Come e perché è necessario ridurre l’umidità nei polimeri riciclati prima del loro usodi Marco ArezioCome descritto nell’articolo “l’Assorbimento dell’umidità nei polimeri” la presenza dell’umidità sulla superficie esterna e all’interno delle masse polimeriche, crea diverse tipologie di problemi alle caratteristiche della materia prima da impiegare. Sia i polimeri plastici riciclati igroscopici sia quelli non igroscopici sono soggetti all’effetto dannoso dell’umidità, che può essere assorbita nelle fasi di lavorazione, di trasporto o di stoccaggio, attraverso la ricerca di un equilibrio con l’ambiente in cui si trovano. Come abbiamo visto, nei polimeri riciclati non igroscopici, l’umidità è trattenuta superficialmente, mentre in quelli igroscopici la si troverà anche all’interno del granulo plastico. L’umidità, che si trovi in superficie o all’interno del granulo, influisce negativamente sull’aspetto estetico e meccanico del manufatto finale e, quindi, per produrre una materia prima plastica che non incontri queste problematiche, è necessario che la si deumidifichi prima di utilizzarla. La percentuale di umidità residua tollerata dalla materia prima riciclata è solitamente indicata dai produttori attraverso il controllo di qualità delle merci in uscita e può variare a seconda della tipologia di polimero preso in considerazione e del tipo di manufatto che si intende realizzare. Bisogna tenere in considerazione che le materie plastiche riciclate, dopo la fase di confezionamento, passano tempi più o meno lunghi nelle operazioni di trasporto e di stoccaggio, tempi in cui è possibile che i polimeri assumano nuova umidità. Per questa ragione si consiglia sempre, prima di usare il granulo, di effettuare l’operazione di deumidificazione che, in base al polimero, può necessitare di tempi variabili, raggiungendo un’umidità residua finale così espressa per una campionatura di polimeri: • ABS Temperatura dell’aria: 80° Tempo di trattamento: 2-3 ore Umidità residua: 200 ppm • PE Temperatura dell’aria: 90° Tempo di trattamento: 1 ora Umidità residua: 100 ppm • PP Temperatura dell’aria: 90° Tempo di trattamento: 1 ora Umidità residua: 200 ppm • PVC Temperatura dell’aria: 70° Tempo di trattamento: 1 ora Umidità residua: 200 ppm Il sistema più comune per deumidificare i polimeri riciclati consiste nel fare incontrare la materia plastica con una corrente d’aria calda, in quanto questa ha la capacità di trattenere l’umidità e tanto maggiore sarà la temperatura, tanto maggiore sarà il volume di umidità asportato. L’aria ha la possibilità di trattenere l’acqua fino alla sua saturazione e, questa quantità, varia in funzione dell’aumento della temperatura. Ad esempio 1 Kg. di aria è resa satura a: • 20° - 14,7 grammi di acqua • 35° - 36,6 grammi di acqua • 50° - 82,6 grammi di acqua Nei cicli di deumidificazione dei polimeri è possibile impiegare l’aria proveniente dall’ambiente, definita semplice essicazione, solo in situazioni di temperatura e umidità favorevoli. Mentre si può impiegare un’aria preventivamente essiccata, detta deumidificata, per realizzare un’azione di asciugatura importante anche in condizioni non favorevoli. Teniamo in considerazione che un granulo secco, se messo a contatto con l’aria, inizia l’assorbimento dell’umidità, la cui percentuale varierà al variare delle condizioni climatiche in cui si trova, quindi la tipologia dell’intervento di deumidificazione varierà a seconda di questi parametri. In un processo di essicazione l’aria calda investirà il granulo, che sarà posto in una tramoggia, il quale rilascerà dalla sua superficie e dal suo interno l’umidità che migrerà verso il flusso d’aria creato. Le variabili principali, quindi, durante un processo di essicazione sono: • Tipologia di polimero • Umidità di partenza del granulo • Punto di rugiada dell’aria di processo • Umidità residua richiesta • Tempo di essicazione • Temperatura dell’aria di processo • Dimensioni del granulo Tutto il processo di essicazione ruota introno all’umidità residua accettata, in funzione della tipologia del manufatto da produrre e dalla tecnica di produzione e, tanto minore sarà il processo di