Molte medie e grandi aziende si stanno impegnando per ridurre la loro impronta carbonica nella produzione o distribuzione dei beni o servizi, con un occhio attento all’ecologia e un altro alla soddisfazione dei clienti che premiano, attraverso gli acquisti, le aziende più meritevoli del rispetto ambientale e quindi più sostenibili.Molte di esse si sono dotate di un protocollo con degli obbiettivi da raggiungere e comunicano apertamente il loro risultati, come accade in molte aziende francesi. Secondo l'Associazione francese delle imprese private Afep, gli impegni presi da 38 grandi aziende per ridurre la loro impronta ecologica sono stati rispettati dell'83%. Impegni presi dal 2017 che riguardano in particolare il riciclo e il recupero dei rifiuti, l'eco-design dei prodotti, la riduzione del consumo di risorse, la riduzione degli imballaggi e anche l'allungamento della vita dei prodotti. Secondo questa associazione, che riunisce 111 gruppi globali, il 79% delle azioni avviate tra il 2017 e il 2019 "sono in corso di lavorazione" con il 13% è in anticipo e l'8% in ritardo. Quasi un quarto dei progetti avviati in questo periodo sono stati completati (23%), il 96% dei quali ha raggiunto gli obiettivi fissati. La società chimica Arkema ha "portato a termine" le sue azioni e "raggiunto" i suoi obiettivi di promozione dell'economia e riduzione delle risorse consumate, mentre l'organizzazione di una filiera del riciclo dei polimeri, che fa oggetto di finanziamenti europei, "sta seguendo il ritmo previsto". Il distributore Carrefour è stato ritardato nel suo obiettivo di eliminare i sacchetti di cassa monouso gratuiti nel 2020 a causa del Brasile, dove, nella maggior parte degli stati, questi sacchetti di plastica sono "un diritto per i consumatori". Accor, che si era impegnata a recuperare il 65% dei rifiuti di esercizio alberghiero del gruppo alla fine del 2020, ma dichiara che ne ha recuperato solo il 56% a novembre e riconosce un tasso di progresso "al di sotto della tabella di marcia impostata". Sul fronte dello spreco alimentare, il gruppo alberghiero ha puntato ad una riduzione del 30% e ha ottenuto una riduzione media solo del 21%, per i 485 alberghi su 1.870 del marchio che “seguono con precisione i volumi” sprecati. H. Saporta
SCOPRI DI PIU'Lo scoprì inconsapevolmente lavorando l’olio olandese riscaldatodi Marco ArezioHenri Victor Regnault viene difficilmente associato alla scoperta del PVC la quale è stata attribuita nel 1872 al chimico tedesco Eugen Baumann riprendendo i suoi esperimenti. Lo scienziato francese nacque nacque il 21 luglio 1810 ad Aix-la-Chapelle, in Francia ed in tenera età perse entrambi i genitori. Lui e la sorella furono affidati ad una copia, amica dei genitori, che se ne prese cura e ne seguì le sorti scolastiche. Dopo gli studi universitari in chimica, Regnault decide di viaggiare in l’Europa per compiere studi ed esperimenti nei siti minerari della Svizzera, Germania e in Belgio tra gli anni 1834 e 1835. L’11 Dicembre del 1840 fu nominato dall’Accademia delle scienze Francesi professore di chimica, incarico che ricoprì per circa 30 anni. Lo scienziato si dedicò allo studio delle sostanze e delle loro miscele, creando in trent’anni una approfondita raccolta di dati relativi alle proprietà dei composti, come densità e compressibilità di gas e liquidi, capacità di calore e coefficienti di dilatazione di gas, pressioni di vapore e velocità del suono. Questi studi lo portano ad essere considerato come probabilmente il più grande sperimentatore del diciannovesimo secolo. Una tra le tante ricerche fatte, una in particolare riguardava lo studio di un liquido oleoso formato dalla clorazione dell’etilene (chiamato allora gas olefiante), che divenne famoso sotto il nome di liquore olandese. Questo composto venne per la prima volta scoperto dai chimici olandesi Johann Rudolph Deiman, Adrien Paets van Troostwijk, Nicolas Bondt e Anthoni Lauwerenburgh sulla quale in seguito