Nell’era del boom economico, il 1963 segna una data importante per un’azienda lungimirante che pensava fuori dagli schemidi Marco ArezioI primi anni ’60 la plastica iniziava a compiere i primi e decisivi passi che avrebbero poi caratterizzato lo sviluppo economico e sociale del secolo scorso. Pochi anni prima Giulio Natta aveva ottenuto il Nobel per la chimica per le sue ricerche che lo portarono alla scoperta del polipropilene. I Caroselli nella TV in bianco e nero di allora magnificavano i molteplici usi del Moplen, con il quale si potevano realizzare contenitori leggeri, resistenti e colorati, perfettamente in grado si sostituire quelli fatti in lamiera verniciata, pesanti e che potevano arrugginirsi. Nella sale cinematografiche, intanto, gli italiani si appassionavano al Gattopardo. È infatti nel 1963, come abbiamo detto, in pieno boom economico, che grazie all’intuizione e ad una visione illuminata di Innocente Caldara e del cognato Mario Pontiggia, nasce la “Pontiggia & Caldara” che sessant’anni più tardi sarebbe diventata la Caldara Plast che conosciamo oggi. Il Sig. Innocente girava instancabilmente l’Italia con il suo camion, un OM Tigrotto, in un periodo di grandi innovazioni in tutti i settori. È in questo scenario, in un’Italia in grande fermento, in cui tutti gli scantinati di Milano erano occupati da qualche laboratorio dove si produceva “qualcosa”, che Innocente Caldara vide due residui plastici che molte industrie eliminavano, una risorsa da riutilizzare e riportare a nuova vita. Erano solo gli anni Sessanta ma questa è l’idea che oggi sta alla base dell’economia circolare. In quei primi faticosi ma emozionanti anni, l’azienda faceva trasporti per varie società situate nella provincia di Lecco, operanti nella distillazione del metacrilato, portando il monomero ai clienti di queste ditte. Il modus operandi era semplice ma efficace: da queste ditte che producevano lastre di metacrilato venivano ritirati gli scarti prodotti e, successivamente, gli stessi venivano venduti alle aziende che si occupavano di distillazione. Con l’evoluzione del mercato e dei materiali, (erano anni di gran fermento nell’industria dei polimeri), al metacrilato trattato inizialmente si aggiunsero presto anche gli scarti di Policarbonato, dell’ABS, della Poliammide e del Polistirolo. Così, anche l’azienda, come il mercato, stava cambiando. Negli anni Settanta venne costruito, non con pochi sacrifici, il capannone di Caslino d’Erba, paese d’origine della famiglia Caldara, necessario ormai per contenere tutti gli scarti ritirati. Qui vennero posizionati i primi mulini acquistati per macinare le diverse tipologia di materiali, e stoccare il macinato pronto da rivendere in Italia ma anche all’estero. Giungono in fretta gli anni Novanta e la ditta diventa “Innocente Caldara snc”. Accanto al Sig. Innocente inizia a lavorare a 17 anni il figlio Attilio, il secondo dei suoi figli, che si occupa della macinazione degli scarti. Anche Massimiliano, il figlio maggiore, lascia la società in cui lavorava ed entra nell’azienda di famiglia. Avendo la patente per guidare il camion si alterna al papà nella guida del nuovo Iveco 190, anche lui girando l’Italia recuperando scarti di polimeri da avviare alla macinazione. Nel 1994, il terzo figlio, Alessandro, si unisce ai fratelli e al padre occupandosi anche lui di trasporti e macinazione. A supportare tutto questo gran lavoro negli uffici arriva Ester, che si occupa di amministrazione e contabilità e che affianca la Sig.ra Angela, moglie del Sig. Innocente, che da sempre, con costanza e rigore, tiene le fila della parte amministrativa dell’azienda. Ora, che la quantità di scarti aumenta, sorge un dubbio ai Caldara “ma che ce ne facciamo di tutti questi scarti acquistati e macinati? Sono belli, colorati, perfino simpatici, gli ambientalisti non sono ancora intervenuti gridando che la plastica è uno dei mali del mondo, ma nel nostro magazzino incominciano a diventare un po' troppi.” E allora? Internet e il web ancora non esistevano... così si incominciò con il telefono e le pagine gialle a trovare potenziali clienti a cui interessassero le plastiche macinate, e altri potenziali fornitori da cui acquistare scarti di lavorazione. Massimiliano, approfittando di uno stop forzato a seguito di un incidente in moto, iniziò a stare al telefono e ad occuparsi in prima persona della ricerca di clienti e dei rapporti con i fornitori. Siamo negli anni Novanta e in Caldara è già iniziata l’era dell’economia circolare. Continua… Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.Fonte: Caldara
