Non più riciclo meccanico o chimico: si apre l'era del riciclo fisico di Marco ArezioIl settore del riciclo dell'ABS proveniente dai Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE) sta vivendo un momento di intensa innovazione grazie al lavoro congiunto tra l'ente olandese TNO e l'azienda spagnola Elix Polymers. Il loro obiettivo è sviluppare una metodologia alternativa sia al riciclo meccanico che a quello chimico, focalizzandosi su un processo di dissoluzione che permetta di separare i polimeri dai pigmenti, dagli additivi e da altri contaminanti. Questa tecnica, definita di riciclo fisico, utilizza solventi per dissolvere il materiale plastico, consentendo il recupero di polimeri di qualità superiore rispetto a quanto ottenibile con il riciclo meccanico, e si caratterizza per un minore consumo energetico e maggiori rendimenti rispetto al riciclo chimico. Durante questo processo, il polimero non viene scomposto in monomeri, evitando l'uso di alte temperature. Mark Roelands, un ricercatore di spicco presso TNO, ha indicato che l'obiettivo per il 2024 è avanzare nella decontaminazione dell'ABS, puntando non solo a rimuovere pigmenti e ritardanti di fiamma ma anche a separare le particelle di gomma. Ciò permetterebbe di sostituirle con altre nuove, contribuendo a "ringiovanire" l'ABS. Questo approccio si prevede di implementare ulteriormente con la creazione di un impianto pilota a Rijswijk, nei Paesi Bassi, durante l'estate. Dal lato di Elix Polymers, Toni Prunera Casellas, responsabile R&D, ha sottolineato come la collaborazione con TNO abbia permesso il recupero di ABS da RAEE di alta qualità, tanto che Electrolux ha già utilizzato questa resina, mescolata con polimero vergine, per la produzione di componenti di lavatrici. La ricerca e lo sviluppo in questo campo stanno andando avanti con l'intento di espandere le applicazioni del riciclo oltre i rifiuti elettronici, includendo anche le automobili a fine vita, per una rimozione ancora più efficace di pigmenti e additivi. Nonostante la ricerca specifica sul riciclo dell'ABS nei RAEE non abbia trovato aggiornamenti recenti nel contesto delle fiere e conferenze di settore, eventi come Waste Management Europe 2024 a Bergamo e Ecomondo 2024 a Rimini rappresentano piattaforme cruciali dove condividere best practice, innovazioni e sviluppi in ambito di economia circolare, riciclo e gestione dei rifiuti. Questi incontri internazionali offrono un'occasione unica per professionisti del settore di incontrarsi, scambiare idee e collaborare per affrontare le sfide legate alla sostenibilità ambientale. Fonte Polimerica
SCOPRI DI PIU'Polipropilene e polietilene da post consumo sembra non possano convivere, ma non è sempre cosìdi Marco ArezioA volte anche le copie più diverse, con attitudini e caratteristiche lontane, con temperature caratteriali agli opposti, con tenacità e debolezze differenti, nella loro unione trovano un equilibrio. Anche il PP/PE questo equilibrio sembra averlo trovato. Nel campo dei polimeri che derivano dalla raccolta differenziata esistono delle famiglie che sono composte da due o più polimeri differenti, come per esempio l’unione tra il polietilene e il polipropilene. Apparentemente sembrano due mondi molto lontani tra loro che, per necessità di consumo dei rifiuti plastici, si è arrivati ad attribuire al nuovo compound una posizione nel mercato dei polimeri. La materia prima che costituisce questa unione, derivando dall’input della raccolta differenziata, si presenta normalmente già miscelata, ed è costituita da parti rigide e da parti flessibili dello scarto plastico domestico. Nel corso degli anni questo mix “naturale” si è molto modificato, in quanto è stato necessario estrarre dalle balle dei rifiuti, una quota sempre più lata di plastiche nono componenti, come il polipropilene, il polietilene di alta e bassa densità. Infatti si è puntato molto sull’estrazione della frazione di polipropilene per destinarlo ad un mercato autonomo. Quello che oggi è definito PO o PP/PE è la parte risultante dei processi di selezione degli scarti plastici derivanti dalla raccolta differenziata, ed è costituito da circa il 30-40% di polipropilene e la restante parte è prevalentemente LDPE. Rispetto ad una decina di anni fa, la base odierna del PO, o PP/PE, è sicuramente meno