La scelta di chi presidierà una zona commerciale dipende da molti fattori interni ed esterni l’aziendadi Marco ArezioCreare una presenza commerciale in una zona, o migliorare quella esistente, che possa seguire una serie di clienti o da una determinata un’area geografica, più o meno ampia, comporta affidarsi, in alcuni casi, a venditori o distributori che possano presentare, vendere e gestire localmente la vendita e il post vendita. Prendiamo in considerazione, tra i molti esempi che potremmo citare, un’azienda che produce beni rappresentati da materie prime o prodotti finiti, come per il settore dell’edilizia, dell’idraulica, del giardinaggio ecc.. Un’area nuova deve essere preventivamente analizzata nel complesso, cioè capire la presenza e l’incidenza della concorrenza, i prodotti che vengono maggiormente richiesti, la dimensione dei clienti, il possibile fatturato, il taglio economico degli acquisti medi, le problematiche e i costi per la logistica, i canali distributivi e la solvibilità media della zona. Una prima macro selezione la possiamo fare sapendo se il nostro prodotto, che necessita di un trasporto dalla nostra sede al cliente finale, può essere venduto direttamente e nei tempi che si aspetta il cliente ad un prezzo favorevole per entrambi. Se vendiamo prodotti che non necessitano di un magazzino locale, in quanto il valore e la quantità di merce trasportata giustifica il costo del viaggio, possiamo pensare ad una vendita azienda – cliente finale. Se, viceversa, le quantità, l’assortimento alto o la tempistica di approvvigionamento collide con i costi e le tempistiche di consegne dirette, potrebbe essere necessario aprire depositi locali per la distribuzione. Queste due ipotesi possono già dar un’indicazione se, localmente, può essere necessario un agente di vendita o se si deve optare per un distributore che possa acquistare e rivendere, nelle quantità e nei tempi che il cliente finale chiede. La scelta di avere un distributore locale comporta una certa perdita di marginalità sui prodotti, in quanto bisogna assicurare all’azienda che fa il servizio, un guadagno sulle operazioni di logistica e di vendita. In caso non ci fossero queste marginalità, si può optare per l’apertura di un magazzino decentrato presso un corriere o un trasportatore, che terrà a deposito le nostre merci e ci assicurerà le consegne locali a prezzi inferiori rispetto all’attività di un distributore. Un altro aspetto da considerare è l’importanza della presenza del marchio dell’azienda produttrice nell’area di riferimento, in quanto attraverso l’azione di vendita di un agente, libero professionista o dipendente, l’interlocuzione tra cliente finale e produttore è sempre diretta, nel caso ci si appoggiasse ad un distributore la presenza del marchio e dei contatti diretti verrebbero meno. C’è poi da considerare, in linea generale, la differenza di gestione del parco clienti tra una vendita diretta tramite un agente o tramite un distributore. Il fatturato che risulta nell’area di competenza del distributore, è la somma di attività di più clienti, senza distinzioni tra uno o l’altro, senza informazioni sul grado di fiducia del cliente, sulle sue potenzialità e sulle sue necessità. Diciamo che questo approccio alla vendita potrebbe essere un modo più semplice per l’azienda produttrice, perché può evitare un maggior lavoro di gestione commerciale dei singoli clienti, con le problematiche che ne possono scaturire se moltiplichiamo l’impegno per un certo numero di aree in cui opera l’azienda. Dall’altro lato, il non avere un contatto diretto con il cliente può essere un deficit nell’imposizione del proprio marchio, per avere informazioni di come si muove la concorrenza, di quali politiche di prezzo applicano, delle campagne di incentivazione che vengono proposte, e molte altre cose. Dal punto di vista prettamente finanziario, invece, esiste un rischio che riguarda l’esposizione sulle vendite, infatti, considerando una dilazione tra acquisto e pagamento delle merci, il distributore lavora con esposizioni finanziarie più alte rispetto al singolo cliente, quindi con un maggior rischio per il produttore, e quando dovessero esserci dei problemi legati agli incassi, diventerebbe difficile non continuare a fornirlo, in quanto i clienti del distributore potrebbero essere ignari dei motivi per cui il produttore potrebbe fermare le forniture. In questo caso si creerebbe un danno diretto al produttore in quanto, non essendo in contatto