Un viaggio nella circolarità tessile dove la seta è da sempre regina di Marco ArezioIl mondo del tessile si immerge sempre più nella circolarità, cercando soluzioni sostenibili per ridurre l'impatto ambientale dell'industria della moda. Tra le molte fibre naturali, la seta si distingue per la sua bellezza e la sua versatilità, tuttavia, anche questo tessuto lussuoso può essere parte integrante dell'economia circolare. In questo articolo, esploreremo il processo di riciclo della seta, dall'inizio alla fine, per comprendere come questa antica fibra possa trovare nuova vita attraverso pratiche sostenibili. Il Ciclo di Vita della Seta La seta ha una storia ricca e affascinante, che inizia con il baco da seta e continua attraverso la filatura, la tessitura e la produzione di capi pregiati. Tuttavia, quando i tessuti di seta raggiungono la fine della loro vita utile, invece di essere considerati rifiuti, possono essere trasformati in risorse preziose attraverso il riciclo. Il Processo di Riciclo della SetaIl processo industriale di riciclo della seta coinvolge diversi passaggi chiave per trasformare i tessuti di seta usati in fibre riutilizzabili. Vediamo una panoramica dei principali passaggi industriali: Raccolta e Selezione dei Tessuti Usati: Il primo passo consiste nella raccolta dei tessuti di seta usati da varie fonti, come abiti vecchi, scarti di produzione e tessuti d'arredamento. Questi tessuti vengono quindi selezionati e classificati in base alla qualità, al colore e alla composizione. Pulizia e Pretrattamento: I tessuti raccolti possono contenere sporco, macchie o altri contaminanti che devono essere rimossi prima del processo di riciclo. Pertanto vengono sottoposti a un processo di pulizia e pretrattamento per eliminare qualsiasi residuo indesiderato. Destrutturazione dei Tessuti: Dopo la pulizia, i tessuti vengono destrutturati per separare le fibre di seta dalle altre componenti del tessuto, come il cotone o il poliestere. Questo processo può avvenire meccanicamente, utilizzando macchinari appositi che rompono e separano il tessuto in fibre più piccole, oppure chimicamente, mediante l'uso di solventi o altre sostanze chimiche per dissolvere o disgregare le componenti non desiderate. Filatura delle Fibre: Le fibre di seta estratte vengono quindi filate per creare filati utilizzabili nella produzione di nuovi tessuti. Questo processo può avvenire utilizzando metodi tradizionali di filatura a mano o macchinari industriali più moderni, a seconda delle esigenze e delle capacità del produttore. Tessitura o Maglieria: I filati di seta riciclata vengono infine tessuti o lavorati a maglia per creare nuovi tessuti o capi di abbigliamento. Questo passaggio può includere la produzione di tessuti per abbigliamento, biancheria per la casa, accessori e molto altro ancora. Finitura e Trattamenti Aggiuntivi: Una volta completata la tessitura o la maglieria, i tessuti possono essere sottoposti a ulteriori trattamenti per migliorarne le proprietà o l'aspetto. Questi trattamenti possono includere il lavaggio, la tintura, la stampa o la rifinitura per conferire al tessuto la texture desiderata o per aggiungere caratteristiche speciali. Questi passaggi industriali rappresentano una panoramica generale del processo di riciclo della seta. Tuttavia, è importante notare che le pratiche specifiche possono variare a seconda delle tecnologie e delle preferenze dei produttori, ma l'obiettivo finale rimane quello di trasformare i tessuti di seta usati in risorse preziose e sostenibili. Applicazioni del Tessuto RiciclatoIl tessuto di seta riciclata può essere utilizzato in una vasta gamma di applicazioni, che vanno dall'abbigliamento alla biancheria per la casa e agli accessori. Grazie alle sue proprietà naturali, come la morbidezza e la traspirabilità, la seta riciclata offre un'alternativa sostenibile ai tessuti vergini senza compromettere lo stile o la qualità. Benefici Ambientali e SocialiIl riciclo della seta porta con sé una serie di benefici ambientali e sociali. Riduce la dipendenza dalle risorse naturali limitate, come il guscio di baco da seta, e contribuisce