La società Arezio Marco è specializzata nella fornitura di servizi e consulenze sulle materie prime nel campo delle plastiche riciclate da post consumo e post industrialiIn particolare, offre ai clienti che producono tubi in plastica, un servizio di fornitura di polimeri riciclati per la maggior parte delle tipologie prodotte, siano essi tubi corrugati o lisci. Pienamente integrata nel percorso dell’economia circolare, la società affianca i produttori di tubi in LDPE, HDPE, PP e PVC nella fornitura dei polimeri riciclati più idonei alle singole produzioni, tenendo conto delle tipologie dei tubi da estrudere, delle caratteristiche meccaniche richieste, dai colori attesi, del livello qualitativo atteso dal cliente, del mercato nel corretto rapporto tra qualità e prezzo. La scelta della correttezza del materiale da impiegare nella produzione dei tubi parte dall’analisi della produzione del polimero riciclato, dalla sua selezione, dalla tipologia dello scarto plastico usato, dalle tipologie di lavaggio e dai sistemi di estrusione e filtratura. Questo comporta lo scambio con il produttore di tubi di una serie di informazioni per definire, all’origine della fornitura, la tipologia di famiglia di riciclo più idonea, cioè se il materiale deve provenire dagli scarti post industriali o da post consumo. Successivamente si analizzeranno le tipologie di tubi da produrre, corrugati o lisci, i diametri, gli spessori delle pareti, se sono mono strato o doppio strato, se la doppia parete necessita di polimeri diversi, quali pressioni di esercizio, le resistenze meccaniche richieste, il gradiente di odore dei polimeri, o la sua totale assenza ed infine i colori. Attraverso la raccolta di queste informazioni la società Arezio Marco può fornire le giuste risposte, condivise con il cliente, sulle tipologie di granuli da fornire. Vediamo la gamma prodotti offerti: Granuli riciclati per tubi e raccordi in PVC Rigido La fornitura può riguardare la materia prima riciclata adatta alla produzione di tubi lisci, non a pressione, di spessori compresi tra 1,8 mm. fino a 7 mm. con tonalità a richiesta del cliente. Il polimero normalmente è impiegato in macchina al 100% senza bisogno di correzioni. Si può optare per ricette standard oppure per compounds con ricette studiate appositamente per il cliente. Anche nella scelta dei colori si possono raggiungere i RAL dei colori richiesti dal cliente. Con lo stesso principio forniamo granuli per lo stampaggio di raccordi per i tubi che abbiano le stesse caratteristiche dei tubi sopra esposti.Granuli riciclati per tubi corrugati e lisci flessibili in PVC Soft Nell’ambito del PVC flessibile riciclato forniamo granuli provenienti dalla lavorazione di scarti post industriali adatti all’estrusione di tubi corrugati, specialmente per il settore elettrico e per l’estrusione di tubi lisci per l’acqua, nel settore del giardinaggio o piccoli tubi elastici per il settore dell’agricoltura. Granuli riciclati per tubi corrugati in HDPE e raccordi Il comparto dei tubi corrugati in HDPE contempla il settore della fognatura, dei tubi che accolgono i cavi per le telecomunicazioni o elettrici e quello dei sistemi drenanti. I tubi, in base alla loro destinazione, hanno diametri e spessori diversi, possono essere mono o doppia parete, di colori scuri o chiari o entrambe le soluzioni. A tutte queste variabili corrispondono soluzioni di polimeri riciclati differenti, con MFI più o meno bassi, filtrazioni di estrusione differenti in base agli spessori dei tubi da realizzare, basi colori chiare, scure o neutre a seconda della tonalità finale da ottenere ed eventualmente le cariche minerali, talco o carbonato di calcio se richiesti. Anche per i raccordi si suggeriscono le giuste ricette in funzione dei tubi da abbinare. Granuli riciclati per tubi lisci e raccordi in HDPEIl tubo liscio in HDPE viene usato sia nel campo dell’edilizia civile sia in quello agricolo per il trasporto dell’acqua. Le ricette dipendono dal grado di pressione che il tubo deve sopportare, dall’assenza di odori richiesta o dal livello di tolleranza