Una guida pratica alla produzione e alla valorizzazione del bio-metanodi Marco ArezioLa gestione inadeguata dei rifiuti pericolosi provenienti dalle attività industriali, quando si mescolano con i rifiuti domestici, comporta seri rischi per la salute umana e solleva significative preoccupazioni ambientali. Una delle maggiori fonti di preoccupazione è data dai gas emessi durante la decomposizione dei rifiuti, i quali contribuiscono all'aumento dei livelli di gas serra nell'atmosfera. Tale situazione ha effetti diretti sui costi e sulla disponibilità di derivati petroliferi, essenziali per settori come l'industria, l'agricoltura e il riscaldamento domestico, con un impatto particolarmente acuto sui prezzi, che stanno crescendo in modo esponenziale. Questo fenomeno rende sempre più arduo per un vasto numero di persone, specialmente nei paesi in via di sviluppo come la Nigeria, elevarsi oltre il livello di sussistenza. Di fronte a queste sfide, l'interesse verso le alternative rinnovabili e sostenibili ai combustibili fossili è in netto aumento, spinto anche dalla crescente consapevolezza dei problemi legati al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici. Questa ricerca si è concentrata sulla produzione e conversione di biogas in biomethano a partire dai rifiuti solidi urbani (MSW) nello Stato di Kaduna, in Nigeria, esplorando soluzioni praticabili per affrontare queste criticità.
SCOPRI DI PIU'Un accordo di collaborazione tra Plenitude e Volvo porterà all'installazione di impianti solari Plenitude (Eni) e Volvo Trucks Italia hanno firmato un accordo per l’installazione di 5 nuovi impianti fotovoltaici che contribuiranno ad alimentare con energia rinnovabile, già a partire da quest’anno, altrettanti concessionari Volvo Truck Center nel Nord Italia. Il progetto avrà una capacità produttiva di 550.000 kWh annui e permetterà a Volvo Trucks Italia di migliorare l’efficienza energetica delle proprie sedi nell’ottica di una maggiore sostenibilità.La produzione di energia rinnovabile consentirà di evitare emissioni di CO2 per circa 220 tonnellate annue. L’accordo prevede, oltre all’installazione, anche la gestione, la manutenzione degli impianti per i primi 5 anni e lo sviluppo di un sistema di monitoraggio continuo delle performance. Gli impianti saranno installati presso i Volvo Truck Center delle città di Bergamo (Headquarter), Venezia, Brescia, Torino e Padova. Pasquale Cuzzola, Direttore Retail Italian Market di Plenitude, ha dichiarato: “Questa partnership è in linea con la strategia di Plenitude di creare valore attraverso la transizione energetica e di azzerare, entro il 2040, le emissioni nette di CO2 attraverso l’intera catena del valore, incluse quelle dei nostri clienti. Siamo quindi lieti di mettere a disposizione delle sedi di Volvo Trucks Italia le nostre soluzioni in ambito rinnovabile e impianti tecnologicamente avanzati che consentiranno un uso più efficiente e sostenibile dell’energia e di ridurre anche i relativi costi”. Giovanni Dattoli, Managing Director di Volvo Trucks Italia, ha commentato: “Volvo Trucks sta investendo a 360° nella sostenibilità e questo progetto in Italia si inserisce a pieno nella nostra strategia di decarbonizzazione, che riguarda non solo i veicoli che commercializziamo ma anche le sedi in cui operiamo. Siamo lieti dell’accordo con Plenitude, partner d’eccellenza che ci accompagnerà in un percorso virtuoso permettendoci di dare un contributo concreto e sostenibile all'ambiente”. Info Eni
SCOPRI DI PIU'La storia ci ha insegnato come le comunità nere sono state usate per riparare alcuni disastri ambientali di Marco ArezioLe guerre, come si sa, fanno sempre molti morti, ma gli strumenti per combatterle non sempre contemplano le armi. La finanza e l’industria usano strumenti meno eclatanti e rumorosi per ottenere, a volte, le stesse perdite di vite umane. Tutto iniziò nel 1982, quando un produttore di trasformatori elettrici decise di disfarsi dei propri rifiuti composti da PCB, che causarono varie forme di cancro nella popolazione in un’area di 300 km. intorno all’azienda. Quando lo scandalo emerse, lo stato della Carolina del Nord dovette ripulire l’area e scegliere un luogo dove collocare i rifiuti pericolosi. L’area scelta fu Warren, una piccola comunità Afro-americana, proprio per il colore della pelle dei suoi abitanti e per il basso tenore di vita, contadini probabilmente dalla bassa scolarizzazione, che faceva presumere l’accettazione incondizionata delle scorie pericolose. Ma cos’è il PCB? I PCB sono una miscela di diversi isomeri, insolubili in acqua, che vengono utilizzati negli oli e impiegati nei grandi condensatori e trasformatori elettrici, in virtù della loro elevata resistenza alle alte temperature e come isolanti elettrici. La loro tossicità venne studiata, a causa dell’aumento dei casi di eruzioni cutanee, malattie del sangue e di cancro al fegato, in alcune aree industriali dove veniva fatto uso del PBC. Nonostante dagli anni 70 dello scorso secolo, questo tipo di fluido