a ridurre i rifiuti tessili destinati alla discarica. Inoltre, promuove pratiche commerciali più sostenibili e può sostenere comunità locali attraverso l'occupazione in imprese di riciclo tessile. Il riciclo della seta rappresenta un'opportunità emozionante per ridurre l'impatto ambientale dell'industria tessile e promuovere la circolarità nel settore della moda. Attraverso un processo di raccolta, destrutturazione e riutilizzo, i tessuti di seta possono trovare una nuova vita, conservando il loro fascino e la loro eleganza intrinsechi. Investire nell'economia circolare della seta non solo beneficia l'ambiente, ma anche il settore tessile nel suo complesso, spingendo verso una moda più sostenibile e consapevole.
SCOPRI DI PIU'Il legno di scarto o di selezione forestale deve essere trattato per realizzare un buon apporto energetico. Vediamo comedi Marco ArezioLa superficie forestale Italiana complessiva negli ultimi 80 anni è triplicata e, se consideriamo ambiti temporali più ristretti, per esempio, dal 2005 al 2015, prossimo dire che l’aumento è stato di 53 mila ettari all’anno, a discapito dei pascoli, dei terreni incolti in aree montane e dei terrazzamenti collinari. Se da un lato l’aumento della superficie boschiva può essere visto come un fatto positivo, dall’altro la disposizione in aree montane delle maggior parte delle risorse forestali, unito al progressivo spopolamento delle stesse aree, comporta un problema di gestione e di manutenzione dei boschi. Il taglio selettivo e la pulizia dei residui legnosi nelle aree forestali rimane un’attività importante e necessaria per la vita delle piante e per il riutilizzo degli scarti, che possono essere impiegati in molti settori, come quello del mobile, di cui l’Italia è un attore principale. Inoltre, la filiera delle biomasse legnose destinate alla produzione di energia calorifica, imporrebbe una migliore gestione delle foreste nazionali, potendo ridurre le importazioni di legname destinato a questi scopi dall’estero. Per quanto riguarda la produzione di elementi adatti alla combustione, possiamo approfondire quali processi siano necessari per trasformare uno scarto legnoso in un elemento idoneo a sviluppare energia termica. In questo racconto ci aiuta Davide Pettenella, che ha studiato la filiera forestale Italiana, con lo scopo di analizzare la produzione delle biomasse legnose per la produzione di energia termica. Per liberare e utilizzare l’energia contenuta nei materiali vegetali sono disponibili diverse tecnologie di conversione: alcune di queste costituiscono applicazioni ormai affidabili, economiche, comode e semplici nell’impiego, suscettibili di essere acquisite a livello sia individuale sia collettivo e industriale.Altre, invece, sono ancora in fase di sviluppo, richiedono strutture ad elevata tecnologia e dimensioni industriali per essere economiche, anche se dallo sviluppo di queste ultime dipende un uso esteso in funzione energetica della risorsa biomassa. Nel caso delle biomasse forestali, caratterizzate, tra le altre cose, da contenuti idrici relativa-mente bassi, sono utilizzati soprattutto i processi termo-chimici di conversione energetica (“via secca”), mentre gli altri processi riguardano in modo particolare le biomasse agricole, a più alto contenuto d’umidità (“via umida”). Nella prima parte di questo capitolo saranno presentati i trattamenti necessari per accresce-re ed uniformare la qualità energetica di materiali legnosi, mentre nella seconda parte sa-ranno descritte le tecnologie di conversione vere e proprie. Tecniche di condizionamento I prodotti legnosi potenzialmente utilizzabili per scopi energetici sono caratterizzati da un’e-trema eterogeneità per composizione, misura e forma: si passa, infatti, dalla polvere di legno alla segatura, dai trucioli alle ramaglie e ai tronchi. Al momento di destinarli alla conversione energetica, essi richiedono trattamenti che sono variabili a seconda delle caratteristiche fisico-chimiche del materiale di cui si dispone e del tipo d’impianto che li utilizza. Il fine di queste operazioni è l’ottenimento di un combustibile a più alta qualità