La condivisione delle macchine, bici, case e delle attrezzature nel periodo della post pandemia Arrivare in aereo in una città, alloggiare in una stanza in casa di una persona non conosciuta, uscire prendendo una macchina in car sharing o una bici, ci sembrerà strano? Probabilmente si, tutto quello che era una conquista è divento improvvisamente un problema. Vivevamo nel mondo della condivisione dei beni, dove il valore del servizio che si otteneva era il metro di valutazione dell’organizzazione della nostra giornata, un passaggio, un’auto per qualche ora, un monopattino, una stanza per una notte. Niente più proprietà del bene in uso, niente costi da sostenere in periodi in cui non viene utilizzato, niente ostentazione di una presunta ricchezza, libertà di cambiare lo strumento del servizio ogni giorno, costi bassi e poche responsabilità. Veniamo da anni in cui ogni cosa veniva acquistata, conservata, usata, a volte pochissimo e poi buttata, non perché non funzionasse più, ma perché vecchia e magari i ricambi erano fuori produzione. Al vertice di questi usi limitati c’era il sogno di tutti, l’auto, che veniva parcheggiata nel garage, mediamente, per il 90% del tempo della sua vita, ma si preferiva averla in quanto garantiva una sensazione di libertà e indipendenza di circolazione. E come dimenticare la dote di ogni bravo padre di famiglia aveva: il trapano. Quanti ne sono stati comprati per famiglia e quanti buchi sono stati fatti nel muro? Pochissimi. Ma al grido > i produttori di questi elettrodomestici hanno venduto milioni di pezzi. Oggi, dove la mentalità è cambiata e si privilegia l’uso alla proprietà, per questioni ambientali, di economia circolare, di razionalizzazione del traffico, spingendo ad usare l’auto, per esempio, solo nell’ultimo breve tratto del tuo viaggio, suggerendo alla gente viaggiare in treno per le medie distanze. Si è quindi sviluppata negli ultimi anni, un’economia nuova, fatta di flotte di auto, spesso elettriche, motorini, bici, monopattini e, inoltre, anche nel settore dell’alloggio, si prenotano camere nelle case di comuni cittadini che ti ospitano, scavalcando gli alberghi, per ridurre il costo del pernottamento e per conoscere gente nuova. Ma in questo periodo in cui la pandemia da Coronavirus ci espone facilmente al contagio, dove il distanziamento sociale oggi è un requisito fondamentale, dove non si sa ancora quanto questo virus possa rimanere nel tempo sulle superfici toccate da una persona positiva, dove le abitazioni e le auto dovrebbero essere sanificate completamente dopo ogni utilizzo, ci chiediamo come comportarci in questo periodo sospeso. Ci auguriamo, che con l’avvento del vaccino, tutte queste perplessità rimangano un brutto ricordo, in quanto la Sharing Economy è un pilastro fondamentale dell’economia circolare e della tutela dell’ambiente e, mai si potrà pensare di adottare un modello di economia come quella passata, dove si continuava a produrre oggetti che non si usavano pienamente.Vedi maggiori informazioni sulla sharing economy
SCOPRI DI PIU'Come il Polipropilene Riciclato può Aiutare la Gestione Sostenibile delle AcqueL’acqua è un bene primario di cui l’uomo ha assoluto bisogno per sopravvivere e lo si contende dal passato più antico fino ai tempi moderni.Le guerre per il controllo dell’acqua sono sempre più numerose, che siano conosciute all’opinione pubblica o che non facciano notizia, hanno numeri impressionanti. Tra il 2000 e il 2009, secondo un rapporto dell’UNESCO, si sono combattute 94 guerre per il controllo delle forniture dell’acqua, mentre tra il 2010 e il 2018 ben 263. In un pianeta dove la popolazione continua ad aumentare, specialmente in aree povere come l’Africa con una popolazione di circa 1,2 miliardi di persone che dovrebbe raddoppiare entro il 2050, il bisogno di acqua potabile è sempre più impellente. Il controllo dei grandi fiumi, che portano acqua sia alla popolazione che all’agricoltura, sono sempre più oggetto di contese politiche e militari. Il Nilo che bagna molti paesi Africani, l’Indo che serve il Pakistan ma nasce in India, il Tigri e l’Eufrate che sono necessari a Siria e Iraq ma influenzati dalla Turchia, e molte altre situazioni. Se poi consideriamo che nel mondo, secondo il rapporto, circa 2,1 miliardi di persone non hanno accesso ad un’acqua sicura e altri 4,5 miliardi non possono usufruire di servizi igienici corretti, è facile pensare quale sia il livello di gravità della situazione idrica. Non si deve in questo caso giocare di medie, considerando solo la quantità di acqua disponibile per persona nel mondo, ma anche la sua distribuzione geografica, cioè quanti litri sono disponibili per