performante, in quanto il comportamento del polipropilene sulla componente di polietilene di bassa densità, è di difficile gestione, sia in fase di stampaggio che nel risultato estetico dei prodotti finali. Se partiamo dalla considerazione che ci suggerisce l’economia circolare, secondo la quale ai rifiuti plastici dobbiamo trovare, in ogni caso, una collocazione di riutilizzo, anche questo mix povero di PP/PE, con un po’ di buona volontà, può essere utilizzato in molti settori. Il polipropilene contenuto nel mix porta con sé essenzialmente le caratteristiche di rigidità e fluidità, mentre l’LDPE porta con sé la flessibilità e la fusione alle basse temperature. L’antagonismo delle loro caratteristiche avranno conseguenze in fase di stampaggio e di qualità del manufatto se non si interviene durante la produzione del granulo. Per creare una corretta famiglia di PP/PE adatta a molte applicazioni, che tenga conto di differenti fluidità richieste dal mercato, di corrette temperature sia in fase di estrusione del granulo che in fase di stampaggio, di buone resistenze in termini di modulo e IZOD, compatibilmente con il prodotto di qualità bassa di cui stiamo parlando, diventa necessario, a volte, modificare le ricette dei granuli: Il primo intervento che si dovrebbe fare è operare sul bilanciamento tra PP e LDPE, attraverso una quota di HDPE che mitiga la problematica della differenza di temperatura di fusione dei due materiali originari. Questo migliora la stampabilità ma anche la riduzione di possibili striature sulle superfici dei prodotti.Se si desidera aumentare la fluidità del compound che si vuole ottenere, la componente di PP può essere incrementata, in quanto il contributo delle frazioni di LDPE e HDPE da post consumo, in termini di MFI, rimarranno limitate. L’incremento della percentuale di PP all’interno della ricetta è comunque da monitorare, in quanto porta ad un aumento della vetrosità del prodotto finale e riduce la sua resistenza al freddo.Se si desidera aumentare la flessibilità a freddo si può giocare sulla componente LDPE/HDPE, considerando le giuste percentuali in funzione delle richieste estetiche, sul grado di flessibilità e sugli spessori dei prodotti da realizzare.Se si vogliono realizzare colorazioni del manufatto, di solito con tonalità scure, è sempre consigliabile aggiungere del masterbach, per i polimeri rigenerati, in fase di estrusione del granulo. Questo perché la dispersione del colorante in un estrusore con una vite lunga porta delle efficienze estetiche migliori. In questo caso dobbiamo considerare che la quota di LDPE, che è quella più a rischio per un’eventuale fenomeno di degradazione sotto l’effetto delle temperature di lavorazione, dovrebbe rimanere la più bassa possibile per evitare danni estetici alle colorazioni del prodotto. Per quanto riguarda l’uso dei masterbach, visto che anche questi prodotti possono essere a rischio di degradazione in fase di estrusione del granulo o durante lo stampaggio, è buona cura assicurarsi a quali temperature massime possono resistere senza alterarsi.Se si vuole aumentare la rigidità dei manufatti si può ricorrere alle cariche minerali, siano esse carbonato di calcio o talco, che possono dare una maggiore robustezza ai prodotti dal punto di vista della resistenza a compressione. Bisogna stare attenti però al comportamento a flessione, in quanto, già di per sé il PP/PE ha un basso valore di resistenza a flessione e l’aggiunta di percentuali eccessive ci cariche minerali ne peggiora la flessibilità. L’utilizzo di questa famiglia di compound in PP/PE ha trovato un largo consenso sul mercato per la produzione di manufatti non estetici e dal costo contenuto. I principali settori di utilizzo sono: Edilizia con la realizzazione di distanziatori per ferri di armatura, canaline non carrabili per l’acqua, protezione copri ferro, secchi, vespai in plastica, grigliati erbosi carrabili, cisterne componibili drenanti da interro e altri prodotti.La logistica con la produzione di bancali, casse da trasporto, armature per bancali, tappi per bidoni e altri prodotti.L’agricoltura con i ganci per l’orticultura, i vasi, le cassette monouso per la frutta e la verdura, pali per le culture e altri prodotti.L’arredo da giardino con la produzione di divani e poltrone in rattan plastico, piccoli mobili, sedie da esterno economiche e altri prodotti.Il settore della pulizia con il supporto per le setole delle scope, i secchielli di piccole dimensioni, le palette e altri prodotti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - post consumo - granuli - PP/PE
