Dopo la pandemia, ed ora, nel pieno di una crisi internazionale, i lavoratori sono profondamente cambiatiStiamo attraversando un periodo di profondo stress sociale, cominciato dall’isolamento creato dalla pandemia all’interno delle nostre case, dall’utilizzo a tappeto dello smart working, dalla perdita della socialità lavorativa e da nuove regole e paure nella vita privata. Siamo stati per decenni convinti che la massima forma di realizzazione personale e sociale fosse una buona posizione lavorativa, il raggiungimento di un centro di potere, piccolo o grande che sia, una visibilità sociale positiva, frutto della propria posizione conquistata a fatica negli anni e, infine, un benessere finanziario che sottoscrivesse il nostro successo. Per questi motivi e, probabilmente, per altri del tutto personali, ci si è immolati ad una intensa attività lavorativa, dedicando tutte le proprie forze disponibili per i propri obbiettivi, ben oltre quello che poteva essere racchiuso in un contratto di lavoro. Un’idea di abnegazione al lavoro socialmente accettata e valutata in modo normale e positivo da tutti, retaggio di un concetto di laboriosità e responsabilità dell’individuo all’interno della società. Ma poi arrivò il Covid, le aziende si svuotarono, molti lavoratori furono parcheggiati a casa, in attesa che l’epidemia passasse, altri venivano organizzati per il lavoro da remoto, cambiando completamento il rapporto tra l’azienda, il lavoratore e l’ambito lavorativo. I dipendenti che hanno continuato a lavorare da casa si sono spogliati delle vesti e delle maschere che spesso si portavano con loro, la mancanza di socialità ha concentrato lo sforzo esclusivamente sul lavoro e non anche sul contesto lavorativo, creando un abbassamento delle tensioni personali. I lavoratori hanno avuto modo, attraverso l’esperienza della produttività remota, di ripensare al modello aziendale in cui vivevano, alle contraddizioni, agli sforzi profusi negli anni, alle soddisfazioni e alle brucianti amarezze subite, ai dispetti e alla marginalizzazione a volte provate, alle motivazioni passate e a quelle attuali, al risvolto economico ed al tempo che si spende dentro un’azienda rispetto a quello all’esterno di essa. Molti hanno fatto dei bilanci, hanno sperimentato nuove priorità, creato un nuovo rapporto con il denaro guadagnato, con i desideri, le ambizioni e i progetti futuri. Al rientro in presenza nelle aziende i lavoratori non erano più gli stessi di due anni prima, ognuno segnato dalle proprie trasformazioni, alcuni più profondamente per la perdita di parenti od amici, con diverse centralità rispetto al passato e nuove aspettative. Un contesto del tutto nuovo anche per i managers, che dovevano continuare a gestire la forza lavoro ed elaborare strategie per ricominciare un percorso lavorativo insieme. In questa particolare occasione il comparto dirigenziale si è distinto in due categorie: la prima che ha preso coscienza che non era possibile non considerare quello che il mondo, e i lavoratori avevano vissuto, cercando di avere un approccio empatico e comunicativo con la forza lavoro, in modo da considerare nuove strategie di gestione che tenessero conto del carico di stress accumulato, per capire come evitare dei pericolosi punti di rottura. Managers che si sono improvvisati un po’ psicologi, il cui intento era capire come fosse cambiato il singolo lavoratore, quali nuove aspettative potesse avere e quali problemi si portava con sé, quali fossero le sue ambizioni e come si potesse farle coincidere con la crescita aziendale, insomma creare soddisfazione e appartenenza al gruppo. La seconda categoria di managers ha continuato a rapportarsi e a gestire i dipendenti come se nulla fosse successo, contando sulla dedizione al lavoro della squadra, sui loro sacrifici in termini intellettivi e di tempo e spronandoli a correre come prima, anzi più di prima, visto il tempo perso durante il Covid, facendogli capire ogni giorno che dovevano ringraziare l’azienda per la conservazione del loro posto di lavoro. Questa seconda categoria non si è accorta che il suo esercito è composto di persone che non vedono più nella loro divisa l’unica soddisfazione della propria vita, cerando, giorno per giorno, una frattura sempre più ampia. La presa di coscienza di una minore motivazione che le persone trovavano in un’azienda gestita da managers distanti, senza la capacità di una concreta comunicazione, con la mancanza di ascoltare il proprio gruppo, può creare al fenomeno