Gli scarti da post consumo costituiscono la base di tre tipologie differenti di pavimentazioni modulari carrabili da esternodi Marco ArezioIl settore dell’edilizia è nel pieno della rivoluzione green, che non riguarda solo il recupero degli scarti durante le demolizioni di tutti quei materiali riciclabili, ma anche dei nuovi prodotti che possono essere fatti, in parte o al 100% con materiali riciclati da post consumo. I produttori di articoli edili hanno trovato alcune brillanti soluzioni che possono raggiungere un doppio obbiettivo: creare dei prodotti circolari e ridurre, attraverso il riutilizzo, i rifiuti sul mercato. Nell’ambito delle pavimentazioni modulari per esterni prendiamo in esame tre tipologie differenti di prodotti, che hanno un approccio all’utilizzo dei rifiuti molto diversi tra loro, ma il cui risultato tecnico e architettonico soddisfa pienamente la clientela. I prodotti presi in esame sono: • Masselli autobloccanti in PVC da scarti di cavi esausti • Piastrelle modulari composte da scarti di vetro, bottiglie, sacchetti in PE e scarti di ceramica • Piastrelle modulari composte da scarti misti in plastica non riciclabili, ceneri degli altiforni e scarti di piastrelle. Gli approcci sono differenti, ma la qualità dei prodotti e la funzione di riciclo dei rifiuti ne fa una proposta interessante, da inserire nei cantieri in cui la voce sostenibilità è tenuta in considerazione. Il massello in PVC riciclato e riciclabile è un prodotto in diretta concorrenza con i masselli in cemento, da cui eredita la carrabilità e l’alta resistenza a compressione, ma aggiunge molte altre caratteristiche migliorative, in quanto è completamente isolante, non assorbe liquidi, non viene macchiato da olio o benzina, si taglia facilmente a mano, è verniciabile e non è soggetto all’azione aggressiva dei sali stradali. Inoltre non attinge a risorse naturali, acqua, sabbia, ghiaia e ha un impatto ambientale in fase di produzione molto più limitato rispetto alla produzione del cemento. Le piastrelle modulari formate dagli scarti di vetro provenienti dalla raccolta differenziata, mischiati con i rifiuti in PE e gli scarti di ceramica, sono una buona soluzione non solo per il riciclo composto da materiali diversi, ma anche per la durabilità dell’elemento che vede nella ceramica e soprattutto nel vetro una robustezza nel tempo importante. Anche queste piastrelle sono carrabili, resistono ai sali stradali e all’abrasione della circolazione veicolare, in virtù del macinato di vetro contenuto. Infine, le piastrelle modulari costituite dai rifiuti non riciclabili della raccolta differenziata, mischiati con le ceneri degli altiforni e con gli scarti delle piastrelle esauste macinate, danno un gradevole aspetto estetico al pavimento e un ottimo passaporto green sul riciclo in quanto, utilizzano due componenti classificati come rifiuti non riciclabili e quindi da smaltire in discarica, quindi ben oltre i materiali riciclati tradizionali. Sono piastrelle modulari che vengono impiegate normalmente i passaggi pedonali, piazze e marciapiedi rendendo sostenibile l’intervento di ripristino edile dell’area.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti - pavimentazioni - edilizia
SCOPRI DI PIU'L'amministratore delegato di Versalis, in un'intervista a Repubblica, ripercorre le attività dell'azienda in un'ottica di economia circolare Accogliamo volentieri su rNEWS l'intervista di Giacomo Talignani all'amministratore delegato di Versalis, Daniele Ferrari, in cui si affrontano i nodi del presente e del futuro dell'economia circolare, in merito alla lavorazione e allo smaltimento dei rifiuti plastici. Nell'articolo si affrontano le problematiche, ancora aperte, del ciclo dei rifiuti: discariche, termovalorizzazione, pirolisi, prodotti monouso e creazione di packaging sostenibili.La chimica e i suoi processi come chiave per disegnare un mondo basato su una maggiore capacità di riciclo, packaging e prodotti più snelli e amici dell'ambiente, ma anche plastica recuperata e resa nuovamente "vergine" e nuove ricette per la lunga strada verso la decarbonizzazione. I prodotti pensati sotto la lente della circolarità, il recupero dei materiali e la ricerca di quelli alternativi, sono oggi al centro della missione