Petrolio, metano e idrogeno: come stiamo affrontando la transizione energetica dalle fonti fossili? A guardarci intorno sembra che nulla stia cambiando, andiamo al distributore a riempire le nostre macchine di benzina o di gasolio, vediamo circolare qualche auto a metano, poche francamente, qualche rara auto elettrica. Ci sono ancora città che usano il gasolio per il riscaldamento e l’acqua calda, molte fabbriche che hanno processi industriali alimentati da fonti fossili e il trasporto su gomma divora gasolio come fosse un fiume in piena. I trasporti via mare e il traffico aereo dipendono dai derivati del petrolio e hanno un’incidenza nell’inquinamento dell’aria notevole. Ci sono centrali che producono energia elettrica che funzionano ancora a carbone e nonostante tutto, si parla tanto di energie rinnovabili ma, nel quotidiano, facciamo fatica a vederle espresse. In realtà il processo di de-carbonizzazione in alcune aree del mondo è partito, con le attività di conversione dalle fonti fossili verso quelle rinnovabili, un processo però che richiederà tempo e che avrà bisogno di investimenti. In passato c’era solo il petrolio, che forniva, una volta raffinato, tutta l’energia di cui avevamo bisogno. Inquina, si, lo abbiamo sempre saputo, ma abbiamo fatto sempre finta di niente, anzi, ancora oggi c’è chi sostiene che il cambiamento climatico non dipende anche dal petrolio. Il pericolo che temevamo, pronunciando la parola “Petrolio”, era che prima o poi potesse finire, dovendo quindi rinunciare ai nostri agi. Poi è arrivato il metano, non che lo avessimo chiamato al nostro capezzale per una questione ambientale, ma perché costava meno e quindi ci è stato subito simpatico. Agli esperti, introdotti nel settore petrolifero, non piacevano queste grandi simpatie e per evitare un travaso di clienti importante, che avrebbe minato la marginalità dell’industria petrolifera, hanno sostenuto che le riserve di gas erano molto limitate rispetto a quelle petrolifere, quindi il mercato del gas vide un’impennata dei prezzi così da mettere al sicuro il business del petrolio. Oggi le cose si sono ristabilite, in quanto la tutela dell’ambiente è sull’agenda di qualunque cittadino, quindi le cose si vedono in un modo meno unilaterale. Le riserve di gas stimate nel 2006 in 25 anni di disponibilità oggi sono arrivate a 200 anni, portando il prezzo del gas, per esempio negli Stati Uniti, ad un valore di dieci volte inferiore a quello del 2006. Rispetto al petrolio, il gas naturale costa oggi circa la metà, rendendo appetibili gli acquisti. L’allontanamento dal petrolio si sta concretizzando anche con l’aumento della produzione di bio-metano, che darà una grossa mano, sia in termini ambientali che di gestione dei rifiuti urbani, molto importante, aiutando la riconversione energetica. In questa ottica la fonte energetica per far funzionare il trasporto su gomma e su mare può essere progressivamente sostituita dal gas con risparmi in termini di CO2 considerevoli. Come per gli impianti di produzione di energia elettrica o i termovalorizzatori che potranno godere dell’uso di gas naturale o bio-gas per il loro funzionamento riducendo l’impronta carbonica. E il futuro quale è? Il futuro oggi si chiama Idrogeno, un elemento conosciuto da molti anni ma per ragioni politiche, economiche e tecniche non ha mai visto un’alba felice. Le speranze che questo elemento energetico venga usato in larga scala nei prossimi 10 anni è confortato dal fatto che le energie rinnovabili abbasseranno il prezzo della produzione dell’idrogeno, inoltre l’industrializzazione della produzione degli elettrolizzatori, che servono a ricavare l’idrogeno dall’energia elettrica scomponendo l’acqua, aiuterà questo processo. L’idrogeno si potrà utilizzare nei trasporti pesanti, nel settore residenziale, nel riscaldamento e in alcune attività industriali. Il matrimonio tra idrogeno e l’energia prodotta da fonti rinnovabili sarà la chiave di volta per la sua diffusione, infatti si devono progettare nuovi impianti che siano in grado di trasformare, per esempio l’energia del sole, in energia elettrica specificamente dedicata a questa produzione. L’Italia sta pensando con interesse all’area del nord Africa come fonte preferita per la produzione di energia solare dedicata, mentre l’Olanda pensa al mare del nord per l’utilizzo dell’eolico. C’è un gran fervore dietro le quinte, a breve, ci auguriamo, lo spettacolo possa iniziare anche per i consumatori.Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'Come riconsiderare i prodotti vegetali di scarto per la bio-edilizia in un’ottica di economia circolaredi Marco ArezioE’ nato prima l’uovo o la gallina? Una battuta spiritosa che potrebbe essere applicata facilmente al binomio bio edilizia – economia circolare. Infatti possiamo dire che i due campi si alimentano vicendevolmente, mettendo il mercato dei rifiuti e degli scarti a disposizione dell’industria dei prodotti edilizi, per la creazione di manufatti sempre più green. Esiste infatti nel passato una vasta documentazione che descrive come l’uomo avesse sempre cercato di migliorare la salubrità e la vivibilità delle proprie abitazioni, sfruttando nel migliore dei modi quello che la natura gli metteva a disposizione, sia sotto l’aspetto ambientale che quello delle materie prime sulle quali poteva contare. La lenta evoluzione dei processi costruttivi e dei materiali, durante i secoli, ha visto un lento ma costante miglioramento delle performance abitative degli edifici costruiti, soprattutto quando vennero impiegati i mattoni, i vetri, gli isolamenti termici pur rudimentali, i sistemi fognari e molte altre innovazioni. Ma la svolta concreta è avvenuta durante del XIX secolo, quando la grande disponibilità di energia proveniente dalle fonti fossili, in coincidenza dei progressi tecnologici, creò una nuova forma di architettura, anche intesa come materiali, basata molto sulla futurizzazione della potenza industriale e sulla produzione in serie di elementi per l’edilizia. Questo trasformismo portò ad un allontanamento progressivo dalla centralità dell’ambiente e della natura nelle opere edili e nei suoi progetti. Intorno agli anni 70 dello scorso secolo, anche nel settore delle costruzioni iniziarono a crescere dei dubbi sulla sostenibilità dei materiali usati e sul metodo della cementificazione selvaggia che erodeva il suolo, inquinava l’ambiente e sperperava le risorse energetiche. Il processo che portò ad una nuova consapevolezza tra edilizia e ambiente si manifestò, lentamente, attraverso strade diverse: le crisi petrolifere causarono l’aumento del costo per scaldare le abitazioni, spingendo alla creazione dei primi isolanti termici, l’inquinamento urbano portò allo studio di nuove forme di sfruttamento dell’energia domestica, la crescita di una nuova coscienza ambientalista mise in discussione una serie di materiali difficilmente riciclabili. L’idea di una nuova circolarità nell’uso degli edifici e dei materiali che li compongono, rivoluzionò il sistema fin dalle fasi di progettazione, in cui vennero inseriti concetti come bioedilizia ed economia circolare dei rifiuti. Oggi, questo nuovo corso, gira intorno all’impatto ambientale dell’edificio, attraverso lo strumento dell’eco bilancio, che deve considerare tutte le fasi della vita della struttura, cioè significa analizzare l’impatto del costruito nella fase prima della sua realizzazione, durante la vita dell’edificio e dopo la sua esistenza, intesa come recupero dei materiali che lo hanno composto. Utilizzando la metodologia LCA (Life Cycle Assessment), adattata, non ai singoli prodotti, ma ad un edificio intero, si vuole fare una valutazione complessiva del progetto rispettando i seguenti parametri: Compatibilità: che consiste nella valutazione dell’opera nel contesto ambientale sotto il profilo economico, inteso come minori sprechi generali nel tempo. Benessere: inteso come integrazione dell’uomo in equilibro con la natura e le sue risorse. Riciclo e riuso: inteso come la ricerca di una costruzione, anche di tipo a secco, in cui gli elementi potrebbero essere smontati e riutilizzati facilmente a fine ciclo. Da questi concetti nascono nuove forme di ricerca che vogliono ripercorrere la circolarità dei materiali da impiegare, per realizzarne altri adatti alle costruzioni, cercando di minimizzare il prelievo delle materie prime dall’ambiente. In questo contesto si muovono i materiali, intesi come materie prime, che provengono dallo scarto della lavorazione del riso, riutilizzati come componenti eco compatibili, finalizzati alla realizzazione di nuovi elementi costruttivi. Per scarto del riso, possiamo identificare la parte che lo avvolge, denominata pula o lolla, che risulta dopo la lavorazione, tramite sbramatura (azione meccanica di pulitura del chicco di riso) del prodotto raccolto nel campo, il cui rifiuto incide dal 17 al 23% in peso. La