diretto con il cliente, potrebbe rischiare di perderlo, o peggio, il distributore potrebbe continuare a servire i clienti finali attraverso un altro produttore. La scelta se affidare un’area a un agente diretto o ad un distributore passa quindi dall’analisi delle problematiche logistiche, commerciali, finanziarie e di marketing, riuscendo a prendere una decisione soppesando i pro e i contro delle strade che si prospettano. Infatti, ci sono prodotti che non possono essere venduti senza un distributore locale, altri che permettono maggiore flessione lasciando aperte varie ipotesi, scegliendo la migliore per quell’area, e, infine, merci che possono essere vendute direttamente senza necessità del distributore locale. Non è una scelta sbagliata farsi anche un’idea del sistema di vendita che applica in zona la concorrenza, la quale probabilmente, partita prima a vendere in zona, può avere, a parità di prodotti, già analizzato le problematiche. Infine c’è un aspetto prettamente tecnico, in quanto se il prodotto per la sua collocazione ha bisogno di un supporto tecnico sostanziale, la presenza di un agente diretto che può aiutare i clienti in situazioni di difficoltà a risolvere i problemi, può anche essere una discriminante.
SCOPRI DI PIU'C’è chi spinge l’opinione pubblica e i governi in questa crociatadi Marco ArezioCi sono manovratori, adepti, teorici, finanzieri, governi assetati di tasse, tuttologi, odiatori, cannibali della rete, finti ambientalisti, uomini addetti al greenwashing, maleducati sociali, opportunisti e ignoranti. Tutti insieme pensano che speculare sulla plastica sia una giusta crociata. Nel 1095 Papa Urbano II, durante il concilio di Clermont, tenne un esplicito discorso in cui incoraggiava i fedeli ad unirsi militarmente all’Imperatore Alessio I che si stava battendo contro i Turchi in Anatolia. L’intento ufficiale del Papa era garantire il libero accesso dei fedeli Cristiani alla Terrasanta, ma gli studiosi attribuiscono a Urbano II un più ampio e segreto disegno, quello di poter annettere la chiesa orientale con quella occidentale, dopo lo il grande scisma del 1054, sotto il suo dominio. Mai niente di grande è come lo si vede dall’esterno, chi si nasconde dietro alla crociata contro la plastica? Il mondo della plastica sta subendo da alcuni anni attacchi di una grande durezza, attribuendo all’elemento stesso, sotto forma di materia prima o prodotto finito, la bolla di untore ambientale. Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio, dichiarando apertamente che l’invenzione della plastica è da annoverare tra le più grandi scoperte del secolo scorso, con un contributo quotidiano così tangibile, ad un osservatore attento, ma che può anche facilmente sfuggire alla gente comune in quanto fa parte della nostra vita come l’aria che respiriamo. Quale partita stiano giocando i sobillatori della teoria della “plastic free” e a quale scopo, nessuno dotato di ragione riesce a capirlo e nemmeno si può intuire come sia stato facile, attraverso i media, ingigantire un odio verso un prodotto indispensabile per la nostra vita. Non ci sono gli spazi in questo articolo per elencare i vantaggi dell’uso della plastica nella produzione di milioni di prodotti che usiamo ogni giorno, in termini di costo, di funzionalità, di risparmio di CO2 in fase di produzione e di trasporto dei prodotti finiti, in termini igienici, isolanti, protettivi, riciclabili, impermeabili, durevoli e molte altre cose. Ci vorrebbe un intero libro per fare questo, ma mi vorrei soffermare sul motivo, visibile ai nostri occhi, per il quale si è scatenato il mondo intero contro il settore della plastica e vorrei introdurmi nei labirinti dei motivi che non vediamo, che stanno sotto traccia. Ciò che vediamo è la dispersione dei rifiuti in plastica (non solo quelli) nei fiumi, nei mari e negli oceani, che stanno creando uno scempio ambientale e una minaccia per i pesci e per l’uomo tramite la catena alimentare. Un problema vero, del quale, ogni persona che pensa razionalmente alla propria sopravvivenza, dovrebbe, non solo indignarsene, ma farsi carico e agire per modificare questo stato assurdo delle cose, secondo le leggi. Ma su questo argomento non mi soffermerei tanto, nonostante sia l’unico motore delle proteste popolari che vengono strumentalizzate, perché una persona di un’intelligenza normale capisce che nei fiumi, nei mari e negli oceani, la plastica non ci va da sola e, quindi, è ridicolo prendersela con lei come causa del