SCOPRI DI PIU'Il Caso della Formula del Polipropilene Perduta a Milano. Capitolo 4: L'Arrestodi Marco ArezioLa mattinata milanese si apriva chiara e promettente, con l'aria fresca che sembrava anticipare nuovi inizi. Nel cuore pulsante della città, il commissario Lucia Marini, l'ispettore Carlo Conti e un gruppo di agenti selezionati erano posizionati con strategica precisione nei pressi dell'abitazione di Enrico Sartori, pronti per un'operazione che aveva richiesto ore di meticolosa pianificazione. Con loro, Martelli, il tecnico del laboratorio coinvolto nella vicenda, mostrava un viso segnato da ansia e determinazione. "Spero davvero che tutto questo finisca oggi," sussurrava Martelli, scrutando con apprensione l'ingresso dell'edificio di Sartori. "Finirà, Luca. Hai fatto la tua parte, ora tocca a noi," rispondeva Marini, la voce calma ma piena di autorità. Fuori dal laboratorio, Luca Martelli è un uomo di semplici piaceri e profondi valori. Cresciuto in una famiglia operaia della periferia milanese, ha imparato il valore del duro lavoro e dell'integrità da suo padre, un meccanico, e da sua madre, una casalinga. Nonostante le lunghe ore trascorse al lavoro, Luca cerca di dedicare il suo tempo libero agli amici e alle sue passioni, che includono il cinema neorealista italiano, le partite di calcio al parco e le gite fuori porta in Vespa, la moto che ha ereditato dal padre. La sua vita affettiva è segnata da una relazione con Giulia, una bibliotecaria appassionata di letteratura italiana, che condivide con lui un profondo amore per la cultura e gli ideali di giustizia e equità. La loro relazione, basata su valori comuni e supporto reciproco, offre a Luca un rifugio dalle pressioni del lavoro e dalle sue crescenti preoccupazioni etiche riguardo alle direzioni prese da Sartori. La scoperta del coinvolgimento di Sartori nel furto della formula segna un punto di svolta nella vita di Martelli. Inizialmente riluttante a credere che il suo mentore possa essere coinvolto in attività illecite, Luca è costretto ad affrontare una dolorosa verità, mettendo in discussione la sua fiducia nelle persone e nei principi che aveva sempre dato per scontati. Quando Sartori fece la sua comparsa, l'adrenalina salì alle stelle. Vestito con un'eleganza sobria, l'uomo attraversò la soglia di casa senza immaginare che quella sarebbe stata una giornata fuori dall'ordinario. Gli agenti, su segnale di Marini, si mossero con coordinazione precisa, circondandolo in un istante. "Sartori, sei in arresto per il furto della formula del professor Ferrari," dichiarava Marini, avanzando con le manette. La sorpresa di Sartori durò poco, presto sostituita dalla rassegnazione. Tuttavia, nel momento in cui gli agenti si avvicinarono per ammanettarlo, l'istinto di sopravvivenza prevalse. Con un movimento repentino e disperato, Sartori spintonò l'agente più vicino e si lanciò in una corsa frenetica. "Prendetelo!" gridava Marini, mentre l'inseguimento si spostava dalle quiete mattutine di un cortile milanese alle affollate vie della città. L'inseguimento a piedi attraverso le strade di Milano fu un'esperienza elettrizzante. Sartori, agile e disperato, si destreggiava tra i passanti sorpresi, sfruttando ogni possibile ostacolo per rallentare i suoi inseguitori. Marini e Conti, insieme ad alcuni agenti, mantenevano una distanza costante, comunicando via radio per cercare di anticipare le mosse dell'uomo. La fuga di Sartori lo portò in una