chiamato Quiet Quitting. Il Quiet Quitting è un atteggiamento da parte dei lavoratori che, sintetizzato, significa fare il minimo sforzo possibile entro i termini corretti del contratto di lavoro, senza più farsi trascinare nel consumo delle proprie energie mentali e di tempo per l’azienda. Un modello di approccio al lavoro che è fortemente destabilizzante per le aziende, se non lo si capisce in tempo e se non si trovano gli strumenti corretti per arginarlo ed evitarlo. Non ci sono, richiami, minacce, allusioni ad aumenti di stipendio o altri bonus che possono risolvere il problema, in quanto il lavoratore non sta violando nessuna regola e la carota dei soldi non fa più presa come un tempo. Se il manager non capisce che nella propria squadra è nata un’insoddisfazione profonda, dove i lavoratori non hanno la possibilità di esprimersi, di realizzarsi, di trarre piacere da quello che fanno, all’interno dell’azienda, i dipendenti hanno due strade: cambiare lavoro o restare applicando il Quiet Quitting. Per i quadri direttivi è importante capire che il mondo è cambiato, che l’inquietudine e le difficoltà fuori dall’azienda hanno trasformato soprattutto i giovani, la forza più propositiva e dinamica di un’impresa, e che i rapporti e gli ambiti lavorativi devono essere diversi e gestiti in modo più collegiale ed empatico.
SCOPRI DI PIU'Movimenti societari importanti si vedono nel campo della produzione di energia pulita proveniente da fonti alternative, come gli scarti delle lavorazioni agricole e i rifiuti umidi urbani, detti FORSU. Come riportato da porto ravenna, la società Rosetti Marino Spa ha acquisito il 60% di Green Methane.Rosetti Marino S.p.A. ha acquistato il 60% di Green Methane s.r.l., società leader in Italia nella progettazione, realizzazione e messa in marcia di impianti per la trasformazione di Biogas in Biometano. L’accordo per il subentro nel controllo di Green Methane da parte della Rosetti Marino è stato raggiunto tra l’Amministratore Delegato della società ravennate Ing. Oscar Guerra da un lato e dal Dott. Ferruccio Marchi e dall’Ing. Luigi Tomasi dall’altro, rispettivamente Presidenti delle società fondatrici cedenti Marchi Energia s.r.l. e Giammarco-Vetrocoke Engineering s.r.l.. Le società cedenti mantengono comunque importanti quote nella nuova compagine societaria capitanata da Rosetti Marino, che col suo Gruppo metterà a disposizione di Green Methane le notevoli capacità ed esperienze tecniche, gestionali ed organizzative di cui dispone. Gli scarti di lavorazioni agricole e la frazione organica di rifiuti solidi urbani (FORSU) sono le materie prime da cui si genera il Biogas, che ha quindi origine non fossile ed è costituito prevalentemente da Metano e Anidride Carbonica (CO2). Gli impianti di Green Methane purificano il Biogas dalla CO2 e producono un Metano Verde con caratteristiche idonee, sia per l’immissione nella rete distributiva del gas che arriva alle nostre case, sia per autotrazione. La tecnologia di Green Methane è stata selezionata dal Gruppo ravennate perché produce Biometano con un elevatissimo livello di purezza e perché i suoi impianti – che sono caratterizzati da alta efficienza e ridotti costi di esercizio – risultano perfettamente compatibili con quelli di liquefazione del Metano e di generazione di Idrogeno da Metano, già sviluppati da Rosetti Marino tramite la sua controllata Fores Engineering s.r.l. Inoltre, la CO2 separata dal Biogas è disponibile ad elevata purezza ed idonea per successivi utilizzi o destinazioni (CCU o CCS) senza ulteriori trattamenti. L’obiettivo dichiarato di Rosetti Marino è quindi quello di proporsi al mercato come contrattista integrato sull’intera linea di trattamento del Biogas, garantendo, in base alle esigenze della clientela, impianti per la produzione di Metano Verde, anche liquefatto, e Idrogeno Verde. Inoltre, per il Gruppo ravennate la tecnologia Green Methane rappresenta anche l’accesso diretto alle tecnologie per la cattura della CO2, essenziale per il raggiungimento degli obiettivi di de-carbonizzazione dettati dal Green Deal europeo e dalla Conferenza COP 21 di Parigi. L’operazione Green Methane si innesta dunque in un progetto imprenditoriale di ampio respiro, che mira a consolidare la posizione di Rosetti Marino quale protagonista nel mercato dell’impiantistica per l’Energia, sia nel presente contesto di transizione energetica e sia in un futuro caratterizzato prevalentemente dall’impiego delle fonti rinnovabili e dall’economia circolare.