lolla ha una consistenza molto dura e leggera, con una densità di circa 135-140 Kg./m3 ed ha ottime caratteristiche espresse nell’imputrescibilità e inattaccabilità dagli insetti. Essendo molto scarso l’apporto nutritivo del prodotto (3,3% di proteine e 1,1% di grassi) non viene generalmente impiegata come mangime per gli animali. Nel campo dell’arredamento, la lolla di riso viene utilizzata, in compound con delle resine, per creare un legno artificiale, adatto alla costruzione di darsene, pontili e arredo urbano esterno in virtù delle elevate proprietà impermeabili, di resistenza al sole, alla pioggia, alla salsedine e alla neve. Nel campo delle costruzioni abitative, la lolla di riso viene impiegata in alcuni processi produttivi: Massetti alleggeriti con spiccate doti di isolamento termo-acusticheMalte di intonaco e di finitura attraverso un mix di lolla di riso, inerti silicei ed argillaPitture da esterno composte da latte di calce e lolla di risoPannelli per pareti da interno ed esterno, per l’isolamento termo-acustico, composti da lolla di riso, ossido di magnesio e amido di soia con la funzione di legante. I prodotti composti dalla lolla di riso, dalla paglia e dalla calce sono leggeri, tenaci, con caratteristiche termiche e acustiche e traspiranti.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - bioediliziaVedi maggiori informazioni sulla bioedilizia
SCOPRI DI PIU'Controllo Analitico degli Odori nel Settore del Riciclodi Marco ArezioI materiali riciclati, che siano materie prime provenienti dalla selezione dei rifiuti, nei loro vari stati di vita (sfusi, balle, macinati, granuli), o il prodotto finale, creato attraverso i processi del riciclo, possono portare con loro gradienti e tipologie di odori che possono essere più o meno sgradevoli agli operatori o ai clienti finali. La sensazione dell’accettazione o meno dell’odore è del tutto soggettiva e dipende da una serie infinita di valutazioni sensoriali: quello che per me potrebbe essere un odore accettabile, per il cliente potrebbe essere una casa insopportabile. Il naso umano è sensibile, ma differente tra persona e persona nell’intercettare gli odori e, soprattutto, non è in grado di catalogare con esattezza un livello equo dei composti odorosi, né il ripetersi dell’intensità degli odori che intercetta. Quello che un’azienda produce, in termini di odore in un prodotto, che sia materia prima o un elemento finito, deve essere catalogato in maniera del tutto analitica, senza approssimazione, per determinare degli standards che possano essere accettati sia dal produttore che dal cliente, in modo che tutte le produzioni successive possano rientrare nei ranges stabiliti. Definire e poter replicare un range di odore accettato dalle parti, non è solo un incremento del servizio qualitativo del prodotto stesso e dell’azienda, ma anche una garanzia verso il cliente finale che può ragionevolmente sapere che le intensità odorose possono essere catalogate e gestite con esattezza. Vediamo alcuni esempi dove un “naso elettronico” può fare la differenza: • I produttori di vaschette in PET, ricevendo il granulo o il macinato riciclato, possono valutare analiticamente l’intensità odorosa della materia prima e dare al produttore stesso degli standards da non superare per evitare problemi sulle vaschette nella catena distributiva. • I produttori di bevande in bottiglie in PET possono stabilire con certezza non solo i livelli odorosi massimi accettati sulla materia prima, ma possono stabilire se il prodotto contenuto nelle bottiglie possa subire delle cessioni da parte della bottiglia di plastica di sostanze odorose che possano inficiare la qualità del loro prodotto. • I produttori di materie prime possono stabilire con i clienti dei ranges odorosi massimi accettabili da entrambi, attraverso un’analisi analitica della materia prima venduta al fine di garantire una qualità certa del prodotto. • I produttori di flaconi per i detersivi, per il care, per i liquidi profumati hanno l’esigenza acquistare la materia prima riciclata in HDPE che abbia un tenore di odori proveniente dai tensioattivi tali per cui non vadano a interagire negativamente con la confezione finale sugli scaffali dei negozi o possano alterare le profumazione dei liquidi o delle polveri contenute. • I produttori di arredi o di imballi per la logistica industriale che utilizzano il PP, l’HDPE e l’LDPE da post consumo, devono poter stabilire con certezza