Ricevette il Premio Nobel per aver inventato il polipropilene Conosciamolo megliodi Marco ArezioAttraverso lo studio delle macromolecole e dei “catalizzatori dei polimeri” Giulio Natta intuì la potenzialità della chimica applicata alla plastica. Giulio Natta nacque a Porto Maurizio (I) il 26 Febbraio del 1903 da Francesco Maria, magistrato e da Elena Crespi che si adoperò per l’educazione di Giulio nella tenera età. Si diplomò con largo anticipo all’età di 16 anni al liceo classico di Genova specializzandosi successivamente in matematica. Nel 1921 si iscrisse alla facoltà di ingegneria industriale presso il Politecnico di Milano dove fu assistente del professor Bruni presso il dipartimento di chimica generale. Sempre in anticipo sui tempi nel 1924 si laureò a soli 21 anni. Accettò poi nel 1925 una borsa di studio a Friburgo in Germania, presso il laboratorio del professor Seemann, occupandosi di macromolecole. E’ qui che natta intuì l’importanza e la potenzialità delle macromolecole che continuò a studiare al suo ritorno a Milano studiando la struttura cristallina dei polimeri. Tra il 1925 e il 1932 fu professore di chimica al politecnico di Milano e nel 1933 vinse il concorso per diventare professore di chimica generale presso l’università di Pavia e nel 1935 passò a all’università La Sapienza di Roma e nel 1937 al Politecnico di Torino. L’anno successivo ritornò al Politecnico di Milano che lasciò dopo 35 anni nel 1973. Durante questa lunga carriera Natta poté sperimentare numerosi studi come la produzione di Butadiene, collaborò con la ditta Montecatini dedicandosi quasi esclusivamente alla chimica industriale. Dal 1952 Natta cominciò ad interessarsi alle scoperte di Karl Ziegler il quale nel 1953 riuscì a sintetizzare il polietilene lineare, mentre l’anno successivo Natta riuscì a produrre i primi campioni di polipropilene. La Montecatini a questo punto patrocinò la collaborazione tra i due scienziati portando alla creazione di un laboratorio internazionale che coinvolse molti studiosi che portò alla scoperta dei polimeri isotattici, registrati con il nome commerciale di Moplen. La scoperta dei catalizzatori Ziengler-Natta fruttò ad entrambi il premio Nobel per la chimica nel 1963. Ma cosa scoprirono esattamente i due scienziati tanto da vincere il premio Nobel? Nel 1953 Karl Ziegler scopri che una miscela di TiCl4 e AlEt3 (alluminio trietile) catalizzava la polimerizzazione dell’etilene in polietilene. Giulio Natta scoprì che questo catalizzatore non era utilizzabile per la produzione di polimeri del polipropilene, infatti, con questo catalizzatore si ottenevano solo oligomeri del propilene ad elevato contenuto atattico. Nel 1954 Natta e Ziegler scoprirono una nuova ricetta di Dietil Alluminio Cloruro e DEAC che dava una elevata resa di polipropilene isotattico. A questo punto la Montecatini iniziò la produzione industriale con un notevole successo commerciale.Categoria: notizie - tecnica - plastica - giulio natta - PP - storia
SCOPRI DI PIU'Agli albori del consumismo parlavano già di tutela dell’ambiente, frugalità e sostenibilità di Marco ArezioIl movimento hippy è emerso negli anni '60 del secolo scorso, come una controcultura giovanile che abbracciava valori di pace, amore, libertà individuale e una critica al consumismo e alla guerra.I suoi membri, chiamati hippy, cercavano di creare una società alternativa basata sull'amore, la consapevolezza e l'armonia con la natura.Nascita del movimento Hippy Il movimento hippy non ha avuto un singolo fondatore o leader, ma si è sviluppato come un movimento collettivo e spontaneo. È stato influenzato da diverse correnti culturali, filosofiche e sociali dell'epoca. Alcuni dei principali precursori e influenze del movimento si possono cercare nei seguenti correnti di pensiero: Beat Generation I poeti e scrittori della Beat Generation, come Allen Ginsberg e Jack Kerouac, hanno contribuito a sviluppare un'etica contro-culturale basata sulla libertà personale, l'esplorazione del mondo interiore e la critica della società di consumo. Movimento per i diritti civili Il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, guidato da figure come Martin Luther King Jr., ha ispirato gli hippies nella loro lotta per l'uguaglianza, la giustizia sociale e l'opposizione al razzismo. Movimento pacifista Il movimento pacifista che si è sviluppato durante la guerra del Vietnam e ha avuto un impatto significativo sugli hippies, che si sono uniti alle proteste contro la guerra e hanno adottato il pacifismo come valore centrale. Controcultura bohémien La controcultura bohémien degli anni '50 e '60, caratterizzata da un atteggiamento ribelle nei confronti delle norme sociali e culturali, ha fornito un terreno fertile per lo sviluppo del movimento hippy. Movimento per la libertà sessuale Il movimento per la libertà sessuale e l'emergere della contro-cultura sessuale hanno influenzato gli hippy nella loro concezione di amore libero, sessualità aperta e liberazione dalle restrizioni sociali. Caratteristiche del movimento Hippy Il quartier generale del movimento hippy era concentrato nella zona di Haight-Ashbury a San Francisco, dove migliaia di giovani si riunivano in una comune ricerca di libertà e sperimentazione. Altre comunità hippy emersero in varie parti degli Stati Uniti e in altri paesi del mondo. Gli hippies si vestivano in modo informale, spesso con abiti colorati, gonne lunghe, fiori nei capelli e simboli pacifisti. La musica svolgeva un ruolo centrale nella cultura hippy, con artisti come Bob Dylan, The Beatles, Janis Joplin e Jimi Hendrix che ispiravano e incantavano il movimento. Tuttavia, alla fine degli anni '60, il movimento hippy iniziò a declinare a causa di vari motivi, tra cui la commercializzazione della