di Versalis, società chimica di Eni. Daniele Ferrari, amministratore delegato di Versalis, racconta l'importanza della chimica per la sostenibilità di oggi e del futuro. Come la chimica può oggi aiutare il riciclo ed essere al centro dell'economia circolare?"Come produttori di materie plastiche e prodotti chimici per noi è importantissimo oggi non solo produrre ma anche fornire nuove soluzioni che poi verranno utilizzate sui mercati. Ecco perché per Versalis la circolarità deve essere a 360 gradi. Ci muoviamo su tre linee fondamentali: l'eco design, ovvero produrre e pensare i nostri prodotti anche sotto l'aspetto del fine vita, massimizzando le risorse e pensando per esempio come rendere i manufatti più semplici da riciclare; poi l'utilizzo dei feedstock alternativi con un giusto mix di transizione fra materie prime fossili e quelle rinnovabili, su cui ci stiamo concentrando sempre di più nelle nostre produzioni; e infine un particolare sviluppo e attenzione alle tecnologie di riciclo. Abbiamo un forte senso di responsabilità sociale, con sempre maggiore attenzione alla sostenibilità in azienda: quindi noi come industria chimica dobbiamo impegnarci a contribuire con lo scopo di riciclare sia meccanicamente che chimicamente i prodotti". La plastica, di cui vi occupate, è un materiale complesso da riciclare. Come vi state muovendo per recuperarlo? "Il tasso del riciclo della plastica nel mondo è ancora basso. In Europa, con un mercato di circa 50 milioni di tonnellate di plastica vergine, oltre il 30% dei rifiuti in plastica raccolti viene inviato a processi di riciclo, oltre il 40% viene termovalorizzato e il restante finisce in discariche, e quest'ultimo è un grosso problema. Dobbiamo riuscire a riciclare di più. Durante la pandemia legata al Covid ci siamo resi conto dell'importanza di alcune applicazioni della plastica: da quelle usate nel settore sanitario a quelle del packaging alimentare, è balzata agli occhi l'importanza della plastica proprio per la sua versatilità, perché senza questo materiale sarebbe stato difficile fare molte cose che abbiamo fatto, dai tamponi sino alle mascherine. E' necessario dunque pensare sempre di più al riuso della plastica: oggi in Europa il riciclo meccanico può soddisfare l'esigenza fino a un certo punto. Probabilmente si arriverà a incrementare la percentuale di plastica riciclata meccanicamente, ma difficilmente si andrà oltre perché sui mercati sono presenti plastiche miste e materiali multi-strato. Ecco perché, per andare oltre e ottenere maggiori possibilità di recupero, stiamo sviluppando il riciclo molecolare. Un esempio è quello che facciamo col progetto Hoop, prevediamo di realizzare un primo impianto da 6 mila tonnellate anno a Mantova". In che cosa consiste questo progetto? "In parole molto semplici Hoop si basa sul processo di pirolisi per trasformare plastiche miste in materia prima che possa dar vita a nuove plastiche "vergini", in modo da avere un ciclo di economia circolare. La plastica recuperata viene scaldata nel reattore a 400-500 gradi con basse pressioni: in sostanza la scomponiamo per poterla riutilizzare. Al di là della produzione energetica per scaldare il reattore non ci sono emissioni dirette e questo processo fa in modo che questa plastica ritorni ad essere un bene primario. Con il riciclo molecolare si è meno limitati rispetto a quello meccanico. In futuro speriamo che questo ciclo comprenda anche la possibilità che l'energia necessaria per questo processo arrivi totalmente da fonti rinnovabili, in modo da chiudere il ciclo completamente" E' difficile applicare il concetto di circolarità al recupero della plastica? "Noi facciamo parte della Circular Plastics Alliance e abbiamo preso impegni importanti per il riciclo della plastica, cercando di dimostrare che questo materiale si può recuperare. La plastica non è un problema, ma lo è la cattiva gestione del fine vita. Questo si può realizzare con le tecnologie che stiamo sviluppando. Crediamo infatti che per il futuro sia meglio impegnarsi per gestire al meglio i rifiuti di plastica, piuttosto che eliminare questo materiale, in uno slogan meglio essere "plastic waste free" che "plastic free". Quali altre sfide coinvolgono i rifiuti di plastica? "Una delle