essicazione, tanto maggiore sarà la temperatura impiegata, fermo restando i limiti tecnici di ogni polimero sul grado di rammollimento e di emanazione di sostanze nocive. Il fabbisogno di aria per i processi di deumidificazioni sarà espresso in mc di aria per ogni Kg. di polimero da essiccare, tenendo conto della quantità di granulo movimentato in tramoggia, della temperatura dell’aria e del consumo di corrente. Anche la dimensione e la forma del granulo hanno una loro influenza nel processo di deumidificazione, in quanto, al crescere della sua dimensione e della superficie per unità di misura (cubo, cilindro o sfera) aumenta il tempo di essicazione.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - deumidificazione Vedi maggiori informazioni sulle materie plasticheVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Come riconsiderare i prodotti vegetali di scarto per la bio-edilizia in un’ottica di economia circolaredi Marco ArezioE’ nato prima l’uovo o la gallina? Una battuta spiritosa che potrebbe essere applicata facilmente al binomio bio edilizia – economia circolare. Infatti possiamo dire che i due campi si alimentano vicendevolmente, mettendo il mercato dei rifiuti e degli scarti a disposizione dell’industria dei prodotti edilizi, per la creazione di manufatti sempre più green. Esiste infatti nel passato una vasta documentazione che descrive come l’uomo avesse sempre cercato di migliorare la salubrità e la vivibilità delle proprie abitazioni, sfruttando nel migliore dei modi quello che la natura gli metteva a disposizione, sia sotto l’aspetto ambientale che quello delle materie prime sulle quali poteva contare. La lenta evoluzione dei processi costruttivi e dei materiali, durante i secoli, ha visto un lento ma costante miglioramento delle performance abitative degli edifici costruiti, soprattutto quando vennero impiegati i mattoni, i vetri, gli isolamenti termici pur rudimentali, i sistemi fognari e molte altre innovazioni. Ma la svolta concreta è avvenuta durante del XIX secolo, quando la grande disponibilità di energia proveniente dalle fonti fossili, in coincidenza dei progressi tecnologici, creò una nuova forma di architettura, anche intesa come materiali, basata molto sulla futurizzazione della potenza industriale e sulla produzione in serie di elementi per l’edilizia. Questo trasformismo portò ad un allontanamento progressivo dalla centralità dell’ambiente e della natura nelle opere edili e nei suoi progetti. Intorno agli anni 70 dello scorso secolo, anche nel settore delle costruzioni iniziarono a crescere dei dubbi sulla sostenibilità dei materiali usati e sul metodo della cementificazione selvaggia che erodeva il suolo, inquinava l’ambiente e sperperava le risorse energetiche. Il processo che portò ad una nuova consapevolezza tra edilizia e ambiente si manifestò, lentamente, attraverso strade diverse: le crisi petrolifere causarono l’aumento del costo per scaldare le abitazioni, spingendo alla creazione dei primi isolanti termici, l’inquinamento urbano portò allo studio di nuove forme di sfruttamento dell’energia domestica, la crescita di una nuova coscienza ambientalista mise in discussione una serie di materiali difficilmente riciclabili. L’idea di una nuova circolarità nell’uso degli edifici e dei materiali che li compongono, rivoluzionò il sistema fin dalle fasi di progettazione, in cui vennero inseriti concetti come bioedilizia ed economia circolare dei rifiuti. Oggi, questo nuovo corso, gira intorno all’impatto ambientale dell’edificio, attraverso lo strumento dell’eco bilancio, che deve considerare tutte le fasi della vita della struttura, cioè significa analizzare l’impatto del costruito nella fase prima della sua realizzazione, durante la vita dell’edificio e dopo la sua esistenza, intesa come recupero dei materiali che lo hanno composto. Utilizzando la metodologia LCA (Life Cycle Assessment), adattata, non ai singoli prodotti, ma ad un edificio intero, si vuole fare una valutazione complessiva del progetto rispettando i seguenti parametri: Compatibilità: che consiste nella valutazione dell’opera nel contesto ambientale sotto il profilo