SCOPRI DI PIU'Anche la Moda Vuole la sua Circolarità. La Visione di MacArthur Foundationdi Marco ArezioLa circolarità dell'economia non è fatta solo da settori che apparentemente sono, all'opinione pubblica, più visibilmente inquinanti, ma deve essere applicata a tutte le tipologie di produzioni industriali. La moda, per esempio, non è percepita come una filiera inquinante dalla popolazione, ma i dati degli esperti non supportano questa sensazione popolare, se consideriamo che ogni secondo viene mandato in discarica o bruciato la quantità di un autotreno di materiali tessili. RadiciGroup, attraverso l'ultima informazione, si fà carico del problema. RadiciGroup, dal 2018 partner dell’iniziativa “Make Fashion Circular” di Ellen MacArthur Foundation, ha recentemente partecipato alla stesura delle linee guida sulla circolarità nella moda redatte dall’associazione e basate sui principi dell'economia circolare, con l’obiettivo di offrire un contributo concreto alla riduzione degli sprechi nel mondo tessile-abbigliamento. Linee guida da attuare quanto prima se si pensa ai dati quantificati da EMF: ogni secondo, l'equivalente di un camion di materiali tessili viene mandato in discarica o bruciato. Si stima che ogni anno si perdano circa 500 miliardi di dollari di valore a causa di indumenti indossati saltuariamente e raramente riciclati. La nuova “Vision of a Circular Economy fo fashion” parte dal presupposto che è necessario lavorare tutti insieme per portare su scala industriale modelli di business profittevoli, che consentono però di noleggiare, rivendere o riciclare i vestiti più facilmente. Ecco perché si basa su ricerche approfondite e contributi di circa 100 organizzazioni tra cui produttori di tessuti, produttori di abbigliamento, marchi, rivenditori, collezionisti, selezionatori, riciclatori, accademici, istituzioni internazionali e ONG. Tre i punti chiave della vision: usare di più, riutilizzare, partire da materiali rinnovabili o da riciclo. RadiciGroup, produttore di filati in poliammide ma anche in poliestere ed acrilico, è “contributor” della nuova vision EMF, mettendo a disposizione competenza ed esperienza nella formulazione di soluzioni tessili in grado di concretizzare l’economia circolare.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - moda Per maggiori info: www.ellenmacarthurfoundation.org
SCOPRI DI PIU'Tre impianti eolici offshore da quasi 2 GW per produrre elettricità in modo sostenibiledi Marco ArezioUna nuova partnership di società specializzate nelle energie rinnovabili, in particolare nel campo dell’eolico offshore, è stata costituita per realizzare tre parchi eolici galleggianti al largo delle coste Sarde e Laziali, a quasi 30 Km. dalle coste con circa 2 GW di potenza. Con minori vincoli ambientali dei parchi eolici sulla terraferma, quelli galleggianti possono dare una risposta più veloce in termini di procedure autorizzative e permettono di sfruttare meglio i venti che si muovono sulla superficie del mare. Con questo accordo il consorzio diventa uno dei maggiori operatori del settore in Italia con progetti per una capacità totale di circa 3 GW.La nuova partnership è composta da GreenIT, la joint venture italiana per le energie rinnovabili tra Plenitude (Eni) e CDP Equity (Gruppo CDP), e Copenhagen Infrastructure Partners (CIP attraverso i suoi Flagship Funds), che hanno firmato un accordo per lo sviluppo di tre parchi eolici offshore galleggianti nel Lazio e in Sardegna. L'intesa prevede lo sviluppo di un parco eolico nel Lazio, al largo di Civitavecchia, per una capacità complessiva fino a 540 MW e di altri due impianti situati al largo di Olbia (Sardegna), con una potenza di circa 500 MW e 1.000 MW. I tre progetti dovrebbero