cultura hippy, la diffusione di droghe più pericolose, il deterioramento delle condizioni di vita nelle comuni e la repressione delle autorità. Nonostante la sua breve durata, il movimento hippy ha lasciato un impatto duraturo sulla società, influenzando la musica, la moda, l'arte e le questioni sociali. I valori di pace, amore e libertà promossi dagli hippies continuano a ispirare e ad affascinare molte persone ancora oggi. Il movimento hippy e l’ecologia Il movimento hippy ha avuto una forte connessione con l'ecologia e l'ambiente. Gli hippies erano spesso profondamente preoccupati per la salute del pianeta e la conservazione della natura. Molte delle loro convinzioni e pratiche si basavano su una visione di armonia con l'ambiente naturale. Gli hippies promuovevano uno stile di vita semplice e sostenibile, cercando di ridurre l'impatto sull'ambiente attraverso scelte consapevoli. Si impegnarono nell'agricoltura biologica, nell'alimentazione vegetariana o vegana, nel riciclo e nel riutilizzo dei materiali. Inoltre, erano spesso coinvolti in operazioni di attivismo ambientale, partecipando a proteste contro la distruzione dell'ambiente, come la deforestazione o la costruzione di dighe. Avevano una forte convinzione che l'equilibrio ecologico dovesse essere preservato per il bene delle future generazioni. Il movimento hippy ha contribuito a diffondere un'attenzione crescente verso le questioni ambientali e ha contribuito alla formazione dell'attuale movimento ecologista. Anche oggi, i valori ecologici e il desiderio di proteggere l'ambiente continuano ad essere parte integrante della cultura e delle preoccupazioni di molte persone, anche al di fuori del movimento hippy. Ideali del movimento hippy sul consumismo Il movimento hippy si opponeva al consumismo e promuoveva uno stile di vita semplice e anti-materialista. Credevano che la società fosse troppo focalizzata sull'acquisizione di beni materiali e che questo portasse a una mancanza di significato, alienazione e distruzione dell'ambiente. Invece di concentrarsi sul possesso di oggetti materiali, gli hippies valorizzavano esperienze, relazioni interpersonali, creatività e spiritualità. Cercavano di trovare la felicità e il significato nella condivisione, nell'amore, nella musica, nella natura e nella ricerca interiore. Inoltre, spesso adottavano uno stile di vita frugale, cercando di ridurre il proprio impatto ambientale e di consumare meno risorse. Erano sostenitori del riutilizzo e del riciclo, incoraggiando l'uso consapevole delle risorse e promuovendo l'auto-sufficienza.
SCOPRI DI PIU'Workaholism: La Dipendenza da Lavoro che Minaccia le Aziendedi Marco ArezioLa sindrome da ubriacatura da lavoro o dipendenza da lavoro è una malattia neuro-psichiatrica scoperta in America agli inizi degli anni ‘70 del secolo scorso. In questo articolo non tratteremo l’aspetto medico, cioè le mutazioni che questa malattia infligge sul soggetto malato, ma illustreremo le ricadute che può avere nell’ambito aziendale. Nel corso degli anni si è spesso confuso, forse per convenienza, la differenza tra uno stacanovista e un lavoratore affetto da dipendenza cronica da lavoro. Quale è la differenza vista dal punto delle attività aziendali? Lo stacanovista, che ha ruoli dirigenziali, lo possiamo vedere come un soggetto responsabile, affidabile, ambizioso e fidato che trascina il proprio team a raggiungere gli obbiettivi aziendali o i budget affidati, attraverso la costruzione di un clima competitivo e appagante i cui ogni partecipante al progetto si sente inserito in una catena motrice, con lo scopo comune di far girare il motore al giusto livello per raggiungere il traguardo comune. Collegialità degli obbiettivi, degli sforzi e delle gratificazioni sono la chiave per ottenere i migliori risultati lasciando, nel leader, ma anche i tutti i soggetti della squadra, la piacevolezza dell’impegno e la riconoscenza delle qualità dei singoli, ognuno nella giusta misura. La valorizzazione degli sforzi dei singoli e del team, a tutti i livelli, dona una sorta di protezione del branco e una carica autorigenerante per le sfide di tutti i giorni. Il leader che guida il gruppo, per stimolare le energie di tutti, deve essere inclusivo, rassicurante, sincero nell’illustrare rischi e obbiettivi, ma soprattutto deve sporcarsi le mani in prima linea, nella stessa trincea e condividere sul campo le strategie. In caso di raggiungimento degli obbiettivi il gruppo sarà compatto e più forte, soddisfatto, gratificato, sicuro del fatto che l’unione fa la forza e che, egoismi o prevaricazioni interne, siano deleteri per ognuno dei partecipanti. Se guardiamo invece il leder di un gruppo affetto da dipendenza da lavoro, ci troviamo di fronte ad un soggetto che vive per raccogliere adrenalina con la quale alimentare la propria giornata. Gli obbiettivi aziendali sono una scusa per applicare questa dipendenza alla propria vita, trascinando tutta la squadra in un ciclone di stress costante. Chi vive questa dipendenza mobilita una competizione sterile, volta ad accrescere il volume di lavoro in modo negativo, mettendo sotto pressione i collaboratori senza capire i limiti e le esigenze delle persone. Non è capace di fare squadra perché vive in modo egocentrico l’attività, quindi si rapporta con i colleghi come se fossero un tassello al proprio progetto finalizzato al risultato. Gli obbiettivi aziendali sono un propellente che alimenta la spirale di impegno, la benzina che accende un motore che deve girare al massimo e la componente umana non è considerata come parte della partita. Chi soffre di dipendenza da lavoro non riesce a staccare, perde il contatto con la vita reale e pretende che i collaboratori lavorino secondo il suo schema e i suoi