1953: La Storia della Nascita del PolicarbonatoIl policarbonato è un prodotto termoplastco appartenente alla famiglia dei tecnopolimeri che è stato scoperto attraverso le reazioni di sintesi realizzate da Hermann Schnell nel 1953.Ma chi è Hermann Schnell?Nasce a Gaienhofen, in Germania, nel settembre 1916 e, dopo aver completato il sevizio militare, inizia lo studio della fisica e della chimica all'Università Albert-Ludwigs di Friburgo, in Germania, dove ha studiato con il Premio Nobel Professor Hermann Staudinger (Premio Nobel per la Chimica nel 1953).Terminati gli studi entra nella società Bayer AG nel dipartimento di ricerca e sviluppo che era situato a Leverkusen in Germania. Hermann Schnell, in collaborazione con il suo team di ricercatori, scopre una nuova plastica attraverso una particolare reazione di sintesi dal bisfenolo A e fosgene, che viene nominato successivamente policarbonato, le cui doti primarie sono la trasparenza, l'infrangibilità e la leggerezza. il 16 Ottobre del 1953 viene attribuito il brevetto sul policarbonato, dando vita ad un futuro successo commerciale del prodotto in tutto il mondo. A soli 36 anni, Hermann Schnell, passa a dirigere il dipartimento di ricerca e sviluppo e viene incaricato quale responsabile della fondazione di un secondo laboratorio per la Bayer Central Research a Krefeld-Uerdingen sempre in Germania. Bayern produrrà e commercializzerà il policarbonato di Hermann Schnell sotto il nome di Makrolon® attivando la produzione nello stabilimento di a Uerdingen, in Germania. La sua lunga carriera all'interno di Bayer, nel campo della ricerca e sviluppo, si concluderà nel 1975, anno in cui andò in pensione. Nel 1995 ha istituito la Fondazione Hermann-Schnell con 500.000 euro del suo denaro personale per sostenere i giovani scienziati nel campo della ricerca chimica macromolecolare.Categoria: notizie - tecnica - plastica - policarbonata
SCOPRI DI PIU'La resina acetalica o paraformaldeide (POM) è un polimero riciclato con ottime caratteristiche tecnicheIl POM, chiamato comunemente resina alcetalica, è un polimero semicristallino che si forma durante la omo (POM – H) o copolimerizzazione (POM – R) della formaldeide. L’omopolimero POM, (CH2O)n, è tra le materie prime più rigide, anche in assenza di elementi di rinforzo, e ha un’ottima stabilità dimensionale. Il Poliossimetilene o POM, è costituito da un ponte di metilene e un atomo di ossigeno, che attribuiscono al polimero un’alta resistenza e un costo produttivo contenuto rispetto ad altri polimeri dalle simili caratteristiche meccaniche. Le caratteristiche principali del POM sono: • Buona resistenza all’abrasione • Buona resistenza alle alte temperature (fino a 150° e costanti fino a 110°) • Elevata durezza di superficie • Basso coefficiente di attrito • Buon isolamento elettrico e dielettrico • Bassa permeabilità alle sostanze organiche, ai gas e ai vapori • Bassa resistenti agli acidi forti (PH4) • Bassa resistenza agli agenti ossidanti • Bassa resistenza ai raggi UV se non additivato • Bassa igroscopicità • Non saldabile ad alta frequenza Lavorazione del POM (Poliossimetilene) Il polimero può essere normalmente trattato con i soliti sistemi di lavorazione degli altri materiali termoplastici, tuttavia lo stampaggio a iniezione è un sistema di trasformazione del POM molto usato. Le ricette polimeriche con alto peso molecolare portano, normalmente, ad una lavorazione con sistemi di estrusione, mentre quelle leggermente reticolate sono più adatte al soffiaggio. Un’accortezza durante le fasi di stampaggio è quella di preriscaldare gli stampi ad una temperatura tra i 60 e i 130 °C, in questo caso il ritiro di lavorazione si riduce da 3 all’1% con la diminuzione della temperatura dello stampo, e il post ritiro aumenta in proporzione. Campi di applicazione del POM (Poliossimetilene) In virtù delle sue caratteristiche prestazionali in merito alla tenacità e durezza, i prodotti realizzati con il polimero POM sono adatti alla sostituzione di parti metalliche di uso tecnico, come leve, cuscinetti, viti, rotismi, bobine, raccorderie di tubi, parti di macchine utensili e componenti per pompe. Compound e blend con il POM (Poliossimetilene) Il polimero si presta a miscele tecniche che possano aumentarne la resistenza e la durabilità, infatti è possibile additivarli con fibra di vetro, sferette di vetro o cariche minerali. Inoltre è possibile creare dei blend tra il POM e il gli elastomeri PUR, queste miscele permettono di aumentare la tenacità ma, nello stesso tempo, diminuire la rigidità e la resistenza, aggiungendo normalmente circa il 50% di elastomeri PUR. E’ possibile aumentare anche il comportamento all’attrito o allo scorrimento a secco aggiungendo cariche di MoS2, PFT, PE od oli di silicone. Invece, per aumentare la stabilità al calore e la conducibilità elettrica si può aggiungere al POM la polvere di alluminio o di bronzo. Come si ricicla il POM (Poliossimetilene) Gli scarti del POM possono essere di tipo industriale o da post consumo, sono comunque entrambi validi prodotti per poter essere riciclati ed impiegati in miscele tecniche. Gli scarti di tipo industriale, che godono di una pulizia maggiore in partenza, sono generalmente preselezionati e successivamente macinati, per poi essere utilizzati in miscela con il macinato da post consumo o con il POM vergine. Questo dipende sempre dal tipo di trasformazione del polimero che si deve fare e da tipo di prodotto finale, sia per quanto riguarda le caratteristiche fisico - meccaniche che per aspetto estetico. Gli scarti da post consumo, hanno bisogno di una maggiore attenzione in fase di riciclo, infatti potrebbe essere necessario, dopo la selezione, un’attenta valutazione sull’eventuale passaggio in un mulino magnetico, per togliere eventuali parti metalliche, ed un lavaggio per separare il POM da elementi non metallici. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - POM
SCOPRI DI PIU'Estrusori per materie plastiche: vediamo cosa succede all'interno durante il funzionamentoPer chiunque impieghi o faccia utilizzare gli estrusori per le materie plastiche, specialmente se usano polimeri riciclati, dovrebbe avere la conoscenza del comportamento del fuso all’interno del cilindro, delle fasi di trasformazione dallo stato solido a viscoso e delle implicazioni negative che possono nascere durante la lavorazione.Queste implicazioni possono generare difetti sul polimero che si sta producendo o sui manufatti che sono direttamente collegati all’estrusore. L’articolo non si dovrebbe rivolge agli addetti della produzione, che probabilmente conoscono bene i comportamenti del polimero in transito nell’estrusore, ma principalmente agli addetti alle vendite dei prodotti finiti in plastica o dei polimeri riciclati. Conoscere le fasi di produzione e la criticità che possono rappresentare, è un bagaglio culturale tecnico che permette di risolvere, più velocemente e più professionalmente possibile, i problemi con i clienti in merito alla qualità. Per fare un discorso generale possiamo prendere in considerazione gli elementi che entrano in gioco per portare a termine una fase di estrusione delle materie plastiche: • La materia prima • L’estrusore • Il filtro Materia Prima La materia prima, in base all’utilizzo che si vuole fare dell’estrusore, può essere sotto forma di macinato o di granulo. In entrambi i casi il materiale riciclato deve avere subito i corretti trattamenti di selezione, macinazione, deferrizazzione, lavaggio in vasca, lavaggio in centrifuga, asciugatura (eventuale densificazione per materiali leggeri). Più le fasi preliminari che portano il semilavorato all’estrusore sono fatte bene, migliore sarà la qualità del prodotto in uscita da esso, evitando che aumentino i problemi sui prodotti finiti da realizzare. Ogni fase preliminare non eseguita in modo corretto avrà dei risvolti negativi durante la fusione della plastica all’interno dell’estrusore, che possono essere impurità rappresentate da plastiche rigide non fondibili all’interno della massa, degradazione del materiale causata da una non corretta selezione, presenza di parti metalliche causate da un lavaggio non accurato o residui di materiali elastici non filtrabili. Maggiore sarà la qualità attesa per la fabbricazione del prodotto, maggiore saranno le attenzioni da impiegare nelle fasi di riciclo del