ammessa, dal tipo di tubo, se in barre o in rotolo, dal colore e dalla resistenza agli UV richiesta. Così come il tubo, anche i raccordi seguiranno le ricette corrette, tenendo in considerazione le caratteristiche tecniche generali. Granuli riciclati per tubi corrugati e lisci in Polipropilene La materia prima riciclata è scelta in base alla tipologia di tubo da realizzare. Normalmente per l’uso nel settore fognario, dove gli spessori del tubo crescono in funzione dell’aumento dei diametri, si può impiegare un granulo in PP proveniente dal riciclo degli imballi di rafia, mentre per i tubi lisci, anche di diametri piccoli, si predilige uno scarto di produzione neutro che permette di non avere nessun tipo di odore legato al riciclo post consumo e di realizzare colorazioni a RAL. Granuli riciclati per tubi lisci in LDPE e per interno dei tubi corrugati per i cavi Nel campo dei tubi in LDPE, in base ai diametri e agli spessori, spesso vengono usati granuli che derivano dalla raccolta differenziata. Tecnicamente è possibile estrudere un tubo con il post consumo da scarti domestici, ma l’incostanza della qualità, che dipende dalla presenza del polipropilene, da inquinanti di altre plastiche e dalla possibile degradazione del materiale in estrusione, ne sconsiglia l’uso se si vuole realizzare un tubo tecnicamente ed esteticamente qualitativo. Sia nel campo dei tubi in LDPE rigidi che in quelli flessibili, per realizzare una superficie liscia, senza micro bolle, elastica e senza fessurazioni o piccoli fori, forniamo un granulo in LDPE che proviene dagli scarti del packaging industriale o commerciale. Questa filiera di raccolta non viene in contatto con altre plastiche e quindi, essendo un mono prodotto, ne garantisce la qualità dell’input. Per quanto riguarda i tubi di piccolo o piccolissimo diametro si valuta l’uso di un granulo in LDPE, post industriale che deriva dalla lavorazione dei blocchi petrolchimici riciclati. Il prodotto è composto da un LDPE 100%, neutro, senza odori o contaminazioni ed è adatto all’estrusione di spessori piccoli. Inoltre si presta a compound con l’HDPE per ricette particolari. Un’altra applicazione del granulo in LDPE è quella della parete interna dei tubi corrugati in cui passano i cavi. La solidarizzazione tra lo strato in HDPE della parte corrugata e lo strato liscio in LDPE interno richiede una qualità elevata del granulo. Questo deve essere elastico e, per esserlo, non deve contenere polipropilene che possa irrigidire la pelle posata, non deve contenere parti rigide non fuse, composte da residui di estrusione o da inquinanti nell’input. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - polimeri - tubi - ricicloVedi maggiori informazioni sui sistemi fognari
SCOPRI DI PIU'Il legno di scarto o di selezione forestale deve essere trattato per realizzare un buon apporto energetico. Vediamo comedi Marco ArezioLa superficie forestale Italiana complessiva negli ultimi 80 anni è triplicata e, se consideriamo ambiti temporali più ristretti, per esempio, dal 2005 al 2015, prossimo dire che l’aumento è stato di 53 mila ettari all’anno, a discapito dei pascoli, dei terreni incolti in aree montane e dei terrazzamenti collinari. Se da un lato l’aumento della superficie boschiva può essere visto come un fatto positivo, dall’altro la disposizione in aree montane delle maggior parte delle risorse forestali, unito al progressivo spopolamento delle stesse aree, comporta un problema di gestione e di manutenzione dei boschi. Il taglio selettivo e la pulizia dei residui legnosi nelle aree forestali rimane un’attività importante e necessaria per la vita delle piante e per il riutilizzo degli scarti, che possono essere impiegati in molti settori, come quello del mobile, di cui l’Italia è un attore principale. Inoltre, la filiera delle biomasse legnose destinate alla produzione di energia calorifica, imporrebbe una migliore gestione delle foreste nazionali, potendo ridurre le importazioni di legname destinato a questi scopi dall’estero. Per quanto riguarda la produzione di elementi adatti alla combustione, possiamo