prime sfide intraprese è per esempio il progetto Versalis Revive. Creiamo nuovi prodotti con plastica vergine e plastica da riciclo sino al 75%. Lo riusciamo a fare sia nel polistirene, sia nel polietilene per esempio per ottenere prodotti per il settore agricolo per il packaging come film e pellicole. Poi ci sono iniziative come RiVending, in cui raccogliamo bicchierini e palette del caffè e dai monouso diamo vita alla produzione di polistirene espandibile per lastre isolanti per condomini o abitazioni e packaging protettivo di elettrodomestici e mobili. Credo che RiVending dimostri anche che nella grande corsa a bandire monouso di plastica si poteva ragionare diversamente, cioè su come riciclarli e rilevarne valore senza danneggiare un'industria già sotto pressione. Abbiamo dimostrato in modo pratico cosa si può fare con i monouso, un esempio di riciclo applicabile anche in altre realtà". Un esempio di riconversione invece arriva da Crescentino (Vercelli), dove ora producete disinfettante. "Sì, con l'esperienza che abbiamo nella chimica da fonti rinnovabili nel sito di Crescentino in Piemonte abbiamo adattato gli impianti produttivi per produrre una gamma di disinfettanti (chiamati Invix, ndr) utilizzando come principio attivo l'etanolo da materie prime vegetali. Una riconversione necessaria per il momento particolare e difficile che stiamo vivendo. Continueremo a produrre ed espanderemo presto la nostra gamma di prodotti". Quali altre trasformazioni saranno invece necessarie per garantire la transizione energetica? "Servirà una trasformazione completa della nostra industria, ma non si può fare in un solo stadio. Integrare gli impianti chimici tradizionali con strutture nuove e tecnologiche che ci permettono di essere sempre più rinnovabili e circolari è l'obiettivo. Per fare questo usiamo una strategia che definirei a fasi, modulare, un percorso che la chimica sta già facendo e deve fare per essere all'avanguardia, stimolati dalla sensibilità ambientale, dal New Green Deal e da tutti gli apparati di sostegno che verranno per il cambiamento". In questa partita la chimica che ruolo gioca? "All'interno di Eni ogni business fa la sua parte verso la decarbonizzazione. Noi come parte chimica abbiamo la possibilità di integrarci e poter dare l'apporto tecnologico verso questo cambiamento. Ci sentiamo fortemente motivati e responsabilizzati: l'industria chimica tocca circa il 95% di ogni settore industriale, molti dei prodotti che ci circondano sono fatti grazie alla chimica e per questo sappiamo di avere un ruolo importante verso il futuro. Speriamo che anche le persone comprendano quanto la chimica, a volte inquadrata erroneamente o associata magari all'inquinamento, abbia in realtà un ruolo decisivo e prezioso, come risorsa, per lo sviluppo di una società più sostenibile".Giacomo Talignani, la Repubblica
SCOPRI DI PIU'Nylon, Polipropilene, Polietilene, Poliestere sono i principali polimeri che costituiscono le reti da pesca modernedi Marco ArezioLe reti da pesca vengono costruite in Nylon, Polipropilene, Polietilene, Poliestere ed altri materiali che ne rendono economica e tenaci le strutture, ma che comportano un grave problema ambientale se abbandonate nel mare. Questo fenomeno dipende molto spesso da situazioni accidentali in cui le navi da pesca perdono le reti o parti di esse, per svariati motivi, uno tra questi sono le perturbazioni o le condizioni difficili del mare. Il problema dell’inquinamento delle attrezzature da pesca disperse in mare era già stato segnalato nel 2009 da un rapporto della FAO quando non si parlava ancora di inquinamento da plastica nei mari. Secondo il rapporto 2020 dell'ECA Europa l’abbandono e la dispersione di plastica nell’ambiente danneggiano gli ecosistemi terrestri e marini. Ogni anno viene immessa nell’oceano una quantità di rifiuti di plastica compresa tra 4,8 a 12,7 milioni di tonnellate. Le proporzioni tra rifiuti di plastica terrestri e marini variano da regione a regione. Secondo uno studio recente, le reti da pesca costituirebbero anche il 46 % della Grande chiazza di immondizia del Pacifico (Great Pacific garbage patch). In Europa, l’85 % circa dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge è di plastica. Il 43 % circa di