l’incidenza degli odori delle materie prime che comprano, in modo da stabilire dei limiti che non possano influire negativamente con il prodotto finale che distribuiscono. • Potremmo continuare a citare altri esempi in cui la mancanza di una catalogazione certa degli odori possa portare spesso alla contestazione dei materiali, con costi notevoli e degenerazione dei rapporti clienti-fornitori. Attraverso l’uso di un analizzatore delle sostanze odorose, che è una macchina da laboratorio che utilizza campioni di materia prima o pezzi di prodotti finali, quindi sotto forma di granuli, macinati, liquidi, ecc…, successivamente riscaldati, creando delle sostanze volatili all’interno della provetta, venendo poi analizzate chimicamente e comparate, attraverso un programma di analisi, creando così un quadro preciso delle tipologie e delle intensità. La macchina permettere di comparare anche campioni definiti standard e quindi accettati dalle parti, con le varie campionature delle produzioni successive in modo da intercettare gli scostamenti e valutare immediatamente correzioni produttive. I risultati delle analisi restituiscono una fotografia precisa, non solo delle intensità odorose, ma anche delle tipologie di composti chimici presenti nei campioni che producono il mix di odori, così da poter intervenire in modo preciso e tempestivo. Lo strumento che analizza, in modo analitico gli odori o i profumi delle sostanze volatili contenute nei prodotti, è impiegato anche nel settore alimentare per smascherare le sofisticazioni alimentari come, per esempio, quelle dell'olio di oliva, per verificare le composizioni del caffè, per valutare la freschezza dei cibi o la cessione di sostanze contenute nel packaging agli alimenti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - odore - post consumo Vedi maggiori informazioni sulla gascromatografia
SCOPRI DI PIU'L’estrazione e la lavorazione dei minerali hanno frequentemente lasciato un segno indelebile sui territori e sulla popolazionedi Marco ArezioLe miniere e le cave di estrazione, sono state spesso ubicate in zone scarsamente abitate, dove l’impatto immediato delle attività sui luoghi abitati, era poco monitorato e non destava una grande preoccupazione sociale. In realtà, queste attività, se non gestite nel rispetto dell’ambiente, possono essere silenti avvelenatori di un territorio o, come successe tante volte, sfociare in veri e propri disastri ambientali.Ma quali sono questi rischi primari delle attività minerarie per il territorio e le persone: - Distruzione degli habitat: l'apertura di miniere può comportare la distruzione o l'alterazione degli habitat naturali, con conseguenze negative sulla biodiversità- Inquinamento dell'acqua: l'attività mineraria può provocare il rilascio di sostanze chimiche tossiche o metalli pesanti nell'acqua, contaminando le falde acquifere, i fiumi e i laghi circostanti - Inquinamento atmosferico: le attività di estrazione e lavorazione dei minerali possono rilasciare polveri sottili, gas nocivi e altre sostanze inquinanti nell'aria - Impatto del rumore e delle vibrazioni: l'estrazione mineraria può generare rumori intensi e vibrazioni che possono disturbare la fauna selvatica e le comunità locali - Gestione dei rifiuti: l'attività mineraria genera grandi quantità di scarti, come scarti di roccia, scorie e materiali di scavo - Impatto sull'uso del suolo: l'apertura di miniere comporta spesso la conversione di terreni agricoli o forestali in aree industriali Purtroppo, la storia ci ha consegnato episodi tragici, avvenuti in Europa, che sono stati generati da deficienze delle attività minerarie in Europa, che hanno comportato un importante danno ambientale e, conseguentemente, delle ricadute negative e pericolose per la popolazione che, direttamente o indirettamente, è venuta a contatto con l’inquinamento prodotto. Di questi disastri ambientali ne vogliamo ricordare tre di particolare intensità: 1. Disastro della miniera di Aznalcóllar (Spagna, 1998). Un bacino di decantazione di una miniera di pirite in Spagna si è rotto, riversando circa 5 milioni di metri cubi di liquami tossici e contenenti metalli pesanti nel fiume Guadiamar. L'inquinamento risultante ha danneggiato gravemente l'ecosistema fluviale, compresi i terreni agricoli circostanti. 