approfondire quali processi siano necessari per trasformare uno scarto legnoso in un elemento idoneo a sviluppare energia termica. In questo racconto ci aiuta Davide Pettenella, che ha studiato la filiera forestale Italiana, con lo scopo di analizzare la produzione delle biomasse legnose per la produzione di energia termica. Per liberare e utilizzare l’energia contenuta nei materiali vegetali sono disponibili diverse tecnologie di conversione: alcune di queste costituiscono applicazioni ormai affidabili, economiche, comode e semplici nell’impiego, suscettibili di essere acquisite a livello sia individuale sia collettivo e industriale.Altre, invece, sono ancora in fase di sviluppo, richiedono strutture ad elevata tecnologia e dimensioni industriali per essere economiche, anche se dallo sviluppo di queste ultime dipende un uso esteso in funzione energetica della risorsa biomassa. Nel caso delle biomasse forestali, caratterizzate, tra le altre cose, da contenuti idrici relativa-mente bassi, sono utilizzati soprattutto i processi termo-chimici di conversione energetica (“via secca”), mentre gli altri processi riguardano in modo particolare le biomasse agricole, a più alto contenuto d’umidità (“via umida”). Nella prima parte di questo capitolo saranno presentati i trattamenti necessari per accresce-re ed uniformare la qualità energetica di materiali legnosi, mentre nella seconda parte sa-ranno descritte le tecnologie di conversione vere e proprie. Tecniche di condizionamento I prodotti legnosi potenzialmente utilizzabili per scopi energetici sono caratterizzati da un’e-trema eterogeneità per composizione, misura e forma: si passa, infatti, dalla polvere di legno alla segatura, dai trucioli alle ramaglie e ai tronchi. Al momento di destinarli alla conversione energetica, essi richiedono trattamenti che sono variabili a seconda delle caratteristiche fisico-chimiche del materiale di cui si dispone e del tipo d’impianto che li utilizza. Il fine di queste operazioni è l’ottenimento di un combustibile a più alta qualità energetica e maggiore facilità d’impiego, che renda la dendro-energia il più comparabile possibile agli altri combustibili convenzionali. L’essiccazione e lo stoccaggio Successivamente alle fasi taglio, allestimento ed esbosco, la legna non può essere «convenientemente» utilizzata tal quale a causa dell’elevata percentuale d’umidità; questa può assumere valori molto vari e, mediamente, in una pianta forestale appena tagliata si aggira intorno al 50%. In queste condizioni gran parte dell’energia contenuta nel legno sarebbe utilizzata per liberare l’acqua contenuta, con ovvie considerevoli perdite dell’efficienza di conversione energetica. Una soluzione semplice ed economica per ridurre il tenore idrico del legno da bruciare l’essiccazione per traspirazione (o biologica). Essa consiste in una stagionatura del legno, la cui durata può variare da pochi mesi a più di un anno, in relazione all’andamento climatico stagionale e al tipo di legno; questo, dopo il taglio, è solitamente stoccato in foresta, ai bordi della strada o in prossimità dei luoghi d’utilizzazione, all’aperto oppure al riparo. Ovviamente la perdita d’umidità porta a un aumento del potere calorifico del legno, che raggiunge il valore più alto con contenuti d’umidità tra il 12 e il 15%. Infatti, un contenuto d’umidità del legno eccessivamente basso porterebbe, nella maggior parte degli impianti di combustione oggi disponibili, a una rapida bruciatura e i fumi evacuerebbero velocemente, prima di cedere il calore. A questi valori d’umidità corrisponde anche una migliore stabilità del materiale. In realtà il guadagno non è così macroscopico, se consideriamo che il peso del legno diminuisce durante l’essiccazione; infatti, se, come è giusto che sia, considerassimo la variazione del potere calorifico sullo stesso volume, il guadagno in termini energetici risulterebbe più contenuto. D’altra parte, occorre considerare anche che l’essiccazione del legno porta a una migliore qualità di combustione, a una minore produzione di fumo e catrame, a