questi rifiuti marini è costituito da plastica monouso e il 27 % da attrezzi da pesca. In un altro rapporto scritto da Greenpeace nel novembre 2019 si stimava che 640.000 tonnellate di attrezzature da pesca abbandonate o perse, entravano nell'oceano ogni anno, equivalenti in peso a oltre 50 mila autobus a due piani. In totale, costituiscono circa il 10% dei rifiuti di plastica nei nostri oceani, intrappolando e uccidendo la vita marina. Il rapporto è stato scritto mentre la nave di Greenpeace, Arctic Sunrise, stava esaminando il Monte Vema, una montagna sottomarina biodiversa nell'Atlantico, a 1.000 chilometri al largo della costa del Sud Africa, dove si possono ancora trovare i resti dell'industria della pesca un tempo attiva. Parlando della spedizione sul Monte Vema, Thilo Maack, della campagna Protect the Oceans di Greenpeace, aveva dichiarato: "Molto tempo dopo il loro abbandono, le attrezzature da pesca continuano ad uccidere, mutilare la vita marina e inquinare anche ecosistemi remoti come la montagna sottomarina del Monte Vema. Abbiamo visto un fantastico mondo sottomarino pieno di vita e colori qui. È assolutamente triste vedere attrezzature della pesca distruttiva in un luogo così remoto come questo. “Anche il Tristan Lobster, una specie iconica del Monte Vema, che è stata per due volte sull'orlo dell'estinzione, sta ora mostrando segni di ripresa della popolazione, grazie al divieto attuale di pesca sul fondo. Questo mostra come gli oceani abbiano una straordinaria capacità di rigenerarsi. Il rapporto "Ghost Gear" mostra che il 6% di tutte le reti utilizzate, il 9% di tutte le trappole e il 29% di tutti i palangari (lenze di diversi chilometri) rimangono a inquinare il mare. Non solo i vecchi rifiuti di pesca continuano a uccidere la vita marina, ma danneggiano anche gravemente gli habitat sottomarini. Le montagne sottomarine sono particolarmente colpite perché sono spesso pesantemente sfruttate a causa della varietà di animali selvatici che vivono intorno a loro. Greenpeace chiede che venga attuata un'azione più forte contro l'attrezzatura fantasma mortale, compreso l'accordo di un forte Trattato Globale sull'Oceano alle Nazioni Unite che potrebbe proteggere almeno il 30% degli oceani del mondo entro il 2030, rendendolo off-limits per attività umane dannose, compresa la pesca industriale. Mentre secondo un rapporto della FAO, già nel 2009 si denunciava la pericolosità dell'abbandono delle reti in mare, mettendo tuttavia in evidenza che la maggior parte delle attrezzature da pesca non viene deliberatamente abbandonata ma viene persa durante le tempeste, trasportata via da forti correnti, o è il risultato dei cosiddetti "conflitti tra attrezzature", per esempio, quando si pesca con le reti in aree dove sono già state sistemate sul fondo trappole in cui le nuove reti possono incagliarsi. I principali danni causati dalle reti abbandonate o perse sono: • la cattura continua di pesci - conosciuta come "pesca fantasma" - e di altri animali quali tartarughe, uccelli marini e mammiferi marini, che rimangono intrappolati e muoiono; • l'alterazione degli ecosistemi dei fondali marini; • la creazione di rischi per la navigazione in termini di possibili incidenti in mare e danni alle imbarcazioni. I tramagli, le nasse e le trappole per pesci contribuiscono alla "pesca fantasma", mentre le reti da pesca estese tendono prevalentemente a intrappolare altri organismi marini e le reti a strascico a danneggiare gli ecosistemi sottomarini. La pesca fantasma In passato, le reti da pesca mal gestite portate alla deriva dalla corrente erano additate come le principali responsabili, ma la loro messa al bando in molte aree nel 1992 ha ridotto il loro contributo alla pesca fantasma. Oggi sono i tramagli posti sui fondali ad essere più spesso riconosciuti come il principale problema. L'estremità inferiore di queste reti è ancorata al fondale marino, mentre alla sommità sono posti dei galleggianti, così da formare un muro sottomarino verticale di reti che può estendersi dai 600 ai 10 000 metri di lunghezza. Se un tramaglio viene abbandonato o perso, può continuare a pescare da solo per mesi - a volte anni - uccidendo indiscriminatamente pesci ed altri animali. Le trappole per pesci e le nasse sono un'altra principale causa di pesca fantasma. Nella Baia di Chesapeake, negli Stati Uniti, si stima vengano perse ogni anno circa 150 000 trappole per granchi, su un totale di 500 000. Solo sull'isola caraibica di Guadalupe, circa 20 000 di tutte le trappole sistemate ogni anno vengono perse in ogni stagione degli uragani, un tasso di perdita pari al 50%. Come i tramagli, queste trappole possono continuare a pescare da sole per lunghi periodi di tempo.Foto:FAO