energetica e maggiore facilità d’impiego, che renda la dendro-energia il più comparabile possibile agli altri combustibili convenzionali. L’essiccazione e lo stoccaggio Successivamente alle fasi taglio, allestimento ed esbosco, la legna non può essere «convenientemente» utilizzata tal quale a causa dell’elevata percentuale d’umidità; questa può assumere valori molto vari e, mediamente, in una pianta forestale appena tagliata si aggira intorno al 50%. In queste condizioni gran parte dell’energia contenuta nel legno sarebbe utilizzata per liberare l’acqua contenuta, con ovvie considerevoli perdite dell’efficienza di conversione energetica. Una soluzione semplice ed economica per ridurre il tenore idrico del legno da bruciare l’essiccazione per traspirazione (o biologica). Essa consiste in una stagionatura del legno, la cui durata può variare da pochi mesi a più di un anno, in relazione all’andamento climatico stagionale e al tipo di legno; questo, dopo il taglio, è solitamente stoccato in foresta, ai bordi della strada o in prossimità dei luoghi d’utilizzazione, all’aperto oppure al riparo. Ovviamente la perdita d’umidità porta a un aumento del potere calorifico del legno, che raggiunge il valore più alto con contenuti d’umidità tra il 12 e il 15%. Infatti, un contenuto d’umidità del legno eccessivamente basso porterebbe, nella maggior parte degli impianti di combustione oggi disponibili, a una rapida bruciatura e i fumi evacuerebbero velocemente, prima di cedere il calore. A questi valori d’umidità corrisponde anche una migliore stabilità del materiale. In realtà il guadagno non è così macroscopico, se consideriamo che il peso del legno diminuisce durante l’essiccazione; infatti, se, come è giusto che sia, considerassimo la variazione del potere calorifico sullo stesso volume, il guadagno in termini energetici risulterebbe più contenuto. D’altra parte, occorre considerare anche che l’essiccazione del legno porta a una migliore qualità di combustione, a una minore produzione di fumo e catrame, a una minore usura delle apparecchiature e a più alti rendimenti termodinamici. La cippatura Per rendere omogenea la composizione dei materiali legnosi si ricorre alla cippatura, un’operazione meccanica che riduce assortimenti legnosi di diversa misura in scaglie di piccole dimensioni (Chips , da cui il nome). In questo modo è notevolmente agevolata la movimentazione del materiale e l’alimentazione degli impianti. La geometria dei chips varia con le tecniche di taglio, infatti le dimensioni richieste sono in funzione del tipo di impianto e, soprattutto, del suo sistema di alimentazione. Essi hanno una lunghezza che varia da 15 a 50 mm, una larghezza pari a metà e uno spessore pari a 1/5-1/10 della lunghezza (generalmente le dimensioni sono 40x20x3mm). La geometria, la dimensione, la densità sono caratteristiche importanti se i chips sono destinati all’industria del legno; l’omogeneità, invece, è il parametro più importante per i chips destinati alla combustione. La presenza di chips di dimensioni disomogenee provoca spesso fastidiosi bloccaggi dei sistemi d’alimentazione degli impianti automatici. L’omogeneità del materiale può essere ottenuta con la calibratura tramite vagli. Un tenore di umidità del legno superiore al 40% può causare problemi al funzionamento della cippatrice: dopo il taglio si richiede, pertanto, uno stazionamento del materiale sul posto ai bordi della strada o in piazzale. In ogni caso l’umidità del legno non deve scendere a valori inferiori al 25%. Lo stoccaggio dei chips pone dei problemi per l’essiccazione, poiché possono intervenire deterioramenti e perdita di materiale a causa dei processi di respirazione e di fermentazione microbiologica, tanto più intensi quanto più è profonda la pila di ammasso, l’umidità del combustibile e la temperatura esterna (gli stessi processi di respirazione e fermentazione, d’altro canto, aumentando la temperatura e favoriscono l’evaporazione dell’acqua contenuta nei chips). Sul mercato italiano esistono delle cippatrici di varia potenza fino a 15 MW, in grado di la-vorare legname di varie dimensioni (con