una minore usura delle apparecchiature e a più alti rendimenti termodinamici. La cippatura Per rendere omogenea la composizione dei materiali legnosi si ricorre alla cippatura, un’operazione meccanica che riduce assortimenti legnosi di diversa misura in scaglie di piccole dimensioni (Chips , da cui il nome). In questo modo è notevolmente agevolata la movimentazione del materiale e l’alimentazione degli impianti. La geometria dei chips varia con le tecniche di taglio, infatti le dimensioni richieste sono in funzione del tipo di impianto e, soprattutto, del suo sistema di alimentazione. Essi hanno una lunghezza che varia da 15 a 50 mm, una larghezza pari a metà e uno spessore pari a 1/5-1/10 della lunghezza (generalmente le dimensioni sono 40x20x3mm). La geometria, la dimensione, la densità sono caratteristiche importanti se i chips sono destinati all’industria del legno; l’omogeneità, invece, è il parametro più importante per i chips destinati alla combustione. La presenza di chips di dimensioni disomogenee provoca spesso fastidiosi bloccaggi dei sistemi d’alimentazione degli impianti automatici. L’omogeneità del materiale può essere ottenuta con la calibratura tramite vagli. Un tenore di umidità del legno superiore al 40% può causare problemi al funzionamento della cippatrice: dopo il taglio si richiede, pertanto, uno stazionamento del materiale sul posto ai bordi della strada o in piazzale. In ogni caso l’umidità del legno non deve scendere a valori inferiori al 25%. Lo stoccaggio dei chips pone dei problemi per l’essiccazione, poiché possono intervenire deterioramenti e perdita di materiale a causa dei processi di respirazione e di fermentazione microbiologica, tanto più intensi quanto più è profonda la pila di ammasso, l’umidità del combustibile e la temperatura esterna (gli stessi processi di respirazione e fermentazione, d’altro canto, aumentando la temperatura e favoriscono l’evaporazione dell’acqua contenuta nei chips). Sul mercato italiano esistono delle cippatrici di varia potenza fino a 15 MW, in grado di la-vorare legname di varie dimensioni (con capacità di lavoro variabili da qualche tonnellata fino a qualche decina di tonnellate l’ora), sia automotrici sia portate da trattrici agricole. Le prime sono in grado di lavorare legname di ogni tipo di specie, fino a un diametro di 30 cm. e hanno dei costi elevati di investimento e di esercizio (l’affitto costa circa 150 Euro per un’ora di funzionamento), ma hanno il vantaggio di notevoli capacità di lavoro e basso impiego di manodopera. Le cippatrici portate ai tre punti della trattrice hanno costi d’investimento contenuti e costi di esercizio relativamente bassi, ma richiedono alimentazione manuale e offrono basse capacità di lavoro. Esse si distinguono per il sistema di taglio: questo può essere a disco o a tamburo. Il primo, in genere usato nelle cippatrici portate di piccole potenze, presenta l’inconveniente di produrre delle code di cippatura che bloccano la vite senza fine dell’impianto di alimentazione delle caldaie, ma in compenso ha costi di investimento ragionevoli, semplicità d’uso, manutenzione relativamente facile, potenze richieste meno elevate. Il secondo sistema di taglio è più diffuso nelle macchine automotrici di potenza più elevata. La densificazione Ai differenti livelli industriali della filiera del legno, sono prodotte ingenti quote di residui legnosi di piccola granulometria (trucioli, segatura, polvere di legno, ecc.) che non trovano una facile utilizzazione e, talvolta, pongono problemi di smaltimento. La densificazione di questi materiali permette di ottenere un combustibile denso, in forma di cubetti, pellets (piccoli cilindri di 8-10 mm di diametro e 20-30 mm di lunghezza) e bricchette (a forma di saponetta o di cilindro con lunghezza tra 50 e 300 mm), utilizzabile all’interno del processo produttivo o vendibili ad altri utilizzatori. I prodotti densificati sono caratterizzati da elevata densità energetica, stabilità e uniformità delle dimensioni, bassa percentuale d’umidità. Essi, di conseguenza, hanno minori costi di