Tubazioni Corrugate per Fognatura in HDPE e PP di Grande Diametro attraverso l'uso di granuli riciclatidi Marco ArezioLe linee di fognatura sono progettate in funzione del carico di lavoro che i centri abitati imprimono sul sistema di scarico e, in base ad altri parametri di tipo tecnico-progettuale, vengono stabilite le caratteristiche dei tubi di trasporto dei liquidi di scarico.Le tubazioni non a pressione composte di materiale plastico, specialmente quelle realizzate in Polietilene ad alta densità e in Polipropilene, sono largamente impiegate da decenni a seguito dei vantaggi che sono insiti nelle materie prime costituenti i tubi stessi.Possono essere utilizzati granuli in HDPE riciclati o vergini che abbiano un MFI 0,4-0,7 a 190°/5 Kg., oppure in PP con MFI 1,5-2 a 230°/2,16 Kg. con una corretta stabilità termica e la giusta quantità di carbon black. Le caratteristiche richieste normalmente in fase di progettazione sono:• Resistenza ai carichi esterni • Resistenza alle aggressioni chimiche ed elettrochimiche • Tenuta bidirezionale delle giunzioni • Caratteristiche idrauliche costanti nel tempo • Ridotta aderenza alle incrostazioni • Facilità di assemblaggio e posa • Ridotto costo di posa e manutenzione I tubi in HDPE e PP possono essere corrugati, cioè presentare una ondulazione di rinforzo della parte esterna della struttura e una finitura liscia nella parte interna. In presenza di tubi di grandi dimensioni è possibile interporre una struttura metallica nell’intradosso della corrugazione con lo scopo di aumentare la resistenza del manufatto al fenomeno denominato “creep”, che si configura in un comportamento visco-elastico del materiale, con la conseguente deformabilità temporanea del tubo. Abbiamo accennato alla presenza dei due strati del tubo, quello esterno corrugato e quello interno liscio, elementi che hanno quindi due funzioni ben distinte. Lo strato interno, liscio, a diretto contatto con i fluidi trasportati, deve possedere una corretta resistenza chimica e meccanica nei confronti dei liquidi trasportati e una resistenza allo scorrimento basso. Lo strato esterno, corrugato, ha la funzione di contrapporsi agli sforzi di compressione che agiscono sul tubo posato, garantendone la durata e l’assenza di rotture. Nel caso di tubature armate, prodotto sviluppano in Giappone negli anni 90 del secolo scorso e successivamente largamente impiegati anche negli Stati Uniti, si associano le caratteristiche delle materie plastiche come la resistenza all’abrasione, la leggerezza, il coefficiente di scabrezza minimo, l’inerzia alle sostanze chimiche e la facilità di posa, alle caratteristiche dell’acciaio che presenta, per esempio, un modulo elastico molto più elevato del polietilene. L’utilizzo del PP anziché l’HDPE avviene in virtù di piccole differenze sui materiali:• Modulo elastico leggermente superiore • Migliore comportamento alle alte temperature (minore però a quelle basse) • Densità e peso specifico inferiore Tra le tre caratteristiche elencate sicuramente la differenza del modulo elastico è quella più importante, in quanto il modulo influenza la rigidità del tubo e quindi la resistenza ai carichi compressivi. Quindi, a parità di spessori, un modulo elastico superiore corrisponde una maggiore resistenza ai carichi e, nel caso dell’HDPE il modulo elastico istantaneo è normalmente > di 800 MPa, mentre nel PP è > di 1250 MPa. Come abbiamo detto, le tubazioni costituite in HDPE e PP hanno ottime caratteristiche idrauliche sia per quanto riguarda la scabrezza delle pareti a contatto con i fluidi, ma anche per quanto riguarda la resistenza all’abrasione, garantendo una costante portata idraulica e una grande durabilità della linea fognaria. Tra i concorrenti dei tubi in PP e HDPE, quali i tubi in cemento, in cemento rivestito, in vetroresina, in gres e in PVC, si è verificato, attraverso prove di laboratorio, che la resistenza