problema, dimenticandosi facilmente della responsabilità umana. La cosa che mi interessa di più è capire quali motivazioni recondite ci possano essere dietro questo odio sviscerato per la filiera della plastica. Vediamo alcuni comportamenti di soggetti attivi in queste campagne su cui ognuno può riflettere per conto proprio: I Media. Fenomenale strumento di diffusione di informazioni (e di fake news), dove spesso non conta analizzare in modo tecnico e scientifico il problema dell’inquinamento, ma fare notizia fine a se stessa, aumentare i likes. Scrivere su un post “plasticfree”, corredandolo con una foto che rappresenta le bottiglie di acqua che galleggiano nel mare o un pesce intrappolato in un pezzo di plastica, si ottiene solo di moltiplicare in modo esponenziale la disinformazione senza proporre nulla per risolverlo, se non attraverso una visione utopica di rinuncia alla plastica. Chi semina questo odio, indiscriminato, dovrebbe avere la coscienza pulita e iniziare una vita rinunciando alla plastica, cominciando da casa sua e dalle sue abitudini. Inoltre ci sono emittenti televisive di primo piano che creano spot di grande impatto, utilizzando immagini forti, raccogliendo fondi, non si sa bene per quali finalità, portando avanti la propria crociata. Tutto questo ha il sapore del greenwashing. Pechè? I Divulgatori. Siamo tutti diventati scienziati, ogni spazio comunicativo è presidiato da sedicenti esperti che saltano da una trasmissione all’altra, da un giornale all’altro, da un libro all’altro, da un social all’altro, parlando, parlando, parlando. Di cosa? Di quello che vedono tutti e quasi mai inserendo il problema in una cornice più ampia, per capire se esistono opinioni diverse, per sentire le loro proposte migliorative o mettendosi a disposizione per un confronto diretto con scienziati e tecnici preparati. Cosa vogliono ottenere? Non ha il sapore di una strumentalizzazione a fini pubblicitari? Stare alla finestra e guadagnare sui dolori degli altri? I Governi. Sono responsabili della nostra salute e dell’ambiente in cui viviamo e troppe volte, quasi sempre, si sono attivati, nei loro compiti istituzionali, dopo che sono stati sollecitati dall’opinione pubblica. Certamente la gente ha ragione a preoccuparsi nel vedere i mari riempirsi di plastica o avere il dubbio che il pesce che finisce sulle loro tavole sia pieno di micro e nano plastiche. Ma sono gli enti governativi che si devono attivare per creare un impianto normativo adeguato per gestire la problematica dei rifiuti, porgendo un orecchio alla gente e l’altro agli scienziati. Troppi ritardi, pochi investimenti e poca competenza governano questo mondo, che dovrebbe normare e soprattutto far rispettare le leggi, per tutti. Perché tassare in modo esagerato i settori vitali della nostra economia invece che premiare, dal punto di vista fiscale, il riciclo e la produzione di materiali che hanno un impatto ambientale minore rispetto ad altri? Quali sono i veri obbiettivi politico-finanziari? Se in molti paesi esiste una sanità pubblica, che cura le nostre malattie, perché non deve esistere una economia circolare pubblica, sulla quale nessun governo dovrebbe fare business, ma investire per tutelare, indirettamente, la nostra salute e la nostra vita? L’Istruzione. Senza conoscenza non si ha la capacità di fare delle corrette analisi autonome dei problemi che ci circondano. Perché le scuole non investono nella formazione degli studenti in campo ambientale, nella conoscenza dell’economia circolare e delle energie alternative, in modo da creare una coscienza che possa salvaguardare del loro futuro? Perchè i giovani partecipano alla vita sociale attraverso le manifestazioni sull’ambiente condividendo slogan senza avere una conoscenza più approfondita dei problemi? Che ruolo vogliono dare i governi all’istruzione? La cultura è solo nozionismo o una spinta per accompagnare i ragazzi nel mondo complicato che li aspetta, dotandogli di una ragione critica? Le Aziende del Packaging. Chi tira le file del mondo del packaging in plastica sono le multinazionali delle bibite, dei detersivi e dei prodotti per la cura della persona. Hanno sempre utilizzato milioni di tonnellate di materia prima vergine, per decenni, per produrre i loro imballi, sapendo che la plastica è durevole, nel bene e nel male. Hanno pensato sempre al loro business senza capire che i loro prodotti venivano smaltiti in modo scorretto e hanno lasciato che l’opinione pubblica si rivoltasse