trasporto e una maggiore facilità di immagazzinamento e uso, miglior controllo e maggiore efficienza di combustione. La densità dei prodotti densificati varia da 0,9 a 1,4 g/cm3, mentre la loro umidità può variare entro range molto estesi (generalmente dal 5% al 10%). Il processo di produzione si articola in tre fasi: stoccaggio e preparazione del materiale, essiccazione, densificazione. Inizialmente il legno è separato dalle impurità, ridotto in dimensioni più piccole e uniformi e stoccato su piattaforme; da qui è trasportato all’interno di forni di essiccazione, dove l’umidità è ridotta a valori intorno al 10%. Avviene quindi la densificazione del materiale per compressione (pressa a vite o a pistone) o estrusione. Le macchine che lavorano per estrusione riscaldano il materiale, provocando, dopo il raffreddamento, la formazione di una pellicola protettrice di lignina che si oppone ad un ritorno di umidità. La qualità del prodotto e il costo energetico richiesto (mediamente il 20% dell’energia contenuta nel materiale da densificare) dipendono dalle caratteristiche chimico-fisiche del materiale grezzo e dal tipo di processo impiegato. Altre tecniche di condizionamento Tra i prodotti di condizionamento vanno citati il legno torrefatto, (una forma energetica inter-media tra il legno e il carbone, con potere calorifico superiore a 5000 kcal/h, ottenuto per trattamento del legno a temperature di circa 300 gradi, più stabile e più omogeneo del materiale di partenza e che crea minori problemi di stoccaggio e trasporto) e la miscela segatura-combustibile. L’impiego di questi prodotti risponde, tuttavia, piuttosto a esigenze di smaltimento di residui di lavorazione che a necessità di valorizzazione energetica.
SCOPRI DI PIU'Un’attività di marketing del tutto deplorevole ed ingannevole che ha mosso anche i vertici Europeidi Marco ArezioSecondo l’Unione Europea circa il 40% della comunicazione verso i consumatori, che sia fatta attraverso la pubblicità diretta che attraverso le informazioni sugli imballi dei prodotti, è spesso priva di fondamento e facilmente ingannevole verso le scelte di acquisto. Siamo circondati da parole come “verde”, “green”, “ecosostenibile”, “bio”, “riciclabile”, “rispettoso dell’ambiente” e via dicendo, ma dietro queste parole si cela davvero un prodotto all’altezza di quanto dichiarato? Sembrerebbe che spesso non lo sia, tant’è vero che il Parlamento Europeo darà indicazioni agli stati membri di adottare delle azioni dissuasive verso questo fenomeno, imponendo sanzioni al fine di non alterare il mercato. L’obbiettivo della proposta di legge è quello di aiutare i consumatori a fare scelte consapevoli e ridurre la concorrenza sleale, tra le aziende che producono prodotti ecocompatibili, da quelle che non lo fanno ma lo dicono. Infatti, i consumatori nella maggior parte dei casi, non dispongono di informazioni corrette quando acquistano un prodotto, in quanto le etichette non sempre rispecchiano le indicazioni reali del contenuto, ma quello che il consumatore vorrebbe ci fosse all’interno. Una sottile strategia di marketing che tende a dare ai clienti ciò che desiderano senza, per altro, fare nulla dal punto di vista industriale per realizzare ciò che si scrive sugli imballi, creandosi delle scorciatoie con pochi sforzi. L’Unione Europea pensa di istituire un controllo indipendente, fatto da enti terzi, che possano verificare ciò che le imprese dichiarano sui loro prodotti, per evitare, ed eventualmente sanzionare, con interventi efficaci, proporzionati e dissuasivi, chi fa dichiarazioni ecologiche quando in realtà non lo sono. Le sanzioni dovrebbero essere stabilite sulla base di criteri comuni, considerando "la natura e la gravità dell'infrazione", nonché "i benefici economici che ne derivano" e il potenziale danno ambientale causato. Il ruolo dell’autorità di vigilanza, in fatto di commercio ed ambiente, è sempre più importante per dare, sia ai consumatori la giusta protezione che si meritano, sia alle imprese un corretto mercato, con una competizione onesta ed equivalente per tutti i paesi