economico, inteso come minori sprechi generali nel tempo. Benessere: inteso come integrazione dell’uomo in equilibro con la natura e le sue risorse. Riciclo e riuso: inteso come la ricerca di una costruzione, anche di tipo a secco, in cui gli elementi potrebbero essere smontati e riutilizzati facilmente a fine ciclo. Da questi concetti nascono nuove forme di ricerca che vogliono ripercorrere la circolarità dei materiali da impiegare, per realizzarne altri adatti alle costruzioni, cercando di minimizzare il prelievo delle materie prime dall’ambiente. In questo contesto si muovono i materiali, intesi come materie prime, che provengono dallo scarto della lavorazione del riso, riutilizzati come componenti eco compatibili, finalizzati alla realizzazione di nuovi elementi costruttivi. Per scarto del riso, possiamo identificare la parte che lo avvolge, denominata pula o lolla, che risulta dopo la lavorazione, tramite sbramatura (azione meccanica di pulitura del chicco di riso) del prodotto raccolto nel campo, il cui rifiuto incide dal 17 al 23% in peso. La lolla ha una consistenza molto dura e leggera, con una densità di circa 135-140 Kg./m3 ed ha ottime caratteristiche espresse nell’imputrescibilità e inattaccabilità dagli insetti. Essendo molto scarso l’apporto nutritivo del prodotto (3,3% di proteine e 1,1% di grassi) non viene generalmente impiegata come mangime per gli animali. Nel campo dell’arredamento, la lolla di riso viene utilizzata, in compound con delle resine, per creare un legno artificiale, adatto alla costruzione di darsene, pontili e arredo urbano esterno in virtù delle elevate proprietà impermeabili, di resistenza al sole, alla pioggia, alla salsedine e alla neve. Nel campo delle costruzioni abitative, la lolla di riso viene impiegata in alcuni processi produttivi: Massetti alleggeriti con spiccate doti di isolamento termo-acusticheMalte di intonaco e di finitura attraverso un mix di lolla di riso, inerti silicei ed argillaPitture da esterno composte da latte di calce e lolla di risoPannelli per pareti da interno ed esterno, per l’isolamento termo-acustico, composti da lolla di riso, ossido di magnesio e amido di soia con la funzione di legante. I prodotti composti dalla lolla di riso, dalla paglia e dalla calce sono leggeri, tenaci, con caratteristiche termiche e acustiche e traspiranti.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - bioediliziaVedi maggiori informazioni sulla bioedilizia
SCOPRI DI PIU'La costruzione del reattore Tokamak in Francia lascia grandi speranze per l'energia prodotta attraverso la fusione nuclearedi Marco ArezioTokamak è un mega reattore nucleare in fase di costruzione nel sud della Francia e precisamente a Saint Paul Lez Durance, in base all’accordo siglato nel 2005 tra Unione Europea, Stati Uniti, Svizzera, Russia, Giappone, India e Corea del Sud. E’ già stato definito il progetto energetico del secolo in quanto ha l’obbiettivo di produrre energia nucleare pulita.Come funziona la fusione nucleare? A differenza del processo produttivo fino ad oggi utilizzato nelle centrali atomiche per la produzione di energia, che si basa sulla fissione nucleare, cioè la creazione energetica attraverso la separazione degli atomi, il nuovo concetto espresso da Tokamak sarà basato sul processo di fusione degli stessi, creando almeno 10 volte l’energia che si produceva attraverso la fissione nucleare. Il processo avviene attraverso il riscaldamento del gas idrogeno a 100 milioni di gradi, trasformandolo allo stato di plasma, controllato da enormi magneti che ne seguono l’evoluzione finchè gli atomi di questo plasma si fondono tra loro liberando energia. Il plasma può essere considerato come il quarto stato della materia, accostabile a quello liquido, gassoso e solido. Perché si parla di energia pulita? Il processo della fusione nucleare da degli indubbi vantaggi per la gestione delle scorie radioattive in quanto, se prendiamo in considerazione le scorie provenienti dalla fissione nucleare, sappiamo che per circa 3000 anni restano radioattive, mentre quelle derivanti dalla fusione nucleare già al 12° anno avranno dimezzato i loro effetti radioattivi. Non