individuo nei vari paesi. Ci accorgeremmo subito che i numeri sono allarmanti, con milioni di persone senza acqua e altrettanti che ne hanno troppa e la sprecano. Tra i paesi in cui c’è carenza di acqua o hanno flussi stagionali estremi ed opposti, come siccità in certi periodi dell’anno e alluvioni in altri, la disponibilità di acqua sicura, non contaminata, è davvero un problema. Inoltre sempre più spesso la carenza di servizi igienici efficienti comporta la contaminazione delle acque disponibili, creando a loro volta problemi sanitari gravissimi tra la popolazione. A questo punto ci dovremmo chiedere come la plastica riciclata, in particolare il polipropilene, può aiutare l’uomo ad alleviare il problema? Attraverso l’uso de polipropilene riciclato, si sono costruite strutture che possono aiutare la popolazione a ridurre o risolvere i due maggiori problemi: • La mancanza di servizi igienici efficienti crea la dispersione delle acque reflue inquinate da batteri fecali, che possono mischiarsi con le fonti di approvvigionamento delle acque utilizzate per l’uso domestico. Se non esistono sistemi fognari sicuri è possibile istallare moduli in plastica riciclata composti da fosse biologiche e sistemi di dispersione delle acque trattate nel terreno, senza che queste inquinino le falde. • In caso di mancanza di una rete idrica di approvvigionamento dell’acqua è necessario, in quei paesi dove si verificano fenomeni di alternanza di lunghi periodi senza acqua a periodi in cui le piogge intense apportano un quantitativo di acqua superiore alle necessità del momento, l’installazione di impianti di immagazzinamento dell’acqua, posizionati sotto il livello del terreno, in modo da conservare per un tempo più lungo possibile delle scorte, che non saranno soggette all’evaporazione causata dal sole. Queste soluzioni si possono facilmente mettere in opera anche in paesi in cui le infrastrutture e la logistica è scarsa, in quanto i sistemi di controllo delle acque sono modulari, leggeri perchè fatti in plastica riciclata, permettendo una facile installazione anche senza grandi mezzi meccanici.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - PP - acquaVedi maggiori informazioni sull'argomento
SCOPRI DI PIU'Fibra elastica in poliuretano: dagli anni 30 del secolo scorso alla chimica dell’abbigliamento elasticizzato modernoSe vogliamo dare una definizione di cosa sia la fibra di poliuretano possiamo dire che è una sostanza chimica sintetica caratterizzata da un comportamento simile alla gomma. Questa fibra è formata da una catena molecolare composta da segmenti molli, detti glicoli, intervallati da segmenti rigidi detti isocianati. La fibra di poliuretano nasce intorno al 1937 quando la tensione politica-militare in Europa rese più difficile il commercio delle materie prime, infatti fino ad allora gli elastomeri erano prevalentemente naturali, importati dal sud America e dal Sud Est Asiatico. Come si può leggere nell’articolo presente nelle NEWS sulla storia della gomma naturale, questa era un elemento conosciuto fin dai tempi dei Maya e utilizzato in tutto il mondo in diversi settori. La vera svolta nel campo dei tessuti avvenne nel 1823 quando Charles Macintosh, brevettò un composto fatto di gomma naturale e di oli, adatto all’impermeabilizzazione dei tessuti e, successivamente nel 1830, Thomas Hancock, sottopose il composto gommoso ad azioni meccaniche, mischiando additivi oleosi, cariche e pigmenti, così da rendere industrialmente lavorale in macchina il compound. Fu un tale successo che le esportazioni dal Brasile della gomma naturale aumentarono in modo esponenziale, passando da poche centinaia di tonnellate del 1846 a più di 10.000 nel 1880. Fu così che gli inglesi fiutarono il business e nel 1876 ottennero, da alcuni semi importati dal Brasile, duemila piantine di Hevea Brasilienis, che furono inviate poi nell’attuale Sri Lanka per essere ripiantate. Questo intervento botanico Inglese fece nascere una fiorente produzione, attiva ancora oggi, in Malaysia, Indonesia e Thailandia, area nella quale si produce oggi l’80% della gomma naturale. Negli anni 30 del secolo scorso, periodo nel quale la ricerca chimica stava facendo passi enormi, iniziarono i primi studi per creare una gomma sintetica replicabile in qualunque paese al mondo, senza dipendere dall’importazione della materia prima naturale. Gli studi più interessanti del periodo furono eseguiti dalla tedesca Bayer e fu così che nel 1939, Paul Schlack, sintetizò un polimero con alte proprietà elastiche, ma si dovette attendere la fine della seconda guerra mondiale per vedere la produzione, nel 1951, della prima fibra poliuretanica attraverso