interessi. Facilmente mette in cattiva luce chi non lo segue, crea zizania per incrementare la competitività reciproca, e non dialoga con la squadra. Non concepisce chi dissente o chi ha un atteggiamento verso il lavoro più equilibrato, dove ogni componente della propria vita deve avere un peso ponderato. Farsi dirigere da un soggetto che soffre di dipendenza da lavoro ha l’effetto negativo di lavorare in un ambiente in costante tensione, dove la paura di sbagliare riduce i risultati, dove il rischio di sfuriate dal leader del team sono all’ordine del giorno, con possibili conseguenze sulla posizione lavorativa. La paura di sbagliare o di essere traditi dai compagni di lavoro crea correnti interne, fazioni più o meno vicine al leader, il cui scopo non è più il raggiungimento del traguardo aziendale ma quello della sopravvivenza del rapporto di lavoro. I componenti del team tendono a ritirarsi in gusci protettivi, fanno quello che gli viene detto di fare, anche se lo reputano improduttivo od addirittura sbagliato. Non si espongono con idee o proposte per non esporsi a reazioni non calcolabili, sapendo quanto un soggetto affetto da questa malattia possa essere irascibile, scostante nell’umore e rischiando di mettersi in cattiva luce. Un ambiente come quello descritto focalizzato su un soggetto che crede di correre una gara da solo, umilia il lavoro di tutti, a volte anche le persone, trasformando la spinta propositiva di un team in passività lavorativa, lasciando al leader ogni decisione e ogni conseguenza. La spirale porta la figura apicale a doversi occupare di tutto, non avendo più una squadra su cui contare, con l’avvitamento del carico di lavoro e la riduzione della lucidità nelle decisioni e la trascuratezza della qualità generale dei risultati. Si crea uno scollamento che alimenta risentimento tra il leader e la squadra, un generale disinteresse all’azienda e al suo futuro, creando la costruzione di prove che possano difendere le singole posizioni in attesa della catastrofe imminente. Infatti, le giornate lavorative passano non finalizzate al miglioramento delle perfomances societarie, ma nell’attesa del giorno del fallimento della loro team, con la speranza che il loro comportamento minimale ed ossequioso possa salvargli il posto di lavoro. Se partiamo da un paradigma molte volte usato, ma reale, che dice che i successi delle aziende sono fatti di persone guidate da leader capaci, dobbiamo quindi monitorare comportamenti eccessivi sia di lassismo che di iper lavoro.
SCOPRI DI PIU'Il Caso della Formula del Polipropilene Perduta a Milano. Capitolo 6: Il Puzzle Incompletodi Marco ArezioAll’interno dei laboratori di MilanTech, il commissario Lucia Marini osservava con attenzione mentre Enrico Sartori e il professor Ferrari lavoravano fianco a fianco, immersi nella complessa procedura di decifrare la formula del polipropilene. L'atmosfera era carica di un'attesa quasi tangibile, ogni movimento preciso, ogni sguardo concentrato sullo schermo del computer davanti a loro. Il silenzio era rotto solo dal ticchettio delle tastiere e dal mormorio occasionale delle macchine. Enrico Sartori e il professor Ferrari erano seduti uno accanto all'altro, davanti a una grande lavagna con scritte molte formule chimiche. Ferrari: "Enrico, da dove iniziamo? Questa sequenza di dati è monumentale." Sartori: "Concentriamoci prima sulle sezioni che riconosciamo. La formula è criptata, ma alcune parti dovrebbero seguirci come un filo d'Arianna." Mentre scorrevano i dati, la concentrazione era palpabile. Ogni tanto, Ferrari si fermava, indicando la lavagna. Ferrari: "Ecco, questa parte qui. Questi composti non ti sembrano familiari?" Sartori: "Sì, assolutamente. Questa è una sequenza che ho sviluppato durante i miei primi esperimenti. Se seguiamo questa via, potremmo..." La loro conversazione tecnica continuava, saltando da una scoperta all'altra, mentre iniziavano a decifrare pezzi della formula. Ma, dopo ore di lavoro, Sartori si arrestò bruscamente, un'espressione di confusione sul volto. Sartori: "Aspetta, questo non ha senso. Questa parte della sequenza... manca. È come se fosse stata estratta deliberatamente." Ferrari, inclinando la testa per vedere meglio la pergamena, annuì lentamente. "Vedo cosa intendi. Ma perché qualcuno dovrebbe togliere solo una parte? Se volessero impedirci di ricostruirla, perché non distruggere tutto?" Sartori: "Questo è esattamente ciò che mi preoccupa. È come se... come se qualcuno volesse essere l'unico a detenere la formula completa." Il professor Ferrari, con la fronte corrugata in una smorfia di preoccupazione, si chinò per esaminare meglio il problema. "Come è possibile? Pensavo avessi detto che solo tu sapevi della pergamena, Enrico." Sartori, pallido, si passò una mano tra i capelli in segno di frustrazione. "Era quello che credevo... ma ora," la sua voce tremava leggermente, "inizio a chiedermi se sono stato pedinato o spiato. Perché qualcuno dovrebbe togliere solo una parte della formula invece di rubare direttamente la pergamena?" Marini, che aveva seguito silenziosamente il loro lavoro, intervenne: "Potrebbe significare che il ladro ha voluto assicurarsi di essere l'unico a possedere la formula completa. Forse 'Il Custode' sapeva già dove si trovava la sequenza mancante e ha agito per mantenere il controllo esclusivo su di essa." Il pensiero che 'I Custodi dell'Ombra' potessero essere un passo avanti rispetto a loro gettava un'ombra ancora più cupa sulla situazione. "Dobbiamo scoprire dove si trova la parte mancante della formula," disse Marini, il suo tono deciso. Sartori, ancora scosso dalla rivelazione, annuì lentamente. "C'è solo un posto dove 'Il Custode' avrebbe potuto nascondere la sequenza senza destare sospetti... un luogo che