Le università si stanno attrezzando per offrire i master in linea con il marcato che cerca esperti nelle nuove professioni emergenti nel campo dell’economia sostenibile e circolaredi Marco ArezioIl mondo si sta evolvendo verso un’attenzione sempre più marcata all’ambiente, al riciclo, al riuso, al risparmio delle materie prime, ad una produzione con il minor impatto ambientale possibile e ad una nuova riconsiderazione della natura. Questo genererà nuove professioni. Non sono solo appelli lanciati dalla Comunità Europea, che sta spingendo sull’accelleratore verso il cambiamento del modello produttivo, distributivo, energetico e logistico, prontamente derisa dai negazionisti dell’ambiente come gli Stati Uniti o gli indifferenti (apparentemente) come la Cina o l’India e i vari paesi satelliti. E’ sempre il mercato che coglie per primo le istanze del cambiamento che vengono dalla base, ed è sempre il mercato che si organizza per sostenere i cambiamenti epocali che stiamo vivendo, trascinando con sè anche la classe politica che deve legiferare in materia. Gli industriali hanno capito che devono assecondare la volontà della gente che sente in modo viscerale il problema dei cambiamenti climatici e che cerca di assumere comportamenti virtuosi con azioni che si riflettono sui consumi. Meno plastica, meno auto con motori termici, meno uso di corrente e di acqua, meno uso degli aerei, meno acquisto di prodotti che provengono da lontano e meno prodotti realizzati con materie prime vergini. Questo cambio di esigenze da parte della popolazione mondiale impatterà in modo sostanziale sui consumi e, quindi, anche sui processi produttivi, motivo per cui gli industriali non possono pensare di aspettare l’inerzia della politica. Lo dimostra il fatto che anche negli Stati Uniti, il tessuto industriale non si fa troppo impressionare dalla politica liberista e poco attenta all’ambiente che l’amministrazione Tramp si ostenta a difendere, contro ogni logica scientifica, muovendosi con iniziative che vanno incontro alle esigenze della popolazione in termini di rispetto per l’ambiente. Per questi motivi, nel prossimo decennio, si creeranno nuove figure professionali che dovranno governare, all’interno delle aziende, le produzioni di beni e servizi secondo un’ottica di economia circolare e sostenibilità. Per formare gli esperti dei settori che saranno tra i più richiesti dal mercato, le università stanno organizzando Master, attraverso i quali si possano certificare i nuovi tecnici delle discipline che riguardano il sistemi dei rifiuti, il controllo e gestione delle sostanze pericolose e dei rischi aziendali in funzione delle nuove normative ed infine, l’ambito della formazione tecnica sulle plastiche riciclate. L’esperto del sistema rifiuti avrà competenze specifiche nell’ambito della raccolta, trasporto, stoccaggio e smaltimento in relazione alle normative ambientali e produttive.L’esperto della sicurezza in ambito ambientale avrà competenze specifiche nelle sostanze pericolose, nella salute dei lavoratori in relazione al loro uso e al rispetto delle normative ambientali.L’esperto delle materie plastiche riciclate avrà competenze specifiche nel ciclo di lavorazione e riutilizzo dei rifiuti plastici, sotto forma di nuova materia prima, dando alle reti di vendita specifiche istruzioni sul loro uso nel campo dello stampaggio, estrusione, soffiaggio e termoformatura.Vedi le nuove professioni Il Sole 24 Ore
