisi internazionali che hanno minato l’indipendenza energetica di molti stati, con il ricorso alla produzione di elettricità con sistemi, come il carbone, che erano sulla via dello smantellamento. Purtroppo, nel frattempo, dobbiamo registrare il protrarsi di situazioni ambientali negative, specialmente nelle grandi città, che rendono l’aria un killer per la salute pubblica, causa di numerosi tumori per la popolazione. Questo perché lo smog contiene agenti riconosciuti come cancerogeni, come le particelle sottili di PM 2,5 e PM 10, idrocarburi policiclici aromatici, benzene, formaldeide e metalli pesanti come l'arsenico, il cadmio e il nichel. Per quanto i comuni delle grandi città europee e, soprattutto, quelli nella pianura Padana italiana, tra le zone più inquinate d’Europa, stiano facendo molti sforzi per ridurre la concentrazioni di inquinanti in atmosfera attraverso la creazione di aree pedonali, le zone a traffico limitato, la riduzione della velocità veicolare in città, il potenziamento del trasporto pubblico, l’incentivazione del bike sharing, la creazioni di piste ciclabili ove possibile, le restrizioni delle emissioni delle caldaie e la facilitazione al traffico delle auto elettriche, quello che ancora manca è la mentalità dei cittadini a fare concretamente qualche cosa che possa aiutare la collettività e la propria salute. In molti paesi e in molte città il traffico privato non perde sostenitori, muovendoci così all’unisono con le nostre auto private, creando congestione e inquinamento inutile. Cosa è il PM 2,5Dal punto di vista chimico il particolato, è composto da tre classi principali: - gli ioni inorganici: solfati (SO42-), nitrati (NO3-), ammonio (NH4+) - la frazione carboniosa (TC) formata dal carbonio organico e dal carbonio elementare - il materiale crostale che può presentarsi o associato al pulviscolo atmosferico (Si, Ca, Al, ecc.) o a elementi in traccia (Pb, Zn, ecc.); - una frazione non meglio identificata che spesso corrisponde all'acqua ma non solo. Questi componenti, che insieme costituiscono il particolato, presentano dimensioni diverse e quindi contribuiscono in maniera differente alla produzione di PM 2,5 o PM 10. Parlando del PM 2,5 possiamo dire che sono particelle atmosferiche con un diametro di 2,5 micrometri o meno, queste frazioni, infatti, sono estremamente piccole e possono essere inalate profondamente nei polmoni ed entrare perfino nel flusso sanguigno. Da dove nasce il PM 2,5 Il traffico veicolare privato e le caldaie per il riscaldamento sono una componente importante per la generazione del PM 2,5, ma dobbiamo anche considerare le zone industriali vicino alle città, il traffico pesante e commerciale che viaggia a ridosso di esse e al suo interno, e l’annoso problema del traffico aereo che incide in maniera importante in un’area urbana, in quanto ogni grande città ha solitamente un aeroporto nelle vicinanze. Vi sono poi dei comportamenti del tutto personali, come il fumo di sigaretta, che possono accumularsi ad altri fattori di rischio che abbiamo visto, rendendo più precaria la vita delle persone. La sintesi di questi problemi sulla salute dell’uomo, legati allo smog, possiamo banalmente sintetizzarlo nella presenza del particolato PM 10 e PM 2,5 che si forma nell’aria, tra cui il PM 2,5 è sicuramente il più pericoloso. Ci sono anche da considerare aspetti inquinanti meno conosciuti che incidono sulle polveri sottili dei centri urbani, infatti, quando si parla di PM 2,5 prodotte dal traffico veicolare si è portati a pensare subito alle emissioni dei motori termici, ma esistono anche altre fonti di inquinamento che dobbiamo tenere presente. Produzione di PM 2,5 dagli pneumatici Gli pneumatici delle auto o di altri mezzi di trasporto sono una somma di prodotti, di diversa natura che, attraverso il loro rotolamento permettono di far muovere un veicolo. Questo rotolamento comporta un’abrasione continua della superficie dell’pneumatico rilasciando piccole o piccolissime particelle di composti. Per capire cosa possiamo inalare dagli pneumatici, sotto forma di polveri sottili da usura come il PM 2,5, vediamo come è composto: La gomma è la componente primaria degli