conosce solo la cerchia interna dei Custodi." Marini si avvicinò, l'interesse era palpabile. "E dove sarebbe, Enrico?" "Al castello di Corenno Plinio," rispose Sartori. "Un luogo che per noi era più un santuario della scienza che un rifugio. Se c'è una speranza di trovare la formula completa, è lì." Sartori era a conoscenza del castello di Corenno Plinio e del suo ruolo come luogo di riunione per 'I Custodi dell'Ombra' grazie al suo coinvolgimento, seppur riluttante, con l'organizzazione. Durante i primi giorni della sua collaborazione, era stato invitato a partecipare a una riunione al castello, presentata come un'opportunità per discutere il futuro della scienza e della tecnologia con menti affini. Questa esperienza gli aveva rivelato l'esistenza e le intenzioni più oscure dei Custodi, ma anche l'importanza che essi attribuivano a Corenno Plinio come loro santuario segreto. Decisa a non perdere tempo, Marini organizzò immediatamente una spedizione verso il castello, armata di questa nuova informazione. Prima di partire, però, notò un piccolo foglietto caduto a terra vicino alla postazione di lavoro di Sartori. Lo raccolse, scoprendo che era un appunto scritto a mano con una serie di coordinate e la parola "Corenno", si convinse che poteva essere la pista giusta. Il fogliettino con le coordinate di Corenno Plinio, ritrovato dal commissario Marini, era un indizio lasciato involontariamente da uno dei membri dei Custodi. Nei giorni precedenti la rivelazione di Sartori, 'I Custodi dell'Ombra' avevano incrementato le loro precauzioni, temendo che la collaborazione di Sartori con la polizia potesse esporre il loro segreto meglio custodito. Durante una delle loro comunicazioni criptate, avevano deciso di rivedere i protocolli di sicurezza intorno al castello, e uno dei membri, operando in fretta, aveva annotato le coordinate su un foglietto come promemoria personale. Questo membro, in seguito identificato come un intermediario tra Sartori e il resto dell'organizzazione, aveva visitato il laboratorio per assicurarsi che Sartori stesse seguendo le direttive dei Custodi e, in quella circostanza, aveva perso il foglietto. "Potrebbe essere questo l'indizio che ci serve," mormorò Marini, mostrandolo a Conti. Il castello di Corenno Plinio, nascosto tra le nebbie del tempo sulla sponda orientale del Lago di Como, si ergeva come un monolite silenzioso, testimone di secoli di storia. Nei racconti degli abitanti locali, il castello era avvolto in un'aura di mistero e leggenda, un luogo che pochi osavano avvicinare, ancor meno esplorare. Costruito in epoca medievale, con le sue torri che si stagliavano contro il cielo e le mura che sembravano sorgere direttamente dalla roccia, il castello aveva visto passare signori e contadini, guerre e pace, ma ora, negli anni '50, aveva trovato una nuova e più oscura vocazione: quella di essere il cuore pulsante dell'organizzazione segreta nota come 'I Custodi dell'Ombra'. Il paese di Corenno Plinio, adagiato ai piedi del castello, era un insieme pittoresco di case in pietra e viuzze acciottolate, dove la vita scorreva lenta, immutabile al passare del tempo. In quel periodo, il paese viveva principalmente di pesca e di un timido turismo, attratto dalle incantevoli vedute del lago e dalla semplice ospitalità dei suoi abitanti. Le famiglie di Corenno Plinio, unite da generazioni di conoscenza reciproca e da legami di parentela, condividevano le gioie e le fatiche quotidiane, creando una comunità stretta e resiliente. Tuttavia, nonostante la serenità apparente, l'ombra del castello aleggiava sul paese. Molti erano i racconti sussurrati di notte, vicino al fuoco, su strane luci che a volte brillavano tra le antiche mura o su figure incappucciate che si muovevano in silenzio lungo i sentieri boscosi che portavano al castello. Per la maggior parte degli abitanti, queste storie erano solo vecchie leggende, ma per alcuni, erano un monito a mantenere le distanze dal castello e dai suoi segreti. Nessuno a Corenno Plinio sapeva della vera natura del castello come sede dei 'Custodi dell'Ombra', né delle loro riunioni segrete in cui si decideva il destino della scienza lontano dagli occhi del mondo. L'organizzazione aveva scelto il castello proprio per la sua isolata bellezza e per la tranquillità che il paese offriva, un luogo dove poter operare indisturbati, celati dalla nebbia e dal silenzio. Quando il commissario Lucia Marini e il suo team arrivarono a Corenno Plinio, seguendo le tracce lasciate da Sartori e dal misterioso foglietto, si trovarono di fronte a questo contrasto tra la quiete del paese e l'inquietante presenza del castello. Mentre iniziavano le loro indagini, cercando di tessere insieme i fili di un intrigo che si estendeva ben oltre i confini del paese, si resero conto che il castello di Corenno Plinio era molto più di un semplice luogo di incontro per scienziati dall'etica discutibile; era un enigma da risolvere, il cuore di un mistero che avrebbe potuto cambiare per sempre la vita del paese e il corso della scienza stessa. Per raccogliere informazioni cruciali riguardo al castello di Corenno Plinio e agli insoliti movimenti di persone che potrebbero essere collegati a 'I Custodi dell'Ombra', il commissario Lucia Marini decise di parlare con tre figure chiave della comunità. Il suo piano includeva un incontro con il dottor Francesco Branchini, medico condotto volontario, il maresciallo Marco Valenti, comandante della caserma dei carabinieri di Dervio, il piccolo paese confinante con Corenno Plinio e sotto la cui competenza giurisdizionale cadeva il comune del castello, e infine il sindaco di Corenno Plinio, il signor Giorgio Albertini. Marini iniziò la sua indagine dal dottor Branchini, trovandolo nella sua abitazione, un'incantevole