il processo di filatura ad umido. Anche negli Stati Uniti la ricerca portò l’azienda DuPont, a seguito di importanti investimenti fatti sulla fibra elastica in poliuretano, nel 1959, a produrre la fibra poliuretanica elastica, attraverso il processo di filatura a secco, che mise sul mercato nel 1962. La vera esplosione della produzione di questi filati avvenne alla fine degli anni 60 del secolo scorso, quando si diffuse la moda della minigonna e il relativo uso delle calze da donna. Come viene prodotta e lavorata la fibra in sintetica in Poliuretano? La fibra elastomerica sintetica è prodotta estrudendo il polimero poliuretano in soluzione o fuso, utilizzando una filiera di un impianto di filatura meccanica. Vi sono normalmente quattro metodologie per la produzione della fibra: Filatura a umido consiste nell’estrusione del polimero in bagno d’acqua calda, formando il filo per coagulazione, ed il successivo lavaggio, essiccazione, lubrificazione e avvolgimento in bobina. Filatura a secco è indubbiamente il sistema più usato al mondo e consiste nell’estrusione del polimero in una cella cilindrica verticale all’interno del quale è presente un gas caldo, che normalmente è azoto. Il filo passa dalla cella e viene successivamente lubrificato, con olio siliconico o stearato di magnesio e poi arrotolato su una bobina posta alla fine di essa. Filatura per fusione consiste nella plastificazione di granuli in un estrusore creando una messa fluida, la quale viene fatta passare attraverso una filiera in verticale che si incontra con un flusso di aria fredda che porta alla solidificazione della materia prima. Il filo in uscita, viene poi lubrificato e avvolto su bobine. La filatura per fusione, tra i quattro processi presentati, è sicuramente quello a più basso impatto ambientale in quanto non richiede solventi e ha una necessità minore di energia. Filatura reattiva consiste nell’estrusione del pre-polimero in un bagno di soluzione contenente ammine polifunzionali. Le parti di isocianato che costituiscono la materia prima reagiscono con le ammine formando un poliuretano a più alto peso molecolare. È una tecnologia oggi poco usata a causa delle basse caratteristiche elastiche del filo rispetti ad altri procedimenti produttivi. Quali sono le applicazioni principali della fibra in poliuretano? Gli utilizzi di questa fibra sono molteplici, quindi raccogliamo solo alcune indicazioni di produzione degli articoli: – Tovaglie – Copri divani – Calze per uso chirurgico – Bende elastiche – Calze a compressione graduata – Pannolini – Tute per attività sportiva – Mute da sub – Pantaloni da sci e pantacollant – Jeans e altri tessuti elasticizzati – Corsetteria – Calzini e collant – Nastri elastici – E molti altri articoliCategoria: notizie - plastica - economia circolare - PU - fibra elastica
SCOPRI DI PIU'Nuove applicazioni e sperimentazioni per riutilizzare i rifiuti edili nelle linee di produzione dei nuovi prodottiIl settore edile è uno tra quelli che produce il maggior quantitativo, in tonnellate, di rifiuti, non solo del mercato Italiano, che ne conta circa 40 milioni all’anno, ma anche d’Europa, che produce circa 870 milioni di tonnellate stando ai valori del 2017. Una quantità incredibile che fino a poco anni fa finiva, senza troppi pensieri, in discarica e lasciati li, dormienti, a inquinare i terreni e a sprecare risorse importanti. Oggi, nell’ambito delle nuove normative sull’economia circolare, molta strada si è compiuta nel riciclo di una parte di questi rifiuti, ma soprattutto nel divieto di gettare in discarica prodotti recuperabili. In particolare, gli inerti prodotti in Italia ogni anno sono circa 68 milioni di tonnellate, delle quali si riesce a riciclarne circa il 78%, impiegandoli come sottofondi stradali o nella creazione di piazze, nella produzione di calcestruzzi a bassa resistenza o nella produzione di asfalti, manufatti in cemento o massicciate ferroviarie. La percentuale di riciclo degli inerti potrebbe facilmente arrivare al 90% se si estendessero ancora gli impieghi nei prodotti finiti o come aggregato nelle miscele, in cui è necessaria una parte fine o finissima come granulometria d’impasto. La sperimentazione di nuovi utilizzi degli aggregati riciclati continua, coinvolgendo anche alcuni produttori di cemento, che stanno provando a sostituire gli aggregati naturali con quelli riciclati per la produzione di farina cruda negli impianti di fabbricazione del cemento. Nonostante questo interesse favorevole, ci sono delle nubi che si addensano all’orizzonte, infatti il nuovo decreto End o Waste del Ministero dell’Ambiente, ha classificato come riciclabili solo 18 su 50 codici di prodotti, rischiando di avviare alla discarica circa 32 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti edili, in quanto non rientranti nei codici approvati. L'Anpar, l'Associazione italiana dei produttori di aggregati riciclati, ha chiesto al ministero un confronto per risolvere il problema. Categoria: notizie - rifiuti edili - economia circolare - riciclo - rifiuti