pneumatici, che può essere una miscela di gomma naturale e gomma sintetica. Quella naturale offre elasticità e flessibilità, mentre la gomma sintetica può migliorare la resistenza all'usura e all'invecchiamento. Il nero carbonio è una forma di carbonio particellare, aggiunto alla miscela di gomma per migliorare la resistenza all'usura e le proprietà di trazione dell’pneumatico. Serve anche come rinforzo e come agente colorante. La silice è utilizzata come rinforzo alternativo o in aggiunta al nero di carbonio, migliorando la trazione sul bagnato e la resistenza al rotolamento, portando quindi una maggiore efficienza nel consumo di carburante. Nella "carcassa" dell'pneumatico, cioè la struttura interna che dà forma e flessibilità all'pneumatico, vengono spesso utilizzati materiali tessili come il poliestere, il nylon o il rayon. Nella "cintura" dell'pneumatico, esistono una serie di strati posti tra la carcassa e il battistrada, in cui vengono spesso posizionati fili d'acciaio per fornire rinforzo e stabilità. Il solfuro è utilizzato nel processo di vulcanizzazione, aiutando a stabilizzare la struttura molecolare della gomma, rendendola quindi più resistente ed elastica. Inoltre, sono utilizzati vari additivi chimici per migliorarne le proprietà generali, tra questi possiamo citare gli antiossidanti per prevenire l'invecchiamento, i plastificanti per migliorare la flessibilità, e gli acceleratori che aiutano nel processo di vulcanizzazione. Inoltre è possibile trovare altri materiali come lo zinco, lo zolfo e altri composti organici Produzione di PM 2,5 dai freni degli autoveicoli Anche per i freni valgono le stesse considerazione degli pneumatici, in quanto la rotazione del disco del freno sulle pinze dello stesso, crea un attrito con il relativo consumo delle due parti a contatto, che causano il rilascio di polveri sottili PM 2,5. Il particolato ultra sottile che viene rilasciato da una serie di frenate potrebbe essere liberato nell’aria e respirato dall’uomo, per questo vediamo come è composto un impianto frenante per capire le scorie che produce: In primo luogo dobbiamo considerare che anche il sistema frenante, dichi e pastiglie, sono composti da molti e materiali differenti. Per quanto riguarda le pastiglie dei freni contenute nelle pinze, i componenti sono legati tra loro dalle resine termoindurenti, materiali duri e resistenti che hanno la capacità di contenere vari prodotti. Quando le pastiglie sono sottoposte a calore durante il processo di frenata, i leganti aiutano a mantenere la loro integrità strutturale. Per l’alto sforzo esercitato dall’impianto frenante tra pastiglia e disco, rende necessario l’utilizzo di prodotti di rinforzo, si tratta spesso di fibre, come la fibra di vetro, la fibra di aramide o la fibra di carbonio. Questi rinforzanti danno una maggiore resistenza meccanica alle pastiglie e aiutano a prevenire la rottura e la fessurazione. Inoltre, componenti come la grafite o vari tipi di metalli come il rame, lo zinco o il bronzo, vengono aggiunti per migliorare le prestazioni di attrito della pastiglia. Questi materiali aiutano a mantenere una superficie ruvida e pulita sul disco dei freni. Durante una frenata l’attrito genera calore, ed è per questo che si prevede l’uso in miscela di vari metalli, come il rame, lo zinco, l'alluminio o il ferro. I metalli servono per vari scopi, tra cui la conduzione del calore, il miglioramento dell'attrito e la resistenza all'usura. Per quanto riguarda la stabilizzazione e la riduzione del rumore vengono usati materiali come il molibdeno, disolfuro o la grafite. Produzione di PM 2,5 dall’usura del manto stradale Anche il manto stradale, subisce uno sforzo di attrito da parte degli pneumatici causando un logoramento e un consumo del tappetino finale, sotto forma di micro particelle di composti bituminosi che si possono liberare nell’aria, causando la possibile respirazione delle particelle di PM 2,5 da parte dell’uomo. Per capire cosa possiamo respirare nei pressi di un’arteria stradale vediamo come è fatto un manto stradale per capire quali componenti si liberano nell’aria. Tralasciano la stratificazione più profonda che difficilmente viene