Le aziende del packaging in vetro, dopo le rapide crescite post Covid, stanno incontrando enormi difficoltàdi Marco ArezioIl vetro è una materia prima fondamentale nell’ambito del packaging alimentare, medicale ed industriale ma, nello stesso tempo, riveste una grande importanza in altri settori, a partire da quello edile, dell’arredamento, dell’automotive e artistico. Nonostante il periodo del Covid abbia rallentato i produttori del vetro piano, quelli del packaging, specialmente le aziende che producevano bottiglie e vasetti, hanno continuato a lavorare servendo il settore alimentare e farmaceutico. Passati i periodi di restrizione e ripartiti i consumi, tutti i settori avevano visto una forte ripresa del consumo nazionale e delle esportazioni, con risultati positivi, 2022 su 2021, anche a due cifre in qualche paese (+10,4% USA, +9,3% Germania, +7,2% Spagna). La guerra tra la Russia e l’Ucraina ha scatenato la corsa sfrenata al prezzo del gas, in un settore assolutamente energivoro, che ha visto salire la propria bolletta energetica a livelli insostenibili. Inoltre, la dinamica rialzista del prezzo del gas non è l’unico problema a cui devono guardare le vetrerie, in quanto, anche il reperimento stesso del gas per il 2023 potrebbe essere complicato, vista la riduzione quasi totale delle forniture del gas russo. Una mano la potrebbe dare un utilizzo maggiore del rottame di vetro che, dal punto di vista produttivo, secondo i dati Coreve, riduce il consumo di gas di circa il 30%. Infatti, per produrre il vetro attraverso il rottame basta scaldare il forno fino al punto di fusione del materiale, mentre produrre vetro da materie prime vergini bisogna dosare diversi componenti, come la sabbia silicea, che hanno bisogno di molta più energia per mescolarsi. Ma anche nel settore del riciclo, nonostante sia uno tra quelli più virtuosi, si sente ma mancanza di materia prima seconda rispetto alle necessità, sapendo che lo scarto è presente nel mercato. Qui, entrano in gioco dinamiche non gestibili dalle vetrerie, che riguardano le percentuali di riciclo del vetro per paese e per area geografica, dove troviamo delle eccellenze che superano il 70% di raccolta e aree in cui non si arriva al 50%, con una perdita di prodotto enorme e un impatto ambientale maggiore. Considerando che l’utilizzo del rottame nella produzione del vetro nuovo ha un impatto ambientale inferiore rispetto all’uso di materie prime vergini, permettendo quindi un risparmio di gas in produzione, credo che sia necessario concentrare l’attenzione ad un miglioramento della raccolta differenziata in modo da aumentare la materia prima seconda disponibile. Inoltre, la florida produzione di bottiglie e barattoli per le salse, il vino, la confettura, l’olio e molti altri prodotti del food che l’Italia esporta, non permettono il recupero del vetro usato, quindi, diventa fondamentale migliorare la raccolta in quei settori dove siamo più carenti. Per quanto riguarda il vetro artistico, possiamo dire che le eccellenze italiane sono formate normalmente da artigiani che costituiscono piccole realtà imprenditoriali, con piccole produzioni di grande pregio. Le limitate dimensioni societarie portano ad un peso energetico elevatissimo delle bollette del gas rispetto al fatturato, mettendo in crisi l’esistenza stessa di alcune imprese. Murano, la storica isola Italiana, famosa in tutto il mondo per le realizzazioni artistiche in vetro, è in forte difficoltà sul mantenimento dei forni accesi 24 su 24 a causa del caro gas, nonostante la regione Veneto abbia dato dei ristori per compensare, almeno in parte, l’oscillazione delle bollette. Categoria: notizie - pvetro - economia circolare - riciclo - rifiuti - rottame
