I Tempi di Decomposizione dei Rifiuti in Discarica ci Fanno Rifletteredi Marco ArezioPer secoli, fino a quando si è cominciato a parlare di economia circolare, i rifiuti venivano bruciati o accatastati nelle discariche. Ma se da una parte si era e, si è a volte ancora oggi, trovato un mezzo sbrigativo per disfarsi di ciò che non serviva più, dall’altro non ci siamo mai posti in modo serio il problema dell’evoluzione dei rifiuti nella discarica. Nonostante oggi le attività di riciclo siano al centro dell’attenzione della classe politica e dell’opinione pubblica, stride in modo fastidioso come la percentuale della massa di rifiuti che ricicliamo raggiunga circa il 10-12 per cento, a livello mondiale, rispetto ai prodotti che scartiamo ogni anno. I motivi di una quota così bassa sono di natura economica, culturale, gestionale e a volte anche criminale, con eccellenze in alcuni paesi che raggiungono il 70-80% dei materiali riciclati raccolti, fino a posizioni in cui la raccolta differenziata non è nel vocabolario della vita quotidiana. Ma è forse importante sapere cosa succede ai rifiuti che finiscono in discarica o nei fiumi, che poi sfociano in mare, per rendersi conto che quell’enorme massa di scarto potrebbe costituire un propellente per ridurre l’impronta carbonica e risparmiare risorse naturali, se solo il tasso di riciclo fosse più alto. La permanenza in termini di tempo dei rifiuti sotterrati è diversa da quelli che rimangono esposti agli agenti atmosferici o quelli che finiscono nei mari, questo perché il sole, l’acqua e le temperature agiscono, nel tempo sui di essi. Quindi un’esposizione o meno agli agenti atmosferici cambia i tempi di decomposizione medi dei materiali. Ma se consideriamo i soli rifiuti che finiscono in una discarica non selettiva, possiamo abbozzare alcuni dati che ci possono far riflettere: La plastica I rifiuti plastici che finiscono oggi nelle discariche sono tra i più variegati, specialmente in quei paesi dove la raccolta differenziata non viene applicata. La loro disgregazione, non biodegradabilità, come abbiamo visto dipende in modo importante dagli agenti atmosferici, dalla loro composizione e dagli spessori costruttivi, ma possiamo dire che i tempi per l’autodistruzione di un prodotto plastico si contano mediamente in centinaia di anni. Pannolini usa e Getta Quando si parla di questo prodotto dobbiamo considerare che i volumi che genera come rifiuto quotidianamente sono davvero importanti. Negli Stati Uniti nel 2018 sono stati raccolti circa 3,3 milioni di tonnellate di pannolini usa e getta e, per la loro composizione di plastiche miste, la loro permanenza in discarica oscilla tra 250 e 500 anni prima che si decompongano. Alluminio L’industria del packaging fa largo uso delle confezioni di alluminio per contenere liquidi e cibi, infatti i dati di riciclo di questi imballi in America nel 2019 hanno toccato le 42,7 miliardi di lattine. Volumi impressionanti che ci fanno ben sperare ma, ancora molte lattine di alluminio vanno a finire nelle discariche Americane con un ritmo di circa 10 miliardi all’anno nel 2018. Il tempo di decomposizione di una lattina mediamente è di 80-100 anni. Vetro Il vetro è l’elemento naturale per eccellenza il cui riciclo è davvero semplice ma, nonostante questo, la quantità di oggetti in vetro e ceramica che finiscono nelle discariche è molto alto. Di contro i tempi di decomposizione dei prodotti e tra i più alti e possiamo considerarlo in diverse centinaia di anni, ma secondo alcuni è un elemento che non si decompone affatto. La Carta Per quanto si possa pensare che la carta abbia un ciclo di decomposizione breve in virtù dei componenti che la caratterizzano, oggi troviamo, specialmente della carta per gli imballi alimentari, rifiuti composti da carta e plastica, che, solidarizzandosi, allungano i tempi di decomposizione in modo estremamente lungo. La carta è uno tra i prodotti più importanti della raccolta differenziata e il suo riciclo impatta in modo diretto sull’ambiente perché l’utilizzo di cellulosa riciclata riduce l’approvvigionamento di quella vergine e di conseguenza l’abbattimento degli alberi. I tempi di decomposizione di un prodotto in carta non accoppiato vanno dalle 2 alle 6 settimane in funzione dal grado di umidità che interessa il prodotto ma passa a decine di anni se il prodotto prevede degli accoppiati plastici. Per facilità di comprensione elenchiamo alcuni articoli che si trovano nelle discariche e i loro tempi di decomposizione:Mozziconi di sigaretta: 10-12 anni Lenza mono filamento: 600 anni Suole di gomma degli stivali: 50-80 anni Bicchieri di plastica espansa: 50 anni Scarpe di pelle: 25-40 anni Cartoni del latte: 5 anni Compensato: 1-3 anni Guanti di cotone: 3 mesi Cartone: 2 mesi Polistirene: Non biodegrada Tessuto in nylon: 30-40 anni Lattina: 80 anni Funi: 3-14 mesi Barattoli di alluminio: 80-100 anni Non esiste veramente un’alternativa alla discarica? Si esiste.