casa vista lago situata in fondo alla scala che dalla piazza della chiesa scendeva verso il lago. Il dottor Branchini, un medico pavese ritiratosi in pensione sul lago, dedicava il suo tempo alla comunità offrendo servizi medici gratuitamente. Era conosciuto e amato da tutti per la sua generosità e per la sua passione per la pesca e la vita sul lago. Marini: "Buongiorno, dottor Branchini. Sono il commissario Lucia Marini. Spero di non disturbarla." Branchini: "Commissario Marini, benvenuta a Corenno Plinio. È raro vedere la polizia qui, soprattutto per una visita di cortesia. Come posso esserle utile?" Marini: "Sto indagando su alcuni eventi recenti legati al castello qui vicino. Abbiamo motivo di credere che possa esserci stata un'attività insolita. Lei ha notato qualcosa di strano, magari persone non del posto o comportamenti sospetti?" Branchini: "Ah, il castello. Un luogo affascinante, ma sempre stato avvolto da un'aura di mistero. Devo dire che, nella mia tranquilla routine di pensionato, passo la maggior parte del mio tempo tra la pesca, la mia piccola barca a remi e la cura della mia casa. Tuttavia, è vero che ultimamente ho visto alcune facce nuove, persone che non sembravano turisti né interessati alla bellezza del nostro lago." Marini: "Potrebbe dirmi di più su queste persone? Ogni dettaglio potrebbe essere importante." Branchini: "Certamente, commissario. Alcuni di questi individui avevano l'aria di chi cerca di passare inosservato, ma senza riuscirci realmente. Spesso li vedevo all'alba, quando prendo la mia barca per qualche ora di pesca. Si dirigevano verso il castello, ma non sembravano apprezzare la natura o il silenzio del mattino, come fanno la maggior parte delle persone che vengono qui." Marini: "Interessante, dottor Branchini. La sua testimonianza potrebbe rivelarsi molto utile. La ringrazio per la sua collaborazione." Branchini: "È il minimo che posso fare per il nostro tranquillo paese. Se ci sono altre domande o se posso aiutarla in qualche altro modo, non esiti a chiedere, commissario." Dopo aver ringraziato il dottor Branchini per le preziose informazioni e per l'ospitalità, Marini si apprestò a continuare la sua indagine parlando con il maresciallo Marco Valenti della caserma dei carabinieri di Dervio e il sindaco Giorgio Albertini, sperando di mettere insieme i pezzi del puzzle e di scoprire cosa stesse realmente accadendo nel misterioso castello di Corenno Plinio. Maresciallo Marco Valenti era il caposaldo della stazione dei carabinieri di Dervio, una piccola località a ridosso del Lago di Como. Con una carriera lunga e onorata alle spalle, Valenti era noto per il suo approccio equilibrato alla legge, una miscela di fermezza e umanità che gli aveva guadagnato il rispetto sia dei colleghi che della comunità locale. Oltre alla sua dedizione al dovere, Valenti era un uomo di grande cuore, profondamente radicato nella vita del paese, partecipando attivamente alla vita sociale e offrendo spesso una mano amica a chi ne aveva bisogno. Il commissario Lucia Marini, insieme al suo assistente, arrivò alla stazione dei carabinieri di Dervio nel tardo pomeriggio. Ad accoglierli fu proprio il maresciallo Valenti, un uomo di statura media, con i capelli iniziando a ingrigire e uno sguardo che trasmetteva sia autorità che gentilezza. Marini: "Buonasera, maresciallo Valenti. Sono il commissario Lucia Marini, e questo è il mio assistente. Veniamo dalla questura di Milano per discutere di una questione di particolare importanza." Valenti: "Commissario Marini, benvenuti a Dervio. È un piacere fare la vostra conoscenza. Come posso assistervi?" Marini: "Siamo qui per un'indagine legata al castello di Corenno Plinio. Abbiamo motivo di credere che possa essere in corso un'attività sospetta, forse legata a un gruppo conosciuto come 'I Custodi dell'Ombra'. Siamo interessati a monitorare gli spostamenti nella zona nei prossimi giorni e ci chiedevamo se poteste collaborare con noi inviando delle pattuglie." Valenti annuì, ascoltando attentamente le parole del commissario. Valenti: "Il castello di Corenno Plinio, eh? Sì, è una struttura che ha sempre destato curiosità, anche tra noi del posto. Riguardo alla vostra richiesta, saremo più che felici di assistervi. La sicurezza dei nostri cittadini e la tutela del nostro patrimonio sono priorità assolute." Marini: "Apprezziamo molto la vostra disponibilità, maresciallo. Oltre alle pattuglie, ci sarebbe utile sapere se avete notato recentemente movimenti insoliti o persone sconosciute nei dintorni del castello." Valenti: "Ultimamente la zona è stata tranquilla, ma teniamo sempre gli occhi aperti. Ora che mi avete informato, aumenteremo la nostra vigilanza e vi terremo aggiornati su qualsiasi sviluppo." Nel proseguire la loro conversazione, il commissario Lucia Marini rivolse al maresciallo Marco Valenti un'altra domanda, mirando a scavare più a fondo nelle possibili attività sospette legate al castello di Corenno Plinio. Marini: "Maresciallo, nei vostri anni di servizio qui a Dervio, avete mai notato qualcosa di sospetto riguardante il castello? E, per caso, esiste un'area all'interno o nei pressi del castello che sembra abitata o utilizzata di recente?" Valenti rimase in silenzio per un momento, riflettendo sulle sue esperienze passate e su quanto avesse osservato nel corso degli anni. Valenti: "Commissario, il castello ha sempre avuto un'aura di mistero, come sa. Nel corso degli anni, ci sono stati diversi rapporti di attività sospette, ma nulla che abbiamo potuto confermare concretamente. La maggior parte delle volte, si sono rivelati falsi allarmi o semplici curiosi attratti dalle leggende del castello." Fece una pausa, pensando alla seconda parte della domanda. Valenti: "Per quanto