chimico sia andato progressivamente fuori produzione a causa dell’alta tossicità, l’episodio accaduto a Warren, al di là dei problemi sanitari riscontrati, fece emergere un movimento di protesta che sottolineava l’uso del razzismo ambientale per la risoluzione dei problemi legati all’ecologia. Nonostante le proteste da parte dei cittadini e la causa intentata, il sito fu decontaminato solamente nel 2000 e l’azione legale finì in un nulla di fatto. Nella contea di Warren, vicino alla discarica, abitavano fino al 78% di afro-americani e la violazione del diritto alla loro salute fece nascere in quegli anni il movimento per la giustizia ambientale, che si proponeva non solo di combattere le fonti di inquinamento industriale e le discariche, ma si poneva anche l’obbiettivo di difendere la popolazione afro-americana dalle pressioni per delocalizzare le produzioni inquinanti e i rifiuti pericolosi nelle aree in cui abitavano, senza coinvolgerli nelle scelte. Il movimento assunse un valore politico e cercò di analizzare I motivi e le implicazioni che le decisioni di installare delle discariche e delle produzioni pericolose, arrecassero alla popolazione nera. Nel 1987, lo studio ToxicWaste and Race in the United States, realizzato dalla Chiesa progressista nera United Church of Christ, aveva evidenziato che la razza era il principale fattore di scelta per la localizzazione di una discarica pericolosa, come successe per Warren, parlando così di razzismo ecologico. La questione razziale non era probabilmente sentita all’interno dei movimenti ambientalisti tradizionali, come il Sierra Club, la Audubon Society, la Wilderness Society, il WWF e l’Environmental Defense Fund che, in quegli anni, poco tolleravano la vicinanza ai movimenti ambientalisti neri, tanto che, spesso, disertavano le loro marce di protesta. Non dobbiamo però pensare che il problema del razzismo ambientale sia da confinare solo negli Stati Uniti, ma viene espresso anche in Gran Bretagna e in Francia, in cui non solo il colore della pelle costituiva il fatto denigratorio, ma le classi sociali e le condizioni economiche dei residenti. Vedi maggiori informazioniFoto: Greg Gibson / AP
SCOPRI DI PIU'Il costo del gas è sempre più alto, l’Europa tentenna sulle soluzioni. Una cartiera Italiana ha deciso di risolvere il problema da soladi Marco ArezioIl comparto della carta ha attraversato, in anni recenti, molte prove dolorose, nelle quali ha sempre cercato di mantenere dritta la barra facendo leva su risorse proprie, l’internazionalizzazione, la diversificazione ed l’eccellenza. Oggi, dopo il Covid, la mancanza di materia prima, i prezzi alle stelle per gli ormai conosciuti problemi sulla catena di approvvigionamento, è entrato a gamba tesa l’esplosione dei prezzi del gas. Problema non sempre risolvibile, questa volta, dall’estro e dalla capacità imprenditoriale dei managers aziendali, in quanto l’energia è un bene primario che si compra e si utilizza direttamente, ma che ricopre, settimana dopo settimana, un peso sempre più importante nei costi di produzione. Costi che incidono sul prodotto semilavorato o finito in modo esponenziale, con difficoltà nelle vendite e nella catena di produzione e consegna dei beni. Oggi, il cliente finale, è abituato a sentirsi dire che il prezzo è aumentato, ma da domani si sentirà dire anche “non so quando posso produrre e consegnare la merce”, perché l’approvvigionamento di energia, oltre ad essere ingestibile economicamente, diventa difficile da programmare, in quanto gli stessi operatori dell’energia sono in difficoltà nella vendita. Senza energia non si fa business, e senza business non servirà più l’energia, in quanto, molte aziende sono seriamente a rischio di chiusura e con esse la filiera da cui dipendono. Per uscire da questo corto circuito è necessario ed auspicabile che si possano trovare le risorse, anche tramite il PNRR, per rendere energeticamente indipendenti le grandi fabbriche produttrici, attraverso l’autoproduzione di energia rinnovabile. Un esempio in merito ce lo sta dando la cartiera Burgo che ha deciso di percorrere questa strada attraverso l’ampliamento della produzione di energia solare nei propri stabilimenti, attraverso un nuovo parco fotovoltaico da 12 Mw e la progressiva dismissione dell’utilizzo di combustibili fossili. Inoltre, al fine di proseguire la strada intrapresa dal mercato che riguarda la riconversione del packaging di plastica con quello in carta, la direzione ha sul tavolo di alimentare le fabbriche anche con l’idrogeno verde. In attesa dei bandi del PNRR che finanzierà il progetto dell’idrogeno, le macchine e le turbine della Burgo sono già pronte per essere alimentate a biofuel e idrogeno e continuerà, da parte dell’azienda gli investimenti sul fotovoltaico nelle varie fabbriche. La necessità di affrancarsi dalla dipendenza del gas sarà la chiave per la sopravvivenza delle cartiere, ma anche delle altre aziende energivore, come il settore dell’acciaio, della chimica, della plastica e di molti altri settori.