SCOPRI DI PIU'Il controllo e gli interventi programmati possono mantenere in efficienza il dosatore per le materie plastichedi Marco ArezioIl dosatore gravimetrico è una macchina estremamente utile nella lavorazione delle materie plastiche in quanto, in modo automatico, dosa e rilascia la quantità prestabilita di materiale all’interno degli estrusori o delle presse ad iniezione. I dosatori gravimetrici possono lavorare sia con i granuli, che con i macinati che con le polveri, permettendo un preciso comportamento all’interno del compound che si vuole preparare. Ma, essendo un impianto meccanico, è soggetto ad una normale usura e, quindi, è necessario programmare in modo preciso gli intervalli di manutenzione e controllo delle sue parti, per evitare rotture o pesature errate, che comporterebbero un dispendio economico elevato se il prodotto finale risultasse non conforme. Inoltre, un miscelatore gravimetrico mal funzionante può comportare un dispendioso uso e consumo di additivi senza ragione. In linea generale possiamo dire che gli intervalli di manutenzione dovrebbero essere scadenzati al massimo ad un anno di distanza tra loro, anche se la macchina risulta funzionante in modo corretto. Quali sono gli interventi di controllo principali? Cominciamo dalle valvole e dalle serrande di dosaggio che permettono l’erogazione dei materiali da miscelare, controllando il sincronismo corretto impostato, la corsa che non deve avere ostacoli e la velocità di movimento. È necessario inoltre controllare i binari delle serrande scorrevoli, la posizione del cilindro e la corretta chiusura delle porte. Il movimento di chiusura dovrebbe essere rapido e non deve essere sottoposto a sforzi, inoltre il limite di chiusura non deve oltrepassare il bordo più lontano per non creare la possibilità di incepparsi con il materiale. È inoltre consigliabile verificare il perno che collega il cilindro pneumatico che non sia usurato, rotto o mal funzionante. La verifica della corretta pressione dell’aria, il serraggio delle chiusure e che i tubi di alimentazioni siano integri e perfettamente funzionanti, sono tests importanti. Per quanto riguarda le celle di carico è consigliabile l’ispezione per rimuovere eventuali residui di materiali, accumulati nel tempo, attraverso l’uso dell’aria compressa. In base all'esposizione alla polvere dei materiali normalmente lavorati, la contaminazione della cella di carico può essere un problema permanente per il miscelatore, e potrebbe essere necessaria una chiusura della cella di carico più raffinata. Per quanto riguarda i contenitori del materiale da pesare, bisogna controllare il funzionamento delle valvole di scarico e degli sportelli di aperura e chiusura, avendo cura di controllare che i punti di rotazione dei meccanismi siano sempre essere liberi ed efficienti. Il meccanismo della valvola deve accogliere l'accumulo statico di pellet senza interferire con l'arresto del flusso di materiale. Esaminare inoltre attentamente tutte le parti del piatto di pesatura e la relativa staffa di supporto, per assicurarsi che nulla tocchi alcuna parte fissa del miscelatore, e che il suo peso sia completamente supportato dalle celle di carico, come previsto. Una leggera pressione sul contenitore dovrebbe mostrare un cambiamento nella lettura del peso sul display. La rimozione di quella pressione dovrebbe riportare lo schermo esattamente allo stesso numero, più o meno 1 o 1/10 grammi. Per quanto riguarda la camera di miscelazione bisogna controllare le lame metalliche che miscelano il materiale, in modo da verificare che non siano piegate od usurate a causa dell’abrasione dei prodotti utilizzati. Infatti utilizzare lavorare con le lame usurate potrebbe aumentare il rischio che queste si possano staccare danneggiando la vite.