labirintica corsa attraverso vicoli stretti, piazze affollate e persino attraverso un mercato all'aperto, dove banchi di frutta e verdura divennero involontari complici nel tentativo di guadagnare terreno. L'adrenalina dell'inseguimento pulsava nelle vene di inseguitori e fuggitivo, un duello di astuzia e resistenza che metteva alla prova la determinazione di entrambi. La svolta avvenne quando Sartori, in un tentativo disperato di eludere la cattura, si lanciò in un vicolo cieco. Realizzando troppo tardi l'errore, si voltò solo per trovarsi faccia a faccia con Marini e gli altri agenti, che erano riusciti a prevedere la sua mossa e a chiudergli ogni via di fuga. "Sartori, è finita," dichiarava Marini, il respiro affannoso ma la determinazione incrollabile. In quel vicolo angusto, avvolto dall'ombra delle antiche mura milanesi, il commissario Lucia Marini si trovò faccia a faccia con Enrico Sartori, un uomo che fino a poco tempo prima era stato considerato un luminare nel suo campo. La caccia che l'aveva portata fino a quel momento di svolta non era stata solo fisica, ma anche morale, un viaggio attraverso le ombre del genio umano e dei suoi abissi. "Enrico," iniziò il commissario Marini, la sua voce era un misto di fermezza e di una sorta di tristezza, quasi di lutto per ciò che Sartori era diventato. "Questo è il punto in cui i nostri percorsi si incontrano, in un vicolo cieco che è simbolico delle scelte che hai fatto. Avresti potuto essere ricordato come un pioniere, un innovatore che ha spinto l'umanità verso nuovi orizzonti. Invece, hai scelto un percorso più oscuro." Sartori, con la schiena contro il muro umido e l'aria fredda della mattina che gli sfiorava il viso, sembrava per un momento perso nei suoi pensieri, riflettendo sulle parole del commissario. "Nel mondo della ricerca, commissario, la pressione di emergere, di lasciare un segno è schiacciante. Ho temuto di essere dimenticato, di diventare una nota a piè di pagina in qualche oscuro giornale scientifico. Volevo che il mio nome fosse ricordato, ma mi rendo conto ora del prezzo di quella vanità." Lucia lo osservava, vedendo non solo il criminale ma l'uomo spezzato davanti a lei. "L'ambizione, Enrico, è come il fuoco. Usata con saggezza, può illuminare il mondo. Ma lasciata senza controllo, può distruggere tutto ciò che tocca. Hai avuto fiducia, rispetto, ammirazione... e hai scelto di bruciare tutto per un'illusione di grandezza." Il silenzio che seguì fu pesante, rotto solo dal lontano rumore della città che andava avanti ignara. "Non pensi che ogni uomo desideri lasciare un'eredità? Che abbia paura dell'oblio?" chiese Sartori, quasi sussurrando, cercando negli occhi del commissario una scintilla di comprensione. "La vera eredità, Enrico, non si misura dalle scoperte che rivendichiamo come nostre o dal denaro che accumuliamo. Si misura dall'impatto che abbiamo sulle vite degli altri, dall'integrità con cui viviamo ogni giorno. Hai avuto l'opportunità di ispirare generazioni, di guidare il mondo verso un futuro migliore con la tua intelligenza e la tua passione. Eppure, hai scelto un percorso che porta solo all'isolamento e al rimpianto." Mentre le parole del commissario risuonavano nel vicolo, Sartori abbassò lo sguardo, vinto. Forse, per la prima volta, comprendeva l'ampiezza della sua caduta, non solo agli occhi della legge, ma anche di quelli della propria coscienza. Il commissario Marini, pur consapevole del suo dovere di portare Sartori alla giustizia, non poteva fare a meno di provare una profonda compassione per lui. Era un promemoria doloroso che, al di là delle leggi che si infrangono, ci sono vite che si spezzano, sogni che si trasformano in incubi. La storia di Sartori era un monito per tutti, un ricordo che le scelte che facciamo non solo definiscono il nostro destino, ma tessono anche il tessuto più ampio della nostra umanità condivisa. Con un gesto deciso, il commissario fece segno ai suoi uomini, che attendevano discretamente nelle ombre, di avvicinarsi. Mentre Sartori