capacità di lavoro variabili da qualche tonnellata fino a qualche decina di tonnellate l’ora), sia automotrici sia portate da trattrici agricole. Le prime sono in grado di lavorare legname di ogni tipo di specie, fino a un diametro di 30 cm. e hanno dei costi elevati di investimento e di esercizio (l’affitto costa circa 150 Euro per un’ora di funzionamento), ma hanno il vantaggio di notevoli capacità di lavoro e basso impiego di manodopera. Le cippatrici portate ai tre punti della trattrice hanno costi d’investimento contenuti e costi di esercizio relativamente bassi, ma richiedono alimentazione manuale e offrono basse capacità di lavoro. Esse si distinguono per il sistema di taglio: questo può essere a disco o a tamburo. Il primo, in genere usato nelle cippatrici portate di piccole potenze, presenta l’inconveniente di produrre delle code di cippatura che bloccano la vite senza fine dell’impianto di alimentazione delle caldaie, ma in compenso ha costi di investimento ragionevoli, semplicità d’uso, manutenzione relativamente facile, potenze richieste meno elevate. Il secondo sistema di taglio è più diffuso nelle macchine automotrici di potenza più elevata. La densificazione Ai differenti livelli industriali della filiera del legno, sono prodotte ingenti quote di residui legnosi di piccola granulometria (trucioli, segatura, polvere di legno, ecc.) che non trovano una facile utilizzazione e, talvolta, pongono problemi di smaltimento. La densificazione di questi materiali permette di ottenere un combustibile denso, in forma di cubetti, pellets (piccoli cilindri di 8-10 mm di diametro e 20-30 mm di lunghezza) e bricchette (a forma di saponetta o di cilindro con lunghezza tra 50 e 300 mm), utilizzabile all’interno del processo produttivo o vendibili ad altri utilizzatori. I prodotti densificati sono caratterizzati da elevata densità energetica, stabilità e uniformità delle dimensioni, bassa percentuale d’umidità. Essi, di conseguenza, hanno minori costi di trasporto e una maggiore facilità di immagazzinamento e uso, miglior controllo e maggiore efficienza di combustione. La densità dei prodotti densificati varia da 0,9 a 1,4 g/cm3, mentre la loro umidità può variare entro range molto estesi (generalmente dal 5% al 10%). Il processo di produzione si articola in tre fasi: stoccaggio e preparazione del materiale, essiccazione, densificazione. Inizialmente il legno è separato dalle impurità, ridotto in dimensioni più piccole e uniformi e stoccato su piattaforme; da qui è trasportato all’interno di forni di essiccazione, dove l’umidità è ridotta a valori intorno al 10%. Avviene quindi la densificazione del materiale per compressione (pressa a vite o a pistone) o estrusione. Le macchine che lavorano per estrusione riscaldano il materiale, provocando, dopo il raffreddamento, la formazione di una pellicola protettrice di lignina che si oppone ad un ritorno di umidità. La qualità del prodotto e il costo energetico richiesto (mediamente il 20% dell’energia contenuta nel materiale da densificare) dipendono dalle caratteristiche chimico-fisiche del materiale grezzo e dal tipo di processo impiegato. Altre tecniche di condizionamento Tra i prodotti di condizionamento vanno citati il legno torrefatto, (una forma energetica inter-media tra il legno e il carbone, con potere calorifico superiore a 5000 kcal/h, ottenuto per trattamento del legno a temperature di circa 300 gradi, più stabile e più omogeneo del materiale di partenza e che crea minori problemi di stoccaggio e trasporto) e la miscela segatura-combustibile. L’impiego di questi prodotti risponde, tuttavia, piuttosto a esigenze di smaltimento di residui di lavorazione che a necessità di valorizzazione energetica.
