La tecnica di recupero dei materiali preziosi nei rifiuti elettrici ed elettronici RAEEDa tempo, il sistema della gestione e recupero dei rifiuti in Europa ha avviato un proficuo lavoro di riciclo degli scarti da post consumo, anche se con modalità e risultati differenti da paese a paese. In particolare le filiere più consolidate ad oggi sono quelle della carta, del vetro, del metallo, del legno e della plastica, da cui si ricavano annualmente ingenti risorse, in termini di materia prima seconda, che vengono impiegate nuovamente per la realizzazione dei prodotti. Basti pensare alla filiera dell’alluminio o del vetro che hanno un tasso di riciclo molto alto, permettendo di riutilizzare, in modo continuativo, il rifiuto nella produzione di articoli, minimizzando il ricorso alle materie prime naturali. Nel mondo dei rifiuti ci sono anche filiere di riciclo poco sviluppate, che presentano numeri di crescita potenzialmente molto alti e promettenti, dalle quali ci si attende un contributo sostanziale per il riciclo di preziosi elementi chimici che, diversamente, dovremmo estrarre dalla natura. Mi riferisco ai rifiuti elettrici ed elettronici, i materiali da costruzione, gli inerti, e altri materiali che possono contribuire in maniera importante a migliorare la critica situazione delle materie prime sul mercato internazionale. Alcuni metalli, per esempio, sono più difficili da trovare sul mercato e il loro costo è diventato quasi proibitivo, nello stesso tempo, non avendo sviluppato una filiera di recupero efficiente, vengono buttati in discarica. Un riferimento specifico al problema può essere rappresentato dai rifiuti RAEE, le cui percentuali di recupero dei componenti sono ancora abbastanza limitate, rispetto alle tonnellate di scarti che annualmente vengono buttate ogni anno nel mondo. All’interno dei rifiuti RAEE troviamo materie prime estremamente pregiate, come l’oro, l’argento, le terre rare e altri numerosi metalli che, per quanto estremamente preziosi, non sono facili da recuperare. Una via è quella di sottoporre i rifiuti elettrici ed elettronici, dopo la loro selezione e macinazione, alla cosiddetta idrometallurgia, un insieme di tecniche chimiche e chimico-fisiche, che permette l’estrazione dai rifiuti dei minerali preziosi da recuperare. Cosa è e come avviene il processo Idrometallurgico? Il processo Idrometallurgico si occupa del trattamento in fase liquida dei rifiuti elettrici ed elettronici, degli scarti industriali o di altre tipologie di rifiuti, finalizzate al recupero dei metalli presenti. Il processo può essere diviso in due fasi, per semplificare il processo:1. Liscivazione: consiste della dissoluzione del rifiuto da trattare attraverso l’impiego di una soluzione specifica, permettendo la dissoluzione dell’elemento solido e la stabilità dei componenti. 2. Separazione e purificazione del metallo: dal processo di lisciviazione si ricava una soluzione contenente ioni metallici e molte altre impurità. A questo punto può essere necessario trattare in maniera opportuna la soluzione (ad esempio tramite una filtrazione per rimuovere eventuali solidi sospesi, o variando alcuni parametri operativi, quali la temperatura o il pH della soluzione stessa), prima di procedere alle fasi successive del recupero del metallo. Le operazioni di recupero e purificazione possono essere completate tramite le seguenti fasi: • precipitazione/cristallizzazione • scambio ionico • estrazione con solvente • elettrodeposizione Per l’estrazione delle sostanze da recuperare si utilizza un solvente, attraverso una fase definita “estrazione liquido-liquido”, che è un processo per cui una fase liquida viene trasferita ad un’altra fase liquida ma non miscibili tra loro. Per realizzare questa operazione viene utilizzato un estraente, cioè una molecola avente proprietà complessanti che, reagendo secondo vari meccanismi con una sostanza disciolta nella fase acquosa, è in grado di estrarla. Queste due fasi, dissolvente ed estraente, costituiscono la fase organica, le cui peculiarità sono: • l’alta selettività che permette quindi la separazione di metalli con proprietà molto simili • possibilità di trattare scarti e residui industriali • elevati fattori di separazione che consentono di ottenere prodotti con un grado di purezza estremamente elevato • impiantistica semplice, flessibile e facilmente automatizzabile • impianti con impatto ambientale contenuto (i solventi sono continuamente riciclati e si opera prevalente-mente a temperatura ambiente) • basso consumo energetico • possibilità di trattare matrici contenenti basse concentrazioni di metalli per i costi di processo contenuti.Categoria: notizie - idrometallurgia - economia circolare - riciclo - rifiuti - metalli - rottame