SCOPRI DI PIU'Come fare degli investimenti etici che fanno bene all’ambiente.Forse la scossa al mercato la data uno dei più grandi fondi di investimento internazionale, il BlackRock, che aveva fornito indicazioni precise ai suoi operatori di virare verso investimenti in aziende che fossero focalizzate all’attenzione dell’ambiente nei propri business. Il concetto di Green Bond parte da questa attenzione al rapporto tra impresa e sostenibilità. Cosa sono i Green Bond? Sono strumenti finanziari, nello specifico obbligazioni societarie, le cui emissioni sono legate a progetti nel campo dell’economia circolare, delle energie rinnovabili, del corretto uso delle risorse ambientali, della prevenzione dell’inquinamento, dei trasporti, delle infrastrutture, che hanno come finalità il miglioramento di uno o più parametri legati alla sostenibilità ambientale. Chi emette le obbligazioni Verdi? Fino a pochi anni fa erano obbligazioni emesse prevalentemente da strutture finanziarie sovranazionali, come la Banca Europea per gli Investimenti o la Banca Mondiale, che curavano progetti di ampio respiro internazionale. Nel corso degli ultimi anni, con la crescita dell’attenzione all’ambiente da parte dei cittadini, questi titoli sono stati emessi anche da singole aziende che potessero dimostrare di avere un progetto che rientrasse nei parametri citati. Il primo Green Bond è stato emesso nel lontano 2007 da parte della BEI che ad oggi ha raccolto investimenti per finanziare 256 progetti in 52 paesi nel mondo. L’interesse da parte degli investitori è stato così importante che, dal 2016 all’inizio del 2020, le emissioni sul mercato sono cresciute, a livello mondiale da 750 milioni di euro a più di 50 miliardi. Nel solo 2019 la crescita dei green bond è stata del 50% sul 2018, che espresso in valore, corrispondono a + 170 miliardi di euro. Quali sono i paesi che emettono più obbligazioni verdi? Paesi appartenenti all’Unione Europea 226 miliardi Cina 98 miliardi Stati Uniti 43 miliardi Canada 14 miliardi India 14 miliardi Giappone 13 miliardi Corea 12 miliardi Gran Bretagna 8 miliardi Altri 154 miliardi Anche gli stati hanno emesso, nel corso degli anni, dei Titoli di Stato che avessero come obbiettivo, per esempio, l’efficientamento energetico di edifici pubblici o scuole, la ristrutturazione idrogeologica di aree a rischio e altre iniziative. Possiamo annoverare tra i paesi emittenti, l’Italia, l’Olanda, la Spagna, l’Irlanda, la Francia e la Germania. Chi garantisce gli standard “Green”? Fino a poco tempo fa ogni emittente, grande o piccolo, faceva da solo, quindi il rapporto con l’investitore era esclusivamente fiduciario. Oggi esiste l’ICMA che è l’International Capital Market Association, la più grande associazione internazionale di capitali, che ha fissato alcuni punti inderogabili per fregiarsi del marchio green. Vediamo quali sono: Chi emette l’obbligazione è soggetto alla massima trasparenza verso il mercato, quindi deve indicare con chiarezza la destinazione di quanto raccolto. Deve seguire una “road map” per la scelta, la valutazione e la selezione dei progetti da finanziare che devono rientrare in un elenco di categorie. Deve comunicare al mercato e agli organi di controllo circa la puntuale gestione del denaro raccolto Devono essere prepararti e diffusi dei reports inerenti all’andamento dei progetti in modo che gli investitori possano seguire il loro investimento. Per fare un esempio, possiamo citare il caso del colosso petrolifero Repsol che aveva acquisito nel 2017 il certificato green da Vigeo Eiris, sulla base di un progetto aziendale che mirava ad una riduzione di 1,2 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, modificando quindi il proprio modello di business, cosa che poi non ha fatto, venendo citato dall’Ong CBI come non degna di quell’attestato. Un nuovo regolamento per il mercato Il fenomeno dei Green Bond sta assumendo contorni così vasti che è diventata necessaria una regolamentazione internazionale anche a protezione degli investitori. Nel Febbraio 2019 la Commissione Europea e il Parlamento EU, hanno emanato un regolamento che definisce per quali famiglie di progetti le aziende possono chiedere al mercato soldi sotto la bandiera dei bond verdi. Le famiglie individuate sono: Mitigazione del cambiamento climatico Protezione e uso sostenibile delle risorse marine e idrogeologiche Transizione all’economia circolare Controllo e prevenzione dell’inquinamento Protezione e ripristino delle biodiversità Nel corso del 2021 verranno emanate le norme che dettaglieranno le singole famiglie di attività che risulteranno indispensabili per allontanare le ombre del greenwashing.Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'I Viaggi che Contano non hanno Bisogno di Grandi BagagliFaremo piuttosto un viaggio insieme,un viaggio di scoperta negli angoli più segrete della nostra mente.E per intraprendere un viaggio del genere bisogna viaggiare con poco bagaglio;non possiamo essere appesantiti dalle opinioni, pregiudizi e conclusioni,tutto quel vecchio bagaglio che abbiamo messo insieme negli ultimi duemila anni e più.Dimenticate tutto quello che sapete su voi stessi;dimenticate tutto quello che avete pensato su di voi;cominceremo come se non sapessimo niente.KrishnamurtiCategoria: Slow life - vita lenta - felicità
SCOPRI DI PIU'Non ci sono solo nuove metodologie per migliorare l’economia circolaredi Marco ArezioA volte le soluzioni per risolvere i grandi problemi che ci assillano, come quello dei rifiuti di plastica, sono nel passato. Coca Cola, negli anni ’20 del secolo scorso, introdusse il concetto del vuoto a rendere sulle bottiglie in vetro riuscendo a recuperare dal mercato il 98% di quanto venduto. Spesso sul portale rMIX si trovano articoli inerenti alle molte ricerche e sperimentazioni su nuove forme di riciclo dei packaging di plastica e non, che mirano a risolvere il grande problema dei rifiuti che ci assilla. Il packaging alimentare, soprattutto le bottiglie di plastica, utilizzano un elemento durevole per contenere i liquidi destinati alla nostra tavola, quindi diventa in pochissimo tempo un rifiuto. In realtà fino al 2011 il mercato era governato, da parte dei consumatori, da tre esigenze: affidabilità, convenienza e prestazione. La bottiglia in plastica riassumeva le tre caratteristiche richieste dai consumatori e quindi, i produttori, non si ponevano il problema di cosa succedesse, dopo qualche giorno dall’acquisto, alle bottiglie. Nonostante fosse già da tempo iniziato il riciclo dei contenitori di plastica attraverso il sistema meccanico di gestione dei rifiuti, i grandi produttori non sentivano il problema dell’ambiente e quindi continuavano ad assecondare il mercato, nonostante sapessero che la quota di bottiglie plastiche prodotte rispetto a quanto fosse riciclato non presentava nessun tipo di equilibrio. Nel 2012 si iniziò, a livello mondiale, a parlare dell’inquinamento degli oceani da parte dei rifiuti di plastica, in cui le bottiglie erano le degne rappresentanti di questo fenomeno. Ma fu solo a partire dal 2015 che i consumatori iniziarono a prendere coscienza del problema, moltiplicando le campagne a difesa dell’ambiente. La gente iniziò a capire che dei 9,2 miliardi di tonnellate di plastica prodotta nel mondo, circa 6,2 sono diventati rifiuti e di questa quantità il 91% circa non è stato riciclato. Nonostante queste evidenze, le grandi aziende delle bibite, dei detersivi, dei liquidi industriali tentennavano, non volevano prendere posizione perché avevano paura di portare squilibri nelle proprie vendite. Poi, quasi improvvisamente, aziende come Coca Cola o Unilever, Nestlè, Proctor & Gamble, Pespi e altri, hanno rotto il ghiaccio e hanno acquisito nel proprio DNA di marketing un nuovo concetto: sostenibilità ambientale. La parola riciclo entrò prepotentemente nelle campagne pubblicitarie per assecondare le richieste dei consumatori che richiedevano una nuova sostenibilità industriale e si resero conto che la leva “verde” poteva avere anche una nuova valenza commerciale. Il mercato del riciclo in questi anni ha subito enormi cambiamenti ed enormi scossoni, tra chi spingeva per migliorare e incrementare la sua potenzialità ed efficacia a chi subdolamente gli faceva la guerra, abbassando i prezzi delle materie prime vergini, secondo le più classiche regole di mercato tra domanda e offerta. Ma indietro comunque