SCOPRI DI PIU'Le indicazioni della EU per un’agricoltura più sostenibile di Marco ArezioIl progressivo innalzamento delle temperature terrestri, l’aumento della popolazione, un carente sistema di trasporto, che causa perdite ingenti dalle reti distributive e uno scorretto mix di coltivazioni, molto proteso alla produzione di foraggio per l’industria mondiale della carne, porterà probabilmente entro al 2050 ad una situazione insostenibile per la mancanza di acqua, identificato dagli esperti come stress idrico. Secondo i dati elaborati dal Stockholm International Water Institute (SIWI), che punta il dito sull’enorme fenomeno dello spreco di acqua a tutti i livelli, il consumo dell’oro blu nel mondo vede una distribuzione così espressa: 70% ad uso agricolo 20% ad uso industriale 10% ad uso domestico L’Istituto SIWI entra nel dettaglio dei numeri, indicando alcuni punti estremamente critici sull’uso dell’acqua, sottolineando, tra gli altri, che una scorretta alimentazione mondiale basata sulla carne richiede circa 8-10 volte in più di acqua rispetto alla coltivazione di cereali. Inoltre la continua crescita demografica porta ad un incremento di richiesta di cibo, che si traduce in una maggiore richiesta di acqua da parte dell’agricoltura, a fronte di una riduzione costante di precipitazioni a causa dei cambiamenti climatici. C’è da notare anche che, secondo i dati elaborati dalla ricerca, un quarto dell’acqua che viene impiegata nell’agricoltura mondiale serve per produrre circa 1 miliardo di tonnellate di cibo che verranno poi buttate. SIWI sottolinea anche la sperequazione tra il consumo di acqua di una persona che vive in aree sviluppate del pianeta rispetto a un’altra che vive in aree in via di sviluppo, la quale esprime una differenza che è superiore, per il primo soggetto, di 30-50 volte rispetto al secondo. Tuttavia, proprio a causa della tendenza demografica del pianeta, le aree in via di sviluppo avranno una richiesta di acqua superiore del 50% rispetto ai consumi attuali, creando una situazione per cui il 47% della popolazione mondiale vivrà in aree con problematiche idriche. Per chiudere il cerchio poco rassicurante possiamo citare un altro importante problema, che riguarda lo spreco di acqua causato dalla vetustà degli acquedotti, su cui si fa poca manutenzione in quanto forse, si ha l’errato concetto, che una perdita di acqua non sia un fatto così grave. Ma quanta acqua abbiamo a disposizione e chi ne usufruisce? Sul pianeta abbiamo circa 1,4 miliardi di Km3 di acqua, ma solo il 2,5% è costituito da acqua dolce, che si può conteggiare in 35 milioni di Km3, ma il 70% di questa quantità è espressa in ghiacci o nevai permanenti sulle montagne, nelle zone antartiche e artiche. Quindi, possiamo disporre facilmente di solo l’1% di tutta l’acqua presente sul pianeta sotto forme di riserve idriche nel sottosuolo e in superficie. Dobbiamo inoltre considerare che sul pianeta circa 1 miliardo di persone non ha accesso all’acqua e che circa 2,5 miliardi non dispongono di adeguati servizi igienico-sanitari. Questa situazione, secondo l’OMS, causa colera, malaria e malattie intestinali che sono la maggior causa della mortalità infantile. Come uscire da questa situazione? In un’ottica di economia circolare anche l’agricoltura, che ricordiamo consuma il 70% circa dell’acqua disponibile sulla terra, deve utilizzare le acque reflue urbane che provengono da impianti di depurazione, in modo da risparmiare l’acqua potabile. Secondo le regole emanate dalla Comunità Europea in materia di irrigazione agricola, si vogliono sensibilizzare gli agricoltori ad un uso sostenibile dell’acqua attraverso l’impiego delle acque non potabili. In base alle indicazioni del commissario per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, Karmenu Vella, esistono dei parametri minimi per l’utilizzo delle acque reflue urbane provenienti dagli impianti di trattamento e depurazione, che riguardano sia valori microbiologici sia i processi di controllo degli impianti. La stessa Commissione Europea indica come sotto sfruttato il sistema di riutilizzo di queste acque per fini agricoli e che l’utilizzo di acqua potabile, oltre ad un impiego enorme di energia per la sua estrazione e il suo trasporto, crea un impatto ambientale importante che si deve tenere in considerazione. Indica poi la presenza, in un terzo del territorio Europeo, di una situazione di stress idrico, che sarà ulteriormente aggravato dalla diminuzione tendenziale delle precipitazioni e dall’aumento delle temperature.Categoria: notizie - acqua - economia circolare - rifiutiVedi maggiori informazioni sul riciclo delle acque
