L'azienda Americana Kraft Heinz sta studiano la produzione di tazze in fibra che possano essere riutilizzabili o riciclabili compostabili e che possano essere inserite, senza problemi nel microonde. L'azienda ha l'obiettivo di rendere il 100% dei suoi imballaggi riciclabile, riutilizzabile o compostabile entro il 2025. Kraft Mac & Cheese, un marchio di proprietà di Kraft Heinz Co. con sede a Chicago, ha annunciato che sta sviluppando e testando la prima tazza per microonde riciclabile a base di fibre. Al termine dei test, il marchio lancerà una nuova varietà Kraft Mac & Cheese Shapes più avanti nel 2021 utilizzando la nuova tazza e il nuovo design. Secondo un comunicato stampa di Kraft Mac & Cheese, la tazza per microonde a base di fibre attualmente in prova è adatta al microonde ed ha le stesse dimensioni degli altri imballaggi attualmente offerti dal marchio. Il marchio segnala inoltre che sta eliminando l'etichetta di plastica su questa confezione attraverso la nuova tecnologia di stampa diretta. L'azienda afferma che l'intento del cambiamento di design dalla plastica alla fibra è ridurre l'uso di plastica e essere sia riciclabile che compostabile negli impianti di compostaggio industriale. Kraft afferma che sta lavorando con partner esterni per certificare e incorporare l'etichettatura di riciclaggio appropriata per aiutare i consumatori a sapere cosa fare con l'imballaggio. L'azienda aggiunge che questa innovazione supporta l'obiettivo di Kraft Heinz Co. di diventare un'azienda più sostenibile. L'azienda ha un impegno che mira a rendere il 100 percento dei suoi imballaggi riciclabile, riutilizzabile o compostabile entro il 2025.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - packagingby Megan Smalley
SCOPRI DI PIU'Come il Polipropilene Riciclato può Aiutare la Gestione Sostenibile delle Acquedi Marco ArezioL’acqua è un bene primario di cui l’uomo ha assoluto bisogno per sopravvivere e lo si contende dal passato più antico fino ai tempi moderni.Le guerre per il controllo dell’acqua sono sempre più numerose, che siano conosciute all’opinione pubblica o che non facciano notizia, hanno numeri impressionanti. Tra il 2000 e il 2009, secondo un rapporto dell’UNESCO, si sono combattute 94 guerre per il controllo delle forniture dell’acqua, mentre tra il 2010 e il 2018 ben 263. In un pianeta dove la popolazione continua ad aumentare, specialmente in aree povere come l’Africa con una popolazione di circa 1,2 miliardi di persone che dovrebbe raddoppiare entro il 2050, il bisogno di acqua potabile è sempre più impellente. Il controllo dei grandi fiumi, che portano acqua sia alla popolazione che all’agricoltura, sono sempre più oggetto di contese politiche e militari. Il Nilo che bagna molti paesi Africani, l’Indo che serve il Pakistan ma nasce in India, il Tigri e l’Eufrate che sono necessari a Siria e Iraq ma influenzati dalla Turchia, e molte altre situazioni. Se poi consideriamo che nel mondo, secondo il rapporto, circa 2,1 miliardi di persone non hanno accesso ad un’acqua sicura e altri 4,5 miliardi non possono usufruire di servizi igienici corretti, è facile pensare quale sia il livello di gravità della situazione idrica. Non si deve in questo caso giocare di medie, considerando solo la quantità di acqua disponibile per persona nel mondo, ma anche la sua distribuzione geografica, cioè quanti litri sono disponibili per individuo nei vari paesi. Ci accorgeremmo subito che i numeri sono allarmanti, con milioni di persone senza acqua e altrettanti che ne hanno troppa e la sprecano. Tra i paesi in cui c’è carenza di acqua o hanno flussi stagionali estremi ed opposti, come siccità in certi periodi dell’anno e alluvioni in altri, la disponibilità di acqua sicura, non contaminata, è davvero un problema. Inoltre sempre più spesso la carenza di servizi igienici efficienti comporta la contaminazione delle acque disponibili, creando a loro volta problemi sanitari gravissimi tra la popolazione. A questo punto ci dovremmo chiedere come la plastica riciclata, in particolare il polipropilene, può aiutare l’uomo ad alleviare il problema? Attraverso l’uso de polipropilene riciclato, si sono costruite strutture che possono aiutare la popolazione a ridurre o risolvere i due maggiori problemi: • La mancanza di servizi igienici efficienti crea la dispersione delle acque reflue inquinate da batteri fecali, che possono mischiarsi con le fonti di approvvigionamento delle acque utilizzate per l’uso domestico. Se non esistono sistemi fognari sicuri è possibile istallare moduli in plastica riciclata composti da fosse biologiche e sistemi di dispersione delle acque trattate nel terreno, senza che queste inquinino le falde. • In caso di mancanza di una rete idrica di approvvigionamento dell’acqua è necessario, in quei paesi dove si verificano fenomeni di alternanza di lunghi periodi senza acqua a periodi in cui le piogge intense apportano un quantitativo di acqua superiore alle necessità del momento, l’installazione di impianti di immagazzinamento dell’acqua, posizionati sotto il livello del terreno, in modo da conservare per un tempo più lungo possibile delle scorte, che non saranno soggette all’evaporazione causata dal sole. Queste soluzioni si possono facilmente mettere in opera anche in paesi in cui le infrastrutture e la logistica è scarsa, in quanto i sistemi di controllo delle acque sono modulari, leggeri perchè fatti in plastica riciclata, permettendo una facile installazione anche senza grandi mezzi meccanici.