riguarda un'area abitata, il castello è ampio e pieno di vecchi anfratti. Alcune parti sono crollate o sono inaccessibili. Tuttavia, ci sono state occasioni in cui abbiamo trovato tracce che suggerivano una presenza umana recente. Niente di definitivo, intendiamoci, ma accampamenti temporanei o fuochi spenti da poco. Sempre niente che potesse indicare una presenza stabile o permanente." Marini: "Interessante, maresciallo. Queste tracce di presenza umana, avete mai potuto collegarle a qualcuno o a qualcosa in particolare?" Valenti: "Purtroppo no, commissario. La natura isolata del castello e la facilità con cui si può rimanere nascosti tra le sue mura hanno sempre reso difficile tracciare chiunque decida di utilizzarlo per... beh, per qualsiasi scopo. Tuttavia, ora che mi avete informato della vostra indagine, presteremo particolare attenzione a questi dettagli." Marini: "Vi ringrazio, maresciallo. Ogni pezzo di informazione potrebbe essere il tassello che ci manca. La vostra collaborazione è preziosa." Valenti: "Siamo qui per questo, commissario. E se ci fossero sviluppi o se dovessimo trovare qualcosa di concreto, sarete i primi a saperlo." Concludendo il loro colloquio, Marini si sentì un passo più vicina a svelare i misteri del castello di Corenno Plinio. La menzione di segni di presenza umana recente all'interno del castello aggiungeva un ulteriore livello di urgenza alla sua indagine, alimentando la sua determinazione a scoprire la verità nascosta tra le antiche mura. Sciolsero la riunione con una stretta di mano, Marini e Valenti confermarono la loro collaborazione, segnando l'inizio di un'operazione congiunta volta a svelare i segreti che si celavano dietro le antiche mura del castello di Corenno Plinio. Per Marini, l'incontro con Valenti non solo aveva rafforzato le sue speranze di risolvere il caso, ma aveva anche evidenziato la forza della comunità e il valore dell'unione di sforzi per un obiettivo comune. Il municipio di Corenno Plinio si trovava nel centro del piccolo paese, un'antica costruzione in pietra che si ergeva maestosa sulla piazza principale, testimone silenzioso delle generazioni che si erano succedute nel corso degli anni. L'edificio, risalente al XVII secolo, conservava ancora l'eleganza della sua architettura originaria, con i suoi archi in pietra accuratamente lavorati e le finestre ad arco che si affacciavano sulle strette vie acciottolate del paese e sulle acque scintillanti del lago di Como. La facciata era ricoperta di edera, che si arrampicava fino al tetto di tegole rosse, donando all'edificio un aspetto quasi incantato, come se fosse uscito direttamente da una fiaba. Un piccolo orologio, posizionato al centro della facciata sopra l'ingresso principale, scandiva inesorabile il tempo che fluiva lentamente a Corenno Plinio, ricordando agli abitanti l'importanza della storia e delle tradizioni. L'ufficio del sindaco, situato al primo piano, era accessibile attraverso una scala in pietra, anch'essa antica, che cigolava sotto il peso dei passi. Questo spazio, pur essendo funzionale come qualsiasi ufficio moderno, conservava il fascino dell'antico, con mobili in legno scuro che parevano essere stati lì da sempre, librerie colme di volumi polverosi che raccontavano la storia del paese e dei suoi dintorni, e un grande camino in pietra che occupava una parete intera, testimone silenzioso di innumerevoli inverni. La scrivania del sindaco, un massiccio pezzo di falegnameria artigianale, dominava la stanza, collocata davanti a una delle grandi finestre che offrivano una vista mozzafiato sul lago. Sopra la scrivania, tra documenti e cartelle, troneggiava un antico calamaio di ottone, accanto a una penna d'oca che sembrava aspettare solo di essere usata per scrivere il prossimo capitolo della storia di Corenno Plinio. Nonostante l'ufficio fosse dotato di tutti gli strumenti necessari per l'amministrazione moderna, come macchine da scrivere e schedari di metallo, era palpabile una sensazione di rispetto per il passato, come se il sindaco Giorgio Albertini avesse voluto creare un ponte tra le epoche, unendo la saggezza degli antichi alla visione del futuro. Questo spazio non era solo un luogo di lavoro, ma un simbolo dell'identità di Corenno Plinio, un rifugio dove ponderare le decisioni che avrebbero plasmato il destino del paese e dei suoi abitanti. Il sindaco Giorgio Albertini, uomo di mezza età con un viso accorto e occhi scrutatori, era noto per la sua capacità di navigare le complesse dinamiche politiche e sociali di Corenno Plinio. Tuttavia, la sua abilità nel mantenere un certo livello di ambiguità nelle sue risposte lo rendeva una figura enigmatica agli occhi di molti. Quando il sindaco fece il suo ingresso nell'ufficio, il commissario Lucia Marini si alzò in piedi, estendendo la mano in segno di saluto. Albertini, un uomo dall'aspetto curato con un leggero accenno di canizie ai lati della testa, ricambiò il gesto con un sorriso cordiale ma misurato. Marini: "Buongiorno, signor sindaco. Sono il commissario Lucia Marini, della questura di Milano. La ringrazio per avermi concesso questo incontro." Albertini: "Il piacere è mio, commissario. Come posso esserle utile?" Marini: "Vengo direttamente al punto, signor sindaco. Sono qui a Corenno Plinio per una questione che riguarda la sicurezza del paese e, potenzialmente, del territorio circostante. Senza entrare nei dettagli delle nostre indagini, posso dirle che ci sono state segnalazioni di attività sospette che potrebbero avere implicazioni significative." Albertini, ascoltando attentamente, annuì lentamente, mantenendo comunque un'espressione neutra. Albertini: "Capisco. E in che modo pensa che io possa assistervi, commissario?" Marini: "Data la sua posizione e la conoscenza