SCOPRI DI PIU'Incrementare il recupero dell’asfalto e delle guaine bituminose in un’ottica di economia circolare di Marco ArezioNonostante si parli ogni giorno di economia circolare esistono ancora settori, in alcuni paesi, in cui si potrebbe fare molto di più nell’ambito della sostenibilità ambientale. Il campo dei composti bituminosi destinati al riciclo vede luci ed ombre. Il bitume, con cui si realizzano i composti bituminosi come le guaine impermeabilizzanti o l’asfalto, proviene dalla distillazione del petrolio e si presenta sotto forma di liquido di colore nero, viscoso, la cui classificazione è espressa rispetto al grado di penetrazione. Nella moderna produzione troviamo tre tipi di bitume: Distillato Ossidato Soffiato I settori in cui si usano maggiormente i prodotti bituminosi sono l’edilizia, i cui vengono impiegate le guaine bituminose per l’impermeabilizzazione delle strutture e il settore stradale in cui vengono impiegati composti aggreganti per la produzione di asfalto. Come tutti i prodotti, anche i composti bituminosi hanno un ciclo di vita prestabilita, finita la quale vanno rimossi e sostituiti. L’operazione di sostituzione rientra nelle buone procedure dell’economia circolare, attraverso le quali i rifiuti devono essere recuperati per il loro riutilizzo. Per quanto riguarda le guaine bituminose lo scarto deve essere avviato agli impianti di triturazione e selezione e può essere riutilizzato nella formazione di manti stradali, in quanto gli elementi sono compatibili con le miscele d’asfalto. Per quanto riguarda il prodotto risultante dalla fresatura delle pavimentazioni stradali, questo rappresenta per eccellenza l’elemento costitutivo delle miscele per le nuove asfaltature. In realtà, il riciclo degli scarti bituminosi, specialmente quello stradale, gode in Europa di luci ed ombre, con numeri molto differenti tra le nazioni. La Germania, per esempio, riutilizza circa l’84% dello scarto delle pavimentazioni stradali, il Belgio addirittura il 95%, la Francia il 70%, il Regno Unito il 90%, mentre l’Italia solo il 25%, secondo i dati dell’associazione strade e bitume Siteb, portando la media Europea al 60%. I numeri del fresato d’asfalto nel mondo sono davvero importanti, se consideriamo che solo in Germania se ne generano circa 13 milioni di tonnellate all’anno e, la considerazione della qualità di un prodotto per asfaltatura, in paesi come gli Stati Uniti, il Giappone e l’Inghilterra, si misura sul numero di volte in cui si può riutilizzare. Il riciclo e riutilizzo dei composti bituminosi in modo corretto porterebbe a minori importazioni di petrolio, riduzione della circolazione dei mezzi pesanti e riduzioni delle emissioni in atmosfera.Categoria: notizie - bitume - economia circolare - riciclo - rifiuti
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