all’abrasione interna risulta inferiore tra i concorrenti, quindi, questi, sono soggetti a un maggior logorio meccanico. Tra questi prodotti, quelli composti con PVC, hanno dato risultati vicini ai tubi in PP e HDPE. Per farci un’idea di cosa si intende per tubi fognari di grande diametro, possiamo dire che sul mercato esistono tubi con diametro esterno fino a 2500 mm. ed interno di 2400 mm. circa. Nella posa dei tubi in HDPE, PP e PVC in trincea è fondamentale il ruolo del sottofondo sul quale verrà posata la linea, in quanto questi manufatti sono soggetti al comportamento meccanico di tipo visco-elastico, quindi soggetti ad una costante deformazione nel tempo definito “creep”. In caso di sottofondi non estremamente compatti o soggetti a piccoli movimenti l’impiego di tubi corrugati con armatura in metallo nell’intradosso della corrugazione può aiutare a contenere questo fenomeno. Per quanto riguarda le caratteristiche chimiche dei tubi in HDPE e PP possiamo dire che i materiali costituenti hanno in sé caratteristiche di resistenza ai fenomeni di corrosione elettrochimica o per l’accoppiamento galvanico, in quanto non sono di per se elettricamente conduttivi. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - tubi - fognatura - HDPE - PP
SCOPRI DI PIU'Quali miglioramenti fisico-meccanici degli impasti polimerici si ottengono con l'utilizzo delle nanocarichedi Marco ArezioNella produzione di polimeri riciclati o compounds con polimeri vergini, alcune ricette prevedono l’aggiunta di una certa percentuale di cariche minerali al fine di modificare alcune caratteristiche. Tra quelle più usate troviamo il carbonato di calcio, il talco, la fibra di vetro e la mica, sotto forma di polvere, granuli o fibra, che vengono dispersi in fase di miscelazione con il polimero. Il talco e il carbonato di calcio vengono normalmente aggiunti in percentuali variabili dal 10 al 50% per modificare alcune caratteristiche dei polimeri, come la resistenza meccanica a compressione, la lavorabilità, la riduzione di dilatazione, il miglioramento o la riduzione della fluidità o, semplicemente per questioni economiche. L’uso delle cariche minerali negli impasti polimerici porta anche con sé alcune problematiche da tenere presente, in funzione delle percentuali d’uso e del tipo di carica. In generale, si può dire che la densità dell’impasto polimerico aumenta, la brillantezza dei colori diminuisce, la fragilità del prodotto può diventare consistente e l’usura delle macchine tende ad incrementare. Molte di queste caratteristiche negative durante le lavorazioni, ma che si riverberano anche sui prodotti finiti, possono essere risolte utilizzando le nanocariche. Queste ultime possono essere definite come una nuova classe di materiali compositi, costituiti da una matrice polimerica e da rinforzi particellari, aventi almeno una dimensione dell’ordine del nanometro. Queste nanocariche si possono definire, a tutti gli effetti, dei nanofiller e vengono classificate i tre categorie in base alla loro struttura: • nanocariche 3D (isodimensionali) definite come nano particelle o nanosfere con una dimensione inferiore a 100 nm. • fibre o tubi aventi diametro inferiore a 100 nm. come, per esempio, i nanotubi di carbonio. • nano-layers, sono caratterizzati da una sola dimensione dell’ordine dei nanometri, tipicamente si presentano in forma di cristalliti inorganici stratificati in cui ogni strato possiede uno spessore di alcuni nanometri, mentre le altre due dimensioni possono raggiungere anche le migliaia di nanometri (per esempio le nanoargille). Il vantaggio delle nanocariche, oltre ad altre, è la migliore dispersione rispetto a quelle minerali, con una migliore adesione alla matrice e un miglior saturazione degli spazi. Inoltre, possiamo citare un altro vantaggio fondamentale che riguarda il miglioramento delle prestazioni fisiche e meccaniche dell’impasto