in contatto con gli pneumatici, concentriamoci su quello che viene definito il tappetino finale, la superficie in cui avviene l’attrito con i mezzi di trasporto. Il tappetino finale è composto prevalentemente da bitume, un materiale viscoso, nero e adesivo derivato dalla distillazione del petrolio grezzo. Il bitume agisce come legante, mantenendo insieme gli altri componenti del manto stradale e fornendo impermeabilità. Questo strato di bitume ingloba una serie di additivi chimici quali: Plastificanti: per migliorare la flessibilità del manto stradale Stabilizzatori: per migliorare la resistenza all'usura e alla deformazione Agenti anti-invecchiamento: per aumentare la durata del manto stradale Agenti rigeneranti: materiali riciclati, come l'asfalto fresato, che possono essere reintrodotti nella miscela Quali sono gli effetti del PM 2,5 sulla salute dell'uomoL'inalazione di PM 2,5 può causare irritazione alle vie respiratorie e aggravare patologie croniche come asma, bronchite e altre malattie polmonari. Infatti, a seconda della capacità di attraversare il sistema respiratorio umano, le polveri sottili si possono scomporre in: - "frazione inalabile", che può raggiungere la faringe e la laringe proprio in seguito a inalazione attraverso la bocca o il naso, e comprende praticamente tutto il particolato - "frazione toracica", che è in grado di raggiungere la trachea e i bronchi - "frazione respirabile" per indicare la classe di particelle più piccole che è in grado di raggiungere gli alveoli e attraverso questi trasmettersi nel sangue Inoltre, ci sono evidenze che collegano l'esposizione al PM 2,5 a malattie cardiovascolari, compresi infarti, ictus e altre malattie cardiache, compromettere il sistema immunitario, rendendo le persone più vulnerabili alle infezioni. Ma come descritto in precedenza, il PM 2,5 contiene agenti cancerogeni e l'esposizione a lungo termine è stata collegata a un aumento del rischio di tumori, in particolare il tumore del polmone e alla prostata. Un’incidenza sul sistema nervoso dell’inquinamento da PM 2,5 è stata notata attraverso alcune ricerche, volte a considerare il rapporto di questo inquinante con l’incremento dei casi di Alzheimer. Anche da punto della riproduzione, ci sono evidenze per cui il particolato così sottile, incamerato per lunghi periodi, possa portare ad un aumento delle nascite premature. Per quanto riguarda gli aspetti più negativi, alcuni studi epidemiologici hanno mostrato che le zone con livelli elevati di PM 2,5 tendono ad avere tassi di mortalità più alti. Possiamo comunque dire che gli effetti del PM 2,5 sulla salute dell’uomo possono variare in base all'età, alla salute generale e ad altri fattori individuali. I bambini, gli anziani e le persone con condizioni di salute critiche possono essere particolarmente vulnerabili.
SCOPRI DI PIU'E’ probabile che il progresso tecnologico aumenterà ulteriormente il divario tra ricchi e poveridi Marco Arezio Stiamo vivendo in un periodo di profonda trasformazione sociale dove ci siamo improvvisamente accorti che la terra, su cui viviamo, potrebbe collassare sotto l’incalzante e forsennato delirio di sfruttamento a cui l’abbiamo sottoposta. Da una parte esiste l’accecante luccichio del denaro e dall’altra la ragionevolezza che ci dice che dobbiamo cambiare il nostro modello di vita. Ricordo che nel 2015 gli stati membri delle Nazioni Unite avevano raggiunto un accordo per rispettare una serie di obbiettivi di sviluppo sostenibile al fine di invertire la tendenza al riscaldamento globale. Oggi si è fatto poco o niente e il 2030, anno entro il quale si sarebbero dovuti raggiungere questi obbiettivi, è così vicino rispetto alle trasformazioni che si devono fare. L’impegno per le emissioni zero entro il 2030 imporrebbe il ripensamento della mobilità su gomma, delle reti energetiche, dell’industria pesante, dell’alimentazione, della gestione dei rifiuti, della tipologia di costruzione degli edifici e dell’uso della chimica pulita. Questo vuol dire una rivoluzione globale, epocale e uno stile di vita completamente diverso da quello di oggi, che, sembra, negli ultimi quattro anni trascorsi, non abbiamo minimamente