SCOPRI DI PIU'Non farsi trascinare da slogan o da promesse senza fondamenta, restare aderenti alla realtà per migliorare le cose di Marco ArezioSe aprite internet e digitate “Plastic Free” troverete un fiume in piena di siti, social, blog, aziende, istituzioni che hanno una solo parola d’ordine: cancellare la plastica dalla faccia della terra. Ma come in tutti gli eserciti, gli ordini si rispettano, non si discutono, anche se sono dati come “parole d’ordine”, non è lecito avere delle opinioni. Questo in modo romanzato e un po’ grottesco è quello che sta succedendo nel mondo globalizzato dove la gestione del potere non è più, apparentemente, in mano alle istituzioni, alla politica o al denaro, nei termini classici a cui eravamo abituati fino a poco tempo fa, ma comandano le masse che hanno il potere di influenzare il mercato e, con esso, la nostra vita. Ma dietro ogni massa, comunque, ci sono sempre i soliti motori delle lobbies, del denaro e della politica con un vestito nuovo. Viviamo nell’era della libertà più assoluta ma se ci fermiamo a pensare alla condizione umana notiamo che una parte della gente si sente sola e insicura per cui trova nell’associazionismo, reale o virtuale, il modo di appartenere e condividere temi e movimenti di cui conosce poco e di cui si interroga ancora meno, ma si sente parte di qualche cosa. “Plastic Free” o “Zero Plastic” sono movimenti che sono cresciuti dalle paure della gente, che identifica nella plastica dispersa in mare o nella natura, il nemico numero uno da combattere. Questi movimenti sono stati ripresi e usati da alcune aziende che attraverso le campagne di marketing hanno trovato nuovi futuri clienti o per lo meno nel tentativo di evitare i consumatori-nemici, da alcuni media che propongono campagne di liberazione della plastica dai mari senza assolvere al loro principale compito che è quello dell’informazione imparziale, dalle istituzioni, grandi e piccole, che si reggono sulla politica e sui voti della gente e, quindi, per lo stesso motivo delle aziende, non possono inimicarsi la popolazione. Ma in un modo libero è lecito che ognuno abbia la propria opinione e possa seguire le correnti di pensiero che crede e i movimenti in cui crede. Il punto fondamentale è che ogni persona dovrebbe fare delle scelte razionali e meditate perché oggi le masse si muovono in modo rapido, crescendo velocemente e sapendo che ogni spostamento avrà una conseguenza, anche se il singolo non ci pensa. Moltissime persone vogliono rinunciare alla plastica perché secondo loro inquina, è un demone e senza di essa, pensano, avranno un mondo migliore. Direi che si può accettare questa teoria, magari non condividerla, perché nessuno è sposato alla plastica, ma poi? Quali sono le alternative nel breve periodo? Con quali materiali ecologici la sostituiamo? La plastica non è fatta solo di bottiglie o di fustini del detersivo o di sacchetti di plastica che vediamo nei documentari dispersi in mare, la usiamo in ospedale per salvarci la vita, su ogni mezzo di trasporto che prendiamo, anche quelli più ecologici, nelle nostre case, sei nostri computer o telefonini o stampanti o televisioni, nell’industria che produce i beni più vari che compriamo tutti i giorni anche se siamo promotori del “Plastic Free”, nei mezzi di pagamento, nei vestiti, nelle scarpe.. Forse facciamo prima ad elencare cosa non produciamo con la plastica. Immaginiamo quindi di cancellare di colpo tutti questi prodotti e sostituirli con prodotti più ecologici seguendo il motto del “Plastic Free o Zero Plastic”. Dove sono i prodotti green, oggi, che possono compiere questo passo? Un conto è gridare no alla plastica, un conto, subito dopo, è trovare una soluzione per continuare a vivere in modo reale. Ci vuole tempo, competenze tecniche e volontà politica per portare avanti un cambiamento così radicale, anche solo parzialmente, ricordandoci che la plastica è un materiale con delle doti tecniche ed economiche difficilmente sostituibili con le conoscenze scientifiche oggi a nostra