polimerico, con una bassa percentuale di utilizzo. Mentre, come abbiamo detto, per modificare le caratteristiche degli impasti polimerici attraverso le cariche minerali si utilizzano percentuali variabili tra il 10 e il 50%, con le nanocariche la percentuale di utilizzo è intorno al 5-10%. Questa ridotta percentuale porta a limitare l’innalzamento della densità e a migliorare la lavorabilità rispetto ad altri sistemi di carica tradizionali. Se consideriamo un impasto polimerico con un 5% di nanocariche, possiamo dire che le proprietà fisco-meccaniche possono essere superiori, rispetto al polimero base e anche allo stesso caricato con un filler minerale. In particolare avremo: • maggiore resistenza all’abrasione e all’urto • maggiore rigidità • diminuzione del valore di espansione termica • maggiore stabilità dimensionale • ridotta permeabilità al gas • migliore resistenza ai solventi • minore rilascio di calore durante la combustione • facilità di riciclabilità Inoltre, ci sono dei vantaggi estetici utilizzando le nanocariche, che sono comparabili all’uso del solo polimero originale, in quanto una migliore distribuzione nella massa crea una migliore qualità superficiale rispetto all’uso delle cariche tradizionali. In particolare possiamo citare una migliore trasparenza ottica, una minore rugosità, una migliore brillantezza dei colori e una migliore stabilità dimensionale del prodotto nel tempo. Categoria: notizie - tecnica - plastica - nanocariche polimeriche
SCOPRI DI PIU'Gomma da masticare: Un prodotto storico, nato vegetale e diventato un mix di chimica poco amico dell’ambientedi Marco ArezioLe prime tracce storiche della gomma da masticare risalgono ai Maya, che erano abituati a masticare delle palline di gomma dette Chicle, tratte da una pianta chiamata Manilkara Chicle. Successivamente si sono trovate altre tracce, in epoca più recente, attribuite al generale e presidente del Messico, Antonio Lopez de Santa Maria, chiamato il Napoleone dell’West, ( Xalapa, 21 febbraio 1794 – Città del Messico, 21 giugno 1876) militare e politico di lungo corso, al quale verrebbe attribuita l’invenzione della gomma da masticare moderna. Ma se parliamo di dati certi, circa l’origine del prodotto, dobbiamo allora far riferimento al brevetto depositato da William Semple il 28 Dicembre del 1869 negli Stai Uniti. Una ricetta messa in commercio due anni più tardi che non entusiasmò troppo i clienti in quanto, le palline, erano insapori e molli. Ma sulla scorta di questi insuccessi, Semple modificò più volte la ricetta, inserendo aromi e lavorando sulla consistenza della gomma, riuscendo a far crescere l’interesse per il prodotto verso la fine del decennio del secolo. Nel corso del XX secolo l’industria cambiò radicalmente la ricetta, utilizzando non più una gomma naturale ma una sintetica, il Poliisobutilene, relegando la lavorazione del Chicle ad una nicchia di mercato. Successivamente si era lavorato sulle proprietà elastiche del prodotto inserendo additivi, raggiungendo così la voluta viscosità attraverso l’aggiunta di una gomma di Xanthano. In Europa la conoscenza di questo articolo rimase sconosciuto fino all’avvento della seconda guerra mondiale quando i soldati americani, di stanza nel vecchio continente, lo fecero conoscere alla popolazione. Infatti lo stato maggiore dell’esercito aveva inserito nella cosiddetta “Razione K”, un mix di alimenti che ogni soldato aveva con sé sul campo di battaglia, la gomma da masticare per svariate ragioni. Si riteneva che masticare la gomma, additivata anche di caffeina, aiutasse i soldati a sopportare meglio le tensioni dei combattimenti, inoltre favoriva la pulizia del cavo orale in quelle situazioni in cui i soldati non potevano lavarsi i denti. Ma come viene prodotta, oggi, la gomma da masticare? L’impasto che compone la gomma da masticare contiene il Poliisobutilene, come composto base, poi lo zucchero gli