SCOPRI DI PIU'Per anni le lobbies del petrolio, carbone e gas hanno fatto di tutto per poter estendere il loro potere, anche quando gli scienziati davano chiare e nette indicazioni sulla necessità di ridurre in tempi brevi le emissioni in atmosfera. Etichettati come catastrofisti e messi in secondo piano, in modo che l'opinione pubblica non desse troppo risalto ai loro allarmi, hanno continuato l'estrazione e la raffinazione delle risorse naturali fossili cercando di crearsi un'immagine più green possibile. Oggi che il movimento ambientalista mondiale è fatto anche dalla gente comune e non solo dagli attivisti, la spinta verso le energie rinnovabili ha trovato un valido alleato nella finanza, mettendo in crisi il castello dei produttori di petrolio, gas e carbone. Troviamo interessante l'articolo scritto da Bill McKibben, giornalista e ambientalista, è leader della campagna per la decarbonizzazione 350.org. La minaccia del supervisore di disinvestire miliardi dai combustibili fossili è una grande vittoria per gli ambientalisti. L’intero portafoglio sarà decarbonizzato nel corso dei prossimi due decenni. La mossa rappresenta una serie di capitolazioni che, nel complesso, stanno ad indicare che l’industria dei combustibili fossili, un tempo dominante, ha raggiunto il minimo del suo potere finanziario e politico. Il supervisore dei conti dello stato di New York, Thomas DiNapoli, ha annunciato che lo stato inizierà a disinvestire parte dei 226 miliardi di dollari del fondo pensione dei suoi dipendenti dalle aziende produttrici di gas e petrolio se entro quattro anni queste non produrranno un business plan in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Storicamente, tali investimenti ammontano a circa 12 miliardi di dollari. L’intero portafoglio sarà decarbonizzato nel corso dei prossimi due decenni. “Portare a zero le emissioni di CO2 entro il 2040 metterà il fondo in una posizione di forza rispetto al futuro delineato dall’accordo di Parigi,” ha dichiarato DiNapoli. Si tratta ovviamente di una vittoria importante per gli attivisti che per otto anni hanno cercato di convincere Albany a disinvestire dai combustibili fossili e per la campagna globale per i disinvestimenti nel suo complesso. Fondi e portafogli per un valore complessivo di oltre 14 mila miliardi di dollari hanno già aderito. Questa nuova mossa è la più sostanziosa da parte di un fondo pensioni americano e segue quella del fondo pensioni della città di New York, gestito da Scott Stringer, che nel 2018 ha annunciato di voler disinvestire dai combustibili fossili cinque dei suoi quasi duecento miliardi di dollari nell’arco di cinque anni. Ha però anche un altro significato: quello di una serie di capitolazioni che, nel complesso, stanno ad indicare che l’industria dei combustibili fossili, un tempo dominante, ha raggiunto il minimo del suo potere finanziario e politico. La prima capitolazione è quella degli investitori, che si sono resi conto che la maggior parte delle Big Oil semplicemente non rappresenta un partner credibile per il cambiamento. DiNapoli ha sostenuto a lungo la necessità di dialogare con le aziende produttrici di combustibili fossili, convinto che, se i grandi azionisti avessero iniziato a esprimere preoccupazione, le aziende avrebbero cambiato rotta. Ed è così che dovrebbero andare le cose: DiNapoli stava avvisando le aziende che la loro strategia non metteva a rischio solo il pianeta ma anche i loro affari. Avrebbero dovuto dargli retta. Invece l’hanno ignorato più e più volte. Nel dicembre del 2017, per esempio, su sollecitazione di DiNapoli, Exxon Mobil aveva accettato di “analizzare il modo in cui gli sforzi a livello mondiale per implementare gli obiettivi dell’accordo di Parigi e ridurre il riscaldamento globale avrebbero impattato sul suo business”, come riferì all’epoca lo stesso supervisore. Avrebbe potuto essere un punto di svolta. Due mesi dopo però Exxon pubblicò gli assurdi risultati di quell’analisi: l’accordo di Parigi non avrebbe avuto nessun effetto sul suo business e quindi Exxon avrebbe potuto continuare a estrarre petrolio e gas dalle sue riserve. (Documenti trapelati in seguito mostrano chiaramente che Exxon progettava invece di aumentare in maniera significativa le proprie emissioni, accelerando la produzione.) Nella sua dichiarazione DiNapoli aveva detto che il disinvestimento restava “l’ultima spiaggia”. Ma aveva anche precisato che si trattava di “uno strumento che si