veniva ammanettato e portato via, Lucia Marini rimase per un momento da sola nel vicolo, contemplando il peso delle parole scambiate e il prezzo della giustizia in un mondo imperfetto. Dopo l'arresto di Enrico Sartori, il commissario Lucia Marini e l'ispettore Carlo Conti furono convocati nell'ufficio del questore, un uomo di mezza età dalla presenza autorevole e dallo sguardo penetrante, che aveva seguito con crescente interesse l'evolversi delle indagini. L'incontro era destinato a essere un momento cruciale, non solo per condividere i dettagli dell'operazione, ma anche per consolidare le prove raccolte in vista del processo imminente. Maurizio Romano, Questore della città di Milano, è un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio della giustizia. La sua carriera, iniziata sul campo come semplice agente, è stata costellata da un'ascesa costante, grazie alla sua abilità nell'investigazione, alla leadership innata e a un'incrollabile etica del lavoro. Nel corso degli anni, Romano ha visto la trasformazione della sua città e del suo corpo di polizia, adattandosi ai cambiamenti con pragmatismo ma mantenendo sempre vive le tradizioni e i valori che considera fondamentali. Come Questore, Romano è profondamente rispettato dai suoi colleghi per la sua equità, il suo coraggio e la sua capacità di guidare con l’esempio. Nonostante la posizione di alto rango, non ha mai perso il contatto con la realtà del lavoro sul campo, spesso spendendo tempo con i suoi agenti e partecipando attivamente alle fasi cruciali delle indagini. Al di là della divisa, Maurizio Romano è un uomo di sorprendente sensibilità e cultura. Amante dell'arte e della storia, trova rifugio e ispirazione visitando le numerose gallerie e musei di Milano. La sua passione per la lettura spazia dalla letteratura classica italiana a opere di filosofia e storia, riflettendo il suo desiderio di comprendere il mondo in tutte le sue sfaccettature. Romano è vedovo, avendo perso la moglie Caterina a causa di una malattia alcuni anni prima degli eventi narrati. La loro era una relazione profonda, fondata su un amore reciproco per l'arte e il dialogo intellettuale. La perdita ha lasciato un vuoto nella vita di Maurizio, che tuttavia trova conforto nel ricordo della loro condivisione e nella vicinanza di sua figlia, Sofia, studentessa universitaria in lettere. Il questore accolse Marini e Conti con un cenno del capo, invitandoli a prendere posto davanti alla sua scrivania. "Commissario Marini, ispettore Conti," iniziò con tono misurato, "avete condotto un'indagine complessa con dedizione e acume notevoli. Sono ansioso di ascoltare il racconto delle vostre azioni e di comprendere come abbiate costruito il caso contro il signor Sartori." Lucia prese la parola per prima, delineando con precisione e chiarezza le fasi dell'indagine, dalla raccolta iniziale di indizi alla sorveglianza sotto copertura, fino all'arresto decisivo nel vicolo. Carlo, dal canto suo, fornì dettagli tecnici sull'analisi delle prove e sulla ricostruzione degli eventi che avevano portato alla svolta del caso. Mentre ascoltava, il questore annuiva, visibilmente impressionato dalla metodologia e dalla rapidità con cui l'indagine era stata portata a termine. Al termine del racconto, si alzò in piedi, esprimendo il suo apprezzamento con parole ponderate. "Commissario Marini, ispettore Conti, desidero esprimervi il mio più sincero elogio per l'eccellente lavoro svolto," disse, il suo sguardo spazzando tra i due. "In tempi in cui la fiducia nel nostro lavoro è messa alla prova, il vostro impegno e la vostra integrità sono un esempio lampante dell'eccellenza che caratterizza la nostra forza. Avete non solo risolto un caso complesso in un lasso di tempo incredibilmente breve, ma avete anche dimostrato una dedizione incommensurabile alla giustizia." Si avvicinò, porgendo loro una mano in segno di congratulazioni. "La vostra abilità nel raccogliere e consolidare le prove contro Sartori è stata fondamentale. Grazie al vostro lavoro, ora