additivi e gli aromi. Il Poliisobutilene o PIB, è una gomma sintetica, ricavato dalla polimerizzazione dell’Isobutilene e una piccola parte (2%) di Isoprene, prodotto dalla Basf per usi alimentari. Il Poliisobutilene, è un polimero vinilico e, dal punto di vista strutturale, assomiglia al comune Polipropilene Homopolimero e al Polietilene, fatta eccezione per il fatto che ogni altro atomo di carbonio è sostituito con due gruppi metilici. Possiede due caratteristiche importanti che sono l’elevata impermeabilità e un’eccellente flessibilità. Come viene impiegata la gomma da masticare? L’uso più comune si può dire sia stato, per moltissimi anni, paragonabile a quello delle caramelle, godendo durante la masticazione della gomma degli aromi che erano all’interno del prodotto. Ma nel corso degli anni, la gomma da masticare ha avuto anche un uso medico e farmaceutico. Infatti esistono sul mercato numerosi farmaci, sotto questa forma, che curano la nausea, le cefalee, la dipendenza da fumo, alcune malattie del cavo orale e sotto forma di integratori alimentari dalle tipologie più disparate. Ma la gomma da masticare si è rilevata un pessimo amico per l’ambiente, in quanto impiega almeno 5 anni per decomporsi, si appiccica alle superfici sulle quali viene posta, specialmente i marciapiedi nelle città. La pulizia delle superfici pedonabili sulle quali si è attaccata comporta l’uso di sostanze chimiche, adatte ad interrompere la solidarizzazione tra gomma e superficie di camminamento, l’acqua con getto ad alto potenziale e, dove questi sistemi non ottengono i risultati sperati, si deve fresare la superficie per togliere le macchie nere composte dalle gomme.Categoria: notizie - tecnica - storia - gommaVedi maggiori informazioni sul rapporto tra alimenti e la chimica
SCOPRI DI PIU'Sacchetti in LDPE Riciclato: Come Evitare Problemi Qualitatividi Marco ArezioIl mondo dei sacchetti in LDPE riciclato è ampiamente rappresentato dalla tipologia che usiamo tutti i giorni per la raccolta differenziata che, attraverso il loro diverso colore, ci aiutano a separare in modo corretto i rifiuti.La tendenza nella produzione del sacchetto era rappresentata dalla riduzione massima dello spessore e dall’uso di materie prime sempre meno qualitative. Tutto questo rientrava in una logica di mercato in cui il sacchetto doveva costare sempre meno, creando quindi dei prodotti sempre meno performanti dal punto di vista qualitativo.Le problematiche maggiori che si riscontravano erano le seguenti:• Fragilità del sacco sotto l’effetto del peso del rifiuto introdotto con rottura delle pareti per sfondamento • Scollamento dei punti di saldatura delle labbra del sacco con apertura verticale dello stesso • Taglio del sacchetto in presenta di impurità nella parete • Irregolarità della superficie con fenomeni chiamati “occhio di pernice” • Difficoltà nella realizzazione dei colori • Odore pungente dei sacchi anche dopo molto tempo • Secchezza del sacchetto a causa dell’uso di film raccolti degradati dal sole, specialmente per lo scarto che proviene dalle serre agricole Tutti questi problemi sarebbero da analizzare singolarmente in quanto ogni punto ha una lunga storia da raccontare e un chiaro percorso per la sua risoluzione. Nell’articolo di oggi facciamo un salto, arrivando direttamente alle ricette che possono risolvere tutte queste problematiche, permettendo la produzione di sacchi qualitativamente corretti con un occhio ai costi generali di produzione. La maggior parte dei problemi elencati derivano dall’uso al 100% di un input da post consumo, da raccolta differenziata o dei teli agricoli, il cui riciclo meccanico, seppur eccellente con le nuove linee produttive, comporta molte delle problematiche citate. Sicuramente ad una maggior qualità delle linee di riciclo, intese come selezione, lavaggio, densificazione, filtrazione ed estrusione dei granuli, corrisponde una