ci lavorarono molti chimici del tempo. Regnault tentò di decomporre l’olio olandese riscaldandolo con una soluzione alcolica di idrossido di potassio, ottenendo il monomero di cloruro di vinile. Lo scienziato non aveva ancora ben chiaro dove i suoi studi lo stessero portando, quando annotava la realizzazione di una polvere bianca, che sarebbe stata successivamente identificata come polivinilcloruro (PVC), avendo lasciato il nuovo composto accidentalmente esposto alla luce solare. Nonostante la scoperta scientifica non fu attribuita allo scienziato Francese non vi è dubbio che questa posò le basi per le future ricerche e perfezione delle ricette del PVC.Categoria: notizie - tecnica - plastica - PVC - storia foto: Pollution chimique
SCOPRI DI PIU'Invecchiamento e Degrado dei Polimeri Riciclatidi Marco ArezioSi parla spesso di degrado dei polimeri riciclati dovuti a fattori che riguardano le fasi di trasformazione e riciclo delle materie prime, con conseguenze negative sul prodotto finale.Meno si parla dei fenomeni di invecchiamento dei polimeri che riguardano quelli amorfi e la parte amorfa dei semicristallini, al di sotto della temperatura di transizione vetrosa. Mentre per l’invecchiamento le condizioni di temperatura possono incidere o recuperare uno stato ideale del polimero, il degrado è, di per sé, una questione più complessa perché riguarda, non solo i componenti della ricetta dei polimeri riciclati, ma anche i processi di impiego dei polimeri stessi. Non potendo analizzare i comportamenti di invecchiamento e degrado di tutte le composizioni delle plastiche riciclate, specialmente per quanto riguarda quelle che provengono dal post consumo, ci limitiamo a illustrare le cause principali che possono determinare i fattori sopra descritti. La Temperatura Se prendiamo la temperatura convenzionale a 20° possiamo dire che le variazioni, positive o negative della stessa, generano nel polimero modifiche significative sulle caratteristiche meccaniche e sui loro comportamenti, che da duttili possono trasformarsi in fragili. In particolare il degrado termico può essere chimico, con la determinazione delle rotture dei legami delle catene, o fisico, con variazioni comportamentali rispetto allo status in corrispondenza della temperatura di transizione vetrosa. Mentre il degrado fisico è sempre reversibile, per quello chimico si parla sempre di irreversibilità del fenomeno. Il degrado termico può essere espresso visivamente con l’ingiallimento del prodotto o nella perdita parziale del colore. Il Fuoco La maggior parte delle materie plastiche sono combustibili e quando vengono in contatto con alte temperature possono bruciare e sviluppare gas nocivi. Quando si realizzano i prodotti si deve tenere in considerazione il comportamento al fuoco che, oltre ad influire sulla stabilità del manufatto, può creare pericolosi fenomeni di tossicità. In alcuni materiali però la combustione è ritardata o addirittura inibita grazie alla presenza in essi di quantità significative di cloro (come nel PC) o di fluoro (come nel PTFE o ETFE). Rapido Raffreddamento Come abbiamo visto precedentemente un cambio repentino di temperatura può creare un invecchiamento nei polimeri. Per esempio, un raffreddamento troppo veloce in fase di produzione del manufatto, può creare nelle molecole una fase di disequilibrio rispetto allo stato neutro di partenza. Tuttavia, con il tempo, le macromolecole tendono a portarsi verso una condizione di equilibrio provocando però una leggera diminuzione di volume, l’aumento di rigidità e l’addensamento del materiale. I Solventi I polimeri come il PE, il PVC, il PTFE o l’ETFE, non si corrodono per via elettrochimica come i metalli, offrendo normalmente una buona resistenza agli acidi su base inorganica, ma possono reagire con solventi organici (ad esempio l’acetone) e talvolta con l’acqua (ad esempio il nylon). In questa situazione possiamo trovare come effetti negativi la rottura dei legami intermolecolari, la diminuzione del modulo elastico e il rigonfiamento dei materiali. Ossidazione La riduzione delle proprietà meccaniche può essere determinata anche dall’ossidazione: i radicali liberi provenienti dalla rottura di legami chimici delle catene fissano l’ossigeno. Particolarmente sensibile a questo tipo di degrado è il polipropilene. I raggi Ultravioletti L’azione dei raggi ultravioletti risulta dannosa nel lungo periodo, perché non solo deteriora l’aspetto del materiale decolorandolo o imbrunendolo, ma riduce anche le sue proprietà meccaniche. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - invecchiamento - degrado
SCOPRI DI PIU'Le scoperte nel campo chimico avviarono produzioni industriali in molti campi e con esse la necessità di riutilizzare i rifiutidi Marco ArezioLa rivoluzione chimica, che a partire dal 1700 interesserò le nazioni europee più progredite, pose in evidenza i primi problemi ambientali creati dagli scarti delle produzioni chimiche. Iniziò in quel periodo, insieme alle nuove scoperte, la ricerca di riutilizzo dei rifiuti prodotti dall’uomo. Il primo processo chimico industriale, in senso moderno, è stato quello inventato nel 1791, dal chimico francese Nicolas Leblanc (1742-1806), per la produzione del carbonato sodico in due passaggi. Leblanc ebbe, tuttavia, una vita lavorativa travagliata in quanto le sue ricerche furono finanziate inizialmente dal Duca di Orleans Filippo Egalité, con la speranza di poter vincere il premio messo in palio dall’Accademia delle Scienze Francesi per poter iniziare quindi una produzione industriale. Tuttavia nel 1793 il Duca venne giustiziato e i brevetti di Leblanc non furono riconosciuti validi, ricevendo anche la confisca dello stabilimento di produzione e il rifiuto del premio sperato. Nonostante Napoleone nel 1802 gli restituì la fabbrica, senza premio in denaro, Leblanc non ebbe le forze economiche per ripartire e nel 1806 di suicidò. La prima fase del processo di produzione del metodo Leblanc consisteva nel trattare il cloruro di sodio con acido solforico, il quale si formava in solfato di sodio, creando un rifiuto sotto forma di acido cloridrico gassoso, che per molto tempo fu rilasciato in atmosfera con gravi problemi verso le popolazioni che abitavano nelle vicinanze delle fabbriche e con la distruzione della vegetazione circostante. Il secondo passaggio consisteva nello scaldare il solfato di sodio con carbone e carbonato di calcio, miscela con la quale si otteneva il carbonato di sodio e il solfuro di calcio, poco solubile in acqua, che rappresentava il rifiuto solido del processo e veniva scartato costituendo mucchi all’aria aperta. Durante l’esposizione alle piogge, si liberava idrogeno solforato, gas nocivo e puzzolente. Gli abitanti iniziarono forme di protesta degne di nota contro l’inquinamento atmosferico, creando di fatto le prime contestazione ecologiche, che spinsero gli industriali della soda a cercare delle soluzioni al problema. In quell’occasione l’industria chimica scoprì che dai rifiuti era possibile recuperare qualcosa di utile e vendibile, infatti dall’acido cloridrico era possibile ottenere cloro, una merce che si capì che aveva un suo mercato finale e dal solfuro di calcio era possibile recuperare zolfo, che sarebbe stato vendibile alle fabbriche di acido solforico. Nel XIX° secolo, periodo in cui iniziò a fiorire l’industria pesante dell’acciaio, l’inventore francese Pierre Émile Martin (1824-1915) nel 1865 mise a punto un forno che poteva decarburare la ghisa su larga scala e poteva essere caricato con ghisa fusa ma anche con i rottami di ferro. Nel corso dell’Ottocento infatti, tali rottami si stavano accumulando a seguito della sostituzione dei vecchi macchinari con quelli nuovi, cosi questi rifiuti diventarono materie prime seconde, come le chiamiamo oggi. Il XX° secolo ha visto il progresso industriale crescere in modo continuo e vorticoso, passando da due guerre mondiali, una grande crisi