disposizione. Ma dal punto di vista tecnico abbiamo tutte le conoscenze e le informazioni per risolvere il problema dell’inquinamento che l’uomo, non la plastica in sè, ha creato nell’ambiente. Vogliamo parlare, solo per fare un esempio tra i tanti che potremmo citare, delle proposte di sostituire le cannucce per bere o i pettini o gli spazzolini da denti con il bambù? Idea lodevole, ma anche se dal punto di vista del marketing può essere apprezzata, abbiamo considerato che una importante richiesta di materia prima per la produzione di questi articoli comporta l’inizio di nuove colture e quindi la ricerca di terre libere sulle quali coltivare le piante? Ci sono terre fertili attualmente libere o dobbiamo come sempre bruciare la foresta per fare spazio a nuove coltivazioni che richiederanno acqua e forse concimi, diserbanti e insetticidi chimici per sostenere il business? La plastica riciclata è una risorsa fondamentale per le nostre società, quindi vale la pena di elencarne alcuni aspetti premianti di questa importante funzione: – Il riciclo della plastica permette di ridurre l’uso di polimeri vergini, derivati dal petrolio, ogni volta che si produce un prodotto. 1 kg. di plastica rigenerata viene usata innumerevoli volte riducendo così la dipendenza dal petrolio. – Il riciclo della plastica permette la creazione di posti di lavoro specialmente in quei paesi dove il tessuto industriale è scarso, dando alle popolazioni una ulteriore possibilità di occupazione locale. – Il riciclo plastica salva l’ambiente da quello che i media ci fanno vedere tutti i giorni, l’inquinamento creato dai prodotti finiti buttati anziché riutilizzati. – La plastica può essere combustibile che serve per creare l’elettricità e combustibili liquidi riducendo la dipendenza dal petrolio e da altre fonti fossili molto inquinanti come il carbone. – Se alzassimo la % di plastica riciclata ogni anno nel mondo si instaurerebbe un circolo economico virtuoso e una riduzione sostanziale dell’inquinamento a tutti i livelli. Per imprimere una svolta che possa, in tempi rapidi risolvere il problema ambientale, si devono legare insieme vari settori che coprono i tasselli che compongono l’economia circolare: produzione, raccolta, riciclo e riuso. La produzione deve creare prodotti che siano più riciclabili di quelli che troviamo adesso sul mercato e non solo preoccuparsi di inserire nelle loro produzioni percentuali variabili di plastica riciclata. Le aziende devono essere coinvolte nel progetto sociale per cui riducano al minimo la produzione di articoli che a fine vita non potranno essere riciclati. La raccolta coinvolge le istituzioni governative che devono imporre ai cittadini un sistema chiaro e semplice per dividere i rifiuti plastici a fine vita, dando agli utenti informazioni non contraddittorie su come selezionare i rifiuti. Il cittadino deve prendere coscienza del compito sociale che gli è stato affidato nell’assolvere in modo corretto questo compito, anche e soprattutto per se stesso. I governi devono incrementare gli investimenti sul riciclo dei rifiuti, aiutando il mercato a trovare un equilibrio, anche economico, che permetta alle aziende che riciclano di avere una remunerazione corretta sul lavoro e sugli investimenti e un riconoscimento sociale del settore in cui operano. L’adozione di sistemi di vendita del rifiuto plastico post-raccolta, che vede i riciclatori schiacciati da prezzi delle materie prime nati a seguito di aste, sono un mezzo per frenare lo sviluppo del mercato a discapito della collettività. Inoltre la ricerca scientifica dovrebbe essere maggiormente supportata dai governi, in modo da arrivare ad attribuirgli una funzione di supporto tecnico circa i progetti per l’utilizzo delle plastiche non riciclabili come combustibili in sostituzione delle fonti fossili. Il riuso dei rifiuti plastici attraverso il processo di riciclo permette di ricreare valore al mercato dei prodotti senza attingere alle fonti naturali della terra chiudendo il circolo virtuoso dell’economia circolare. Ma tutto questo, senza una cultura generale sul mondo della plastica più ampia, è un compito veramente difficile. Un problema non parte mai dalla sua fine ma dal suo inizio, quindi non bisogna demonizzare la plastica perché è nei mari ma capire perché l’uomo la butta nell'ambiente