può usare nei confronti di quelle aziende che mettono sistematicamente a rischio il valore a lungo termine dei nostri investimenti”. Per molto tempo le aziende petrolifere hanno cercato di accreditarsi come un partner responsabile nel contrasto al cambiamento climatico, in opposizione agli attivisti pro-disinvestimento, giudicati “poco realisti”. La Independent Petroleum Association of America ha persino creato un sito web contro i disinvestimenti per fare pressione sui decisori come DiNapoli affinché non sottraggano alle Big Oil il denaro sottoposto al loro controllo. A DiNapoli va il merito di aver affrontato, anche se tardi, un’industria ancora molto potente. Oggi si posiziona accanto a Stringer come uno dei principali sostenitori dell’attivismo climatico nel settore finanziario. E ha la credibilità indiscutibile di chi prima ha cercato di agire in modo collaborativo. Oggi altri investitori sono pronti a seguirlo, non solo per via del rischio climatico, ma anche perché l’industria dei combustibili fossili è ormai da molti anni il settore dell’economia americana con le performance peggiori. Il settore affronta due tipi di problemi: da una parte un vasto movimento di resistenza, motivato dal fatto innegabile che i suoi prodotti stanno danneggiando il clima del pianeta. Dall’altra, sul versante dell’eolico e del solare, concorrenti tecnologicamente formidabili in grado di offrire un servizio analogo ma più ecologico e più economico. Queste due realtà finiranno per distruggere i baroni del carbone, del gas e del petrolio, resta solo da capire quando. A questo punto le Big Oil possono solo prendere tempo, ma diventa sempre più difficile farlo, specialmente ora che, con la fine dell’amministrazione Trump, sta per cadere lo scudo protettivo di cui hanno goduto. Ci sono i primi segni che questa seconda capitolazione, la resa delle aziende petrolifere alla realtà dei fatti, sia iniziata. Una delle cosiddette supermajor, la BP PLC, ha annunciato quest’estate l’intenzione di tagliare del 40% la produzione di petrolio e gas nell’arco di un decennio e di aumentare in maniera significativa gli investimenti in energie rinnovabili. Gli attivisti per il disinvestimento hanno tutte le ragioni per essere scettici: già nel 2000 BP, coniando lo slogan “Beyond Petroleum”, aveva annunciato di voler andare “oltre il petrolio”, intenzione presto abbandonata. Questa volta però almeno i contenuti sono buoni. “Il prossimo decennio,” si legge in una dichiarazione dell’ad di BP, “sarà critico per la lotta mondiale al cambiamento climatico. Per ottenere i cambiamenti necessari nel sistema globale dell’energia ci sarà bisogno dello sforzo di tutti.” Persino dalle parti di Exxon sembra che stia iniziando una specie di capitolazione silenziosa. Se nel 2013 Exxon era la più grande azienda del mondo, quest’autunno non è più nemmeno la più grande del settore energetico: NextEra Energy, un fornitore di energie rinnovabili con sede in Florida, ha brevemente superato il suo valore di mercato. La settimana scorsa Exxon ha messo le carte in tavola, rivelando l’intenzione di tagliare il budget assegnato alle esplorazioni e alle spese in conto capitale dai previsti 30 miliardi per quest’anno e 35 per il successivo a circa la metà e di voler cancellare circa 20 miliardi di riserve di gas naturale che, oggi lo riconosce, non estrarrà mai. Il declino delle aziende produttrici di gas e petrolio è finalmente iniziato e ricorda il crollo dell’industria del carbone nello scorso decennio, crollo che DiNapoli ha contribuito a rendere più rapido l’estate scorsa, con il disinvestimento dal carbone del fondo pensioni dello stato di New York. Il declino di Big Oil non significa solo meno emissioni a lungo termine, significa anche meno influenza politica a breve termine e quindi meno forza per rallentare i passi necessari per la transizione all’energia pulita. L’influenza di Big Oil sul partito repubblicano rimane forte, ma il presidente eletto Joe Biden non dovrà affrontare lo stesso colosso con cui hanno avuto a che fare i suoi predecessori. Il fatto che DiNapoli riesca a opporsi a queste forze è un buon indicatore di quello che la nuova amministrazione potrà ottenere. Il mese scorso è stato il novembre più caldo della storia a livello globale e sembra sempre più certo che, nonostante il crescente raffreddamento provocato da La Niña nel Pacifico, il 2020 raggiungerà o supererà il record dell’anno più caldo. Il pianeta si sta scaldando rapidamente ma, come le notizie da Albany ci fanno capire, altrettanto vale per il movimento che vuole contrastarne il riscaldamento.