SCOPRI DI PIU'Cemento Armato: Quali i Vantaggi delle Armature Polimeriche anziché in Acciaiodi Marco ArezioDa che conosciamo la storia del cemento armato, le cui origini, verso la fine del XIX° secolo, non sono facilmente attribuibili, possiamo dire che il matrimonio tra calcestruzzo e acciaio sia stato inossidabile.La nascita di questa unione si può far risalire ad una serie di personaggi che sperimentarono la combinazione tra la malta cementizia e il ferro in diverse occasioni. Possiamo citare William Wilkinson, Inglese, che nel 1854 depositò un brevetto per la costruzione di tetti e pareti antifuoco realizzate in cemento armato, mentre nel 1855, durante l’esposizione universale di Parigi l’avvocato Francese J.L. Lambot presentò un modello di imbarcazione in metallo ricoperta da uno strato di cemento. Per citare poi l’Italiano C. Gabellini che nel 1890 iniziò la costruzione di scafi navali in cemento armato ma, se guardiamo al mondo delle costruzioni al quale si associa normalmente il cemento armato, risulta che la prima soletta per un edificio sia stata progettata e costruita nel 1879 ad opera dell’Ingegnere Francese Francois Hennebique. Molti altri ne sono seguiti, portando al centro dei lavori e delle applicazioni il connubio tra cemento (calcestruzzo) e armature in acciaio, fino ad una larghissima diffusione in tutte le opere strutturali dei giorni nostri. Con l’avanzare della ricerca e delle conoscenze su materiali strutturali alternativi, si è scoperto che l’utilizzo di alcuni polimeri compositi potessero migliorare le prestazioni e la durabilità delle strutture portanti in cemento armato, proprio alla luce dei fatti recenti in cui si sono viste strutture collassare per l’usura dei materiali che le compongono. In questa esplorazione ci accompagna l’Ing. Casadei Paolo, che ci illustra le recenti scoperte circa l’impiego di armature in materiali compositi rinforzati (GFRP) in sostituzione delle comuni barre d’armatura in acciaio.Sono drammaticamente sotto gli occhi di tutti i problemi delle infrastrutture Italiane, figlie di una progettazione e realizzazione che risale al primo dopoguerra e di una scarsa conoscenza circa i fenomeni di degrado e di durabilità. Oggi, grazie all’innovazione tecnologica e alla ricerca, possono finalmente aprirsi scenari alternativi. Sireg Geotech sta lavorando da tempo e con lungimiranza, a un’importante novità che avrà impatto strategico sul settore dell’edilizia e delle infrastrutture garantendo la durabilità necessaria alle infrastrutture italiane e permettendo finalmente al calcestruzzo di essere applicato con successo anche in ambienti particolarmente aggressivi e soggetti a costante degrado. Lo stato dell’arte delle infrastrutture italiane Il crollo di diverse infrastrutture, fra cui quello del ponte in Lunigiana fino all’eclatante e catastrofico collasso del ponte Morandi a Genova, hanno dimostrato come non si possa più trascurare un’analisi attenta delle nostre infrastrutture datate sia dal punto di vista del degrado dei materiali con i quali sono state realizzate, sia anche dal semplice punto di vista dei carichi iniziali per i quali erano state progettate, per finire con il tema delle pessime condizioni di manutenzione. Il piano di ispezioni massiccio attualmente in corso è sicuramente un primo passo che ci permetterà di valutare attentamente la sicurezza del nostro patrimonio infrastrutturale, intervenendo poi sulle strutture esistenti in modo preciso e mirato, ma lascia ancora aperto un punto di domanda circa il nostro futuro: Continueremo a costruire come abbiamo sempre fatto oppure, nell’ottica della sostenibilità, durabilità e riduzione dei costi associati alla manutenzione, valuteremo nuovi materiali più durevoli e con minore impatto ambientale? Rispondere a questa domanda diventa oggi cruciale per un investimento efficace nelle nostre infrastrutture, siano esse grandi opere o opere di minore entità, ma comunque strategiche per lo sviluppo economico del nostro Paese. Scenari futuri di rinnovamento infrastrutturale sostenibile con barre in GFRP In questa direzione si colloca l’impiego di barre in materiale composito fibrorinforzato FRP (Fiber Reinforced Polymer) in sostituzione del tondino in acciaio per la realizzazione di elementi strutturali in calcestruzzo armato. Questa tipologia di barre è realizzata con fibre di varia natura, fra le quali il vetro e il carbonio sono sicuramente i materiali più impiegati, con il vetro che svolge senza ombra di dubbio il ruolo dominante grazie a una serie di caratteristiche chimico-meccaniche