e poi ce la troviamo nel mare. Se per magia nessuno disperdesse nell'ambiente i rifiuti ma capisse che questi sono risorse, a basso costo, equamente distribuite nel mondo, con le quali si può vivere sia dal punto di vista economico che ambientale, pensate che ci sarebbe ancora plastica nei mari? Stupidi a parte naturalmente.Vedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Il gruppo tedesco con sede ad Augsburg ha investito 75 milioni di euro in Biometdi Marco ArezioAlla luce delle crisi energetiche che si sono manifestate attraverso l’innalzamento esponenziale del prezzo del gas e nella riduzione delle forniture da parte della Russia, in Europa si segnalano movimenti industriali finalizzati ad una maggiore autonomia energetica. Per questo, il biogas è al centro dell’interesse delle società Europee, che stanno lavorando per creare le giuste aggregazioni così da incrementare la produzione e l’autonomia dalle forniture dalle aree critiche. Nonostante la materia prima da rifiuto è, ed è stata sempre presente in tutti i paesi Europei, forse per comodità, per abitudine o per questioni economiche, la produzione di biogas è sempre restata abbastanza marginale. Oggi, a seguito delle crisi ambientali conclamate e non solo annunciate, per la mancanza di gas e per i costi proibitivi, si cerca di valorizzare il rifiuto per la produzione di energia. Come ci racconta Elena dal Maso, attraverso l’articolo pubblicato su Milano Finanza, il gruppo tedesco Patrizia, quotato sul Dax, ha rilevato l'80% di Biomet Spa. L'Italia è il secondo mercato di biogas nell'Ue dopo la Germania con 2 miliardi di metri cubi prodotti fino ad oggi. Intanto che il gas ad Amsterdam sta volando anche oggi a 124,5 euro a causa dei blocchi della Russia (+5,7% a 124,5 euro il megawatt ora), Patrizia Infrastructure, società tedesca di investimenti quotata al Dax di Francoforte, ha rilevato la quota di maggioranza di Biomet Spa per creare il primo polo europeo nella produzione di biometano di tipo Gnl. Il gruppo tedesco con sede ad Augsburg ha investito 75 milioni di euro in Biomet acquisendo il controllo dall'imprenditore Walter Lagorio e da Ankorgaz, il veicolo dell'amministratore delegato e fondatore di Biomet, Antonio Barani. Quest'ultimo rimane azionista di minoranza con il 20%. Il titolo intanto sale dell'1,13% a 10,76 euro a Francoforte per oltre 1 miliardo di capitalizzazione. L'acquisizione ha come scopo creare il maggiore impianto d'Europa per la produzione di biometano Gnl. Patrizia gestisce circa 55 miliardi di euro di asset e impiega oltre 1.000 professionisti in 27 sedi in tutto il mondo. L'operazione in Italia è stata pensata per dar vita al maggiore impianto d'Europa per la produzione di biometano Gnl da rifiuti naturali e sarà il primo impianto italiano direttamente collegato alla rete nazionale del gas di trasporto di Snam, con una stazione di rifornimento in loco. Patrizia Infrastructure ha investito in Biomet in una fase avanzata di costruzione, con l'impianto di liquefazione del gas che dovrebbe essere operativo entro l'estate 2022, l'impianto di biogas entro dicembre e i quattro impianti di upgrading del biometano entro il 2024. La produzione di biometano può essere triplicata a 26.400 tonnellate l'anno L'impianto di biometano di Biomet ha attualmente una capacità di 40.000 tonnellate di rifiuti organici ogni anno. L'impianto di liquefazione ha una capacità di 8.800 tonnellate di bio-Gnl all'anno, con il potenziale per aumentare la produzione a 26.400 tonnellate, quasi tre volte tanto. Matteo Andreoletti, Head of Infrastructure Equity, Europe and North America di Patrizia, ha ha spiegato che "Biomet svolgerà un ruolo cruciale nel contribuire alla decarbonizzazione dei trasporti in Italia". Il biogas gioca una partita importante "nella transizione energetica e nel sostenere le comunità agricole locali". Patrizia continua a vedere in Italia "eccellenti opportunità di investimento nei settori associati alla transizione verso un sistema energetico più pulito, all'interno di infrastrutture di fascia media", aggiunge Andreoletti.Il biogas e il bio-Gnl contribuiscono "in modo significativo agli obiettivi politici dell'Ue per ridurre i consumi di energia primaria e le emissioni di anidride carbonica", ricorda il manager.I costi fissi di produzione del biogas rendono il bio-GNnl da rifiuti "un'alternativa competitiva e a emissioni zero rispetto al Gnl convenzionale, soprattutto per il settore dei trasporti", riprende Andreoletti. Il governo italiano ha riconosciuto l'importanza della produzione di bio-Gnl "con un solido schema di incentivi con un impegno a lungo termine per sostenere lo sviluppo duraturo di questa tecnologia", sottolinea il manager.