possediamo un caso solido da presentare in tribunale, aumentando significativamente le possibilità di una condanna. Questo non solo riafferma il nostro impegno nei confronti della legalità e dell'ordine pubblico, ma ristabilisce anche la fiducia dei cittadini nel nostro operato." Con un ultimo sguardo di approvazione, il questore concluse: "La vostra azione rappresenta il meglio di noi. Questo successo è un merito che condividete non solo come individui ma come rappresentanti dell'intera forza di polizia. Vi esorto a continuare su questa strada, mantenendo alti gli standard di eccellenza e dedizione che avete dimostrato."
SCOPRI DI PIU'Come un Flirt in un team aziendale potrebbe influire sui risultati lavoratividi Marco ArezioChe siano aziende grandi, in cui esistano diversi gruppi di lavoro divisi per differenti attività interne, che di piccole aziende, in cui un unico team si occupa delle attività aziendali, la componente umana è il motore di qualsiasi impresa. Le persone lavorano sempre a stretto contatto e dividono, non solo gli obbiettivi di budget che l’azienda ha deciso anno per anno, ma anche gli spazi e il loro tempo, attraverso una socialità che permette loro di portare avanti le attività per cui sono state assunte. Come in ogni ambito sociale all’interno dei teams di lavoro si devono creare degli equilibri tra le persone, linee di confini non visibili, gerarchie a volte non scritte e il confronto con reazioni caratteriali differenti. Come in una squadra di calcio, basket o di un altro sport collettivo, una grande scommessa che fa il coach, nel nostro caso il dirigente o il responsabile della squadra, è lavorare per amalgamare i componenti del team, smussare i caratteri, accrescere la fiducia collettiva, aumentare la competitività, in pratica applicare quello che è chiamato “gioco di squadra”. Sembra semplice scegliere un certo numero di collaboratori, senza conoscerli, metterli a lavorare insieme e pretendere dei risultati dopo un certo periodo, dando per scontato che questi arrivino nelle quantità e nella qualità desiderata. E’ pur vero che qualcuno vince alla lotteria, a fronte di milioni di perdenti, ma in azienda l’azzardo eccessivo ricade sempre sul leader. Questo dovrebbe preoccuparsi di avere un team coeso, collaborativo, fiducioso, con obbiettivi condivisi e con relazioni interpersonali corrette e costruttive. Per realizzare un equilibrio così importante tra le persone è necessario investire tempo tra loro, conoscerne i difetti e i pregi, condividere il senso collaborativo delle loro relazioni professionali, in modo da ridurre gli individualismi innati nell’uomo e il senso di prevalenza, l’uno sull’altro, che distruggerebbe lo spirito di squadra. Per accrescere il senso di appartenenza al team e ridurre la sterile competizione individuale, che porterebbe a lotte intestine, invidie, dispetti ed azioni che si ripercuoterebbero negativamente sui risultati aziendali, è importante anche vivere insieme dei momenti di vita comune fuori dal contesto aziendale. Una gita o un programma di gite, sostenute dall’azienda, in località culturali o di svago hanno la forza di accrescere quello spirito di unione e condivisione, in un ambito in cui le difese personali sono meno rigide, le confidenze e la conoscenza delle persone si mostrano più profonde e con esse il loro legame. Cambia la percezione reciproca, spostando l’asse da un concetto di collega ad uno di persona, con la speranza che il tempo riesca a portare in azienda meno colleghi e più persone. Nei gruppi di lavoro, specialmente quelli giovani, vivono sempre speranze ed aspettative anche non professionali, dove le preferenze di tipo sentimentale sono all’ordine del giorno. Il mondo del lavoro non è differente rispetto a quello che può succedere in momenti di socialità quotidiani, dove le persone si scelgono, o sperano di farlo, perseguendo sempre la ricerca, consapevolmente o meno, di un contatto umano sotto diverse forme. Quando questo approccio dovesse diventare concreto all’interno