che, in relazione ai costi, lo rendono ad oggi la soluzione più adottata per questo tipo di applicazioni. La diffusione delle barre in GFRP è favorita in primis dalla proprietà fondamentale di questi materiali, ovvero la loro indiscussa maggiore durabilità dovuta al fatto di non essere in alcun modo suscettibili ai fenomeni di corrosione. Questo fa sì che risultino particolarmente indicati in tutte le applicazioni dove l’opera o l’elemento strutturale risulta particolarmente soggetto a fenomeni di corrosione. Basti pensare ad esempio agli impalcati da ponte che durante il periodo invernale sono particolarmente esposti ai cloruri adottati per prevenire il formarsi di gelo sul manto stradale, ai canali per lo scolo delle acque oppure alle banchine e ai pontili in riva al mare o, ancora, a qualsiasi manufatto in cemento armato in ambito industriale esposto ad ambienti particolarmente aggressivi. Recenti studi hanno evidenziato che la vita utile di una struttura armata con questa nuova tecnologia può arrivare fino a 100 anni senza alcun accorgimento particolare rispetto alla natura del calcestruzzo o di altri particolari costruttivi, necessari invece nel caso delle strutture in cemento armato tradizionalmente rinforzate con tondini in acciaio. Esistono però diverse altre proprietà di questi materiali che vanno certamente menzionate nel raffronto con l’acciaio per poter realizzare opportune scelte progettuali. I tondini in GFRP sono amagnetici e non sono conduttori di calore, pertanto trovano una congeniale applicazione in tutti i manufatti esposti a correnti vaganti, risolvendo il problema della corrosione tipica delle armature in acciaio di fatto incompatibili con questo tipo di applicazioni. Basti pensare, ad esempio, a tutte le infrastrutture legate al settore ferroviario o dei varchi autostradali con sistemi di riconoscimento elettronico. Un altro non trascurabile vantaggio nell’impiego di armature in GFRP è la facilità e rapidità nella posa in opera grazie al loro peso ridotto, circa un quarto rispetto a quello dell’acciaio. Tale indiscussa leggerezza rende il prodotto particolarmente agevole nella sua movimentazione a terra, tanto che diversi studi hanno dimostrato risparmi di tempo fino al 40-50% rispetto alla posa di un’equivalente armatura in acciaio. Quali parametri da tenere sott’occhio nella progettazione e cantierizzazione di questi materiali A fianco di tutti questi aspetti che hanno reso la tecnologia particolarmente attraente a seconda dei diversi impieghi, vanno sicuramente messi in evidenza una serie di altri aspetti che richiedono attenzione per coloro che si vogliono affacciare alla progettazione. Innanzitutto è bene sottolineare che le barre in GFRP per impieghi strutturali sono prodotte secondo la tecnica della pultrusione impiegando fibra di vetro E-CR - nota per le sue caratteristiche meccaniche e di durabilità migliorate rispetto al tradizionale E-glass - e una matrice resinosa di natura vinilestere ovvero termoindurente. Questo significa che una volta indurita non può più essere modellata ossia che il processo con il quale le barre vengono lavorate per realizzare staffe e/o parti piegate deve essere eseguito in fase di produzione della barra stessa e non in tempi successivi, come invece accade abitualmente con l’acciaio da costruzione. Ancora, i raggi di curvatura delle barre non sono gli stessi comunemente noti per i tondini in acciaio, ma hanno dimensioni leggermente più grandi per cercare di ridurre al massimo l’impatto negativo della piegatura sulle caratteristiche meccaniche della parte piegata rispetto alla parte rettilinea della barra stessa, nonché per motivi produttivi industriali che vedono in tale processo uno dei principali ostacoli. Nella tabella sotto sono indicate le caratteristiche meccaniche delle barre Glasspree® di Sireg Geotech in fibra di vetro e resina vinilestere. Osservando la tabella si può notare come le caratteristiche meccaniche delle barre varino al variare del diametro, con i diametri