minore quantità ed importanza di problemi, ma il riciclo meccanico del rifiuto proveniente dalla raccolta differenziata o dal settore agricolo, ha comunque dei limiti qualitativi ad oggi non ancora risolti. Per questo motivo l’attenzione alla preparazione di ricette per compounds, realizzati con l’attenzione alla risoluzione di questi problemi, dà la possibilità di creare dei granuli in LDPE, provenienti dal riciclo, con qualità superiori, rimanendo nell’ottica dell’economia circolare che impone il consumo dei rifiuti che realizziamo quotidianamente. Il compound dovrebbe contenere una parte significativa di un input di film di LDPE che non provenga dalla raccolta differenziata, non necessariamente di provenienza post industriale, ma da uno scarto che non sia stato mischiato e inquinato da altre materie plastiche miste. In base alla caratteristica del prodotto finale da realizzare, si deciderà come comporre la ricetta dell’input, così da poter garantire la qualità attesa dal cliente. Gli indici qualitativi devono risolvere i problemi di cui abbiamo parlato tenendo conto di alcune indicazioni:• Permettere la produzione del sacco a partire da 20 micron • L’elasticità deve essere maggiore rispetto ad una ricetta con il 100% post consumo • La tenuta delle saldature, anche a freddo e sotto il peso del contenuto del sacco, deve essere elevata. • L’assenza di piccoli corpi estranei, che si formano a causa della degradazione di materiali differenti dall’LDPE in fase di estrusione, che incidono sul taglio longitudinale accidentale del prodotto. • Poter realizzare una superficie liscia, senza piccole corrugazioni o irregolarità. • La ricetta deve prevedere la possibilità di fare film con colori chiari e scuri, semitrasparenti negli spessori minori. • Assenza o la riduzione marcata dell’odore pungente tipico del post consumo deve poter essere perseguita. Sulla scorta di una modulazione corretta dell’input del materiale e l’attenzione alle fasi eli riciclo e granulazione, è possibile migliorare in modo notevole la qualità dei sacchetti in LDPE che si producono, con un maggiore margine di contribuzione sulla produzione e una maggiore soddisfazione del cliente finale, avendo sempre sotto controllo i costi. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - LDPE - post consumo - sacchetti - film - qualità Articoli correlati:CHE QUALITÀ DI FILM È OTTENIBILE CON L'USO DELL' LDPE RICICLATO?LDPE RICICLATO DA POST CONSUMO: 60 TIPOLOGIE DI ODORI OSTACOLANO LA VENDITALDPE DA POST CONSUMO. COME RIDURRE LE IMPERFEZIONI. EBOOKVedi maggiori informazioni sul riciclo dell'LDPE
SCOPRI DI PIU'Piccoli suggerimenti per migliorare lo stampaggio a iniezionedi Marco ArezioAbbiamo già affrontato negli articoli presenti sul portale, alcuni argomenti riguardanti i difetti che si creano in fase di stampaggio, e le soluzioni che si suggeriscono, sia per quanto riguarda la gestione degli stampi, che per i difetti che si possono riscontrare sul prodotto finito. Come sapete lo stampaggio delle materie plastiche è una scienza imperfetta in quanto il buon esito del lavoro di stampaggio è influenzato da una quantità davvero importante di fattori. Possiamo partire dalla tipologia della macchina, dai suoi componenti e dal loro stato di usura, dalla progettazione dello stampo e dal suo mantenimento in buone condizioni, dalle materie prime utilizzate, con particolare attenzione a quelle rigenerate, alla regolazione dei parametri macchina e stampo. Tutte queste cose messe insieme vanno, alla fine, ad influire sul buon esito del lavoro e, con esso, sul buon esito finanziario del vostro lavoro. Infatti, anche questo aspetto, che forse i tecnici puri trascurano, è da tenere in considerazione tanto quanto la qualità e la tecnica in produzione. Vediamo brevemente alcuni difetti che possono capitare frequentemente: Striature sulle pareti dei prodotti Sono dette anche linee di flusso