che ha del paese e dei suoi abitanti, qualsiasi informazione su movimenti insoliti o persone sconosciute che avete notato negli ultimi tempi potrebbe essere di grande aiuto. Inoltre, saremmo interessati a sapere se il castello di Corenno Plinio è stato utilizzato per riunioni o eventi recentemente." Il sindaco prese un momento per riflettere prima di rispondere, pesando evidentemente le sue parole. Albertini: "Corenno Plinio è, come sa, un luogo tranquillo, e ci teniamo a preservare questa pace. Tuttavia, comprendo la gravità delle sue parole e la ringrazio per non aver divulgato dettagli che potrebbero allarmare la popolazione senza necessità. Riguardo al castello, non mi risulta che sia stato utilizzato per eventi recenti. È, per la maggior parte, un sito di interesse storico visitato saltuariamente da turisti e studiosi." Marini, ascoltando la risposta del sindaco, non poté fare a meno di percepire un velo di reticenza nelle sue parole. La sua esperienza le suggeriva che, in casi come questo, le omissioni potevano essere tanto significative quanto le informazioni condivise. Con una determinazione rinnovata, il commissario Lucia Marini decise di premere ulteriormente il sindaco Giorgio Albertini, cercando di ottenere informazioni più concrete. Marini: "Signor sindaco, mi permetta di essere più diretta. Ho appreso che lei risiede in una zona del paese da cui si ha una visuale privilegiata del castello. Mi sorprende che, nonostante questa posizione vantaggiosa, non abbia notato nulla di insolito, specialmente considerando che alcuni dei suoi concittadini hanno segnalato movimenti sospetti all'alba." Il sindaco Albertini sembrò per un momento colto di sorpresa dalla diretta osservazione di Marini, e un'ombra di esitazione attraversò il suo volto prima di rispondere. Albertini: "Commissario, la mia abitazione, sebbene abbia effettivamente una vista sul castello, non mi rende onnisciente. Le giornate del sindaco, come può immaginare, iniziano spesso molto presto e terminano tardi, e il mio focus è, naturalmente, rivolto verso il benessere del paese e dei suoi abitanti." Marini: "Capisco le responsabilità che ricadono su di lei, signor sindaco, ma stiamo parlando di segnalazioni di attività sospette in un luogo così carico di storia e mistero come il castello di Corenno Plinio. Attività che potrebbero avere implicazioni ben più ampie per la sicurezza pubblica. È davvero possibile che queste siano passate completamente inosservate da parte sua?" Albertini sembrò riflettere per un momento prima di rispondere, misurando attentamente le sue parole. Albertini: "Commissario Marini, la mia priorità è, e sarà sempre, la sicurezza e il benessere di Corenno Plinio e dei suoi abitanti. Tuttavia, devo ammettere che le sue parole hanno suscitato in me una certa preoccupazione. Rifletterò su quanto mi ha detto e, se dovessero emergere informazioni rilevanti che potrebbero assistere nelle sue indagini, le assicuro che non esiterò a contattarla." Marini: "La ringrazio per la sua collaborazione, signor sindaco. Spero che possiamo contare sul suo supporto continuo mentre procediamo con le nostre indagini." Albertini: "Naturalmente, commissario. La sicurezza dei miei concittadini è la mia priorità. Non esiti a contattarmi se ci fosse altro in cui posso essere d'aiuto." Concludendo il loro colloquio, Marini non poté fare a meno di sentirsi ancora in qualche modo insoddisfatta. Sebbene Albertini avesse infine mostrato una certa apertura, la sua risposta rimaneva avvolta in un velo di ambiguità che lasciava il commissario con più domande che risposte. Determinata a scoprire la verità nascosta dietro le mura del castello di Corenno Plinio, Marini sapeva che il suo lavoro era tutt'altro che finito. La strada per la verità si annunciava lunga e tortuosa, ma era decisa a percorrerla fino in fondo.
SCOPRI DI PIU'Gli acciai inossidabili, per quanto molto resistenti alla corrosione, possono essere attaccati in particolari condizionidi Marco ArezioIl trattamento chimico degli acciai ha permesso la formazione di un ampio spettro di caratteristiche qualitative che questi metalli esprimono nei prodotti finiti. Cosa sono gli acciai inossidabili Gli acciai inossidabili sono una famiglia di acciai legati che contengono un minimo del 10,5% di cromo. La presenza di cromo conferisce a questi acciai la loro caratteristica "inossidabilità" o resistenza alla corrosione. Ciò accade perché il cromo reagisce con l'ossigeno nell'aria per formare uno strato molto sottile e stabile di ossido di cromo. Questo strato protegge il materiale sottostante dalla corrosione. Oltre al cromo, gli acciai inossidabili possono contenere altri elementi leganti, come il nichel, il molibdeno, il titanio e il rame, che possono migliorare ulteriormente la resistenza alla corrosione, oltre a modificare altre proprietà dell'acciaio, come la resistenza meccanica, la resistenza al calore e la formabilità. Gli acciai inossidabili possono essere suddivisi in varie classi, tra cui: Acciai inossidabili ferritici Contengono cromo ma poco o nessun nichel. Sono magnetici e hanno una buona resistenza alla corrosione e alla formabilità, ma una resistenza meccanica inferiore rispetto ad altri acciai inossidabili. Acciai inossidabili austenitici Questi sono i più comuni acciai inossidabili e contengono alto cromo e nichel. Non sono magnetici e hanno una eccellente resistenza alla corrosione, oltre a buone proprietà meccaniche e di formabilità. Acciai inossidabili martensitici Contengono cromo e un livello moderato di carbonio. Sono magnetici e possono essere indurite mediante trattamento termico. Hanno una buona resistenza meccanica, ma una resistenza alla corrosione inferiore rispetto ai tipi ferritici e austenitici. Acciai inossidabili