economica-industriale, la conquista dello spazio, le nuove tecnologie, il benessere diffuso, la guerra fredda con la corsa alla creazione degli arsenali atomici, lo spostamento per lavoro e per turismo di grandi masse di persone attraverso l’industria aeronautica, lo sviluppo dei satelliti e le tecnologie legate alla comunicazione hanno alimentato un nuovo mercato di apparecchi, spinti anche dalla nuova intelligenza artificiale che ci fa comunicare attraverso i computers. Tutto questo progresso ha creato un numero crescente di rifiuti che nel passato erano abbandonati in modo superficiale nelle discariche, sulle quali venivano create graziose collinette cosparse di alberi, ma nel sottosuolo non ci si preoccupava di sapere se i rifiuti interrati continuassero a rilasciare i loro veleni. Si capì, più tardi, che molti rifiuti pericolosi continuavano a vivere e ad interagire negativamente con l’ambiente, per cui si iniziò a creare delle linee guide su come isolare le discariche da eventuali perdite di liquami tossici. Qualsiasi sforzo fatto per “nascondere” i rifiuti sembrava vano visto la continua crescita di merce dello scarto e, quindi, si iniziò a parlare di riciclo e termodistruzione. Se la strada di bruciare i rifiuti sembrava fosse comoda e “purificatrice”, ci si accorse ben presto che l’inquinamento espresso da un rifiuto solido pericoloso non sublimava con il fuoco, ma veniva solamente trasformato da solido in fumi, andando ad inquinare l’aria e, a cascata con le piogge, i terreni. Si dovette arrivare alle nuove generazioni di termovalorizzatori per risolvere questo problema ambientale e creando nello stesso modo energia elettrica rinnovabile. Il riciclo meccanico fu allora il solo mezzo per recuperare e riutilizzare i rifiuti che si accumulavano, ma ci volle molto tempo perché i governi e la popolazione capissero che si doveva iniziare con la raccolta differenziata e che l’industria aveva bisogno di normative precise per produrre arrecando i danni minori possibili all’ecosistema. Il futuro del riciclo si raggiungerà con l’integrazione tra processi meccanici, chimici, coadiuvati dalle energie rinnovabili.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - storiaImmagine: Vernet, Claude Joseph – Seaport by Moonlight – 1771
SCOPRI DI PIU'Adani Green Energy Limited (AGEL) è una delle più grandi società che sviluppa, costruisce, possiede, gestisce e mantiene progetti per l’energia solare ed eolica in India, con un portafoglio progetti attuale di 13.990 MW. Angel è presente in 11 stati indiani attraverso i parchi eolici e/o solari e ha nel portafoglio 54 progetti operativi e 12 siti in costruzione, aiutando così l’India nel suo cammino verso le energie rinnovabili. Nell’ottica di una crescente politica Indiana rivolta alla decarbonizzazione, Angel ha stretto un accorgo strategico con Total, la quale ha rilevato il 20% di Angel, dopo la proficua collaborazione negli anni scorsi nell’area dei servizi di distribuzione del gas in India. Infatti nel 2018 Total aveva investito in Adani Gas che si occupava della gestione della distribuzione del gas nelle città. Total e Adani hanno concordato un investimento di 2,5 miliardi di dollari inerente ad asset solari già operativi pari a 2,35 GWac di proprietà di Angel e il diritto, da parte di Total, ad un posto nel consiglio di amministrazione della società. Angel, nel 2015, ha avviato il parco solare più grande del mondo, situato a Kamuthi, che produce 648 MW di energia e, ad oggi, detiene una produzione di circa 3 GW da energie rinnovabili, con altri 3 GW in costruzione e 8,6 GW in fase di sviluppo. L’obbiettivo dell’azienda è arrivare entro il 2025 con una produzione di 25 GW di energie rinnovabili. Per Total, l’accordo con Angel permetterà di raggiungere entro il 2025 la produzione lorda di 35 GWp con l’obbiettivo di incrementare tale capacità fi 10 GW all’anno. Vedi maggiori informazioni
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