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - discariche Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'Quali meccanismi umani e psicologici il manager deve tenere monitorati per aumentare la partecipazione corale del team di lavorodi Marco ArezioC’è un detto, molto conosciuto, che recita: su una barca tutti devono remare nella stessa direzione per arrivare alla meta il più in fretta possibile, dividendo gli sforzi in modo equo. L’azienda è forse la migliore espressione di questo sforzo corale delle risorse umane, che lavorano in modo serrato e all’unisono per raggiungere quegli obbiettivi che dovrebbero essere condivisi dal gruppo. Non tutti hanno la stessa forza e le stesse caratteristiche da destinare al lavoro, ma ognuno rappresenta un tassello della squadra su cui fare affidamento, nell’azione complessa che porta l’azienda verso il raggiungimento dei propri obbiettivi. All’interno di un team, le persone sono l’espressione di sé stesse, del proprio vissuto, del proprio carattere e delle proprie capacità, univoche e particolari, che possono differire da quelle di altri ma non per questo migliori o peggiori. All’interno della squadra, la componente caratteriale di ogni singola persona determina giochi di forza tra i colleghi, spingendo i più intraprendenti ed ambiziosi ad imporsi sugli altri, a volte in modo positivo, quindi attraverso l’esempio, le doti di leadership e di carisma, a volte incidendo negativamente sui colleghi, con il tentativo di minimizzare la collaborazione allo scopo di emergere sugli altri. È facile intuire che una squadra, in cui si creino delle frizioni, delle emarginazioni e delle denigrazioni tra le persone con un fine ben preciso, gli elementi più fragili dal punto di vista caratteriale, i più sensibili, i meno sicuri di sé, chi non riesce a sopportare uno scontro strisciante nel tempo con gli elementi più forti, possano in breve tempo soccombere. Un tipo di leadership all’interno della squadra che usa questi metodi è poco proficua per l’azienda, in quanto mancando uno sforzo corale e coordinato al raggiungimento degli obbiettivi, le possibilità di perdere alcuni elementi, di rallentare la spinta propositiva o, peggio, di avere dei lavoratori rassegnati e poco attivi può creare molti problemi. Il manager, da cui dipendono i lavoratori, dovrebbe vigilare sui rapporti di forza all’interno dei team, ma soprattutto, capire le qualità delle persone più fragili emotivamente, che possono portare comunque il loro contributo, magari importante per le doti che hanno, potendo lavorare nelle condizioni di tranquillità emotiva. Può capitare che un introverso non abbia il coraggio di proporre idee o soluzioni, oppure esegua dei lavori in modo meccanico per paura di sbagliare e di venire giudicato, non solo dal superiore, ma soprattutto dai colleghi con cui vive la quotidianità. Può capitare che una persona con bassa autostima possa seguire, facilmente e in modo corretto il flusso del lavoro, intuire migliorie e novità, ma non si sente in grado di proporre iniziative perché può sviluppare, nella sua mente, la convinzione di non essere migliore di altri nel proporre soluzioni utili, e che, quindi, se queste non fossero all’altezza delle aspettative collegiali, lo vivrebbe come un’altra sconfitta personale. Conoscere i pro e i contro dei componenti della propria squadra permette un dialogo costruttivo, empatico e senza preconcetti, che metta i lavoratori a proprio agio nel partecipare in modo creativo all’azione dell’impresa. Il manager deve saper instillare ai soggetti emergenti il rispetto per i colleghi, l’umiltà nel lavoro e la costruttiva collaborazione e, se serve, reprimere gli abusi e le discriminazioni soprattutto versi i più fragili. Il concetto, largamente diffuso, che la forza lavoro non espansiva o non apparentemente competitiva possa essere un peso all’azienda credo sia del tutto fuori luogo, inoltre credere che all’interno dei team di lavoro la soluzione naturale del “vinca il più forte” possa portare una scrematura, utile a formare gerarchie funzionali al lavoro, sia un concetto pericoloso e poco efficace. Ogni persona si può esprimere al meglio se si sente apprezzata, se riceve fiducia e se viene rispettata come individuo, prima ancora di essere un lavoratore, sta poi al manager capire, in funzioni delle caratteristiche intellettive e caratteriali di ognuno, come assegnare il giusto ruolo ai componenti del proprio team.