SCOPRI DI PIU'Spesso può capitare che quello che pensi della tua azienda non sia quello che il mercato pensa di lei e, non sapendolo, è facile non poter intervenireNelle piccole e medie aziende, dove il ruolo del proprietario o del manager preposto alla direzione sono il fulcro dell’attività, può essere facile avere una visione non del tutto precisa di come l’azienda viene vista dal mercato. Osservare la propria azienda dall’interno, tutti i giorni, nella sua globalità o attraverso le attività dei vari rami aziendali, si possono creare impressioni sul lavoro, sulla potenzialità, sul servizio, sulle relazioni con i clienti e fornitori, sul grado di apprezzamento delle attività e sulla fidelizzazione nel tempo, che potrebbero essere di parte e non del tutto obbiettive. Quando si presentano problemi importanti in uno di questi settori, la direzione mette in moto tutta una serie di azioni, collaudate, che hanno lo scopo di risolvere la controversia o l’insoddisfazione palese che si è manifestata. Ma le azioni che potrebbero migliorare, ogni giorno, l’importanza del marchio, incrementare le vendite, posizionare l’azienda su nuovi mercati, aumentare la soddisfazione della clientela, far crescere la fiducia da parte dei fornitori, quando non si palesano criticità, sono più difficili da intercettare e capire dall’interno. E’ difficile rendersi conto del livello di gradimento che il mercato ha dei vari settori aziendali, in quanto raramente si mettono in pratica procedure di quantificazione della soddisfazione della clientela e dei fornitori, forse per la paura di ricevere critiche. Risulta quindi di fondamentale importanza la collaborazione con un consulente, specializzato nel mercato di riferimento dell’azienda, il quale ha lo scopo di studiare il flusso di lavoro da una posizione esterna, che gli permette, conoscendo le dinamiche del mercato dalle due parti (fornitori e clienti), di capire in modo indipendente cosa si potrebbe migliorare all’interno dell’azienda. Un’analisi dei vari settori aziendali permette di capire il grado di comunicazione interna, la qualità dei servizi offerti rispetto alle aspettative dei clienti verso l’azienda, l’esistenza e l’efficacia o meno della comunicazione esterna e la capacità di risolvere i problemi, che si generano lavorando, in modo costruttivo. La consulenza su questi aspetti permette all’imprenditore di acquisire nozioni e proposte di miglioramento, da un punto di vista non influenzato dal ritmo quotidiano di lavoro e dall’abitudine dell’esecuzioni di procedure aziendali standard, ma cerca di portare una valutazione critica della valenza della società sul mercato. La cosa peggiore è pensare di essere una corazzata e venire etichettati come un piccolo natante, senza saperlo.