dello stesso team di lavoro, specialmente se questo è composto da molte persone, è bene rendersi conto della situazione e mettere in conto la possibilità di un mutamento degli equilibri interni. Il flirt tra due componenti del gruppo potrebbe creare invidie e gelosie tra alcune persone che avevano probabilmente speranze reciproche verso una delle due, creando un senso di frustrazione e di rifiuto, non solo verso di loro, ma anche del gruppo stesso. Qui entra in gioco la minaccia all’armonia collettiva, in quanto esisteranno fazioni a cui l’episodio non creerà nessun effetto collaterale e, altre, che genereranno delle conseguenze. Una o più persone frustrate del team non riusciranno più, probabilmente, ad avere rapporti costruttivi e collaborativi, ma potranno, consciamente o inconsciamente, mettere in campo azioni punitive per il rifiuto subito. Questo può creare un attrito crescente tra il gruppo, senza magari capirne le motivazioni e senza poter sapere come recuperare il clima costruttivo di prima. Solo un’attenta osservazione delle singole persone all’interno del team di lavoro e la loro pregressa conoscenza personale, può indurre il responsabile a pensare che esistano motivazioni di carattere extra lavorativo che stanno minacciando il funzionamento del gruppo. Nel rispetto della privacy dei singoli, è importante incrementare l’interlocuzione personale con tutti i componenti, singolarmente, e spingerli ad esternare i loro problemi e a raccontare la loro visione delle difficoltà del gruppo. Incrociando i dati raccolti, amalgamandoli con quelli immagazzinati nel tempo, confrontandoli con un prima e un dopo, si può arrivare ad individuare le aree del problema, ponendo in atto delle azioni che disinneschino le sensazioni negative della o delle persone che stanno vivendo male il momento.
SCOPRI DI PIU'Molti sono i fattori che influenzano la qualità di un manufatto, uno di questi è la scelta delle polveridi Marco ArezioLo stampaggio rotazionale è un processo utilizzato frequentemente per la formazione di oggetti, tramite le resine termoplastiche, che abbiamo la necessità di essere cavi. La caratteristica principale del processo è che lo stampo ruota intorno a due assi, o mutualmente perpendicolari, inoltre, rispetto allo stampaggio ad iniezione tradizionale, la materia prima, sotto forma di polvere, viene introdotta nello stampo, per poi essere riscaldato e successivamente raffreddato. Quali sono le principali differenze con il processo di stampaggio ad iniezione? Forse la più evidente è che nello stampaggio rotazionale si utilizza la materia prima sotto forma di polvere e non di granulo, inoltre la resina polimerica si trova all’interno dello stampo chiuso, e non iniettata a pressione nello stesso. In aggiunta, lo stampo, nel processo rotazionale, lavora in base alla rotazione assiale a differenza della staticità dello stampaggio a iniezione. Infine, possiamo dire che gli stampi del processo rotazionale sono più economici in quanto non hanno da considerare la pressione di iniezione. Perché si sceglie lo stampaggio rotazionale? Quando si devono produrre oggetti con una forma cava, lo stampaggio rotazionale è particolarmente indicato per la sua facilità di adattamento a tutte le forme richieste. Inoltre, in assenza di grandi pressioni all’interno dello stampo, il manufatto tende facilmente a ritirarsi e a staccarsi dopo la sua produzione, anche se gli oggetti sono di grandi dimensioni. Infine, possiamo dire, che attraverso il processo rotazionale, è possibile realizzare elementi anche molto complessi sia dal punto di vista strutturale che di design. Caratteristiche principali degli stampi per lo stampaggio rotazionale Possiamo dire che i materiali principali che costituiscono gli stampi sono: • Cast alluminio • Nichel elettroformato • Acciaio inossidabile e non Quando saremo in presenza delle necessità di una migliore uniformità nello scambio termico all’interno dello stampo, sceglieremo il cast alluminio. Se dovessimo privilegiare una fedele riproduzione