duplex Combinano caratteristiche sia degli acciai ferritici che degli acciai austenitici. Hanno una resistenza molto alta alla corrosione e una resistenza meccanica superiore rispetto agli acciai inossidabili austenitici. Differenza tra l'acciaio e l'acciaio inossidabile Per un neofita la differenza tra un acciaio e un acciaio inossidabile a volte potrebbe sfuggire, ma in realtà sono due prodotti essenziali, ma con caratteristiche differenti. L'acciaio e l'acciaio inossidabile sono entrambi leghe di ferro, ma differiscono per la loro composizione chimica e per le proprietà che ne derivano. L'acciaio è una lega composta principalmente da ferro e carbonio. La quantità di carbonio può variare, ma di solito si trova tra lo 0,2% e il 2,1% in peso. L'aggiunta di questo composto all'acciaio aumenta la sua durezza e resistenza, ma rende anche l'acciaio più suscettibile alla corrosione. Inoltre, altri elementi come il manganese, il silicio e il fosforo, possono essere presenti in piccole quantità. L'acciaio inossidabile, come abbiamo visto, è un tipo di acciaio che contiene almeno il 10,5% di cromo. Questo, reagisce con l'ossigeno dell'aria, formando un sottile strato di ossido di cromo sulla superficie del metallo. Lo scopo dello strato è proteggere l'acciaio sottostante dalla corrosione. Altri elementi, come il nichel, il molibdeno e il titanio, possono essere aggiunti per migliorare ulteriormente le proprietà dell'acciaio inossidabile. Corrosione degli acciai inossidabili La corrosione degli acciai inossidabili non è impossibile ed è importante, se li si usa, conoscere come e perché avviene questo fenomeno. Questa può avvenire in vari modi, ma in generale, questi materiali sono noti per la loro resistenza alla corrosione, grazie alla loro capacità, come abbiamo detto, di formare uno strato di ossido di cromo sulla superficie. Tuttavia, ci sono diverse situazioni in cui gli acciai inossidabili possono subire corrosione: Corrosione intergranulare Questo tipo di corrosione avviene lungo i confini del grano nel materiale e può essere causato da un trattamento termico o da saldature inappropriati. Corrosione da pitting Si può verificare quando piccole depressioni o "buchi" si formano sulla superficie dell'acciaio inossidabile. È particolarmente comune in ambienti con alta concentrazione di cloruri. Corrosione da sforzo E’ una particolare tipo di corrosione che può avvenire quando l'acciaio inossidabile è sottoposto a stress meccanico in presenza di un ambiente corrosivo. Corrosione galvanica Può avvenire quando due metalli diversi vengono messi a contatto in presenza di un elettrolita, causando il deterioramento del metallo meno nobile (in questo caso, l'acciaio inossidabile). La prevenzione della corrosione degli acciai inossidabili coinvolge una combinazione di scelte tra materiale corretto, design appropriato, buone pratiche di fabbricazione e, se necessario, l'uso di rivestimenti protettivi o trattamenti di superficie. Dove si impiegano gli acciai inossidabili Gli acciai inossidabili sono utilizzati in una vasta gamma di applicazioni grazie alla loro resistenza alla corrosione, resistenza meccanica, e alla possibilità di formarli in una varietà di forme. Ecco alcuni esempi di dove vengono impiegati: Cucina e utensili da cucina Posate, pentole, elettrodomestici da cucina e superfici di lavoro spesso utilizzano acciaio inossidabile a causa della sua resistenza alla corrosione, facilità di pulizia e aspetto attraente. Industria alimentare e bevande E’ usato nelle apparecchiature per la produzione alimentare e di bevande a causa della sua resistenza alla corrosione, facilità di pulizia e resistenza alla contaminazione. Industria chimica e petrolchimica Le apparecchiature e le tubazioni in queste industrie spesso utilizzano acciaio inossidabile a causa della sua resistenza alla corrosione da una vasta gamma di sostanze chimiche. Costruzione e architettura E’ utilizzato in vari elementi architettonici, inclusi rivestimenti di edifici, grondaie e balaustre. È apprezzato per la sua resistenza alla corrosione e il suo aspetto moderno. Industria medica Gli strumenti chirurgici, gli impianti ortopedici e le apparecchiature ospedaliere Come si ricicla l'acciaio inossidabile Infine, dopo aver visto le caratteristiche chimico – fisiche e l’impiego di questo prezioso elemento vediamo come si può riciclare. L'acciaio inossidabile è altamente riciclabile e il suo riciclo avviene in diversi passaggi: Raccolta Il primo passo nel riciclo dell'acciaio inossidabile è la raccolta dei materiali usati. Questi possono provenire da una varietà di fonti, inclusi elettrodomestici, automobili, costruzioni e demolizioni, e scarti industriali. Separazione Dopo la raccolta, i materiali vengono separati in base al tipo di metallo. Questo può essere fatto manualmente o utilizzando macchinari specializzati come i separatori magnetici (l'acciaio inossidabile è generalmente non magnetico o debolmente magnetico, a differenza di altri tipi di acciaio). Preparazione Una volta separato, l'acciaio inossidabile viene preparato per il riciclo. Questo può includere operazioni come la triturazione e il taglio in pezzi più piccoli, per facilitare la fusione. Fusione Viene poi fuso in un forno ad alta temperatura, durante questo processo, può essere combinato con nuovi materiali per produrre la lega desiderata. Modellazione Dopo la fusione, l'acciaio inossidabile fuso può essere colato in forme, laminato in lastre o trafilato in fili, a seconda dell'applicazione prevista. Uno dei vantaggi del riciclo dell'acciaio inossidabile è che non perde le sue proprietà fisiche o chimiche durante il processo di riciclo, il che significa che può essere riciclato all'infinito senza degradazione.
SCOPRI DI PIU'