generare circa 5 TWh/anno e saranno operativi tra il 2028 e il 2031, una volta completato l'iter autorizzativo e la successiva fase di costruzione. L’intero portafoglio eolico offshore italiano della partnership raggiungerà una potenza di quasi 3 GW con una produzione annua di circa 7 TWh di energia rinnovabile, in grado di soddisfare i consumi elettrici di quasi 2,5 milioni di famiglie, contribuendo così agli obiettivi di decarbonizzazione del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima 2030. I tre parchi eolici offshore utilizzeranno fondazioni galleggianti e soluzioni tecniche innovative volte a minimizzare l'impatto ambientale e visivo e beneficeranno di sinergie tecnologiche e logistiche con le altre iniziative eoliche offshore gestite nell'ambito della stessa partnership. Gli impianti verranno sviluppati da un team di lavoro congiunto, affiancato da Copenhagen Offshore Partners, fornitore esclusivo di CIP per l’implementazione dell'eolico offshore, e da NiceTechnology e 7 Seas Wind Power, società italiane con provata esperienza nel comparto offshore, che hanno già collaborato con GreenIT e CIP allo sviluppo di altri due progetti in Sicilia e Sardegna. Questo nuovo accordo rappresenta un ulteriore tassello strategico e un impegno preciso per il rafforzamento del settore eolico offshore galleggiante in Italia, fornendo un contributo significativo verso un futuro a basse emissioni di carbonio e incoraggiando la crescita della filiera produttiva locale.Fonte ENI
SCOPRI DI PIU'Come il Riciclo dei Polimeri Sta Ridisegnando il Futuro delle Transazioni Finanziariedi Marco ArezioLe carte di credito sono diventate un pilastro fondamentale dell'economia moderna, facilitando transazioni veloci e sicure in tutto il mondo. La loro produzione, tuttavia, implica una serie di processi complessi e l'uso di materiali specifici, con una crescente attenzione verso l'impiego di polimeri riciclati in risposta alle sfide dell'economia circolare. Materiali Utilizzati Tradizionalmente, le carte di credito sono state prodotte utilizzando PVC (Policloruro di Vinile), un materiale plastico noto per la sua durabilità, flessibilità e capacità di essere stampato con precisione. Il PVC consente di incorporare vari livelli di sicurezza, come ologrammi, microchip e bande magnetiche, rendendo le carte di credito difficili da contraffare. Tuttavia, il PVC non è facilmente riciclabile e può rilasciare sostanze nocive se non smaltito correttamente. Negli ultimi anni, c'è stata una spinta verso l'utilizzo di materiali più sostenibili, tra cui polimeri riciclati. Questi materiali provengono da fonti post-consumo o post-industriali e attraversano un processo di pulizia, triturazione e rigenerazione prima di essere trasformati in nuove carte. L'uso di polimeri riciclati riduce la dipendenza dalle risorse vergini e diminuisce l'impatto ambientale della produzione delle carte di credito. Produzione e Riciclo La produzione di carte di credito inizia con la creazione di un foglio di materiale plastico, che viene poi stampato, tagliato e inciso con i dati del titolare della carta. La fabbricazione di un microchip e l'installazione di una banda magnetica sono passaggi successivi cruciali, seguiti da test rigorosi per assicurare la conformità agli standard di sicurezza. Nonostante l'incremento nell'uso di carte virtuali e sistemi di pagamento mobile, la produzione annua di carte di credito fisiche rimane significativa, con stime che superano i miliardi di unità a livello globale. Il tasso di riciclo, tuttavia, è ancora basso, in parte a causa della complessità dei materiali coinvolti e della mancanza di infrastrutture dedicate. Iniziative volte ad aumentare la raccolta e il riciclo