SCOPRI DI PIU'La depolimerizzazione della plastica attraverso i nuovi enzimi sarà l'alternativa al riciclo meccanico e chimico?di Marco ArezioOggi la produzione di rifiuti plastici continua ad essere superiore alla capacità del loro riciclo meccanico, tanto è vero che si stanno studiando soluzioni integrative per ridurre questo gap. Oltre alle innumerevoli strade che potrebbe aprire il riciclo chimico, l’ingegneria biologica sta facendo passi enormi sull’individuazione di corretti enzimi che possano degradare la plastica. Attraverso uno studio da parte di un team di scienziati Americani, volto ad individuare un enzima modificato, sono state studiate combinazioni di aminoacidi che potessero degradare il PET in tempi più veloci rispetto al passato. L'organismo ha due enzimi che idrolizzano il polimero prima in mono-(2-idrossietil) tereftalato e poi in glicole etilenico e acido tereftalico da utilizzare come fonte di energia. Un enzima in particolare, la PETasi, è diventato l'obiettivo degli sforzi di ingegneria proteica per renderlo stabile a temperature più elevate e aumentare la sua attività catalitica. Un team attorno ad Hal Alper dell'Università del Texas ad Austin negli Stati Uniti, ha creato una PETasi in grado di degradare 51 diversi prodotti in PET, inclusi contenitori e bottiglie di plastica interi. Nella costruzione dello studio si sono avvalsi di un algoritmo che ha utilizzato 19.000 proteine di dimensioni simili e, per ogni aminoacido di PETase, il programma ha studiato il loro adattamento all’ambiente in cui vivevano rispetto ad altre proteine. Un amminoacido che non si adatta bene può essere fonte di instabilità e l'algoritmo suggerisce un amminoacido diverso al suo posto. Si sono poi verificate milioni di combinazioni e, alla fine del lavoro di analisi, i ricercatori hanno puntato su tre soluzioni che sembravano quelle più promettenti. Intervenendo ulteriormente con modifiche dirette, gli scienziati hanno creato un enzima molto attivo sul PET che lavorava con rapidità e a temperature più basse rispetto al passato. A 50°C, l'enzima è quasi due volte più attivo nell'idrolizzare un piccolo campione di un contenitore per alimenti in PET rispetto a un'altra PETasi ingegnerizzata a 70°C. L'enzima ha persino depolimerizzato un intero vassoio di plastica per torte in 48 ore e il team ha dimostrato che può creare un nuovo oggetto di plastica dai rifiuti degradati. E’ importante sottolineare che i tests sono stati fatti non su campioni di PET amorfo appositamente realizzati in laboratorio, ma su imballi in PET acquistati direttamente ai supermercati. Questo avvicina ancora di più le prove eseguite al contesto in cui si dovrebbe operare, cioè nell’ambito del riciclo o della depolimerizzazione delle plastiche. Resta da vedere se la depolimerizzazione enzimatica verrà infine utilizzata per il riciclaggio su larga scala. Infatti, la maggior parte del PET nel mondo viene riciclato non per depolimerizzazione, ma per fusione e rimodellamento, ma le sue proprietà si deteriorano ad ogni ciclo. Come abbiamo detto esistono alcuni metodi di depolimerizzazione chimica, ma comportano un consumo di energia molto alto e, nell’ottica della circolarità dei prodotti, l’aspetto dell’impatto ambientale che il riciclo comporta è da tenere in considerazione, specialmente quando non si dispone di energie rinnovabili. Il grande vantaggio degli enzimi è che possono essere molto più specifici dei catalizzatori chimici e, quindi, potrebbe essere più semplice, in teoria, degradare un flusso di rifiuti. Gli scienziati non nascondono però che lo studio degli enzimi che depolimerizzano il PET, per quanto complicato e lungo, potrebbe essere addirittura più semplice rispetto alla loro applicazioni su poliolefine o su plastiche miste. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PET - depolimerizzazione
SCOPRI DI PIU'Cosa hanno fatto i colombiani per introdurre la circolarità dei rifiutidi Marco ArezioL’economia circolare è entrata a far parte della vita dei cittadini Colombiani con lo scopo di tutelare l’ambiente, la popolazione e il proprio territorio. A un anno dalla partenza del progetto vediamo il lavoro fatto nell’arco di un anno. La Colombia è il sesto paese dell’America Latina come estensione territoriale e il quarto come popolazione, contando circa 42 milioni di abitanti e ha deciso di intraprendere un percorso virtuoso verso un’economia circolare nazionale, coinvolgendo nel progetto i sindaci, le aziende, i riciclatori, le università e tutte quelle forze sociali sul territorio che possano aderire a questa causa. Lo scopo di questo progetto era quello di spingere ad una trasformazione, in un’ottica di economia circolare, i sistemi produttivi nazionali, agricoli e iniziare un percorso di sostenibilità delle città in termini economici, sociali e di innovazione tecnologica. Questa strategia prevedeva sei linee