c’è dubbio che gli studi sul riutilizzo delle scorie prodotte dalle future centrali a fusione nucleare devono essere ancora completati, per cercare la via di inertizzare la radioattività al loro interno e, soprattutto, per riutilizzare il materiale di scarto nei nuovi processi produttivi. Solo allora si potrà parlare di energia rinnovabile da fusione nucleare. C’è comunque un cauto ottimismo sulla possibilità di giungere, alla fine di questo iter scientifico, ad una risposta positiva in termini di economia circolare delle scorie. Quando potrà entrare in funzione Tokamak? Lo stato costruttivo della centrale ha visto quest’anno la fine dei lavori edili primari necessari ad accogliere il mega reattore, il quale è in fase di costruzione ed è giunto a circa il 60% del suo cammino costruttivo. Se il processo di realizzazione di Tokamak non troverà impedimenti, l’accensione all’interno della centrale dovrebbe avvenire nel 2025. Ci vorranno ancora alcuni decenni prima che l’energia atomica prodotta con la fusione nucleare sia adottata su larga scala nel mondo, considerando che l’investimento, fatto in Francia dal team di paesi, raggiungerà i 20 miliardi di euro al termine del lavoro. Come si è giunti a questo accordo esteso a diversi paesi? E’ da molto tempo che si parla di poter costruire la prima centrale nucleare a fusione di atomi ed ufficialmente ne avevano già parlato Ronald Regan e Mikhail Gorbaciof nel 1985 durante un vertice USA-URSS a Ginevra. Entrambi i paesi stavano studiando il processo di fusione nucleare ma era necessario, sia per il completamento degli studi scientifici che per l’enorme investimento, la partecipazione altri paesi. Si è arrivati così all’accordo del 2005 che ha creato un team internazionale di paesi interessati, necessario per poter portare avanti questo ambizioso programma energetico.Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'di Marco ArezioE’ sicuramente una provocazione dire che alcune tipologie di plastica, come le bottiglie in PET, i flaconi in HDPE e altre tipologie di imballi plastici, per via della loro densità, sono destinate a galleggiare e, quindi, ad attirarsi le ira, comprensibili se non si conosce il problema, di chi dà vita ai movimenti plastic free.E’ sempre una provocazione dire che se il peso specifico dei prodotti plastici fosse diverso e, come altri materiali da imballo, andassero a fondo, probabilmente ci illuderemmo che, non vedendoli galleggiare, non esista un reale problema ambientale. Non solo sono due provocazioni, ma un insulto all’intelligenza umana, pensare di fare come lo struzzo, mettendo la testa sotto la sabbia per nasconde il problema. Ma in realtà l’effetto emotivo delle isole di plastica che galleggiano nei mari ha fatto nascere un’avversione al prodotto, senza pensare cosa succede sotto il livello di galleggiamento dei mari e come ha fatto, tutta quella plastica, ad arrivare fino a li. Bidoni in metallo, bottiglie di vetro, carcasse di auto, lavatrici, telefonini, scarti di cavi, ruote, televisori, pneumatici, reti da pesca, elettrodomestici di scarto, tubi in metallo, raccordi, sedie, tavoli, divani, lampadari, ceramiche, calcinacci, rifiuti di cantiere e molti altri prodotti, sono regolarmente riversati in mare ogni anno. Li vediamo? No, a meno che ci immergiamo con un piccolo sommergibile di profondità e andiamo a vedere i disastri che fa l’uomo, la stupidità e l’ignoranza del genere umano. Dei milioni di tonnellate di rifiuti che entrano in mare ogni anno sembra che quelli visibili siano solo l’1%, in quanto galleggiano o vengono spiaggiati dalle correnti e maree, mentre il 99% è depositato nei fondali. Ma tornando ai movimenti plastic free, tutti questi prodotti che giacciono nelle discariche in fondo al mare non vengono normalmente citati, non viene fondato un movimento “bottiglie di vetro free” o un “pneumatico free” o un “televisori free”, ciò che non si vede non impatta emotivamente e non ha audience, non movimenta le folle. Ma se cambiassimo la densità dei materiali in modo da rendere affondabile tutta la plastica e galleggiabili tutti gli altri rifiuti, forse, i mari non sarebbero più navigabili