SCOPRI DI PIU'La depolimerizzazione della plastica attraverso i nuovi enzimi sarà l'alternativa al riciclo meccanico e chimico?di Marco ArezioOggi la produzione di rifiuti plastici continua ad essere superiore alla capacità del loro riciclo meccanico, tanto è vero che si stanno studiando soluzioni integrative per ridurre questo gap. Oltre alle innumerevoli strade che potrebbe aprire il riciclo chimico, l’ingegneria biologica sta facendo passi enormi sull’individuazione di corretti enzimi che possano degradare la plastica. Attraverso uno studio da parte di un team di scienziati Americani, volto ad individuare un enzima modificato, sono state studiate combinazioni di aminoacidi che potessero degradare il PET in tempi più veloci rispetto al passato. L'organismo ha due enzimi che idrolizzano il polimero prima in mono-(2-idrossietil) tereftalato e poi in glicole etilenico e acido tereftalico da utilizzare come fonte di energia. Un enzima in particolare, la PETasi, è diventato l'obiettivo degli sforzi di ingegneria proteica per renderlo stabile a temperature più elevate e aumentare la sua attività catalitica. Un team attorno ad Hal Alper dell'Università del Texas ad Austin negli Stati Uniti, ha creato una PETasi in grado di degradare 51 diversi prodotti in PET, inclusi contenitori e bottiglie di plastica interi. Nella costruzione dello studio si sono avvalsi di un algoritmo che ha utilizzato 19.000 proteine di dimensioni simili e, per ogni aminoacido di PETase, il programma ha studiato il loro adattamento all’ambiente in cui vivevano rispetto ad altre proteine. Un amminoacido che non si adatta bene può essere fonte di instabilità e l'algoritmo suggerisce un amminoacido diverso al suo posto. Si sono poi verificate milioni di combinazioni e, alla fine del lavoro di analisi, i ricercatori hanno puntato su tre soluzioni che sembravano quelle più promettenti. Intervenendo ulteriormente con modifiche dirette, gli scienziati hanno creato un enzima molto attivo sul PET che lavorava con rapidità e a temperature più basse rispetto al passato. A 50°C, l'enzima è quasi due volte più attivo nell'idrolizzare un piccolo campione di un contenitore per alimenti in PET rispetto a un'altra PETasi ingegnerizzata a 70°C. L'enzima ha persino depolimerizzato un intero vassoio di plastica per torte in 48 ore e il team ha dimostrato che può creare un nuovo oggetto di plastica dai rifiuti degradati. E’ importante sottolineare che i tests sono stati fatti non su campioni di PET amorfo appositamente realizzati in laboratorio, ma su imballi in PET acquistati direttamente ai supermercati. Questo avvicina ancora di più le prove eseguite al contesto in cui si dovrebbe operare, cioè nell’ambito del riciclo o della depolimerizzazione delle plastiche. Resta da vedere se la depolimerizzazione enzimatica verrà infine utilizzata per il riciclaggio su larga scala. Infatti, la maggior parte del PET nel mondo viene riciclato non per depolimerizzazione, ma per fusione e rimodellamento, ma le sue proprietà si deteriorano ad ogni ciclo. Come abbiamo detto esistono alcuni metodi di depolimerizzazione chimica, ma comportano un consumo di energia molto alto e, nell’ottica della circolarità dei prodotti, l’aspetto dell’impatto ambientale che il riciclo comporta è da tenere in considerazione, specialmente quando non si dispone di energie rinnovabili. Il grande vantaggio degli enzimi è che possono essere molto più specifici dei catalizzatori chimici e, quindi, potrebbe essere più semplice, in teoria, degradare un flusso di rifiuti. Gli scienziati non nascondono però che lo studio degli enzimi che depolimerizzano il PET, per quanto complicato e lungo, potrebbe essere addirittura più semplice rispetto alla loro applicazioni su poliolefine o su plastiche miste. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PET - depolimerizzazione
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