contro i loro imballi. Perché non hanno interpretato il malessere della gente molti anni fa e, oggi, si spendono in campagne green confondendo i consumatori, facendo a gara a chi è più amico dell’ambiente? Non ha, anche qui, un sapore di greenwhasing? I Petrolieri. Come per le multinazionali del packaging, la produzione dei polimeri plastici vergini andava a gonfie vele, mentre il mondo si riempiva di rifiuti plastici. Perché sono stati così miopi da non vedere che stavano rappresentando un prodotto che sarebbe entrato in conflitto con l’utilizzatore finale? Perché hanno trovato la soluzione più sbrigativa di acquisire i produttori e riciclatori di materia plastica riciclata per dare un nuovo aspetto ecologico al loro business? Perché non hanno sostenuto l’industria della plastica, i loro clienti, attraverso iniziative concrete che evitassero, insieme ai governi, il tracollo ecologico dei nostri mari con la concreta possibilità di mettere a rischio il loro business? Il mondo non può rinunciare alla filiera della plastica nonostante si siano fatti molti errori e molte speculazioni, di cui conosciamo solo alcuni risvolti, ma molto si può fare per migliorare le cose. Non possiamo più permetterci, che una risorsa così preziosa per il nostro pianeta sotto forma di rifiuto, sia dispersa nell’ambiente da incoscienti e ignoranti che, con le loro azioni mettono, in pericolo l’ecositema e la vita di tutti.Vedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Molti fattori stanno alla base di questo trend rialzista: l’elettrificazione, il coronavirus e i nuovi mercatidi Marco ArezioSembra incredibile poter immaginare, in un mondo che sta annegando nei rifiuti plastici, che ci siano società industriali che spingono ancora oggi sull’aumento della produzione di plastica vergine. Eppure, secondo i dati forniti da Wood Mackenzie, nei prossimi 5 anni, nel mondo, si realizzeranno 176 nuovi impianti petrolchimici, di cui 80% sarà in Asia. Inoltre, se vediamo cosa succede negli Stati Uniti, dal 2010 ad oggi sono stati investiti 200 miliardi di dollari in progetti legati alla plastica vergine e ai prodotti chimici derivati secondo i dati dell’ACC. Nel frattempo i rifiuti mondiali aumentano, spinti anche dal ritorno alle produzioni di oggetti in plastica monouso per l’ambito ospedaliero, come le mascherine, le visiere i camici e tutti gli accessori, usa e getta, che si usano in ambito medico. Ma, se da una parte questi rifiuti non sono riciclabili per questioni igieniche, dall’altra parte ci troviamo di fronte ad una grave crisi nel campo del riciclo in quanto in molte aree del mondo i riciclatori hanno visto una riduzione sostanziale della domanda di polimeri riciclati a causa dell’impossibilità di competere con i prezzi dei polimeri vergini. Questo crea due fattori destabilizzanti:• L’aumento dei rifiuti riciclabili che non vengono riutilizzati • La crisi del comparto del riciclo delle materie plastiche Ma quale è il motivo che spinge i petrolchimici ad aumentare la produzione di plastica vergine? Le previsioni mondiali di consumo di carburanti fossili per l’autotrazione è vista dagli esperti del settore in forte calo, con previsioni di pesanti ribassi percentuali fino al 2050, cosa che ha già messo in allarme il comparto petrolchimico. Inoltre queste temono le preoccupazioni ambientali della popolazione mondiale che ha spinto molti governi al divieto di utilizzo di alcuni prodotti monouso, come i sacchetti di plastica, che sta comportando, secondo alcuni studi, una riduzione di domanda petrolifera di 2 milioni di barili al giorno. In questo scenario di forte riduzione del mercato, le compagnie petrolifere hanno adottato strategie che permettessero loro di ridurre le perdite in termini quantitativi, cercare nuovi mercati e assecondare la popolazione con un’immagine più verde delle loro aziende. Queste strategie le possiamo riassumere: • Acquisizione del mercato dei polimeri riciclati attraverso la guerra sul prezzo delle materie prime • Sostegno alle campagne di utilizzo della plastica come materia prima che possa rendere più igienica la nostra vita • Capillarizzazione della produzione e distribuzione delle materie prime vergini in aree in via di sviluppo, abituando la popolazione all’uso dei prodotti plastici per praticità ed economia • Creazione di un’immagine più green attraverso la costante informazione del mercato circa le donazioni economiche fatte al consorzio tra le aziende chiamato “Alliance to End of Plasitc