delle figure potremmo scegliere gli stampi elettroformati, mentre in presenza di forme semplici e di grandi formati, possiamo optare per gli stampi in acciaio più economici. Se parliamo di spessori degli stampi possiamo dire che, normalmente, gli stampi cast in alluminio hanno spessori di 6-8 mm., mentre quelli in acciaio solo 2-3 mm. Nella progettazione dello stampo si dovrebbe sempre tenere presente quale materia prima si utilizzerà, in quanto alcuni polimeri ritirano sufficientemente facilitando l’estrazione del pezzo, altri meno, così da rendere necessario nello stampo un lieve angolo di sformo per agevolare il distaccamento del manufatto. Le fasi dello stampaggio rotazionale Come abbiamo detto in precedenza lo stampaggio rotazionale non è che uno scambio termico all’interno di uno stampo in condizioni di movimento. Le temperature durante il processo potranno variare, entro un certo range, in modo continuo durante l’intero ciclo di produzione. Nonostante queste continue variazioni di temperatura, la qualità di un manufatto si stabilisce calcolando l’esatta permanenza dello stampo all’interno del forno. Questo tempo è chiamato tempo di induzione. Possiamo quindi dire che, nella prima fase del ciclo, il tempo di induzione è quell’intervallo di riscaldamento dello stampo in cui la resina raggiunge la temperatura di fusione, che normalmente avviene attraverso l’insufflazione di aria calda. Il tempo di induzione è caratterizzato dalle seguenti variabili: • Temperatura del forno • Velocità di scambio termico • Spessore dello stampo • Temperatura di fusione della resina • Rapporto tra superficie e volume dello stampo • Coefficiente di scambio termico del materiale dello stampoLa seconda fase del ciclo, definito tempo di fusione, è il tempo necessario per fondere completamente la resina. Il tempo di fusione è caratterizzato dalle seguenti variabili: • Spessore del pezzo • Temperatura della resina e calore di fusione • Capacità di riscaldamento dello stampo • Rapporto tra la superficie dello stampo e il suo volume • Temperatura del fornoTutte queste variabili hanno un impatto significativo sul tempo di fusione e sulla qualità del pezzo che si vuole realizzare. Tuttavia, la velocità di fusione della resina può essere, in alcuni casi, incrementata innalzando la temperatura del forno, ma è importante non eccedere in questa operazione in quanto, se da una parte aumenta la produttività, dall’altro un’eccessiva permanenza del polimero nello stampo, a temperature molto alte, può portare alla sua degradazione. Scelta della polvere da utilizzare per lo stampaggio rotazionale Come abbiamo visto il tempo di fusione della resina è un fattore cruciale per il buon rendimento dello stampo e per la qualità dei pezzi da produrre. Quindi, possiamo dire che anche la dimensione delle particelle di polimero che vengono utilizzate, può influenzare il processo. Infatti una resina dimensionalmente maggiore aumenta il tempo necessario a fondere. Questo avviene a causa della diminuzione della superficie di contatto tra le particelle e le parti calde dello stampo, ma ciò normalmente non avviene se si impiega una dimensione della materia prima inferiore ai 500 micron. Al di là dell’importante parametro dimensionale delle polveri polimeriche da utilizzare, si può dire che una buona materia prima è quella che fluisce rapidamente negli angoli acuti e nelle rientranze, aderendo allo stampo e fondendo senza bolle attraverso il contributo termico. Inoltre, per esperienza, le polveri più fini vengono utilizzate per resine con MFI più bassi, al fine di ottenere una buona riproduzione superficiale, mentre l’utilizzo di un polimero con MFI alto può considerare l’utilizzo di particelle con dimensioni maggiori. Ciclo di raffreddamento dello stampo Il raffreddamento dello stampo e del manufatto può avvenire attraverso l’utilizzo sia dell’aria che dell’acqua. Normalmente l’aria, sospinta dalle ventole di raffreddamento, va ad investire la parte esterna dello stampo, mentre l’utilizzo di getti di acqua è riservato alla parte interna. Il tempo di raffreddamento è molto importante in quanto un’accelerazione di questa fase, quindi un rapido raffreddamento, potrebbe portare ad una deformazione del pezzo con un aumento della percentuale della fase amorfa dei polimeri cristallini.Categoria: notizie - tecnica - plastica - stampaggio rotazionale