SCOPRI DI PIU'Il problema dell'inquinamento prodotto dal traffico veicolare leggero e ancora di più da quello pesante, è sempre molto attuale per chi ha responsabilità politiche per trovare efficaci soluzione per ridurre le emissioni nocive e garantire la mobilitò civile e commerciale.Sul banco degli imputati è salito il carburante diesel che, nonostante i recenti sistemi di intercettazione del particolato emesso nelle marmitte e i nuovi motori meno inquinanti, continua a destare molta preoccupazione.Con l'avvento del biogas si è aperto un nuovo scenario sulla mobilità verde, con un doppio vantaggio che consiste nella riduzioni delle emissioni nell'ambiente e l'utilizzo dei residui umidi dei rifiuti domestici.Total ha inaugurato la più grande stazione di rifornimento francese dedicata esclusivamente al gas naturale per veicoli (NGV) e bioNGV, con la presenza in loco di Jean-Baptiste Djebbari, ministro delegato per i trasporti francese. Situata nel cuore della piattaforma logistica di Gennevilliers, il secondo porto fluviale più grande d'Europa, questa stazione è ora aperta 24 ore su 24, 7 giorni su 7 ai professionisti (B2B) e ai clienti B2C. Sarà gestito da Total per i prossimi 10 anni.Tale concessione è stata attribuita a Total da Sigeif Mobilités (società semipubblicata fondata da Sigeif e dalla Caisse des Dépôts) tramite gara. Sosterrà lo sviluppo di nuove mobilità nella regione dell'Île-de-France e diventerà un luogo strategico per la fornitura di NGV e bioNGV per l'area Grand Paris (che comprende la città di Parigi e le sue 130 città circostanti) e oltre. Questa stazione a marchio Total distribuirà NGV come gas naturale compresso (CNG) e sarà fornita al sito da GRTgaz, per la prima volta in Francia attraverso la sua rete di fornitura di gas ad alta pressione. La stazione sarà in grado di distribuire fino al 100% di bioNGV, in quanto gli utenti hanno la possibilità di scegliere e regolare, direttamente alla pompa e contrattualmente per i clienti B2B, tra diversi tassi di incorporazione di biometano. " Questa apertura della più grande stazione di rifornimento di NGV e bioNGV della Francia è motivo di orgoglio per i nostri team " , afferma Guillaume Larroque, Presidente di Total Marketing France . “ La nostra ambizione è chiara: diventare leader nella distribuzione di NGV e bioNGV in Europa, con 450 stazioni gestite Total entro il 2025, di cui 110 in Francia. Questa stazione è anche un modello per i nostri futuri sviluppi in Europa, dove Total si impegna a raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050 o prima, per i prodotti utilizzati dai nostri clienti. Il nostro obiettivo di un tasso del 50% di incorporazione di biometano contribuirà direttamente ad esso . " Jean-Jacques Guillet, presidente di Sem Sigeif Mobilités , si rallegra del lancio di questa stazione, un nuovo mattone nella rete di stazioni di rifornimento di NGV / bioNGV che Sigeif ha avviato e avviato nel 2014. " Questa stazione all'interno del porto di Gennevilliers è una infrastrutture essenziale, che si inseriscono nel piano in corso per migliorare la qualità dell'aria nella regione dell'Île-de-France. Le società situate nel porto hanno ora la possibilità di utilizzare un carburante pulito per le loro consegne urbane a Parigi e nelle città vicine occidentali, il tutto coperto da una zona a basse emissioni attualmente in fase di implementazione ". Jean-Baptiste Djebbari, Ministro delegato per i trasporti, dichiara : “ Saluto l'apertura della più grande stazione di rifornimento per autocarri di NGV e bioNGV della Francia. Le aziende dedite al trasporto su strada di merci e persone sono alla continua ricerca di soluzioni alternative al diesel per il proprio mix energetico. Al di là della forte riduzione delle emissioni di CO2, il vantaggio delle tecnologie NGV e bioNGV è la loro disponibilità immediata, diffusa in tutti i segmenti. Abbiamo rinnovato le politiche di supporto per questi veicoli fino alla fine del 2024, al fine di fornire alle aziende visibilità e consentire loro di impegnarsi in questa transizione ". Valérie Pécresse, Presidente della Regione Île-de-France, Presidente dell'Île-de-France Mobilités, dichiara : "La riduzione dell'inquinamento causato dal traffico stradale è un problema di salute pubblica per la protezione dell'ambiente e per il clima. Sono orgoglioso che la regione Ile-de-France ne abbia fatto una delle sue priorità e abbia contribuito alla creazione della stazione di servizio Total - Sigeif Mobilités nel porto di Gennevilliers, la più