SCOPRI DI PIU'Molti interessi non scientifici girano attorno a questa decisione con un fine forse poco nobiledi Marco ArezioIn alcuni paesi, tra cui l’Italia, la cosiddetta carne coltivata, cioè creata in laboratorio attraverso la lavorazione di cellule staminali prese da animali, è stata vietata. Il motivo ufficiale sembrerebbe quello della protezione della salute dei consumatori, ma più verosimilmente sembrerebbe sia la tutela della filiera della carne, una tra le più inquinanti che ci sia. I puristi della tavola e della gastronomia non vogliono sentire la parola “sintetico” quando si parla di un cibo, che fa pensare a pericolose manipolazioni, danni alla salute e lobbies pericolose nate in laboratorio. La questione sarebbe da affrontare con cognizione di causa, informandosi e conoscendo cosa c’è già di sintetico sulle nostre tavole, che viene spacciato come naturale. Bene, partiamo proprio da qui e facciamo alcuni esempi: le maggiori specie di piante da frutto o le piante come la soia, il frumento, il granoturco, il riso e molte altre specie, sono la conseguenza di ibridazioni nate in laboratorio, con lo scopo di fortificare la pianta, di renderla più resistente alla siccità, ai parassiti, agli insetti e cercare di ottenere una maggiore produzione. Tutto quello che si ricava da queste coltivazioni ha ormai poco di naturale e molto di ingegneristico, una collana di deviazioni, mix, separazioni di elementi per portare un miglioramento nell’agricoltura. Tutti questi studi portano alla produzione di semi modificati, che in natura non si trovano, gestita da alcune multinazionali che hanno creato un mercato ristretto e protetto, tant’è vero che molti semi sono venduti sterili così il contadino non li può più usare, ed è costretto a ricomprarli per la semina successiva. E allora, di cosa ci scandalizziamo quando cambiamo prodotto, passando dal vegetale all’animale? Non vorrei illustrare nuovamente gli impatti negativi che la filiera della carne esprime in tutto il mondo, perché credo siano sotto gli occhi di tutti quando si parla di deforestazione, occupazione dei suoli, consumo di acqua, emissioni di metano, impatto della CO2 sui trasporti e la conservazione del prodotto, danni sulla salute umana per consumi elevati di carne, e per finire, ma non di ultima importanza, la gestione della vita degli animali. La carne coltivata, o sintetica come viene più banalmente chiamata, è stata approvata, dal punto di vista della sicurezza alimentare, in molti paesi avanzati, quindi sfatiamo questa errata informazione e consideriamola sicura come un qualsiasi vegetale modificato che ci arriva sulla tavola. Attraverso l’uso di questa carne coltivata il consumatore riduce notevolmente l’impatto ambientale che la filiera degli animali da macello produce, restituendo alla natura un po' di fiato, perché al mondo siamo circa otto miliardi di mangiatori incalliti che divoriamo qualsiasi risorsa naturale commestibile. Ma le restrizioni che sono intervenute sulla carne coltivata hanno più il sapore di un appoggio politico a filiere economiche che producono voti, nulla centra con la difesa del marchio gastronomico di un paese piuttosto che di un altro, o sui dubbi che errate manipolazioni possano arrecare danni al consumatore. In fondo, però, non sono troppo preoccupato per questo stop, perché il progresso si può, forse, un po' rallentare, ma non si può fermare e, siccome le risorse naturali sono sempre di meno, si dovrà seguire le soluzioni scientifiche. Mangeremo pesci senza lische, carni con o senza l’osso, o grasso, dallo stesso gusto e piacere in bocca di quella naturale, come stiamo facendo per l’uva o i mandarini senza noccioli. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.
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