Slow Life: 56 E’ il Mio Numerodi Marco ArezioMi affaccio alla finestra in questa plumbea mattina di dicembre, buttando lo sguardo attraverso le colline scoscese, formate da piccoli ulivi che circondano la casa fin laggiù dove lo sguardo si infrange contro le colline di fronte. E’ freddo fuori, sarà pungente e ventoso il periodo che ci poterà a Natale. Mentre il mio sguardo vaga lungo i crinali dei boschi, lo scoppiettio del fuoco, da poco acceso nel camino,mi culla nel dolce ricordo della strada che ho percorso, regalandomi una piacevole sensazione di pace. Oggi, davanti a questa finestra, si stemperano i ricordi legati alla durezza della mia vita, al senso di abbandono per la perdita di mio padre, a quell’incidente che mi ha segnato per sempre, alla crescente responsabilità per la famiglia e alle innumerevoli pecche che in mio corpo in questi anni ha evidenziato. A 56 anni lascio il lavoro e mi riapproprio della mia vita. Non ho sogni particolari, non vorrei essere in un altro posto, non vorrei essere un’altra persona, non vorrei essere con un’altra famiglia. Vorrei continuare a sentire lo scoppiettio del fuoco in inverno, vorrei continuare a camminare lungo le mie colline, vorrei vedere le foglie mutare nei colori durante le mie passeggiate, vorrei vedere crescere le olive fuori casa, vorrei continuare a sentire il calore dei miei figli che stanno iniziando a camminare sulla loro strada. Vorrei continuare a vedere le rughe di mia moglie, come piccoli sorrisi sulla sua pelle, vorrei andare a messa alla domenica incontrando gli amici sentendosi come una famiglia allargata. 56 anni, già, bell’età per essere libero e sereno dopo tante prove e fatiche. Ma ora, seduto sulla mia poltrona preferita, davanti al fuoco, capisco che non mi sarà dato di vedere foglie, colori, sorrisi, sentire profumi e calore, vedere gli amici, i frutti, i sentieri, la rugiada alla mattina e le colline. Non potrò accarezzare il dolce viso dei miei figli e, capire, guardandoli negli occhi, che è ora che li lasci andare. Nulla ci sarà più, perchè nessuno, nemmeno chi sta correndo da me potrà aiutarmi. Non ci sarà fratello, sorella, figli, dottori e medicine che mi verranno incontro. Io vi sto guardando leggero, tranquillo. 56 è ora il mio numero, come una gara podistica, sto percorrendo il mio nuovo sentiero, ma vi ho tutti vicino, in una giornata in cui il sole risplende su ogni cosa, donando anche all’imperfezione dell’esistenza un ambito perfetto. 56 è ora il mio numero. Categoria: Slow life - vita lenta - felicità
SCOPRI DI PIU'Tossicologia delle Materie Plastiche: gli Ftalati nei Plastificanti. Cosa dobbiamo sapere per una corretta gestionedi Marco ArezioCon l’avvento del polipropilene sul mercato, a seguito della scoperta fatta da Giulio Natta negli anni ’50 del secolo scorso, che gli valse il Nobel, i tradizionali prodotti da imballo in vetro e metallo, vennero rapidamente sostituiti dalle materie plastiche per maggiore leggerezza, sicurezza, gradevolezza ed economicità. L’industria del packaging alimentare sperimentò diversi polimeri, tra i quali anche il PVC, usato sia nelle strutture rigide che nei film di protezione per la realizzazione degli imballi. I polimeri, tra cui anche il PVC, hanno bisogno di additivi per poterli modellare nella produzione, per renderli flessibili e, alle alte temperature, per evitarne la degradazione. La scelta dell’additivo da impiegare dipende dal polimero a cui si deve legare e dall’applicazione finale del prodotto che si intende realizzare. Il plastificante è un additivo largamente usato per realizzare gli imballi alimentari e deve avere caratteristiche precise e normate:• Chimicamente inerte • Facilmente miscelabile con il polimero • Non deve creare l’effetto essudazione, cioè la migrazione verso la superficie • Deve essere termosaldabile • Deve essere foto saldabile • Non deve essere volatile Tra i più comuni plastificanti troviamo gli Ftalati, famiglia di prodotti che sposa in modo egregio le richieste della catena produttiva e distributiva richieste ad un imballo. Gli Ftalati non si legano chimicamente al PVC ma agiscono da additivi creando le migliori condizioni affinché il polimero assuma una maggiore flessibilità. Le maggiori famiglie di Ftalati utilizzati nel PVC per la realizzazione degli imballi rientrano nelle sigle DEHP, DIDP e DINP, racchiudendo in esse diverse proprietà fisico-chimiche a seconda delle lunghezze delle catene alchiliche del gruppo funzionale estere. Le caratteristiche principali degli Ftalati