SCOPRI DI PIU'Due famiglie di rifiuti ancora di difficile riciclo che continuano a riempire le discariche in tutto il mondodi Marco ArezioIl riciclo dei tappeti e delle moquette rimane un punto non risolto nell’agenda della circolarità dei prodotti, infatti, se guardiamo freddamente i numeri, rappresentati dalle tonnellate di prodotto che vengono portati in discarica rispetto a quelli che vengono riciclati o recuperati, possiamo dire che i conti non tornano. Se vogliamo parlare di tonnellate di rifiuto, secondo la Comunità Europea, in un anno vengono avviate alla discarica o all’incenerimento circa 1,6 milioni di tonnellate rappresentati da tappeti e moquette. Questo significa una quota rilevante di rifiuti che non viene minimamente riciclata per via della loro complicata composizione, fatta di polimeri, lana, carbonato di calcio e additivi chimici, che rappresentano, nell’insieme, una barriera al riciclo meccanico tradizionale. Infatti, i sistemi di riciclo dei rifiuti che rappresentano queste due famiglie di prodotti sono:- chimico, come illustrato nell’articolo “La Moquette si può riciclare grazie alla tecnologia molecolare”, - la produzione di energia tramite l’incenerimento, quindi l’utilizzo dei rifiuti infiammabili come propellente - il riusoSe il riciclo chimico non ha ancora raggiunto una diffusione importante, anche a causa dei costi per la produzione di nuovi polimeri, attraverso la scomposizione degli elementi costituenti i tappeti e le moquettes, la scelta dell’uso di questi rifiuti per produrre energia termica da impiegare, per esempio, nei forni delle cementerie, sembra una scelta apparentemente obbligata, visto che il riciclo meccanico non è in grado di fare la sua parte. Ma. in realtà, in alcuni paesi come l’Inghilterra, si è sviluppata da alcuni anni una terza strada che permette il riciclo di questi scarti complicati, attraverso il loro riuso sotto forma di prodotti nuovi in modo che non finiscano più in discarica o all’incenerimento. La moquette e i tappeti avviati al riuso vengono puliti, separati e ridotti in piastrelle di diverse dimensioni adatte al loro riutilizzo come pavimentazioni, feltri o accoppiati ad altri materiali fono-isolanti. In Inghilterra è nata l’associazione Carpet Recycling UK (CRUK), di cui fanno parte alcuni produttori di moquette e di tappeti, alcuni riciclatori ed esperti del riciclo, con lo scopo di migliorare la circolarità della filiera. Ma anche negli Stati Uniti qualche cosa si sta muovendo, infatti, lo stato della California ha implementato una legge sulla responsabilità del produttore di tappeti e, a partire dal 2026, lo stato di New York richiede ai produttori di istituire un programma per la raccolta e il riciclaggio dei tappeti scartati e inutilizzati. In termini quantitativi stiamo parlando di numeri ancora contenuti, considerando che nel settore tessile i rifiuti che vengono generati ogni anno hanno un tasso di riciclo molto basso, intorno al 13%, e di questi il loro riutilizzo, per ora, vede un riuso di bassa qualità, come stracci, imbottiture o isolanti. Inoltre la circolarità espressa dal sistema tessile vede un ampio uso di polimeri riciclati che non derivano dalla propria filiera, come per esempio il poliestere che deriva dal riciclo delle bottiglie dell’acqua e delle bibite, bottiglie che sono sempre più necessarie per la produzione del packaging riciclato. Questa abitudine di dichiarare circolare un prodotto tessile per via della sua produzione con materiali riciclati, anche se non provengono dal settore tessile, è un elemento fuorviante e che non aiuta alla circolarità della filiera.
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