semilavorato, minori saranno gli spessori da realizzare sul prodotto finito, per esempio un flacone, maggiore dovrà essere la pulizia e l’omogeneità della plastica. Estrusore Una linea di estrusione, per non entrare troppo nella tecnicità dell’argomento, è formata da una tramoggia di ingresso della materia prima, un cilindro di contenimento del polimero, una o più viti di movimento, un filtro (nella maggior parte dei casi) e una testa finale. Fin qui, ogni parte è visibile ed intuibile nel suo lavoro, ma cosa succede all’interno di queste parti? Partiamo dalla tramoggia di carico dei polimeri che alimenteranno l’estrusore, una sorte di grande imbuto di canalizzazione con il quale alimentare l’impianto, sia utilizzando i polimeri sotto forma di palline che di macinato o densificato. La discesa della materia prima all’interno del cilindro avviene normalmente per gravità, quindi il granulo viene attirato verso la parte bassa dell’imbuto in virtù del proprio peso, offrendo scarsa resistenza allo scivolamento. Non sempre succede la stessa cosa per il macinato e il densificato, in quando hanno forme più spigolose e per la loro natura tendono ad aggregarsi, specialmente se non sono ben asciutti, creando qualche difficoltà nella discesa. Una volta che la materia prima arriva all’imbocco del cilindro, entra in contatto con una o più viti, composte da elementi elicoidali che hanno lo scopo di trascinare la materia prima ancora solida lungo il cilindro e restituire alla testa, alla fine del percorso, la massa fusa di plastica per realizzare il prodotto o per creare i granuli plastici. La zona d’ingresso dell’estrusore è sempre raffreddata con acqua, per evitare che il calore generato dalle resistenze che riscaldano il cilindro possano portare a fusione il polimero che staziona nella zona, quando l’estrusore è fermo. Il polimero, sceso dalla tramoggia, aderisce alle pareti tra le quali si trova, quelle del filetto, del nocciolo della vite e del cilindro. A questo punto, i granuli che aderiscono alla vite ruotano con essa e quindi non possono avanzare, mentre quelli che aderiscono al cilindro vengono spinti verso l’uscita dalla cresta del filetto che sfiora e raschia la superficie del cilindro stesso. La conclusione è che tanto più i granuli tendono ad aderire al cilindro, e quindi a non ruotare con la vite, tanto maggiore è la spinta in avanti esercitata dai filetti, che trasferiscono la forza motrice del motore al polimero per spingerlo fuori dal cilindro. La velocità massima di avanzamento del polimero si avrà a contatto con il cilindro sia per i granuli, in alimentazione, sia per le molecole di polimero dopo la fusione, mentre negli strati sottostanti la velocità sarà via via minore fino a essere zero a contatto con il nocciolo della vite. Una convinzione comune rispetto al lavoro dell’estrusore è che le resistenze termiche hanno lo scopo di sciogliere la materia prima, solida, lungo il percorso di attraversamento del cilindro fino alla sua uscita in testa. Questo non è del tutto vero, in quanto le resistenze intervengono principalmente nella fase iniziale del contatto tra la materia prima in ingresso dalla tramoggia con la vite. Nella fase successiva la forza che il motore imprime alla vite, la quale ruotando crea attrito tra la materia prima e il cilindro, realizzano il calore necessario alla fusione del materiale. Il comportamento del volume della massa plastica all’interno del cilindro, in corrispondenza della vite, cambia man mano che percorre l’estrusore. Infatti da quando inizia la fusione, la quantità di solido che si trova tra i due filetti è sempre inferiore a quella che c’è tra i due filetti precedenti. L’avanzamento del fuso è quindi determinato, sia dalla spinta meccanica dei filetti della vite, ma anche per differenza di pressione che si crea all’interno del cilindro, facilitando la spinta verso l’esterno del polimero fuso in virtù di una minore pressione. La zona di trasporto del fuso può assumere ulteriore importanza quando si richiedono all’estrusore anche delle diverse prestazioni, oltre a quella di fondere, come ad esempio la miscelazione del polimero. A tal fine il tratto finale della vite può essere