sono:• Liposolubili • Poco solubili all’acqua • Inodori • Incolori • Volatili Gli Ftalati non li troviamo solamente negli imballi alimentari ma in moltissimi prodotti di uso comune come i giocattoli, gli indumenti impermeabili, gli interni delle auto, nei rivestimenti delle case, nelle gomme, negli adesivi, nei sigillanti, nelle vernici, nelle tende esterne, nei cavi, nei cosmetici, nei profumi, nei dispositivi medici come cateteri, sacche per trasfusioni e in molti altri prodotti. Proprio per la loro larghissima diffusione è importante sapere quali effetti sull’uomo potrebbe avere la diffusione non regolamentata degli ftalati nell’ambiente, in quanto sono prodotti che persistono nell’acqua, nell’aria e nel suolo, introducendosi nella catena alimentare animale e, di conseguenza, dell’uomo. I danni che posso causare all’uomo riguardano l’azione che gli Ftalati hanno come interferenti endocrini, che sono stati studiati già nel 2009 dalla Endocrine Society, che ha confermato gli effetti nocivi di questi interferenti endocrini nei sistemi fisiologicamente sensibili agli ormoni, quali:• Cervello • Testicoli e prostata nei maschi • Ovaie e utero per le femmine • Ghiandola pituitaria • Tiroide • Sistema cardiovascolare • Pancreas • Tessuto adiposo • Ghiandole mammarie • Sistema neuroendocrino dell’ippotalamo L’EFSA (European Food Safety Authority) nel 2019 ha ridefinito i limiti massimi di utilizzo di quattro dei cinque Ftalati più usati nei polimeri (DBP, BBP, DEHP e DINP) indicando la dose giornaliera massima tollerabile dall’uomo che corrisponde a 0,05 mg./Kg. corporeo. Questi dati tengono in considerazione l’utilizzo di polimeri vergini ma, in considerazione del ciclo di vita delle plastiche a fine vita nell’ambiente, con la possibilità che gli Ftalati possano trasferirsi nelle catene alimentari, sarebbe doveroso creare una catena di controllo sulla filiera. Per quanto riguarda la plastica riciclata, vista la facile diffusione di questi agenti chimici nell’ambiente, una maggiore perfomance in termini quantitativi del riciclo rispetto alla plastica vergine prodotta sarebbe un doveroso obbiettivo anche ambientale. Inoltre la trasformazione dello scarto plastico in una nuova materia prima, imporrebbe un controllo analitico delle sostanze chimiche all’interno della stessa, attraverso uno strumento di analisi come un gascromatografo abbinato ad uno spettrometro a mobilità ionica, che ne caratterizzi i componenti chimici che andranno sul mercato. Cosa comunque raccomandata anche nell’utilizzo di materia prima vergine ad uso alimentare, anche non direttamente correlata al packaging, per esempio i tubi in materia plastica per il trasporto dell’acqua potabile, prodotti secondo la norma UNI 1622, che riguarda odori e sapori del liquido trasportato, che potrebbero nel tempo rilasciare sostanze incompatibili con la salute dell’uomo.Categoria: notizie - tecnica - plastica - tossicologia - ftalati - imballi - packaging Vedi maggiori informazioni sulle materie plastiche
SCOPRI DI PIU'Il visionario che studiò le “PMMA” e brevettò il Plexiglas di Marco ArezioCome tutti i pionieri illustri nel mondo della plastica anche Otto Rohm è una figura che non si può circoscrivere alla figura di un geniale inventore di un prodotto che ha fatto epoca. La sua preparazione chimica e la sua determinazione alla conoscenza hanno caratterizzato la sua vita spingendolo a studiare e a capire in prima persona i misteri che allora aleggiavano nella chimica industriale. Otto Rohm nasce il 14 Marzo 1876 a Ohringen, nell’attuale Germania, compie i primi studi di base e poi all’età di 15 anni viene impiegato come aiutante presso una farmacia. Questa dura formazione lavorativa lo temprano sia nel rigore lavorativo sia nella curiosità e nella conoscenza della chimica di base. Consegue dopo alcuni anni l’abilitazione alla professione di farmacista che gli permette di iscriversi all’università di Tubinga, presso la facoltà di chimica, raggiungendo la laurea nel 1901, presentando la tesi “Sui prodotti di polimerizzazione degli acidi acrilici”. Nonostante l’interesse per i polimeri le sue prime esperienze lavorative e di ricerca furono fatte nel mondo della conceria con lo studio sugli enzimi, sviluppando un innovativo processo per la mordenzatura del cuoio. Produsse un prodotto chiamato Oropon che permetteva un processo più igienico e dai risultati migliori. Fu un risultato commerciale di grande livello che impegnò Otto Rohm nella costituzione di una società commerciale nel 1907 con il socio