delle carte scadute o dismesse stanno guadagnando terreno, con alcune aziende che offrono programmi di ritorno specifici per le carte di credito. Curiosità del Mercato Personalizzazione: l'industria delle carte di credito ha visto una crescente domanda di personalizzazione, con clienti che desiderano design unici o la possibilità di aggiungere immagini personalizzate sulle loro carte. Carte ecologiche: alcune banche e istituti di credito hanno iniziato a offrire carte prodotte esclusivamente con materiali sostenibili o riciclati, rispondendo alla crescente consapevolezza ambientale dei consumatori. Tecnologia contactless: l'adozione di tecnologia contactless ha accelerato l'uso delle carte di credito, rendendo le transazioni più rapide e convenienti. Storia delle Carte di Credito La storia delle carte di credito risale agli anni '20 negli Stati Uniti, quando furono introdotte come metodo di pagamento per i clienti VIP di alberghi e stazioni di servizio. Tuttavia, il concetto di carta di credito come lo conosciamo oggi si è sviluppato negli anni '50, con l'introduzione della Diners Club Card, seguita dalla American Express e dalla Bank of America Card, che in seguito divenne Visa. Queste prime carte erano generalmente fatte di cartone e venivano accettate solo in un limitato numero di stabilimenti. Da allora, l'industria delle carte di credito ha visto innovazioni rivoluzionarie, inclusa l'introduzione di bande magnetiche, microchip e tecnologie di sicurezza avanzate, trasformando il modo in cui consumiamo e gestiamo le nostre finanze. Mentre l'industria delle carte di credito continua ad evolversi, con un occhio di riguardo verso soluzioni più sostenibili e tecnologicamente avanzate, l'adozione di polimeri riciclati rappresenta un passo importante verso la riduzione dell'impatto ambientale di questi strumenti di pagamento indispensabili. Questa transizione non solo rispecchia le crescenti esigenze ambientali ma segnala anche un cambiamento nel comportamento dei consumatori, sempre più orientati verso scelte etiche e sostenibili. Il futuro delle carte di credito sembra orientarsi verso l'innovazione continua, sia in termini di materiali e processi produttivi sia nella funzionalità e sicurezza. Le sfide legate al riciclo e allo smaltimento delle carte di credito richiedono un impegno congiunto da parte delle aziende produttrici, dei consumatori e delle autorità normative per sviluppare soluzioni efficaci che promuovano l'economia circolare. Inoltre, l'emergere di tecnologie digitali e di sistemi di pagamento alternativi potrebbe ridurre la necessità di carte fisiche, spostando l'attenzione verso soluzioni completamente virtuali. Tuttavia, fino a quando la carta di credito fisica rimarrà un elemento fondamentale nel portafoglio dei consumatori, il suo impatto ambientale e le strategie per la sua mitigazione rimarranno argomenti di cruciale importanza. La storia delle carte di credito, dalla loro creazione come semplici strumenti di carta per un'élite ristretta alla loro attuale incarnazione come simboli di accessibilità finanziaria e innovazione tecnologica, riflette l'evoluzione della società moderna e delle sue priorità. Man mano che ci avviciniamo a un futuro più sostenibile, il ruolo delle carte di credito e la loro produzione continueranno ad adattarsi, dimostrando la capacità dell'industria di rispondere alle sfide ambientali senza compromettere la sicurezza e la comodità degli utenti. In conclusione, la produzione di carte di credito, l'uso di materiali riciclati e la storia di questo strumento finanziario offrono uno sguardo affascinante sull'intersezione tra tecnologia, economia e sostenibilità.
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