più piccoli aventi caratteristiche meccaniche superiori rispetto ai diametri più grandi e, in generale, con prestazioni meccaniche a trazione decisamente superiori a quelle di un tradizionale tondino ad aderenza migliorata in acciaio. Se da un lato la resistenza a trazione può indurre in prestazioni meccaniche superiori, dall’altro il modulo elastico risulta circa un quarto rispetto a quello dell’acciaio, pari a 46Gpa in questo specifico caso. Questo significa quindi che se, da un lato, in una verifica allo stato limite ultimo ci si potrebbe aspettare di poter realizzare una sezione equivalente con diametri inferiori o minor quantità di materiale, dall’altro nelle verifiche agli stati limite di esercizio ci si ritroverà spesso a dover adottare più materiale a seguito del minore modulo elastico. Nel merito poi delle verifiche a taglio, per le ragioni sopra esposte, la parte piegata di una barra non resiste come la parte rettilinea, al punto che in tabella si evince come una barra piegata di 90° perda circa il 60% della resistenza dichiarata della parte rettilinea. Quest’ultimo aspetto è assolutamente fondamentale e da tenere presente quando si affronta la progettazione di armature a taglio o che richiedono la presenza di ferri piegati. Risulta quindi fondamentale, nel momento in cui si approccia una progettazione con questi materiali, fare riferimento a schede tecniche nelle quali tali parametri siano messi chiaramente in evidenza, insieme allo standard rispetto al quale tali valori sono stati ottenuti. In ambito europeo, lo standard di riferimento è la norma ISO 10406-1 e altri standard internazionali comunemente riconosciuti. In USA e Canada impiego e normative un passo avanti Negli Stati Uniti e in Canada l’impiego di questi materiali vede oggi un incremento sempre crescente sicuramente grazie al grande impulso favorito da uno sviluppo del quadro normativo e degli standard di qualifica che ne ha permesso una rapida implementazione. Fino a vent’anni fa, nei laboratori universitari si studiava l’impiego di questi materiali solo per applicazioni pilota, mentre oggi siamo spettatori di un graduale, ma sempre più diffuso impiego, prevalentemente in ambito infrastrutturale con opere permanenti come ponti, canali e altre in diversi settori. Il successo di questa tecnologia sui mercati americano e canadese è sicuramente stato favorito dal rapido ma pur sempre attento e graduale sviluppo dei documenti quali l’ACI 440.1R-15 “Guide for the Design and Construction of Structural Concrete Reinforced with Fiber-Reinforced Polymer (FRP) Bars” dell’American Concrete Institute e l’”AASHTO LRFD Bridge Design Guide Specifications for GFRP-Reinforced Concrete” dell’American Association of State Highway and Transportation Officials che rappresentano oggi gli standard più aggiornati per la progettazione di elementi in cemento armato rinforzati con barre in fibra di vetro. Situazione normativa in Italia e in Europa Nel vecchio continente e in particolar modo in Italia il quadro normativo presenta una situazione che richiede un rapido ammodernamento e allineamento agli standard progettuali vigenti ovvero le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC) 2018. Il documento di riferimento è il CNR-DT 203-2006 pubblicato oramai più di 15 anni fa e quindi figlio del Decreto Ministeriale 9 gennaio 1996 e di studi oramai estremamente conservativi e datati. Tuttavia uno degli aspetti che ha maggiormente frenato e tutt’ora frena lo sviluppo di questa tecnologia tanto promettente è certamente l’assenza di un quadro normativo per rispondere ai requisiti del capitolo 11 delle NTC 2018, per il quale tutti i materiali da costruzione per uso strutturale devono essere marcati CE o dotati di certificazione nazionale che ne permetta di definirne le caratteristiche essenziali e possa garantirne nel tempo la costanza delle prestazioni.Categoria: notizie - tecnica - plastica - armature polimeriche - calcestruzzo - edilizia