grande mai costruita in Francia. Il suo collegamento alla rete del gas e la sua vicinanza sia ai propri clienti nel business della logistica che alla futura unità di metanizzazione dei rifiuti organici - che sosteniamo - ne fa un caso esemplare di economia circolare. Il governo regionale accelera lo sviluppo dell'utilizzo di NGV e bioNGV per autocarri e veicoli commerciali in Île-de-France, attraverso la sua partecipazione al Sem Sigeif Mobilités, ma anche attraverso un'ambiziosa politica di sussidi a sostegno dell'acquisizione di veicoli compatibili con il metano da parte di piccole e medie imprese. Tuttavia, la regione è anche leader con la transizione energetica della flotta di autobus Île-de-France Mobilités. " Lo sviluppo di questa stazione e la sua apertura al pubblico che già utilizza NGV completerà la rete Total esistente in Francia e consentirà a un numero crescente di professionisti del trasporto e della logistica dell'area della Grande Parigi di convertirsi a GNV in condizioni ottimizzate. Total li aiuterà quindi a cambiare le loro flotte di veicoli (autocarri pesanti, autobus, camion della nettezza urbana, veicoli commerciali ...) a NGV e bioNGV.Total info
SCOPRI DI PIU'La decarbonizzazione del trasporto marittimo è uno tra i molti punti da affrontare se si vuole, in modo definitivo e programmato, arrivare alla totale mobilità sostenibileLa fotografia attuale del trasporto marittimo, sia commerciale che civile, vede il costante transito dei cargo, tra un continente e l'altro, che consumano migliaia di tonnellate di carburante per viaggio, quota di consumo che si deve moltiplicare per le migliaia di navi presenti costantemente sui mari, e moltiplicati per centinaia di migliaia di viaggi all'anno. Questa enorme, incredibile, quantità di carburanti fossili, potrebbe venire sostituita da biocarburanti che provengono dalla lavorazione degli scarti della raccolta differenziata, dagli scarti animali e vegetali. Un progetto in questo senso è stato iniziato attraverso l'impegno di una società operante nel settore dei biocarburanti, che ha firmato un contratto di fornitura di propellenti verdi per la navigazione marittima.Infatti, Eni Sustainable Mobility e Saipem hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) con l’obiettivo di utilizzare carburanti di natura biogenica sui mezzi navali di perforazione e costruzione di Saipem, con particolare riferimento alle operazioni nell’area del Mare Mediterraneo. Saipem ha una flotta che opera in tutto il mondo che è composta da 45 mezzi navali per la costruzione e la perforazione. Il MoU rappresenta un'importante pietra miliare per Eni e Saipem, a conferma dell'impegno reciproco nella diversificazione delle fonti energetiche e nella riduzione dell'impronta carbonica nelle operazioni offshore. Eni produce biocarburanti sin dal 2014, grazie alla riconversione delle raffinerie di Venezia e Gela in bioraffinerie, che dalla fine del 2022 sono olio di palme free. Tramite la tecnologia proprietaria Ecofining™ vengono trattate materie prime vegetali o di scarti animali e prodotti biocarburanti HVO (Hydrotreated Vegetable Oil, olio vegetale idrogenato). I biocarburanti sono uno dei pilastri del piano strategico Eni per il raggiungimento della carbon neutrality al 2050, attraverso un percorso di decarbonizzazione che punta all’abbattimento delle emissioni di processi industriali e prodotti. Tale accordo, in particolare, si inscrive nell’ambito della realizzazione della strategia di Saipem per la riduzione delle emissioni GHG ed implementa, insieme alle altre iniziative e agli investimenti previsti dal piano strategico del Gruppo, il percorso per la riduzione delle proprie emissioni di scopo 1 e scopo 2 entro il 2035 e il raggiungimento dell’obiettivo di Net Zero (incluso scopo 3) al 2050. L’accordo farà leva sull'esperienza e sulle competenze di entrambi i partner. Eni Sustainable Mobility, tra i primi produttori di biocarburanti in Europa, mette a disposizione le proprie conoscenze nel fornire soluzioni per la riduzione delle emissioni di carbonio. Saipem, attraverso il suo impegno nella transizione energetica, mira ad aumentare l'uso di carburanti alternativi sui propri mezzi per ridurre le proprie emissioni e quelle dei suoi clienti. Grazie all’utilizzo di combustibili di origine biogenica, Saipem punta a ridurre l’emissione di circa 550.000 Tonnellate di CO2eq per anno, pari a circa il 60% delle sue emissioni di scopo 1 totali annue. Fonte ENI
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