dell’Unione Europea. Bisogna però considerare che tra la proposta e l’entrata in vigore di una legge Europea passerà ancora del tempo, in quanto, attualmente, nel mercato comune ci sono circa 200 attestati o marchi di “qualità ecologica”, ognuno dei quali nasce da legislazioni nazionali e si basa su metodologie di controllo differenti paese per paese. Gran parte del dibattito è incentrato sulla metodologia Product Environmental Footprint (PEF), che la Commissione Europea vuole estendere gradualmente a una gamma sempre più ampia di prodotti, dando una sorta di patente agli stessi, seguendoli dalla loro nascita fino alla loro fine. L’utilizzo della metodologia PEF ha creato dei malumori tra i produttori di alcuni settori, in quanto sembrerebbe che non tenga in considerazione tutti gli aspetti produttivi e commerciali relativi alla sostenibilità. Infatti, per quanto riguarda gli imballaggi, ad esempio, i produttori di vetro si sono lamentati del fatto che la metodologia PEF prevista, fosse eccessivamente focalizzata sulle emissioni di CO2, senza tener conto del fatto che il vetro può essere riciclato più e più volte. Nel frattempo, altri vantaggi del vetro, come l'assenza di sostanze chimiche tossiche nella sua composizione, non sono stati debitamente rispecchiati, secondo la Federazione europea dei produttori di imballaggi in vetro (FEVE). L’Unione Europea si è detta disponibile a trovare una strada che possa considerare le esigenze di tutti i settori produttivi, cercando di ottenere una legge che rappresenti le aziende, i consumatori e tuteli l’ambiente. Un capitolo importante sarà poi dedicato alla comunicazione da parte delle aziende verso il mercato, il quale dovrà essere monitorato e sanzionato in caso di atteggiamenti che rispecchino il greenwashing. Quest’attività sanzionatoria dovrebbe avere un aspetto anche sociale, dichiarando l’impresa che utilizza questi sistemi degna di ricevere un “certificato di vergogna”, oltre che ad una multa, in modo da compensare le informazioni fraudolente con un’immagine negativa nei confronti dei consumatori. Traduzione automatica. Ci scusiamo per le eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano.
SCOPRI DI PIU'Tubazioni Corrugate per Fognatura in HDPE e PP di Grande Diametro attraverso l'uso di granuli riciclatidi Marco ArezioLe linee di fognatura sono progettate in funzione del carico di lavoro che i centri abitati imprimono sul sistema di scarico e, in base ad altri parametri di tipo tecnico-progettuale, vengono stabilite le caratteristiche dei tubi di trasporto dei liquidi di scarico.Le tubazioni non a pressione composte di materiale plastico, specialmente quelle realizzate in Polietilene ad alta densità e in Polipropilene, sono largamente impiegate da decenni a seguito dei vantaggi che sono insiti nelle materie prime costituenti i tubi stessi.Possono essere utilizzati granuli in HDPE riciclati o vergini che abbiano un MFI 0,4-0,7 a 190°/5 Kg., oppure in PP con MFI 1,5-2 a 230°/2,16 Kg. con una corretta stabilità termica e la giusta quantità di carbon black. Le caratteristiche richieste normalmente in fase di progettazione sono:• Resistenza ai carichi esterni • Resistenza alle aggressioni chimiche ed elettrochimiche • Tenuta bidirezionale delle giunzioni • Caratteristiche idrauliche costanti nel tempo • Ridotta aderenza alle incrostazioni • Facilità di assemblaggio e posa • Ridotto costo di posa e manutenzione I tubi in HDPE e PP possono essere corrugati, cioè presentare una ondulazione di rinforzo della parte esterna della struttura e una finitura liscia nella parte interna. In presenza di tubi di grandi dimensioni è possibile interporre una struttura metallica nell’intradosso della corrugazione con lo scopo di aumentare la resistenza del manufatto al fenomeno denominato “creep”, che si configura in un comportamento visco-elastico del materiale, con la conseguente deformabilità temporanea del tubo. Abbiamo accennato alla presenza dei due strati del tubo, quello esterno corrugato e quello interno liscio, elementi che hanno quindi due funzioni ben distinte. Lo