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - PP - acquaVedi maggiori informazioni sull'argomento
SCOPRI DI PIU'Sembra si sia formata un’assuefazione ai disastri ecologici attuali e futuri di Marco ArezioQual’è l’impatto del tam-tam mediatico che da qualche anno ci sta avvolgendo e che rimarca una situazione ecologica globale disperata? Abbiamo smarrito la coscienza? A discapito di quello che si pensa, il sentimento nei confronti delle informazioni sull’ambiente che ci giungono, sempre più gravi, documentate con dovizia di particolari da una comunicazione efficiente e puntuale, non coinvolge tutti allo stesso modo e con la stessa enfasi. Diamo per scontato che sia del tutto superfluo, come qualcuno ha l’ardire di sottolineare, discutere se la proporzione del disastro ecologico in cui viviamo sia degna di nota o meno, perché vorrei eliminare quella frangia di persone che tendono a non considerare il problema. Non parliamo solo di gente comune, ma di politici, in posizioni apicali, che ironizzano sull’esistenza del problema ecologico, sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze per la vita di tutti, utilizzando i social quale mezzo di persuasioni delle coscienze influenzabili, dimostrando una cultura scientifica, oltre che morale, del tutto discutibile. La situazione ambientale a cui siamo arrivati è un intreccio così complicato di fili, che rappresentano l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, dei rifiuti e dello scempio delle risorse naturali, i quali si stanno trasformando nella corda che si sta stringendo docilmente al nostro collo. I modesti cambiamenti che i movimenti ecologici e le autorità competenti stanno cercando di apportare al ciclo dei consumi, sono del tutto lodevoli nelle intenzioni e nell’impegno profuso, ma ancora poca cosa rispetto alla situazione globale che necessiterebbe di ben altre decisioni in tempi molto più ristretti. Le notizie sulle multinazionali che si alleano per diffondere un messaggio ecologico sul ciclo della loro produzione, fanno sicuramente piacere, ma questo mi porta a pensare che oggi, incalzate dall’opinione pubblica e con il rischio di essere etichettate come inquinatori seriali, si stiano muovendo per correggere qualche comportamento che va contro la logica ambientale. Razionalmente però, non possiamo immaginare che le industrie, basate sul business, quindi sul profitto ad ogni costo richiesto dagli azionisti, diventino paladine dell’ambiente. Certamente oggi hanno capito che un messaggio di marketing che sposi il filone “verde” potrebbe far acquisire nuove fette di mercato, o nel peggiore delle ipotesi, potrebbe evitare la perdita di clienti. Sono le istituzioni politiche a livello mondiale, supportati dalle menti scientifiche, non colluse con il business economico, che devono imporre a tutti noi, quindi anche al mondo della produzione, regole comportamentali che fermino il proliferare dell’inquinamento a tutti i livelli e inizino a ridurre il disastro ambientale in cui viviamo. Lo dobbiamo fare per noi. Certo, le scelte non sono semplici e implicano una visione molto più allargata di quello che si possa pensare. Io credo che, tra le altre cose, si debba anche considerare chi non si pone questi problemi, non per ignoranza o bieco calcolo, ma perché non può porseli, in quanto stretti tra esigenze quotidiane molto più opprimenti e immediate che pensare alla fine del modo. Come si può pensare di interagire ai fini ambientali con una popolazione povera, distribuita in molte aree del mondo, che deve pensare alla sopravvivenza quotidiana e non al futuro. Come possiamo pensare di incidere sulle coscienze delle persone che subiscono le disuguaglianze economiche trasformandoli in paladini ecologici. La coscienza ambientale, la produzione, i consumi eco-sostenibili, l’economia circolare e il corretto rapporto sulle risorse ambientali, rischiano di apparire un lusso, un ulteriore privilegio di chi può permettersi l’auto elettrica, l’acquisto di cibi bio o vestirsi con costosi abiti griffati provenienti da fonti riciclate. Abbiamo prima di tutto smarrito la coscienza, non solo ambientale, ma anche quella umana, anteponendo l’effimero risultato economico al benessere generale.