Waste”. In realtà la guerra, mai dichiarata, tra i petrolchimici e il mondo del riciclo, con quest’ultimo ormai in ginocchio, ha portato grandi nomi come la Coca Cola, a dichiarare, come riportato da Reuters, che non riuscirà a rispettare l’impegno di produrre le bottiglie con il 50% di plastica riciclata entro il 2020 nel Regno Unito, per svariate ragioni, una di queste è l’impossibilità di reperire sul mercato una quota sempre maggiore di rifiuto plastico riciclato. Se i petrolchimici stanno facendo la corsa ad incrementare le produzioni mondiali di plastica, vorrei ricordare che dal 1950 abbiamo prodotto e utilizzato circa 6,3 miliardi di tonnellate di plastica e che il 91% di questi quantitativi, ormai rifiuti, non è mai stato riciclato e giace nell’ambiente, inquinando le nostre vita, secondo uno studio pubblicato su Science del 2017. Questo non ci fa riflettere?Categoria: notizie - plastica - economia circolare Vedi maggiori informazioni sull'argomento
SCOPRI DI PIU'Un viaggio nella circolarità tessile dove la seta è da sempre regina di Marco ArezioIl mondo del tessile si immerge sempre più nella circolarità, cercando soluzioni sostenibili per ridurre l'impatto ambientale dell'industria della moda. Tra le molte fibre naturali, la seta si distingue per la sua bellezza e la sua versatilità, tuttavia, anche questo tessuto lussuoso può essere parte integrante dell'economia circolare. In questo articolo, esploreremo il processo di riciclo della seta, dall'inizio alla fine, per comprendere come questa antica fibra possa trovare nuova vita attraverso pratiche sostenibili. Il Ciclo di Vita della Seta La seta ha una storia ricca e affascinante, che inizia con il baco da seta e continua attraverso la filatura, la tessitura e la produzione di capi pregiati. Tuttavia, quando i tessuti di seta raggiungono la fine della loro vita utile, invece di essere considerati rifiuti, possono essere trasformati in risorse preziose attraverso il riciclo. Il Processo di Riciclo della SetaIl processo industriale di riciclo della seta coinvolge diversi passaggi chiave per trasformare i tessuti di seta usati in fibre riutilizzabili. Vediamo una panoramica dei principali passaggi industriali: Raccolta e Selezione dei Tessuti Usati: Il primo passo consiste nella raccolta dei tessuti di seta usati da varie fonti, come abiti vecchi, scarti di produzione e tessuti d'arredamento. Questi tessuti vengono quindi selezionati e classificati in base alla qualità, al colore e alla composizione. Pulizia e Pretrattamento: I tessuti raccolti possono contenere sporco, macchie o altri contaminanti che devono essere rimossi prima del processo di riciclo. Pertanto vengono sottoposti a un processo di pulizia e pretrattamento per eliminare qualsiasi residuo indesiderato. Destrutturazione dei Tessuti: Dopo la pulizia, i tessuti vengono destrutturati per separare le fibre di seta dalle altre componenti del tessuto, come il cotone o il poliestere. Questo processo può avvenire meccanicamente, utilizzando macchinari appositi che rompono e separano il tessuto in fibre più piccole, oppure chimicamente, mediante l'uso di solventi o altre sostanze chimiche per dissolvere o disgregare le componenti non desiderate. Filatura delle Fibre: Le fibre di seta estratte vengono quindi filate per creare filati utilizzabili nella produzione di nuovi tessuti. Questo processo può avvenire utilizzando metodi tradizionali di filatura a mano o macchinari industriali più moderni, a seconda delle esigenze e delle capacità del produttore. Tessitura o Maglieria: I filati di seta riciclata vengono infine tessuti o lavorati a maglia per creare nuovi tessuti o capi di abbigliamento. Questo passaggio può includere la produzione di tessuti per abbigliamento, biancheria per la casa, accessori e molto altro ancora. Finitura e Trattamenti Aggiuntivi: Una volta completata la tessitura o la maglieria, i tessuti possono essere sottoposti a ulteriori trattamenti per migliorarne le proprietà o l'aspetto. Questi trattamenti possono includere il lavaggio, la tintura, la stampa o la rifinitura per conferire al tessuto la texture desiderata o per aggiungere caratteristiche speciali. Questi passaggi industriali rappresentano una panoramica generale del processo di riciclo della seta. Tuttavia, è importante notare che le pratiche specifiche possono variare a seconda delle tecnologie e delle preferenze dei produttori, ma l'obiettivo finale rimane quello di trasformare i tessuti di seta usati in