SCOPRI DI PIU'Si parla tanto di investimenti per l’economia circolare ma il capitale cerca sempre scorciatoieSembreremmo ormai entrati in una fase di sicuro interesse verso l’economia verde, di startup innovative che si occupano di agricoltura eco sostenibile, di scoperte per la riduzione dell’inquinamento atmosferico, dei mari e dei suoli, di una mobilità con una bassa impronta carbonica… ma è proprio così? Nonostante la Commissione Europea presieduta da Ursula von der Leyen, abbia tracciato una strada chiara e univoca su un modello di sviluppo più compatibile con le esigenze della terra e, nonostante dall’altra parte dell’oceano, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, stia remando in senso opposto ritirando addirittura il suo paese dall’accordo di Parigi sul clima, il mondo degli affari tiene il timone dritto decidendo come e dove investire il denaro a disposizione. Infatti, al di là dei proclami statali e dei movimenti di opinione della gente, i soldi si muovono nell’interesse del profitto che, a volte, si può incrociare con i gli interessi della politica e dell’opinione pubblica e a volte no. Non si può dire che il business sociale esista, in quanto i soldi vengono investiti oggi con orizzonti temporali sempre più corti rispetto agli anni, ai decenni o al secolo scorso. Complice l’informatizzazione dei sistemi economici, gli investitori scommettono su attività che si auspicano avere dei ritorni di profitto molto alti in tempi estremamente ristretti. Un esempio lo possiamo vedere osservando l’andamento di alcuni titoli tecnologici e di servizi legati al web, come Google, Apple, Amazon, Tesla, solo per citarne alcuni, che hanno incrementato il loro valore durante il periodo dell’esplosione del Covid in modo del tutto sorprendente, in uno spazio di tempo estremamente limitato, con valori di crescita a due cifre percentuali. Questo è difficile che succeda in un’economia tradizionale, ed è sempre più consueto vedere come i capitali mondiali si rivolgano a business con crescite esponenziali in periodi ristretti. Come è possibile attirare investimenti su progetti green che debbano cambiare o risolvere le anomalie produttive, di consumo o di mobilità che affliggono il nostro pianeta, i cui progetti hanno bisogno di anni o decenni per essere realizzati? Interessa a qualche investitore portare l’acqua potabile in alcune metropoli, come Mumbai, in cui il ritorno dell’investimento sarebbe assicurato ma a fronte della costruzione di una rete idrica i cui tempi sarebbero ovviamente lunghi? Sembrerebbe di no, infatti ogni giorno centinaia di camion portano l’acqua in città, emettendo tonnellate di Co2, ma non si trovano capitali per ammodernare la rete idrica e ridurre l’inquinamento atmosferico. Questo è solo un esempio del paradosso della finanza, che influisce sul mantenimento di sistemi inefficienti e inquinanti, nonostante si dispongano di risorse e di mezzi per risolvere i problemi ambientali. Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'La Forestazione Urbana Potrebbe Migliorare i Fenomeni Depressividi Marco ArezioFino al periodo antecedente alla rivoluzione industriale, che si può collocare in Inghilterra nella seconda metà del XVIII° secolo e, più ancora, nella seconda rivoluzione industriale alla fine del XIX° secolo, con l’arrivo delle scoperte chimiche, il rapporto che l’uomo aveva con la natura era di complicità e simbiosi.L’uomo sfruttava la terra per il proprio sostentamento ma non arrecava danni così gravi da non permettere all’ambiente di rigenerarsi in modo autonomo, creando un equilibrio tra le azioni antropiche e la consistenza naturale. Ai giorni nostri, di quel rapporto, è rimasto ben poco perché ben poco è rimasto dell’ambiente naturale e, l’uomo, si è abituato a vivere in ambienti che di naturale hanno davvero poco. Città cementificate, con poche aree verdi, dove non si vedono fiori, profumi e animali che ci potrebbero far ricordare da dove veniamo. Alcune città sono sempre più grandi e popolate, in cui la gente vive in agglomerati