modificato per migliorare la miscelazione dell’estruso. Filtro Lavorando con i polimeri riciclati non sempre si conosce la qualità di preparazione dei granuli che dovrebbero entrare nell’estrusore o dei macinati o dei densificati, quindi, inserire in un estrusore un polimero riciclato senza premunirsi di effettuare un’operazione di filtraggio può essere pericoloso. Un tempo i filtri erano costituiti da un disco forato sul quale si montavano delle reti in metallo, che avevano lo scopo di filtrare ed eliminare eventuali impurità presenti nel fuso. Le reti, in numero e con diametri delle maglie variabili, erano montate alla fine del cilindro su flange e costituivano un modo per migliorare la qualità del polimero. La presenza del filtro causa però un aumento della pressione alla fine della vite, pari alla perdita di carico che serve per far passare il fuso attraverso il filtro. La variazione di pressione è dovuta al fatto che man mano che le reti si intasano aumenta la pressione in testa e, quindi, sale il riflusso nella vite. L’aumento di pressione fa sì che la vite chieda più lavoro al motore per spingere la stessa quantità di materiale fuori dalla filiera e, poiché il maggiore lavoro della vite si trasforma in calore trasferito al polimero, la temperatura del fuso in uscita sarà maggiore e la viscosità minore di quando non c’è il filtro. L’aumento della temperatura per periodi prolungati può causare la degradazione del polimero, con conseguenze negative sulla produzione di prodotto. Ed è per questo motivo che oggi esistono nuovi cambia filtri automatici che regolano questa delicata fase. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - estrusione
SCOPRI DI PIU'Tubi in HDPE di Grande Diametro: Policonductos SA e Battenfeld-CincinnatiIl mercato dei tubi in HDPE sta allargando la possibilità di impego del prodotto rispetto ad altre tipologie ti materiali come il cemento, il metallo o il PVC. Grazie alla durabilità del materiale, alla facilità di costruzione, di taglio e per la semplicità di saldatura, l’HDPE offre al mercato dello scarico e trasporto delle acque, un’arma in più nella costruzione di reti idriche e fognarie.Oggi, è possibile produrre e installare tubi in HDPE con diametro fino a 1600 mm con un sistema produttivo del tutto semplificato e di grande efficacia. Il produttore di tubi in HDPE, Policonductos SA, ha acquistato una linea completa da Battenfeld-Cincinnati la cui testa permette la produzione di tubi di diverse dimensioni senza necessità di modifiche particolari della macchina. Con questo impianto industriale, la società specializzata nella produzione di tubi in HDPE, sta realizzando tubi con diametri fino a 1.600 mm. L'elemento chiave di questa linea di tubi di grande diametro è la testa, che ha la più grande distanza regolabile mai prodotta consentendo la produzione di tubi in un'ampia gamma di dimensioni senza la necessità di modifiche alla linea. La macchina recentemente consegnata permette un miglioramento delle estensioni massime di produzione, che finora erano offerte solo per tubi con diametri compresi tra 160 e 250 mm, 200-355 mm e 400-630 mm. Grazie alla nuova testa è stato compiuto il primo passo verso una gamma dimensionale completamente nuova per tubi fino a 1.600 mm di diametro. Il sistema di regolazione è particolarmente semplice quando si desidera produrre tubi di diverse dimensioni sulla linea e rispondere in modo flessibile e rapido alle richieste del mercato. La testa si adatta alla una nuova dimensione del tubo con la semplice pressione di un pulsante. Un altro grande vantaggio è la manipolazione in macchina. Proprio con tubi di grandi dimensioni, in una linea convenzionale sarebbe necessario un cambio ugello, che non solo rappresenta un'enorme perdita di tempo, ma anche un rischio per la sicurezza dovuto alle dimensioni. Con questa linea per tubi di grande diametro, che oltre ad essere dotata della nuova testa per il tubo, comprende anche un estrusore di ultima generazione, oltre a tutti i componenti prima e dopo il processo di estrusione stesso, raggiungendo una velocità di produzione in crescita a 2 t / h. I tubi in HDPE con una striscia colorata sono prodotti per l'approvvigionamento idrico, le acque reflue e le applicazioni minerarie, in una gamma di dimensioni da 406 x 12,5 mm a 1.651 x 97,1 mm. “Siamo assolutamente entusiasti delle possibilità che ci offre la nuova linea. Non solo ci ha permesso di espandere la nostra gamma di prodotti per includere tubi di grande diametro, ma ora possiamo anche implementare senza le richieste individuali dei clienti in termini di dimensioni dei tubi ", ha affermato Homero Garza, direttore generale di Polyconducts.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - tubi HDPE Fonte PT