risorse preziose e sostenibili. Applicazioni del Tessuto RiciclatoIl tessuto di seta riciclata può essere utilizzato in una vasta gamma di applicazioni, che vanno dall'abbigliamento alla biancheria per la casa e agli accessori. Grazie alle sue proprietà naturali, come la morbidezza e la traspirabilità, la seta riciclata offre un'alternativa sostenibile ai tessuti vergini senza compromettere lo stile o la qualità. Benefici Ambientali e SocialiIl riciclo della seta porta con sé una serie di benefici ambientali e sociali. Riduce la dipendenza dalle risorse naturali limitate, come il guscio di baco da seta, e contribuisce a ridurre i rifiuti tessili destinati alla discarica. Inoltre, promuove pratiche commerciali più sostenibili e può sostenere comunità locali attraverso l'occupazione in imprese di riciclo tessile. Il riciclo della seta rappresenta un'opportunità emozionante per ridurre l'impatto ambientale dell'industria tessile e promuovere la circolarità nel settore della moda. Attraverso un processo di raccolta, destrutturazione e riutilizzo, i tessuti di seta possono trovare una nuova vita, conservando il loro fascino e la loro eleganza intrinsechi. Investire nell'economia circolare della seta non solo beneficia l'ambiente, ma anche il settore tessile nel suo complesso, spingendo verso una moda più sostenibile e consapevole.
SCOPRI DI PIU'Il PVA è un polimero ormai onnipresente nella produzione di oggetti di uso comune e di rilevanza tecnica, ma con risvolti ambientali non semplici di Marco ArezioIl poliacetato di vinile (PVA) è un polimero sintetico con eccellenti proprietà di solubilità in acqua, rendendolo un materiale di scelta in diverse applicazioni industriali e commerciali. La sua versatilità deriva dalla sua capacità di formare film trasparenti, la sua resistenza a solventi organici e oli, nonché la sua atossicità, che lo rende sicuro per l'utilizzo in applicazioni mediche e alimentari. Produzione del PVA Processo di Produzione La produzione di PVA inizia con la polimerizzazione dell'acetato di vinile in presenza di un catalizzatore. Il processo può variare, ma comunemente include le fasi di iniziazione, propagazione e terminazione, che conducono alla formazione di catene polimeriche di PVA. Successivamente, il polimero viene purificato e trasformato in varie forme per la commercializzazione, come polvere, granuli o soluzioni acquose. Dati di Produzione Mondiale La produzione di PVA a livello mondiale è influenzata da diversi fattori, tra cui la domanda nei settori chiave come l'imballaggio, la tessile, l'edilizia e l'agricoltura. L'Asia è il maggiore produttore di PVA, in particolare la Cina, che da sola contribuisce significativamente alla capacità produttiva globale. Altri paesi asiatici come Giappone, Corea del Sud e India sono anche importanti produttori di PVA. Principali Paesi Produttori di PVACina: La Cina è il leader nella produzione di PVA, con una stima di produzione che varia notevolmente, ma che può superare il milione di tonnellate annue, a seconda della domanda interna e delle esportazioni. Giappone e Corea del Sud: Questi paesi sono noti per la loro alta qualità di PVA, con una produzione combinata che può raggiungere centinaia di migliaia di tonnellate all'anno. India: L'India sta emergendo come un importante centro di produzione di PVA, con una capacità produttiva in crescita, che mira a soddisfare sia il mercato interno che quello delle esportazioni. Trend di Crescita La tendenza di crescita nella produzione di PVA riflette l'aumento della domanda in vari settori applicativi. La produzione è prevista aumentare nei prossimi anni, con un tasso di crescita annuo composto (CAGR) che può variare in base a diversi fattori economici, tecnologici e ambientali. Applicazioni ed Utilizzi del PVAIl Polivinil Alcol (PVA) è un polimero versatile con una vasta gamma di applicazioni e utilizzi in diversi settori industriali, grazie alle sue proprietà uniche quali la solubilità in acqua, la biodegradabilità (sotto certe condizioni), la resistenza chimica e meccanica, e l'atossicità. Di seguito, approfondiamo le principali applicazioni e utilizzi del PVA. Industria Tessile Nel settore tessile, il PVA è impiegato come agente di addolcimento e di finitura per migliorare la resistenza e la flessibilità dei filati e dei tessuti. Serve anche come fibra di supporto che può essere facilmente rimossa dopo il processo di tessitura, migliorando così l'efficienza della produzione. Packaging Il PVA