SCOPRI DI PIU'Come funzionano, quali sono le differenze rispetto agli impianti di vecchia generazione e perché sono così ostacolatidi Marco ArezioQuando si vuole strumentalizzare l’opinione pubblica contro il tema di un inceneritore di rifiuti da costruire in una certa località, alimentando il fenomeno NIMBY (non nel mio territorio), può essere una carta vincente raccontare pericoli che, oggi, non sono più reali. Spaventare la popolazione sui possibili inquinanti che potrebbero uscire dall’impianto, con una ricaduta negativa sulla salute pubblica, è un modo di fare politica che non sembra obbiettivo e costruttivo. I rifiuti domestici sono una risorsa incredibile che possiamo utilizzare per creare energia termica e, nello stesso tempo, non diventano a loro volta un problema se non consumati. Ricordiamo che miglia di tonnellate di rifiuti preziosi vengono imballati e spediti all’estero, pagando per di più, per lo smaltimento e il trasporto. Dire all’opinione pubblica che i nuovi termovalorizzatori sono inquinanti e pericolosi per la salute è poco corretto, in quanto non stiamo parlando di impianti di 30 anni fa o più, dove le emissioni di inquinanti erano più elevate. E’ infatti scientificamente riconosciuto che gli inceneritori di nuova generazione hanno delle capacità filtranti delle emissioni, come i metalli pesanti, le diossine e i furani non paragonabili al passato. Un termovalorizzatore ben progettato e correttamente gestito, comporta basse quantità di inquinanti, che non superano lo 0,03% di PM10, lo 0,007% di idrocarburi policiclici aromatici e lo 0,2% di diossine e furani (le combustioni commerciali e residenziali emettono per ogni voce il 53,8%, il 78,1% e il 37,5%). Vediamo qualche comparazione con altre attività di uso quotidiano. Relativamente alle Pm10 il contributo degli inceneritori è pari solo allo 0,03% (contro il 53,8% delle combustioni commerciali e residenziali), per gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (Ipa) è pari allo 0,007% (contro il 78,1% delle combustioni residenziali e commerciali) e per le diossine ed i furani si attesta allo 0,2% (contro il 37,5% delle combustioni residenziali e commerciali). L’85% delle ceneri pesanti prodotte dalla combustione, inoltre, sono ormai interamente avviate a processi di riciclaggio, con ulteriori miglioramenti degli impatti ambientali rispetto all’utilizzo delle materie vergini in attività quali la produzione di cemento e la realizzazione di sottofondi stradali. Se consideriamo, inoltre, che la produzione di energia viene, in alternativa, prodotta con il gas o il carbone, non possiamo non considerare che queste tipologie di combustibili portano con loro il rilascio di inquinanti che contribuiscono all’effetto serra. Vediamo come funziona un impianto di termovalorizzazione I rifiuti non riciclabili vengono conferiti all’inceneritore e scaricati nella vasca di raccolta e miscelazione. Da lì vengono caricati nelle caldaie delle linee di combustione, la cui temperatura è regolata a oltre 1.000 gradi, per l’ossidazione completa dei rifiuti. Il calore prodotto dalla combustione genera vapore ad alta pressione, che viene immesso in un turbogeneratore per la produzione di energia elettrica e, successivamente, utilizzato per scaldare l’acqua che alimenta la rete del teleriscaldamento della città. Ogni linea di combustione ha un trattamento fumi dedicato e già nella camera di combustione i fumi vengono trattati con ammoniaca, per abbattere gli ossidi di azoto. Successivamente passano attraverso un sistema catalitico per l’ulteriore riduzione degli ossidi di azoto e di ammoniaca. In uscita dal circuito della caldaia, arrivano a un sistema di depurazione e filtrazione, che trattiene i microinquinanti, tra cui metalli pesanti, diossine e furani. I fumi depurati passano attraverso filtri a maniche, che trattengono tutte le polveri in sospensione, e quindi convogliati al camino.