modificato. Infatti il riscaldamento globale non si è mai ridotto, la CO2 non è diminuita, le morti a causate delle complicazioni sanitarie dell’inquinamento non sono sotto controllo, la distruzione della biodiversità e delle foreste continua nei paesi che le conservano e, infine, il problema dei rifiuti, in particolare quelli plastici, non ha trovato ancora una soluzione corretta e condivisa. Viviamo in un periodo di inerzia, affascinati dalle nuove tecnologie e dall’intelligenza artificiale, dalle quali ci aspettiamo soluzioni ai nostri problemi. L’era digitale che è da poco cominciata, ha la prospettiva di migliorare la vita delle persone, attraverso l’elaborazione, ad alta velocità, di dati raccolti e immagazzinati, che possono aiutare a prendere decisioni più corrette, a far crescere nuovi business, che sarebbero stati impensabili fino a poco tempo fà e a potenziare la ricerca per far nascere nuovi prodotti e risolvere problemi tecnici. Il contributo dell’intelligenza artificiale, della robotica, delle biotecnologie lo potremo vedere in uno sterminato numero di settori che vanno dalla medicina, attraverso nuove apparecchiatura di diagnostica, ma anche attraverso all’interpretazione dei dati provenienti dalle analisi di laboratorio e strumentali, che possono aiutare i medici a ridurre gli errori in fase di diagnosi. Potremo trovare l’intelligenza artificiale avanzata nei nuovi sistemi di commercializzazione dei beni e servizi, nelle tecnologie legate alla gestione dei rifiuti, nei sistemi di immagazzinamento dell’energia pulita, nelle nuove frontiere delle biotecnologie applicate all’agricoltura e alla meccanizzazione intelligente del lavoro. Ci sono ottime speranze che la nuova era tecnologica ci possa aiutare a risolvere i problemi di cui il mondo sta ancora soffrendo ma, se da una parte la strada è segnata e l’applicazione dell’intelligenza artificiale e della tecnologia crescerà sempre più, portando miglioramenti nelle condizioni di vita dei cittadini rispetto ai problemi che abbiamo visto prima, dall’altra segnerà, probabilmente, un solco profondo tra nuovo e vecchio mondo. La comprensione della nuova era digitale, a cui saranno collegate tutte le attività vitali, necessita di scolarizzazione medio-alta per poter usufruire delle nuove tecnologie. Ma forse ci dimentichiamo che al mondo esistono circa un miliardo di persone che non sanno nè leggere nè scrivere, che un numero cospicuo di popolazione ha una scolarità così elementare che non sarebbe in grado di capire, oggi, il nuovo mondo in arrivo, che queste persone, bambini compresi, hanno problematiche di sopravvivenza fisica ed economica come priorità per la loro vita. Che una buona parte della popolazione, specie in Africa, non ha accesso alla corrente elettrica, all’acqua, non può usufruire di strade e vive di sussidi o muore di fame. Loro si alzano alla mattina e pensano come poter arrivare a sera, per sé stessi e per le loro famiglie, nessun altro ragionamento accademico o scientifico. Inoltre il fenomeno delle migrazioni di massa dai paesi sud Americani o Africani, che tanto inorridisce le nostre società evolute, sono un campanello dall’allarme di ciò che la gente è disposta a fare per trovare una vita dignitosa in cui si possa assicurare i beni essenziali per vivere. Nella parte di mondo in cui il benessere invece è più diffuso, l’intelligenza artificiale e la robotica porterà alla distruzione di un tessuto sociale produttivo fatto da persone di età media che non è e non sarà in grado di gestire e interpretare le trasformazioni tecnologiche e soprattutto, perderà il posto di lavoro proprio a seguito dell’efficienza ed economicità dei sistemi. Di questo nessuno se ne preoccupa, non ci sono reti sociali pubbliche che pensino di proteggere i più deboli dalle sfide che ci aspettano. Nessuno si sta preoccupando della piaga della disoccupazione che potrebbe avanzare velocemente andando ad intaccare anche i bilanci statali. Credo sia un dovere per tutti che le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale non lascino indietro nessuno.Vedi maggiori informazioni sulle nuove povertà
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