SCOPRI DI PIU'La sua associazione, nata nel 1892, ha anticipato di quasi un secolo il WWF, Greenpeace e molte altre sigle"Nessun tempio fatto dalle mani umane può competere con Yosemite", e "lo Yosemite è il più grande di tutti i templi della Natura." John Muir era un uomo testardo, precursore in tempi non sospetti, della necessità di preservare la natura, senza compromessi e senza piegarsi alle logiche del denaro. Un amante fedele delle montagne americane, in particolar modo della valle dello Yosemite, nell’area montuosa della Sierra Nevada, dove Muir scoprì un paradiso naturale, già allora messo in pericolo dallo sfruttamento dei suoi prati per l’allevamento. John Muir nasce a Dunbar, sulla costa Scozzese, non lontano da Edimburgo il 21 Aprile del 1828 ed emigrò negli Stati Uniti, con la sua famiglia, nel 1849 con l’intento di aprire una fattoria che desse sostentamento e benessere a tutti. Frequentò l'Università del Wisconsin-Madison, ma rimase folgorato dalle lezioni di botanica e decise di percorrere un viaggio a piedi, di migliaia di chilometri, dall’Indiana alla florida negli anni 1866-67. Nel Marzo del 1868 venne a conoscenza di un luogo chiamato Yosemite e volle visitarlo, creando in lui uno stupore così grande da convincerlo a ritornarci in modo stabile, trovando un’occupazione presso le ferrovie locali. Nel 1880 sposò Louisa Wanda Strentzel ed entrò stabilmente nel ranch di famiglia in cui lavorò in modo continuativo, proseguendo ad occuparsi attivamente anche della protezione della natura. Il 30 Settembre del 1890 riuscì a far promulgare una legge, per la tutela ambientale, inserendo l’area dello Yosemite come zona di interesse naturalistico nazionale, facendo così costituire il parco nazionale dello Yosemite Valley, sotto il controllo dello stato della California. Due anni più tardi, nel 1892, John Muir, costituisce l’associazione ambientalista Sierra Club, di cui divenne il primo presidente, carica che mantenne fino alla sua morte nel 1914. Nella sua vita fu un vero combattente nella difesa integrale delle aree montane, tanto che fu costretto più di una volta a scomodare amicizie influenti, come il presidente degli Stati Uniti Roosevelt, per tentare di bloccare progetti che potessero modificare l’habitat naturale. Oltre all’avanzare delle ferrovie, in quell’epoca venne progettata la costruzione di una diga sul fiume Toulumne, che avrebbe permesso di creare una riserva d’acqua per la città di San Francisco, comportando però lo scavo e l’allagamento della valle di Hetch Hetchy, che Muir paragonò per bellezza alla Yosemite Valley. Attraverso l’associazione Sierra Club diede battaglia legale per fermare il progetto, esortando il presidente degli Stati Uniti a bloccare l’iniziativa. Le cause legali si susseguirono negli anni, ma con l’elezione del nuovo presidente americano, Woodrow Wilson, Muir perse la battaglia e la costruzione della diga si tramutò in legge il 19 Dicembre 1913. I sostenitori del Sierra Club ricorderanno la morte di Muir, avvenuta l’anno successivo nel 1914, come conseguenza del dolore, che gli spezzò il cuore, per aver perso la sua battaglia ambientalista, ma clinicamente morì per una polmonite. John Muir operò in periodo in cui l’industrializzazione, la chimica e lo sviluppo demografico ed economico non aveva ancora creato un abbraccio di morte con la natura, ma lui capì, quasi un secolo prima che nascessero le più conosciute sigle ambientaliste moderne, a partire dal WWF o da Greenpeace e molte altre, che la natura va protetta senza compromessi.
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