che comprendono strisciate, macchie e colorazioni differenti che possono essere causate dal profilo di raffreddamento e del percorso che compie la plastica per raggiungere le parti dello stampo. Ci sono alcuni modi per ovviare a questo inconveniente che riguardano l'aumento della velocità di iniezione per migliorare il riempimento delle cavità, oppure lo smorzamento di alcune angolature dello stampo in cui passa il flusso. Piccole cavità sulle superfici dei prodotti Si formano normalmente sulle pareti dei prodotti delle piccole depressioni o avvallamenti specialmente nelle aree dove lo spessore è maggiore o dove il flusso subisce dei restringimenti. In questi casi si consiglia di ridurre la temperatura dello stampo, aumentare la pressione di iniezione e il tempo di stampaggio per migliorare la polimerizzazione e il raffreddamento. Se fosse possibile, al fine di migliorare il raffreddamento, si consiglia di ridurre lo spessore delle pareti ove il manufatto lo consenta. Vuoti Se precedentemente abbiamo parlato di piccole cavità o piccoli avvallamenti che si possono riscontrare sulle superfici qui possiamo parlare di veri e propri vuoti caratterizzati da un'incompleta finitura della parete. Il motivo per cui si creano questi vuoti possono essere molteplici. Normalmente sono originati da sacche d'aria che si oppongono al buon deflusso dell'impasto nello stampo, le cui cause si possono riscontrare in un'eccessiva presenza di gas all'interno, formato per esempio dalla degradazione del polimero nella vite della macchina, che non viene correttamente sfogato. Cosa che può capitare facilmente se si utilizzano polimeri composti, come il PP/PE e non si tiene in giusta considerazione il rapporto tra temperatura di estrusione e composizione del materiale. Un'altra causa potrebbe essere l'eccessiva viscosità della materia prima utilizzata su cui si può intervenire con una idonea scelta della fluidità del prodotto. Anche il mantenimento del corretto allineamento dello stampo in fase di iniezione può aiutare a ridurre queste problematiche. Delaminazione delle superfici Può capitare che le pareti del prodotto stampato presentino piccoli strati che si possono sfogliare. Le cause sono da attribuire, tra gli altri, ad alcuni fattori quali l'eccessiva presenza di umidità o l'utilizzo di polimeri rigenerati nei quali sono presenti polimeri con gradi di fusione diversi dal principale. E' sempre consigliabile, specialmente se si usano granuli rigenerati, asciugarli in silos prima di metterli in macchina. Inoltre la corretta scelta dei granuli riciclati passa dalla conoscenza del DSC dei polimeri che si usano, in quanto, maggiore è la percentuale di polimeri con gradi di fusione diversa, maggiore è la possibilità di creare stress termici nei polimeri. Un altro consiglio è quello di aumentare la temperatura dello stampo. Linee di saldatura In prossimità delle linee di saldatura si possono creare imperfezioni estetiche a causa delle diverse direzioni di movimento della plastica liquida. In primo luogo la corretta chiusura di uno stampo permette una buona performace non solo del polimero all'interno ma anche una migliore finitura dei prodotti. Inoltre la corretta scelta della fluidità del prodotto e del tonnellaggio della macchina, in funzione del prodotto finale che si deve produrre, permette una produzione corretta senza sforzare ne lo stampaggio che il polimero, a tutto vantaggio della qualità dell'elemento stampato. Infine il design dello stampo che tiene conto dei corretti flussi del polimero in presenza della saldatura del prodotto sono da tener presente quando si dovessero verificare problemi estetici sulla saldatura e, in questo caso, valutare un intervento sullo stampo che possa essere risolutivo al problema.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - stampi - difetti di produzione
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