SCOPRI DI PIU'I musicisti, la musica e la filantropia musicale nella storia recentedi Marco ArezioPossiamo essere giovani o vecchi, di destra o di sinistra, filo musicali o anarchici dei suoni, classici o rock, freddi o partecipativi, ottimisti o pessimisti ma, se sentiamo la parola Woodstock credo che ci siano poche persone che chiedano: cos’è? Perché l’impegno dei musicisti verso le cause sociali iniziò proprio da quel concerto, nell’Agosto del 1969, nella cittadina Americana di Bethel dove si riunirono per tre giorni circa 400.00 giovani, c’è chi dice fino a 1 milione, richiamati da 32 musicisti che si sarebbero esibiti a rotazione. Erano gli idoli delle nuove generazioni: Joan Beaz, Santana, The Who, Neil Young, Grateful Dead, Jimi Hendrix solo per citarne alcuni che, attraverso un concerto oceanico, volevano protestare contro la segregazione razziale, la guerra in Vietnam e contro il sistema capitalista Americano. Woodstock fu certamente uno spartiacque storico, ma anche sociale dove nulla, dal punto di vista della comunicazione musicale, fu come prima e dove la gente si divise tra chi era pro o contro il sistema Woodstock. Chi vedeva in questa mobilitazione il mezzo per rompere i rigidi schemi morali dell’epoca, utilizzando un nuovo mezzo di comunicazione musicale, facendo trionfare apertamente la cultura Hippy, nonostante qualche eccesso, e dall’altra parte chi vedeva in questi rumorosi assembramenti di giovani un decadimento morale della società. Ma ormai il seme era stato gettato in un terreno fertile, così il 13 Luglio del 1985 venne organizzato un altro evento mondiale, il Live Aid, con la creazione di due palchi, uno a Philadelphia e l’altro a Londra, collegati in diretta mondiale attraverso la televisione. Era l’occasione per raccogliere fondi a favore dell’Etiopia che fù colpita da una tremenda carestia. La qualità degli artisti che si esibirono fu di grandissimo livello: i Queen, con Freddy Mercury che ipnotizò la platea, gli U2, David Bowie, i Led Zeppelin, Tina Turner, Madonna, Bob Dylan, i Rolling Stones e tanti altri. Il concerto fu visto in televisione da oltre un miliardo e mezzo di persone, raccogliendo 70 milioni di dollari, dimostrando che la musica era diventata a tutti gli effetti un fenomeno mediatico che poteva muovere le coscienze e avere un peso sociale da tenere in considerazione. Anche in questo caso ci furono polemiche, tra chi ne apprezzava la nuova forza dirompente di una espressione che veniva dalla gente, e chi vedeva in queste manifestazioni una vetrina narcisista degli artisti. Polemiche rinfocolate dopo che una parte dei fondi destinati all’Etiopia furono rubati da Mengistu Haile Mariam. Il modello Live Aid si ripropose in altri concerti tra il 1996 e il 2001 per la causa dell’indipendenza del Tibet. Le problematiche sociali nel corso degli anni e i concerti benefici si moltiplicarono, ricordiamo il concerto nel 2001 “a Tribute to Heros” che voleva ricordare i caduti delle Torri Gemelle a New York, dove i cantanti si esibirono su un palco spoglio, adornato solo di candele in ricordo delle vittime. Possiamo ricordare anche il concerto organizzato da George Clooney “Hope for Haiti” a seguito del devastante terremoto che colpì l’isola e trasmesso da Mtv. Non solo il Rock scorreva nelle vene dei cantanti che negli anni si sono trasformati in filantropi musicali, ma si cimentarono anche personaggi di primissimo livello come Pavarotti, che organizzò vari “Pavarotti and Friends”. Pavarotti, nel corso degli anni riunì molti personaggi famosi per diverse iniziative: il sostegno ai bambini bosniaci, la lotta alla talassemia, alle popolazioni Afghane e molte altre. Oggi, dove il problema dei cambiamenti climatici è di grande attualità, i musicisti vogliono testimoniare la loro preoccupazione e il loro sostegno alla causa ambientalista. Per esempio i Coldplay hanno deciso di interrompere tutti i concerti dal vivo finchè non si potesse trovare una soluzione per suonare ad impatto 0. Altri cantanti come Michael Stipe, ex R.E.M, ha diffuso in rete una nuova canzone “Drive To The Ocean” i cui proventi andranno all’associazione “Pathway To Paris”, associazione che riunisce diversi artisti che si battono per diffondere l’accordo sulla riduzione delle emissioni di CO2 deciso a Parigi. Non è possibile citare tutte le iniziative per l’ambiente che i musicisti stanno sostenendo oggi, ed è per questa impossibilità data dai numeri che fa capire il movimento musicale è sempre in prima linea a fianco delle cause che stanno a cuore alla gente.Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'I pannelli solari a doppia faccia aumentano la qualità del pannello ma richiedono più vetrodi Marco ArezioChe le energie rinnovabili siano entrate nella nostra vita e nelle nostre aspettative future è una certezza ormai assodata e, che per questo, le aziende e la comunità scientifica si stanno impegnando a trovare dei prodotti sempre più performanti che migliorino, non solo l’efficienza tecnica, ma riducano anche il costo dell’energia prodotta, è un auspicio importante. In quest’ottica il fotovoltaico ha fatto, in pochi anni, passi enormi, creando pannelli solari a doppia facciata che permettono una migliore resa, non soltanto attraverso la luce diretta, ma riuscendo a intercettare anche la luce riflessa dalle superfici circostanti il pannello. Questo miglioramento tecnologico richiede però più vetro, creando un incremento della domanda di materia prima che ha fatto schizzare verso l’alto il prezzo. Il problema non è solo di carattere economico, ma riguarda anche la futura disponibilità di vetro da lavorare nei prossimi anni, risorsa che, se non si dovesse trovare in relazione alla domanda del marcato, metterebbe in difficoltà il settore. Se analizziamo il problema dal punto di vista economico, quindi un aumento dei costi delle materia prime che compongono un pannello solare a doppia facciata, dobbiamo considerare che la quota di mercato attuale di questo tipo di pannello è di circa il 14% di quelli venduti, prevedendo un aumento fino al 50% entro il 2022. Quindi un incremento del prezzo della materia prima che investirà, probabilmente il 50% del mercato, potrebbe portare un aumento di costo del pannello che, nell’economia generale dell’impianto, rischia di assottigliare in modo eccessivo i margini di profitto della filiera senza gli interventi di sostegno statale. Di conseguenza, se i progetti del solare dovessero essere considerati non più remunerativi, probabilmente gli investitori rinuncerebbero a finanziarli con la conseguenza di ridurre la crescita del settore. Per quanto riguarda l’incremento della domanda di vetro vi sono aree del pianeta in cui la raccolta differenziata non funziona o non si applica, la cui conseguenza è che il vetro non viene avviato al riciclo e quindi si perde una risorsa importante. In altre aree della terra la raccolta differenziata non riesce a coprire la domanda crescente di vetro da riciclare da parte delle industrie produttive, con la conseguenza di far aumentare i prezzi e di ridurre la produttività industriale. La Cina è il più grande produttore mondiale di pannelli solari e sta vivendo la difficoltà del reperimento della materia prima e del contenimento dei costi di produzione, problema così importante che i più grandi produttori di pannelli solari, come la LONGi Solar, hanno chiesto al governo Cinese di interessarsi del problema. Considerando che la Cina, avendo dichiarato di voler raggiungere nel 2060 la parità carbonica, è impegnata nell’aumento della produzione di energie da fonti rinnovabili, di cui il solare è un pilastro insostituibile, aumentando questo tipo di produzione dai 210 GW attuali a circa 2200 GW entro il 2060, progetto che può proseguire anche attraverso la risoluzione del problema della mancanza di vetro sul mercato.Categoria: notizie - vetro - economia circolare - rifiuti - fotovoltaico Vedi maggiori informazioni
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