dormitori, nelle quali si cerca di sopravvivere attraverso delle opportunità di lavoro che in aree esterne non permettono di farlo. Ma anche nelle città definite ricche, del primo mondo, la ricchezza è divisa in modo del tutto “antisociale” creando gruppi di persone che sopravvive e altri che hanno avuto più fortuna o opportunità. La vita in questi ambiti, specialmente in quelli con una densità della popolazione maggiore e con redditi molto diseguali, crea tensioni, paure, angosce insicurezza che molte volte si traduce in forme piò o meno gravi di depressione. A Lipsia, in Germania, hanno studiato il fenomeno della depressione urbana in relazione alla presenza di verde, quindi della densità di piantumazione delle aree abitate. In uno studio, fatto su 9751 cittadini, si è cercato di capire se ci fosse un nesso tra la presenza degli alberi e la quantità di psicofarmaci utilizzati per la cura della depressione rispetto ad altre zone in cui la forestazione fosse assente o inferiore. Si è visto, incrociando le statistiche delle prescrizioni di ansiolitici e antidepressivi agli abitanti presi in considerazione, che la presenza di alberi ad alto fusto e del fogliame lungo le strade e a ridosso delle abitazioni, coincideva con un minore utilizzo in quell’area di farmaci per la salute mentale. Coincidenza? Può darsi, ma c’è un altro dato che potrebbe confutare questa tesi, infatti, controllando altri fattori di rischio per la salute mentale come la perdita del lavoro, problemi sessuali, di età di peso ed economici, si è visto che le aree con più o meno presenza di alberi non influenzavano questi fattori. Si è inoltre scoperto che le specie arboree differenti non giovavano in alcun modo al fenomeno, quindi non si poteva elevare una pianta migliore dell’altra a questo scopo. Ovviamente non è uno studio scientifico, anche perché molte persone depresse non assumono farmaci, quindi sfuggono alle statistiche, ma sicuramente dimostra che la vegetazione intensa nelle città e la presenza di uccelli, migliora l’umore degli abitanti. Ricordiamo poi che gli alberi in città riducono la calura che le costruzioni possono immagazzinare quando sono esposte al sole, aiutando a rendere l’ambiente più fresco, assorbono l’anidride carbonica nell’aria e riducono le polveri. Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'Certificazione AIMBY: Il Nuovo Parametro per gli Uffici Acquistidi Marco ArezioGli acquisti delle materie prime, dei semilavorati, dei prodotti finiti o dei servizi, sono una parte importante nel budget delle aziende, dove l’attività professionale, intesa come competenza, ricerca, qualità di negoziazione, creazione di rapporti affidabili, può portare grandi vantaggi alle aziende.Se partiamo dall’assioma principale di molti imprenditori, dove “ogni soldo risparmiato è un soldo guadagnato”, possiamo dire che la funzione del personale che si occupa degli acquisti è tra le più importanti del sistema produttivo. Dal 1° Gennaio 1995, con l’istituzione del WTO (Organizzazione mondiale per il commercio) è iniziata, ufficialmente, l’era della globalizzazione commerciale, attraverso la quale l’obbiettivo delle aziende nelle nazioni più avanzate, era quello di minimizzare i costi di acquisto per le materie prime o i prodotti finiti e, per i paesi in via di sviluppo, poter avere un mercato molto più ampio, senza più dazi, in cui riversare le loro merci. La globalizzazione commerciale sembrava fosse una questione prima di tutto politica, di equità e democrazia tra i popoli più che economica, in un’ottica espansiva del tessuto produttivo internazionale. Gli uffici acquisti hanno così avuto la possibilità, comprando in paesi diversi rispetto al passato e, spesso, molto più lontani dalla sede produttiva, di ridurre, a volte in modo sostanziale, il costo unitario delle merci che compravano, portando un beneficio immediato alla filiera del margine economico sul prodotto. Questo ha avviato un volano incredibile nel campo dei trasporti, in primo luogo quelli