SCOPRI DI PIU'Imprese e politica utilizzano a volte il social washing e il greenwashing per manipolare l'opinione pubblica Il "social washing" è diventato una pratica sempre più rilevante e controversa nel mondo degli affari e della politica, mettendo in discussione l'integrità di molte iniziative che vantano un impegno sociale. Questo fenomeno solleva questioni etiche importanti e presenta implicazioni significative sulla fiducia pubblica e sul reale impatto delle azioni volte al bene comune. In questo articolo, esploreremo più approfonditamente il concetto di social washing, come si manifesta in diversi contesti e le possibili soluzioni per affrontare questa problematica. Definizione di Social Washing Il termine "social washing" deriva dall'analogo "greenwashing" (riservato alle pratiche ambientali) e si riferisce all'atto di presentare in modo ingannevole le proprie attività come socialmente responsabili o orientate al bene comune, quando in realtà tali impegni sono superficiali o limitati. Questo fenomeno si manifesta attraverso varie strategie di marketing e comunicazione volte a creare un'immagine positiva piuttosto che a sostenere azioni concrete a favore della società. Manifestazioni Comuni del Social Washing Campagne pubblicitarie ingannevoliLe aziende utilizzano spesso campagne pubblicitarie che sottolineano il loro impegno sociale, attraverso slogan accattivanti, immagini emotive e dichiarazioni che possono distorcere la realtà delle loro pratiche aziendali. Iniziative di responsabilità sociale limitateUn'organizzazione può focalizzarsi su iniziative di responsabilità sociale che offrono visibilità ma che, nella sostanza, hanno un impatto minimo sulle questioni sociali o ambientali. Coinvolgimento in partenariati superficiali: Il social washing può coinvolgere il posizionarsi in associazioni o partenariati con organizzazioni benefiche o iniziative di volontariato, senza un coinvolgimento significativo o contributi effettivi. Implicazioni del Social Washing Il social washing ha implicazioni significative sulla fiducia del pubblico e sul mercato in generale: Minaccia alla fiducia del consumatoreQuando i consumatori scoprono di essere stati ingannati, la fiducia nel marchio può subire danni irreparabili, generando un cinismo diffuso nei confronti degli impegni aziendali. Distorsione del mercato Le pratiche di social washing possono influenzare le decisioni d'acquisto basate su informazioni fuorvianti, distorcendo il mercato in favore di aziende che presentano un'immagine socialmente responsabile ma che potrebbero non rispecchiare la realtà. Social Washing in Politica Il social washing non è limitato al settore privato. In politica, i rappresentanti pubblici possono impegnarsi in pratiche che cercano di migliorare la loro immagine sociale senza un reale impegno verso politiche e azioni che promuovano il benessere collettivo. La retorica politica potrebbe presentare politiche come più progressiste o socialmente responsabili di quanto siano in realtà. Affrontare il Social Washing Per difendersi dal social washing, è fondamentale adottare un approccio critico e informato: Ricerca approfondita: Investigare le azioni effettive di un'azienda o di un politico anziché basarsi solo sulla pubblicità. Verificare se ci sono prove concrete delle loro pratiche socialmente responsabili. Coinvolgimento della comunità: Valutare come l'organizzazione o il politico interagisce con la comunità locale. Un coinvolgimento reale è un segno positivo, mentre un coinvolgimento superficiale potrebbe indicare social washing. Certificazioni indipendenti: Cerca marchi o certificazioni riconosciuti che attestino le pratiche etiche e sostenibili dell'azienda o del politico. Il social washing è una pratica eticamente discutibile che richiede un'attenzione critica da parte dei consumatori, delle organizzazioni e dei decisori politici. La trasparenza e l'impegno autentico verso pratiche socialmente responsabili sono essenziali per costruire una fiducia duratura e un impatto reale sul benessere della società. Solo attraverso una maggiore consapevolezza e vigilanza possiamo sperare di mitigare gli effetti negativi del social washing e spingere verso un autentico cambiamento sociale.
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