SCOPRI DI PIU'Al lavoro, a casa, con gli amici, essere sempre disponibile per non sentirsi esclusidi Marco ArezioStare in un contesto sociale, che sia il lavoro, la tua famiglia o i tuoi amici, comporta sempre di costruire un rapporto che dovrebbe soddisfare entrambe le parti. Nelle relazioni tra le persone e i gruppi di essi, entra però in gioco il carattere di ognuna che ha il potere di modificare un rapporto diretto o lo spirito del gruppo. A volte può succedere che nel contesto quotidiano, un crescente aumento degli impegni vengano svolte da poche o dalle uniche persone che si sentono investite dal dovere di farlo. Non è sempre una questione di pressione o sopraffazione di un individuo sull’altro che indirizzano impegni continui su alcuni soggetti, ma più spesso sono le queste persone che si rendono eccessivamente disponibili facendosi carico di oneri eccessivi. All’interno dei team di lavoro, specialmente quelli gerarchici, si intravede in poco tempo i soggetti che, volenti o nolenti, sono destinatari di attività e di impiego di tempo lavorativo più lungo di altri. Nella famiglia capita spesso che, specialmente le donne, siano oberate da lavori, commissioni, impegni e responsabilità, creando loro stesse un disequilibrio di forze che le penalizza, consumando il loro tempo e non apprezzando la loro vita. Anche in un contesto di amicizie, che esista un gruppo numeroso o pochi amici, si creano delle gerarchie in cui esiste quasi sempre un elemento che si mette a disposizione di altri, si sacrifica per rendere fluido il rapporto e si carica di impegni più o meno importanti. Queste persone sono generalmente vittime di se stesse, difficilmente sono costrette a impiegare il proprio tempo per gli altri, ma si sentono di doverlo fare principalmente per farsi accettare, per credere di essere utili e per questo necessari al gruppo, senza il quale pensano che resterebbero soli. A volte la sottostima di se stessi porta a fare in modo che l’accrescere di sforzi ed impegni possa colmare quell’insicurezza che si ha, pensando che quanto fatto per gli altri sia inteso come una qualità della persona stessa. Ritorniamo sempre nell’ottica di farsi accettare, di essere all’interno di un sistema, di non restare soli e di pensare che, solo attraverso uno sforzo extra, possiamo mascherare l’inadeguatezza che si prova. E’ una forma di annullamento personale che si baratta con un posto in un consesso di persone, che sia il lavoro, la famiglia o gli amici, un vicolo cieco in cui non si riesce ad uscire o non si vuole uscire per paura che i fragili equilibri raggiunti vadano in pezzi. Come uscirne? Prima di tutto c’è da valutare se il tempo speso per i continui impegni possa dare dei ritorni personali sufficienti rispetto allo sforzo compiuto. Se questo non è bisogna ricordare che il tempo rubato a qualcuno, anche involontariamente, è perso per sempre. Ogni essere umano investe il proprio tempo per fare qualche cosa che possa farlo stare bene o possa soddisfare le sue necessità, materiali od affettive, ed è proprio per questo che questa soddisfazione deve avere un equilibrio altrimenti non ne vale la pena. Se tu vai a lavorare 8 al giorno ore prenderai un salario, con questo soddisfi i tuoi bisogni materiali, ma se a parità di salario dovessi lavorarne 16 al giorno, forse sarebbe meglio pensare ad un lavoro diverso. Quindi, nei rapporti con le persone vale più o meno la stessa regola, il tempo speso dovrebbe avere un ritorno soddisfacente per te, che sia sotto forma di relazione affettiva, materna, di amicizia e anche in un consesso lavorativo. Inoltre è necessario rompere quella catena che lega i tuoi rapporti con gli altri con la valutazione che fai di te stesso, pensando che ogni essere vivente ha pregi e fragilità e, molto spesso, si tende a mascherare le fragilità ed esaltare i pregi, non conoscendo mai le persone per quelle che sono. Creare un equilibrio tra quello che fai e quello che ricevi considerando che si deve avere il diritto di cercare la soddisfazione della propria vita, senza mettersi a pieno servizio degli altri in modo unilaterale.Categoria: Slow life - vita lenta - felicità Foto: Corriere della Sera
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