giuda: Flusso dei materiali di consumo civile e industriale Flusso dei materiali di imballaggio Flusso e utilizzo delle biomasse Fonti e uso di energia Flusso dell’acqua Flusso dei materiali da costruzione Questo grande progetto non è stato fatto calare dall’alto ed imposto alla popolazione e agli industriali, ma è partito con il coinvolgimento e la collaborazione di tutte le forze in campo. Per questo motivo si sono incontrate le regioni, con le quali si sono fatti accordi specifici. Parallelamente è poi stato fatto un lavoro di carattere sociale, in quanto si sono organizzate riunioni locali nelle quali si portava a conoscenza dei cittadini quali cambiamenti sarebbero avvenuti nel loro rapporto con i rifiuti domestici e industriali e quali stili di vita sarebbero stati modificati per andare verso un modello internazionale di economia circolare. Nello specifico, durante il primo anno di attività si sono raggiunti i seguenti risultati: Firma del patto Nazionale sull’economia circolare sottoscritto da 50 operatori tra pubblici e privati. 19 seminari regionali sull’economia circolare in cui sono stati presentati 80 progetti di successo nel paese. 16 patti regionali firmati con oltre 230 tra sindacati, ONG, istituzioni accademiche, sindaci, organizzazioni civili e riciclatori. 11.000 persone formate 15 seminari settoriali per coordinare i progetti con diversi gruppi di interesse. Creazione di un nuovo sistema informativo nazionale sull’economia circolare. Primo corso di formazione rivolto ai funzionari pubblici del governo centrale e regionale. Firma di un accordo con Ecopetrol sulla gestione dei rifiuti pericolosi quali miscele ed emulsioni di olii, idrocarburi misti con altre sostanze.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - colombiaVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Il Produttore di Compound Svedese Polykemi Produrra negli USAPolykemi è un’azienda specializzata nella produzione di compound plastici in TPO, ABS, ASA, PC/ABS, TPE, POM e altre tipologie di materie plastiche che esporta in molti paesi al mondo. Da sempre il mercato americano è di grande importanza per l’azienda che ha, infatti, deciso di aprire uno stabilimento produttivo nella Carolina del Nord.Stanno infatti investendo quasi 10 milioni di euro nel nuovo stabilimento negli Stati Uniti, che sta diventando il più grande investimento singolo nella storia del Gruppo. L'obiettivo è avviare la produzione di composti plastici già nel secondo trimestre del 2022. “Siamo davvero entusiasti di questo passo che aumenta la nostra presenza e ci offre molte nuove opportunità sul mercato americano ", afferma Johan Hugoson, CEO di Polykemi Inc. L'azienda americana Polykemi Inc è una consociata, interamente controllata dall'azienda familiare svedese Polykemi AB e, sin dalla sua fondazione nel 2013, ha lavorato per lanciare la propria produzione di composti plastici di alta qualità sul mercato statunitense. “Abbiamo consegnato più di 10 000 tonnellate ai clienti del mercato nordamericano tramite distributori statunitensi o tramite consegne diretta dal nostro stabilimento principale di Ystad. Tuttavia, il nostro obiettivo è sempre stato quello di avviare la nostra produzione negli Stati Uniti, ora abbiamo raggiunto quel traguardo. Il nuovo stabilimento è geograficamente vicino ai nostri clienti attuali, il che ci offre una presenza diretta e rapporti con i clienti ancora più forti ", afferma Hugoson. Stabilimenti di produzione in tre continenti L'investimento nello stabilimento di Gastonia, fuori Charlotte, nella Carolina del Nord, è il più grande investimento singolo nella storia dell'azienda e consente condizioni ottimali per l'ulteriore crescita di Polykemi Inc in Nord America. L'impianto è di circa 5.000 mq. ed è espandibile fino a 10.000 mq. e inizialmente sarà dotato di due linee di produzione con la partenza prevista della produzione per il secondo trimestre del 2022. “con il nuovo stabilimento negli Stati Uniti significa i nostri impianti di produzione sono dislocati in tre continenti, il che significa anche che abbiamo una logistica più efficiente. Possiamo garantire la stessa alta qualità sia nei compound vergini che in quelli riciclati, così come lo stesso colore su tutti i materiali spediti dai nostri stabilimenti. ", afferma Hugoson. Un investimento per il futuro Polykemi Inc produrrà negli Stati Uniti lo stesso materiale che il Gruppo fa in Europa e in Asia. Inoltre, le spedizioni ai clienti americani arriveranno direttamente dallo stabilimento in North Carolina, risparmiando tempo, costi e incidendo in modo minore sull’ ambiente. "Questo è un investimento per il futuro che getta le basi per la crescita del Gruppo Polykemi con lo scopo di diventare anche un attore importante nel mercato americano dei composti plastici", afferma Hugoson.Info Polkemi
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