non si può più tornare e questo è stato recepito anche dai produttori di materie prime vergini che si stanno contendendo, con le grandi aziende del beverage e dell’home care, il mercato del riciclo, tramiti accordi blindati e acquisizioni dirette. Il costo del riciclo è comunque un onere non indifferente e, oggi, contrariamente a quello che succedeva nel passato, il materiale riciclato non ha più un vantaggio economico rispetto a quello vergine. Così si devono trovare altri canali di riciclo che rendano sostenibile la filiera. Come negli anni ’20, si sta sperimentando nel mondo forme di distribuzione del prodotto come il vuoto a rendere o il riempimento delle bottiglie riutilizzabili presso distributori autorizzati, dalla birra ai detersivi alle bibite, alle tazze del caffè come fanno Starbucks e McDonalds. Dopo aver capito che bisogna riciclare stiamo piano piano capendo che bisogna riutilizzare gli imballi che compriamo e forse capiremo anche, spero presto, che dobbiamo imparare a consumare meno.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - vuoto a rendereVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'I Rifiuti li buttiamo? No, saranno la benzina per i nostri investimentidi Marco ArezioQuando si parla di rifiuti ci vengono in mente spesso le discariche, le città con le strade piene di cumoli di immondizia o le scene che si vedono in televisione sulle isole galleggianti di plastica negli oceani. Ma in realtà, i rifiuti possono essere ben altre cose, se vogliamo vederli sotto una luce diversa, se ci pensiamo un attimo prima di buttare nell’ambiente una bottiglia di vetro o di plastica, o un sacchetto o un giornale o una classica buccia di banana. Si, perché i rifiuti possono essere davvero il tesoro che non capiamo, la benzina per far muovere il mondo, il mezzo per salvare il pianeta dai gas serra, la chiave per eliminare la deforestazione e il modo per avere i mari più puliti e più popolati di pesci. Utopia? No, quella la lasciamo ai sognatori, chi è più concreto, un giorno, si è chiesto cosa farebbe se avesse a disposizione 100.000 tonnellate di rifiuti organici che derivano dalle cucine delle nostre abitazioni e dal verde di scarto delle nostre città e paesi. La A2A, azienda Italiana attiva nel riciclo dei rifiuti e promotore della produzione di energia sostenibile, ha dato una risposta concreta a questo quesito, infatti, ha deciso di costruire, in provincia di Pavia, un impianto che potesse trattare quella quantità di rifiuti organici, con lo scopo di produrre compost, un concime ecologico, ed energia elettrica attraverso la produzione di biometano. Attraverso la digestione anaerobica, sarà possibile produrre 8,2 milioni di metri cubi di biometano che andranno ad alimentare i consumi energetici di circa 20.000 persone, inoltre si potrà produrre circa 20.000 tonnellate di compost da utilizzare, come fertilizzante bio, nella lavorazione dei campi, senza inquinare le falde ed avvelenare gli uccelli con l’uso dei concimi chimici. L’impianto, oltre ad essere un esempio chiaro di come si possono investire i rifiuti invece che buttarli, aiuta la comunità territoriale a ridurre la dipendenza dalle fonti fossili per produrre energia. Se si moltiplicassero queste tipologie di investimenti, in Italia si potrebbe produrre oltre 6 miliardi di metri cubi di biometano, che equivarrebbe a circa il 22% di quanto importavamo dalla Russia, e circa il 10% del fabbisogno nazionale in un anno. Le importazioni di energia Italiane si possono calcolare in circa il 78% del fabbisogno nazionale, contro circa il 60% degli altri paesi Europei, valori questi che devono spingerci a pensare che sia giusto aumentare le leve energetiche nazionali e rinnovabili, come il vento, il sole, l’acqua e i rifiuti. Un’ulteriore nota importante è che, attraverso il massiccio utilizzo dei rifiuti, è possibile azzerare o minimizzare il conferimento in discarica. Categoria: notizie - rifiuti organici - economia circolare - riciclo rNEWS
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