Otto Haas. Gli studi sugli enzimi continuano e ne scaturiscono soluzioni innovative applicate al mondo dei detersivi, delle bevande, dei cosmetici e dei preparati farmaceutici. Nello stesso periodo i suoi laboratori di ricerca stanno lavorando sugli acrilati e verso la fine degli anni 20 anche sui metacrilati. Il direttore del laboratorio Walter Bauer inizia gli studi e le sperimentazioni sull’uso dei metacrilati come vetro stratificato. Proprio attraverso questi studi che nasce il PMMA con le qualità, a lungo ricercate, di trasparenza e durezza al contrario degli acrilati, creando così il famoso Plexiglas.Categoria: notizie - tecnica - plastica - plexiglass - storia foto Evonik Industries AG
SCOPRI DI PIU'Il tarlo del dubbio di sbagliare si potrebbe insinuare in ogni decisione assuntaRiflettere ponderatamente su ogni cosa prima di metterla in opera, ma quando si è fatto e si attendono gli esiti, non angustiarsi rimuginando sui possibili pericoli, ma sbarazzarsi completamente della cosa, tenendo chiuso il cassetto dei pensieri che la riguardano e tranquillizzarsi con la convinzione che a suo tempo, tutto è stato soppesato a dovere. Se nondimeno sopraggiunge un esito negativo, ciò accade perché tutte le cose sono soggette al caso e all’errore. Arthur Schopenhauer Categoria: Slow life - vita lenta - felicità
SCOPRI DI PIU'Da cosa sono causati i difetti di iniezione e come è possibile risolverli quando si utilizzano dei polimeri riciclati? di Marco ArezioCi sono dei difetti estetici che potrebbero formarsi durante il lavoro di iniezione utilizzando dei granuli rigenerati, che siano da provenienza post consumo o post industriali. Il granulo post consumo si presta maggiormente, in ogni caso, alla possibile creazione di difetti estetici in quanto la composizione polimerica del granulo stesso può comprendere frazioni di materiali non del tutto omogenei (PP/PE per esempio). Le carenze estetiche espresse in striature superficiali, dette anche marmoree, normalmente non causano un difetto tecnico del prodotto stampato, ma solitamente un difetto estetico che, in ogni caso, può comportare il rifiuto del prodotto da parte del cliente finale. Abbiamo già affrontato l’argomento che riguarda la riconsiderazione degli aspetti estetici dei manufatti realizzati con un granulo riciclato, in presenza di piccoli difetti, in un’ottica di incremento della circolarità dei rifiuti plastici, proprio per avere un giudizio corretto sulle aspettative estetiche di prodotti che impiegano la plastica riciclata. Nella fase di stampaggio, la plastica utilizzata come materia prima, raggiunge temperature tra i 175° e i 400°, in base al materiale utilizzato, creando vari processi di trasformazione all’interno della massa fusa. L’acqua viene vaporizzata, e alcuni additivi e polimeri a basso peso molecolare si potrebbero degradare producendo sostanze volatili che accompagneranno la massa fusa all’interno dello stampo. Inoltre la velocità di stampaggio potrebbe agire sulle molecole polimeriche creando una certa percentuale di degradazione plastica. A causa della differenza di densità tra la massa fusa, le sostanze volatili e quelle degradate, ci sarà all’interno dello stampo una separazione tra le parti più pesanti e quelle più leggere, dove queste ultime arriveranno per prime verso le pareti dello stampo stesso, seguite poi dalla massa fusa, di cui si sporcheranno. Quindi, qualsiasi parte volatile e/o degradata che verrà spinta verso la parete dello stampo dal polimero riciclato fuso, creerà sulle pareti del prodotto finito, striature o parti marmorizzate che possono essere antiestetiche. Le cause di questi difetti si possono riassumere in: • Umidità del materiale • Degrado delle parti in plastica a causa dell’alta temperatura • Tempi di stampaggio eccessivi con degradazione dei polimeri • Contropressione troppo bassa • Punti di iniezione troppo piccoli che potrebbero degradare la materia prima • Eccessiva usura del mandrino • Sporco vicino ai punti di espulsione del gas nello stampo o numero insufficiente di punti In considerazione di quanto sopra esposto, per evitare o ridurre questi fenomeni antiestetici, bisognerebbe prendere tutti gli accorgimenti necessari per la regolazione dei parametri macchina e stampo, oltre a verificare, attraverso lo studio del DSC del polimero riciclato da usare, il peso delle componenti che potrebbero degradare.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - iniezione - stampi - produzione
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