strato interno, liscio, a diretto contatto con i fluidi trasportati, deve possedere una corretta resistenza chimica e meccanica nei confronti dei liquidi trasportati e una resistenza allo scorrimento basso. Lo strato esterno, corrugato, ha la funzione di contrapporsi agli sforzi di compressione che agiscono sul tubo posato, garantendone la durata e l’assenza di rotture. Nel caso di tubature armate, prodotto sviluppano in Giappone negli anni 90 del secolo scorso e successivamente largamente impiegati anche negli Stati Uniti, si associano le caratteristiche delle materie plastiche come la resistenza all’abrasione, la leggerezza, il coefficiente di scabrezza minimo, l’inerzia alle sostanze chimiche e la facilità di posa, alle caratteristiche dell’acciaio che presenta, per esempio, un modulo elastico molto più elevato del polietilene. L’utilizzo del PP anziché l’HDPE avviene in virtù di piccole differenze sui materiali:• Modulo elastico leggermente superiore • Migliore comportamento alle alte temperature (minore però a quelle basse) • Densità e peso specifico inferiore Tra le tre caratteristiche elencate sicuramente la differenza del modulo elastico è quella più importante, in quanto il modulo influenza la rigidità del tubo e quindi la resistenza ai carichi compressivi. Quindi, a parità di spessori, un modulo elastico superiore corrisponde una maggiore resistenza ai carichi e, nel caso dell’HDPE il modulo elastico istantaneo è normalmente > di 800 MPa, mentre nel PP è > di 1250 MPa. Come abbiamo detto, le tubazioni costituite in HDPE e PP hanno ottime caratteristiche idrauliche sia per quanto riguarda la scabrezza delle pareti a contatto con i fluidi, ma anche per quanto riguarda la resistenza all’abrasione, garantendo una costante portata idraulica e una grande durabilità della linea fognaria. Tra i concorrenti dei tubi in PP e HDPE, quali i tubi in cemento, in cemento rivestito, in vetroresina, in gres e in PVC, si è verificato, attraverso prove di laboratorio, che la resistenza all’abrasione interna risulta inferiore tra i concorrenti, quindi, questi, sono soggetti a un maggior logorio meccanico. Tra questi prodotti, quelli composti con PVC, hanno dato risultati vicini ai tubi in PP e HDPE. Per farci un’idea di cosa si intende per tubi fognari di grande diametro, possiamo dire che sul mercato esistono tubi con diametro esterno fino a 2500 mm. ed interno di 2400 mm. circa. Nella posa dei tubi in HDPE, PP e PVC in trincea è fondamentale il ruolo del sottofondo sul quale verrà posata la linea, in quanto questi manufatti sono soggetti al comportamento meccanico di tipo visco-elastico, quindi soggetti ad una costante deformazione nel tempo definito “creep”. In caso di sottofondi non estremamente compatti o soggetti a piccoli movimenti l’impiego di tubi corrugati con armatura in metallo nell’intradosso della corrugazione può aiutare a contenere questo fenomeno. Per quanto riguarda le caratteristiche chimiche dei tubi in HDPE e PP possiamo dire che i materiali costituenti hanno in sé caratteristiche di resistenza ai fenomeni di corrosione elettrochimica o per l’accoppiamento galvanico, in quanto non sono di per se elettricamente conduttivi. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - tubi - fognatura - HDPE - PP
SCOPRI DI PIU'Cosa si intende per degrado dei polimeri riciclati: biologico, ossidativo, foto-degradazione e termico?di Marco ArezioNegli anni dal dopo guerra in poi, le materie plastiche hanno preso sempre più mercato andando a sostituire prodotti fatti con altre tipologie di materiali in quanto si evidenziarono subito gli innumerevoli vantaggi che questo nuovo materiale portava. Tra i vantaggi delle materie plastiche che si possono sottolineare, troviamo la leggerezza, la facilità di lavorazione, la possibilità di colorazione e il basso costo di produzione. In realtà in quegli anni ci siamo concentrati sui vantaggi indiscussi delle materie plastiche senza approfondire le questioni che ne determinavano il loro degrado. Oggi, con la grande esperienza che gli utilizzatori e i produttori di materie