e ci scaglieremmo non più contro la plastica, che non si vedrebbe, ma con tutti i prodotti fatti con diversi materiali, come il ferro, l’alluminio, il vetro, l’acciaio, la gomma, il rame…. Ma se i fondali sono pieni di rifiuti diversi dalla plastica e la superficie dei mari e le spiagge sono pieni di plastica, di chi è la colpa? Che senso ha prendersela con un singolo prodotto quando i fondali contengono molta più spazzatura di diversa natura di quella che si vede in superficie? Il problema è l’assurda inciviltà dell’uomo che utilizza i fiumi, i mari e gli oceani come discariche, pensando di risolvere un problema dei rifiuti in casa sua, per poi rimangiarseli attraverso le catene alimentari. Dove è l’intelligenza della razza superiore rispetto agli animali? Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'Masselli in PVC Riciclato: Come Progettare Piste Ciclabili Sostenibilidi Marco ArezioIl problema della tutela dell’ambiente è un argomento ormai del tutto trasversale nella nostra vita e, ad ogni livello di responsabilità e competenze, la riduzione dell’impatto dell’uomo sull’ecosistema è da tenere in evidenza.Le città e le aree di collegamento tra di esse stanno vivendo una trasformazione nel campo della mobilità sostenibile, spingendo in modo deciso verso l’utilizzo della bicicletta. Proprio in epoca di pandemia si è verificato una riscoperta del mezzo a pedali, attività che assume in sé fattori che non sono solo di carattere sociale, urbanistico o ambientale, ma sposa quei principi della “slow life”, cioè un approccio più naturale e rilassato alla vita, dove al tempo è dato il giusto valore, non consumato ma vissuto. L’utilizzo della bicicletta ha fatto riscoprire un sistema di mobilità più salutare, più partecipativa verso l’ambiente attraversato e una forma di ritrovata familiarità e convivialità tra le persone. Per seguire questa nuovo approccio alla mobilità sostenibile si devono creare e migliorare percorsi che siano espressamente dedicati al traffico per le biciclette, attraverso progetti che tengano in considerazione i principi della sostenibilità e dell’economia circolare. Per questo, in fase di progettazione tecnica, si dovrebbe tenere presente l’impiego di materiali che possano dare un contributo all’ambiente, alla riduzione dei rifiuti e alla riciclabilità degli elementi a fine vita. Per quanto riguarda il pavimentato stradale delle piste ciclabili in aree urbane o di collegamento tra una città e l’altra, la tendenza è di non utilizzare materiali che abbiano creato un impatto ambientale già nella loro costituzione prima del loro utilizzo, come asfalti o masselli in cemento, le cui materie prime derivano dalle risorse naturali, ma di utilizzare elementi che derivano dal riciclo dei materiali plastici. Uno di questi è il massello autobloccante realizzato in PVC riciclato, la cui materia prima è costituita dallo scarto delle lavorazioni dei cavi elettrici, dai quali si separa il rame e le guaine in plastica. Queste guaine vengono recuperate, selezionate, riciclate e trasformate in materia prima per realizzare manufatti carrabili ad incastro monolitico adatti alle pavimentazioni stradali e ciclo-pedonabili. Una pavimentazione fatta con i masselli autobloccanti riciclati in PVC sposa pienamente i principi dell’economia circolare, cioè l’utilizzo dei rifiuti lavorati in sostituzione di materie prime naturali per evitare l’impoverimento del pianeta. La pavimentazione in masselli autobloccanti in PVC riciclato ha una lunga durata, rimane flessibile nell’esercizio, non crea buche, non subisce degradazione a causa dei sali stradali, è leggera e con una economica posa fai da te, non si macchia in quanto non assorbe oli o sostanze inquinanti, è lavabile, non scivolante e verniciabile. Inoltre la sostituzione di singoli pezzi della pavimentazione e semplicissima ed economica, in quanto si sostituisce velocemente il massello autobloccante senza creare un’interruzione della viabilità per la manutenzione. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - PVC - masselli autobloccanti - edilizia - piste ciclabili
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