marittimi, a seguito dell’aumento vertiginoso degli acquisti di prodotti finiti e delle materie prime industriali in tutto il mondo. Quello che prima si comprava facilmente vicino a casa veniva poi acquistato a migliaia di chilometri di distanza ad un prezzo più basso con una qualità similare. Non mi voglio soffermare sulle conseguenze industriali e sociali che questo fenomeno ha portato in tutto il mondo, dove, nei paesi più sviluppati si iniziò a deviare i flussi degli ordini delle merci e delle materie prime, dai propri paesi alla Cina, India e altri paesi del sud est asiatico, con un crollo del tessuto produttivo locale di media e piccola grandezza. Vi è poi stata una seconda fase della globalizzazione commerciale, in cui tutti abbiamo imparato la parola “delocalizzazione”, dove il motore non era più rappresentato dai risparmi sulle materie prime o i semilavorati acquistati in paesi lontani, ma dalla riduzione del costo della manodopera, che serviva per contrastare la discesa dei prezzi dei prodotti finiti sui mercati tradizionali, causata dei produttori che provenivano dai paesi il cui costo generale di produzione rimaneva più basso di quello delle fabbriche occidentali, nonostante il trasporto. In passato, il costo ambientale che ne è conseguito dal nuovo sistema di circolazione delle merci, in termini di emissioni di CO2, non era mai stato considerato e, se lo fosse stato, era solo una discussione accademica di poco interesse. Oggi le cose sono molto cambiate in diversi ambiti produttivi, a partire dall’uso dei materiali riciclati, dall’impiego delle energie sostenibili, dal comportamento della finanza, che premia le aziende più green attraverso finanziamenti e li sospende ad aziende che hanno un impatto ambientale “vecchio stile”. All’interno delle aziende molti metodi di lavoro sono cambiati, molte professionalità nuove, legate alla produzione sostenibile sono comparse negli organigrammi aziendali, il sistema di comunicazione degli uffici marketing ha virato verso una completa vocazione all’economia circolare e la tutela dell’ambiente, per dare le risposte ai clienti che chiedono più sostenibilità. Ma un altro passo si potrebbe fare anche nell’ambito degli uffici acquisti, indagando nuove strade legate alla sostenibilità del prodotto e del sistema azienda, promuovendo il passaggio dalla fase degli acquisti prevalentemente NIMBY (non nella mia area) ad una fase prevalente AIMBY (tutto nella mia area), tornando al passato, attraverso gli acquisti delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finali vicino a casa. Questo perché, in accordo con gli uffici marketing, la certificazione AIMBY sulla filiera produttiva, può portare ad un ulteriore riconoscimento positivo da parte dei consumatori, in cui il risparmio di CO2 che si genera nei trasporti intercontinentali o extra nazionali, può essere rivendicato come distintivo green sui prodotti offerti sul mercato. AIMBY è uno stile di vita, come usare la bicicletta al posto della macchina, il treno al posto dell’aereo o ridurre l’uso della carne sulle nostre tavole o bere l’acqua del rubinetto al posto di quella in bottiglia che viene da centinaia di chilometri di distanza o ridurre l’uso di alimenti in confezioni monouso, o come molti altri comportamenti virtuosi. Inoltre, la riduzione dei trasporti delle merci via mare ridurrà in modo percentuale la possibilità di incidenti, collisioni, incendi, affondamenti dei cargo per avarie o condizioni metereologiche, che causano diffusi e pericolosi stati di inquinamento dei mari e delle spiagge sulla rotta delle navi. Tutti noi possiamo fare qualche cosa per aiutare il pianeta e, tutti noi consumatori, attraverso le nostre scelte possiamo indirizzare il mercato e le produzioni degli articoli che compriamo, nessuno si può sottrarre alle leggi di mercato e il mercato siamo tutti noi.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti Approfondimenti sull'economia circolare
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