trova ampio impiego nell'industria del packaging, in particolare nella produzione di film solubili in acqua e di imballaggi biodegradabili, come le capsule di detersivo liquido. Questi imballaggi si dissolvono completamente a contatto con l'acqua, riducendo i rifiuti di plastica. Edilizia e Costruzioni Nell'edilizia, il PVA è usato come componente in malte, intonaci, e sigillanti per migliorarne le proprietà adesive, la flessibilità e la resistenza all'umidità. Viene inoltre utilizzato in pitture e rivestimenti per aumentarne la durata e la resistenza agli agenti chimici. Industria della Carta Il PVA migliora la resistenza meccanica e la lucidità della carta e del cartone, trovando applicazione nella produzione di carta per stampa di alta qualità e imballaggi alimentari. Agisce anche come agente legante in inchiostri e vernici, migliorando la qualità di stampa. Elettronica Nel campo dell'elettronica, il PVA è utilizzato in componenti di display a cristalli liquidi (LCD) e in altri dispositivi elettronici per le sue proprietà ottiche e isolanti. Serve come strato di allineamento per i cristalli liquidi, essenziale per la qualità dell'immagine. Settore Farmaceutico e Medico Il PVA trova impiego in applicazioni mediche e farmaceutiche, tra cui la fabbricazione di capsule e film solubili per il rilascio controllato di farmaci, nonché in materiali per lenti a contatto morbide e idrogeli per applicazioni biomediche, grazie alla sua compatibilità biologica e atossicità. Agricoltura Nell'agricoltura, il PVA è usato per produrre film agricoli biodegradabili che aiutano a conservare l'umidità del suolo e a ridurre l'uso di erbicidi. Questi film si degradano naturalmente, riducendo l'impatto ambientale dell'agricoltura intensiva. Prodotti per la Cura Personale Il PVA è impiegato nella produzione di prodotti per l'igiene personale, come gli shampoo e i bagnoschiuma in forma solida, che si dissolvono in acqua, offrendo una soluzione sostenibile e riducendo l'utilizzo di plastica. Riciclo del PVA Il riciclo del PVA presenta delle sfide a causa della sua solubilità in acqua, ma esistono metodi sia fisici che chimici per il suo trattamento. La ricerca è incentrata sul miglioramento delle tecniche di recupero e sullo sviluppo di processi biologici per degradare il PVA in maniera più efficiente e sostenibile. Tecniche di Riciclo Riciclo Meccanico: Questo metodo implica la macinazione o la triturazione del PVA usato per riutilizzarlo direttamente nella produzione di nuovi articoli. Tuttavia, la sua efficacia è limitata dalla qualità del PVA riciclato, che può essere compromessa dalla degradazione termica o meccanica. Riciclo Chimico: Questa tecnica trasforma il PVA in monomeri o in altri composti chimici attraverso processi come l'idrolisi alcalina o l'alcolisi. Questi monomeri possono essere poi reimmessi nel ciclo produttivo. Il riciclo chimico ha il vantaggio di poter recuperare il PVA da miscele e compositi, superando alcune delle limitazioni del riciclo meccanico. Riciclo Biologico: Sfrutta microrganismi capaci di degradare il PVA in composti più semplici, come acqua e anidride carbonica, o in altri intermedi utili. La ricerca in questo campo è focalizzata sull'identificazione e l'ingegnerizzazione di ceppi batterici o enzimi specifici che possano effettuare questa trasformazione in modo efficiente. Solubilità in Acqua e Biodegradabilità La solubilità in acqua del PVA è sia una benedizione che una maledizione. Da un lato, facilita la sua rimozione da tessuti o altri materiali in processi industriali; dall'altro, rende la gestione dei rifiuti più complicata, specialmente in contesti in cui il PVA entra in ambienti acquatici. La biodegradabilità del PVA varia a seconda del suo grado di idrolisi e della composizione, con alcuni gradi di PVA che si degradano più facilmente in condizioni ambientali specifiche. Impatto Ambientale L'impatto ambientale del Polivinil Alcol (PVA) nelle acque reflue merita un'analisi approfondita, considerando sia le proprietà chimiche del PVA sia le dinamiche degli impianti di trattamento delle acque. Il PVA, nonostante sia generalmente considerato meno dannoso rispetto ad altri polimeri sintetici, presenta difficoltà specifiche una volta che entra nel sistema idrico, principalmente a causa della sua solubilità in acqua e della sua biodegradabilità variabile. Solubilità in Acqua e Trattamento delle Acque Reflue Il PVA è altamente solubile in acqua, il che significa che può facilmente disperdersi