2. Disastro del cianuro in Romania (2000). La rottura di una diga contenente liquami tossici provenienti da una miniera d'oro nel nord della Romania ha causato il riversamento di circa 100.000 metri cubi di acqua contaminata da cianuro nel fiume Tisza. Questo ha generato una significativa morte della fauna ittica e ha avuto effetti negativi sull'approvvigionamento di acqua per molte comunità. 3. Disastro della diga di Kolontár (Ungheria, 2010). La rottura di una diga contenente residui tossici provenienti da una miniera di alluminio ha causato il riversamento dei fanghi rossi, altamente corrosivi, in diverse città e campi agricoli. Questo incidente ha causato diversi decessi e ha avuto gravi conseguenze per l'ambiente locale. Disastro della miniera di Aznalcóllar (Spagna, 1998) Il disastro della miniera di Aznalcóllar è un grave incidente ambientale avvenuto il 25 aprile 1998 nella regione di Andalusia, in Spagna. L'incidente coinvolse la rottura di una diga di decantazione nella miniera, situata vicino al Parco Nazionale di Doñana. La miniera di Aznalcóllar era dedicata all'estrazione di minerali, in particolare di pirite, contenente elevate concentrazioni di metalli pesanti come piombo, zinco e cadmio. La diga di decantazione, che aveva lo scopo di trattenere i residui tossici generati dalla lavorazione della pirite, cedette improvvisamente, causando il riversamento di circa 5 milioni di metri cubi di liquami tossici nella regione circostante. I liquami contenenti metalli pesanti e sostanze chimiche nocive si riversarono nel fiume Agrio, che a sua volta si unisce al fiume Guadiamar. Questo provocò una vasta contaminazione delle acque e del terreno lungo il corso dei fiumi. L'area colpita includeva zone umide, habitat naturali e terreni agricoli, creando un impatto significativo sull'ecosistema locale. L'incidente suscitò preoccupazioni per l'importante riserva naturale del Parco Nazionale di Doñana, riconosciuta come sito di patrimonio mondiale dall'UNESCO. Il parco è una zona umida di importanza internazionale e un habitat cruciale per numerose specie di uccelli migratori e altri animali selvatici. L'inquinamento causato dal disastro di Aznalcóllar rappresentò una minaccia diretta per questo prezioso ecosistema. Le autorità spagnole e le organizzazioni ambientaliste intervennero rapidamente per affrontare la situazione. Furono adottate misure di emergenza per contenere l'inquinamento e ripristinare l'area colpita. Ciò includeva la costruzione di barriere per limitare la diffusione dei liquami tossici, la bonifica dei terreni contaminati e la reintroduzione di specie animali e vegetali native. Il disastro della miniera di Aznalcóllar ha messo in evidenza l'importanza di un'adeguata gestione dei rifiuti industriali e delle misure di sicurezza nelle miniere. Ha sottolineato la necessità di controlli più rigorosi e di una maggiore responsabilità da parte delle industrie minerarie nel prevenire incidenti ambientali dannosi. L'incidente ha anche contribuito a una maggiore consapevolezza dell'importanza della conservazione delle aree naturali sensibili e dell'ecosistema unico del Parco Nazionale di Doñana. Disastro del cianuro in Romania (2000) Il disastro ambientale del cianuro in Romania si riferisce a un grave incidente avvenuto il 30 gennaio 2000, quando una diga contenente liquami tossici provenienti da una miniera d'oro si ruppe nel nord della Romania. L'incidente ha causato il riversamento di una grande quantità di acqua contaminata da cianuro nel fiume Tisza e successivamente nel Danubio. La miniera coinvolta era la miniera d'oro di Baia Mare, situata nella regione di Maramureș. A seguito della rottura della diga di contenimento, circa 100.000 metri cubi di acqua contaminata, contenente elevate concentrazioni di cianuro e metalli pesanti, si sono riversati nel fiume Tisza. Il cianuro è un composto altamente tossico per gli organismi viventi e può causare danni irreversibili all'ecosistema acquatico. L'inquinamento da cianuro ha avuto effetti disastrosi sulla fauna ittica del fiume Tisza e dei suoi affluenti. Si stima che migliaia di tonnellate di pesci siano morte a causa dell'avvelenamento da cianuro. Inoltre, il fiume Tisza attraversa diversi paesi, tra cui Romania, Ucraina, Ungheria e Serbia, e l'inquinamento si è esteso anche a questi territori, causando danni all'ambiente fluviale e minacciando le risorse idriche locali.Disastro della diga di Kolontár (Ungheria, 2010)Il disastro della diga di Kolontár è un grave incidente avvenuto il 4 ottobre 2010 in Ungheria. La diga di contenimento di una