plastiche hanno acquisito, possiamo bilanciare vantaggi e svantaggi di un materiale così innovativo. Possiamo classificare gli svantaggi tra interni ed esterni: Svantaggi Interni modificazione chimiche e fisiche processo di produzione del polimero reattività chimica degli additivi Svantaggi Esterni variazioni termo-igrometriche esposizione ai raggi UV agenti inquinanti calore microrganismi ossigeno cause accidentali Inoltre, la degradazione può essere di tipo fisico che chimico. Nel degrado fisico si può notare un aumento della cristallinità e di conseguenza della densità, con la nascita di tensioni interne, fessurazioni e deformazioni. Quello chimico, che avviene a livello molecolare, in base all’agente degradante, va ad influenzare le catene polimeriche con una perdita di coesione e una diminuzione del peso molecolare. DEGRADO OSSIDATIVO DELLE MATERIE PLASTICHE Nonostante la degradazione dei polimeri organici e inorganici sotto l’effetto dell’ossigeno sia molto lenta, questa provoca il rilascio di sostanze chimiche che portano all’auto-catalizzazione del polimero stesso, cioè, gli agenti chimici frutto della degradazione attaccano a loro volta la catena polimerica, attivando un processo autodistruttivo. Inoltre, se questa fase viene interessata dalla formazione di radicali liberi per azione del calore o della luce, allora la reazione tra il polimero e l’ossigeno aumenta la velocità di scissione delle catene, che porta alla reticolazione e alla formazione di elementi volatili. Questo processo viene chiamato foto-ossidazione o termo-ossidazione, a seconda se il fattore scatenante sia stata la luce o il calore. Le conseguenze dirette sulla qualità del polimero si possono notare attraverso la riduzione delle proprietà meccaniche, specialmente per quanto riguarda l’elasticità e la resistenza alla rottura. DEGRADO BIOLOGICO DELLE MATERIE PLASTICHE Per degrado biologico si intende l’attacco da parte di funghi e batteri sui alcuni polimeri, specialmente quelli di derivazione naturale. Questi sono soggetti al fenomeno della Idrolisi, che può espone il polimero, in presenza di un alto tasso di umidità, alla rottura delle catene. Per bloccare il degrado si può optare per una conservazione in un ambiente privo di ossigeno, ma è necessario conoscere bene l’origine del polimero in quanto non è un trattamento universalmente valido. DEGRADO TERMICO DELLE MATERIE PLASTICHE Il fenomeno della degradazione termica è causato dalla presenza di idrogeni mobili nella catena o dall’attività radicalica che vengono innescati dal calore, causando la rottura della catena con la formazione di rotture e la produzione di elementi volatili. La mancanza di ossigeno porta alla depolimerizzazione della catena che avviene in tre fasi dissociative: iniziazione, trasferimento molecolare e propagazione. Per aumentare la resistenza chimica dei polimeri al degrado termico la soluzione migliore è l’aggiunta di additivi in fase di produzione. FOTO-DEGRADAZIONE DELLE MATERIE PLASTICHE Il fenomeno di foto-degradazione avviene quando il polimero è soggetto all’influenza dei raggi UV nel range di lunghezza d’onda tra 290 e 400 nm. A livello atomico sappiamo che le radiazioni di luce funzionano come flusso di particelle, nello specifico i fotoni, che entrando in contatto con le molecole dei materiali e, in certe condizioni, possono interagire passando da uno stato di bassa energia ad uno ad alta eccitazione energetica. Questi particolari flussi e movimenti si definiscono come Foto-fisici e/o Foto-chimici. Nel primo caso non intervengono modificazioni chimiche tra le molecole dei polimeri, mentre per il processo di Foto-chimica, esistono possibilità che le molecole alterino la loro caratteristica chimica in virtù della presenza di una abbondante energia. In alcune macromolecole sintetiche, l’energia dei fotoni contenute nelle radiazioni UV hanno la facoltà di provocare rotture dei legami covalenti.Categoria: notizie - tecnica - plastica - polimeri - degrado Vedi maggiori informazioni sulle materie plastiche
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