negli ecosistemi acquatici attraverso le acque reflue. Questa caratteristica, se da un lato facilita l'uso di PVA in applicazioni come capsule di detersivo solubili, dall'altro lato rende la sua rimozione dagli scarichi di acque reflue più complessa rispetto ai polimeri insolubili, che possono essere filtrati o fatti sedimentare con processi fisici standard. Biodegradabilità del PVA La biodegradabilità del PVA varia in base al grado di polimerizzazione e all'idrolisi. Alcune forme di PVA sono più facilmente degradabili da microrganismi presenti negli impianti di trattamento delle acque o negli ambienti naturali. Tuttavia, il processo di biodegradazione può essere lento e incompleto, portando all'accumulo di residui di PVA nelle acque, con potenziali effetti negativi sugli organismi acquatici. Effetti sugli Ecosistemi Acquatici La presenza di PVA nelle acque reflue e nei corpi idrici può influenzare la qualità dell'acqua e la salute degli ecosistemi acquatici in vari modi: Riduzione dell'Ossigeno: La biodegradazione del PVA da parte dei microrganismi consuma ossigeno disciolto nell'acqua, potenzialmente portando a condizioni di ipossia (basso contenuto di ossigeno) che possono danneggiare la vita acquatica. Effetti sulla Flora e Fauna Acquatica: Il PVA e i prodotti intermedi della sua degradazione possono avere effetti tossici su alcuni organismi acquatici, influenzando la crescita, la riproduzione e la sopravvivenza di pesci, invertebrati e piante acquatiche. Interferenze con i Processi di Trattamento: Alte concentrazioni di PVA nelle acque reflue possono interferire con i processi di trattamento biologico, riducendone l'efficacia e aumentando i costi operativi. Strategie di Mitigazione Per ridurre l'impatto ambientale del PVA nelle acque reflue, è necessario adottare una combinazione di approcci: Miglioramento dei Processi di Trattamento: Sviluppare e implementare tecnologie avanzate di trattamento delle acque in grado di rimuovere efficacemente il PVA e altri contaminanti organici. Innovazione nel Design dei Prodotti: Progettare prodotti che contengono PVA con una maggiore biodegradabilità o che rilasciano meno PVA nelle acque reflue. Regolamentazione e Monitoraggio: Stabilire limiti rigorosi per la concentrazione di PVA negli scarichi industriali e monitorare regolarmente le acque reflue per garantire il rispetto delle normative. Il caso delle capsule in PVA di detersivo per le lavatrici L'impatto ambientale delle capsule di detersivo in PVA (polivinil alcol) si concentra principalmente sulla loro solubilità in acqua e sulla biodegradabilità, oltre alla produzione e allo smaltimento. Questi aspetti influenzano direttamente gli ecosistemi acquatici e terrestri, la gestione dei rifiuti, e il consumo di risorse naturali. Impatto Ambientale delle Capsule di Detersivo in PVA Biodegradabilità: Sebbene il PVA sia tecnicamente biodegradabile, la velocità e l'efficienza di questo processo possono variare notevolmente a seconda delle condizioni ambientali, come la presenza di microrganismi specifici e la temperatura. Se non gestite correttamente, le capsule possono contribuire all'inquinamento da microplastiche negli ecosistemi acquatici. Solubilità in Acqua: La caratteristica principale del PVA è la sua solubilità in acqua, che permette alle capsule di detersivo di dissolversi completamente durante il ciclo di lavaggio. Tuttavia, ciò significa anche che residui di PVA possono finire nelle acque reflue, dove la loro completa biodegradazione non è sempre garantita, potenzialmente influenzando la qualità dell'acqua e la vita acquatica. Consumo di Risorse: La produzione di capsule in PVA richiede risorse naturali, inclusi petrolio e gas per la produzione del monomero di vinil acetato, e energia per i processi di polimerizzazione e confezionamento. Questo contribuisce all'impronta di carbonio del prodotto. Gestione dei Rifiuti: Anche se le capsule stesse si dissolvono, il packaging secondario può generare rifiuti aggiuntivi, specialmente se non è riciclabile o biodegradabile. Conclusioni Il PVA gioca un ruolo cruciale in molteplici industrie grazie alle sue proprietà uniche. Tuttavia, è fondamentale affrontare i problemi associati alla sua produzione, utilizzo e smaltimento per mitigare l'impatto ambientale. La promozione del riciclo e lo sviluppo di alternative sostenibili saranno vitali per garantire che l'uso del PVA rimanga sostenibile a lungo termine.
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