miniera di alluminio situata nel villaggio di Kolontár si ruppe, causando il riversamento di grandi quantità di fanghi rossi altamente corrosivi in diverse città e campi agricoli circostanti. I fanghi rossi, noti anche come "fango bauxite", sono un sottoprodotto tossico del processo di raffinazione dell'alluminio. Contengono elevate concentrazioni di sostanze chimiche nocive, tra cui metalli pesanti, come l'arsenico e il piombo. Quando la diga si è rotta, una massa di fango rosso altamente alcalino si è riversata nella valle circostante, coprendo tutto ciò che incontrava lungo il suo cammino. L'incidente ha avuto conseguenze devastanti. Le città di Kolontár e Devecser sono state le più colpite, con case e infrastrutture completamente sommerse dai fanghi tossici, dieci persone hanno perso la vita nell'incidente e molte altre sono rimaste ferite. L'inquinamento ha avuto un impatto significativo sull'ambiente locale, distruggendo le terre agricole, uccidendo la fauna e contaminando le risorse idriche. Le autorità ungheresi hanno dichiarato lo stato di emergenza e hanno avviato un'ampia operazione di pulizia e bonifica. Le squadre di emergenza hanno lavorato per contenere il fango e cercare di prevenire il suo raggiungimento del fiume Danubio. È stato costruito un sistema di dighe temporanee per evitare ulteriori fuoriuscite e sono stati avviati sforzi per ripulire le aree colpite e ripristinare l'ambiente.
SCOPRI DI PIU'La collaborazione tra produttori di polimeri riciclati e soffiatori di flaconi per una migliore qualità del prodottodi Marco ArezioOggi la produzione di flaconi di HDPE, utilizzando totalmente o solo in parte granuli da post consumo, è un'attività ampiamente utilizzata dai produttori, a causa dei prezzi delle materie prime, per una questione ambientale e di marketing. Ma l'utilizzo di granuli in HDPE da post consumo potrebbe causare alcuni inconvenienti produttivi, se non si rispettassero determinate regole durante la produzione e il soffiaggio dei granuli. I problemi più comuni sono: - fori sulla superficie dei flaconi - Irregolarità superficiali - Basso valore di compressione - Bassa resistenza alla saldatura - Odore di detergente del prodotto finale - Bassa resistenza alla compressione verticale - Elevato scarto durante la produzione, il soffiaggio e il test visivo Per evitare questi inconvenienti dobbiamo intervenire nella produzione dei granuli attraverso alcune fasi: - scelta del materiale in ingresso - selezione - lavaggio - selezione ottica dei granuli - corretta analisi degli odori attraverso il test della gascromatografia a mobilità ionica - corretta filtrazione in fase di estrusione - gestione termica del processo - creazioni di ricette in base alla resistenza meccanica richiesta - controllo dell’umidità durante le fasi di imballo - corretto stoccaggio del prodotto Inoltre vi sono alcune accortezze da seguire durante le fasi di soffiaggio e confezionamento: - verifica miscele polimeriche in base alla forma e alla dimensione del flacone - controllo della fase di estrusione del polimero in macchina - controllo delle temperature - tempi Parison - verifica dei punti di incollaggio ed eventualmente modifica della miscela riciclata - test sulla qualità delle superfici e identificazione dei problemi e delle cause - controllo della corrispondenza dei colori richiesti e modifica delle ricette - test sulla resistenza del flacone pieno e sotto carico ed eventuale soluzione dei problemi - controllo della trasparenza o semitrasparenza dei flaconi, se richiesto, con eventuale modifica delle ricette La produzione di flaconi attraverso l’utilizzo al 100% di HDPE riciclato da post consumo comporta una stretta collaborazione tra produttore di granulo e soffiatore del prodotto, in quanto, contrariamente a quello succede con il polimero vergine, quello rigenerato ha bisogno di un lavoro di affinamento della qualità che parte dal rifiuto plastico fino alla bottiglia finale. Considerando che una scollatura tra fornitore di polimeri e utilizzatore, potrebbe portare all’individuazione di una parte dei problemi qualitativi di un granulo in HDPE riciclato durante le fasi di soffiaggio, ma molto più grave, anche dal punto di vista economico, sarebbe ricevere la contestazione per flaconi che perdono liquido o che non mantengono la loro struttura o che siano visivamente non conformi, direttamente al negozio finale.
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