Due aziende unite per migliorare l’offerta commerciale e produttiva degli imballi in plastica Non si è mai grandi abbastanza quando si vuole migliorare se stessi e la propria azienda, non si è mai abbastanza efficienti se si vuole dare un servizio alla clientela di primo piano, non si è mai abbastanza capillari quando si vuole essere vicino, in ogni parte del mondo, ai propri clienti, non si finisce mai di affinare le performaces sulla sostenibilità, quando si vuole ridurre al massimo l’impatto ambientale della propria azienda. Da questi e da altri impegni ed obbiettivi, che possiamo pensare sia nata la joint venture che un gruppo internazionale, specializzato nella produzione di plastica riciclata in granuli e leader di mercato degli imballi in HDPE e PET, con un’azienda focalizzata nel settore degli imballi farmaceutici a respiro internazionale.L’obbiettivo della joint venture è la produzione, già nel 2023, di 800 milioni di prodotti per l’imballaggio e di triplicarli all’interno del nuovo piano di sviluppo quinquennale. Le società che partecipano a questo accordo sono ALPLA, che sta espandendo la sua presenza nel mercato globale del packaging farmaceutico e la spagnola Inden Pharma. ALPLA, lo specialista internazionale degli imballaggi e del riciclaggio in plastica, e l'azienda spagnola di imballaggi farmaceutici di fama internazionale Inden Pharma, stanno, come detto, avviando una partnership a lungo termine per la produzione certificata di flaconi, contenitori e chiusure in camere bianche. La joint venture comprende due siti produttivi di ALPLApharma in Grecia (Koropi) e Polonia (Żyrardów) e i due stabilimenti spagnoli di Inden Pharma a Ibi, a nord di Alicante, nonché un quinto stabilimento in Germania (Markdorf) costruito congiuntamente, che è previsto iniziare la produzione a giugno. “Uniamo la presenza globale con standard elevati e leadership tecnologica. Insieme, siamo ancora più vicini ai nostri clienti e stiamo ampliando la nostra gamma di soluzioni di imballaggio di alta qualità, convenienti e sostenibili", afferma Philipp Lehner, CEO di ALPLA. Da quando è entrata nel mercato in rapida crescita del packaging farmaceutico nel 2016, ALPLA si è continuamente espansa in nuovi paesi, tecnologie e categorie di prodotti. Anche Inden Pharma è focalizzata su una forte crescita. Negli ultimi quattro anni, l'azienda ha triplicato le sue vendite per raggiungere i 30,5 milioni di euro nel 2022. Inden Pharma vende ogni anno più di 550 milioni di contenitori in 35 paesi nei 5 continenti. Vantaggio tecnologico e aumento della capacità Nei cinque impianti gestiti congiuntamente nel primo anno verranno prodotti circa 800 milioni di imballaggi. I prodotti standard offerti da Inden Pharma saranno integrati nel catalogo congiunto dei prodotti ALPLApharma e Inden Pharma, raggiungendo un'offerta di oltre 150 articoli. Si prevede inoltre di espandere in futuro l'attività in altri luoghi al di fuori dell'Europa, come l'India, gli Stati Uniti o il Centro e Sud America. “I nostri clienti internazionali beneficiano di una maggiore varietà di impianti, vicinanza, elevata flessibilità, nonché del servizio e della qualità nelle consegne che è stato abituale negli ultimi anni. È una vera sfida, non solo per Inden Pharma, ma per l'intera organizzazione della joint venture, poiché il nostro obiettivo è raggiungere la leadership nel mercato degli imballaggi in plastica farmaceutica nei prossimi cinque anni.Walter Knes, amministratore delegato di ALPLApharma, sottolinea l'importanza del trasferimento di tecnologia e know-how: “Uniamo i nostri punti di forza e le nostre reti di distribuzione, utilizziamo le più moderne tecniche di soffiaggio a iniezione ed estrusione e possiamo contare sulla nostra lunga esperienza nel riciclaggio per futuri sviluppi”. Traduzione automatica. Ci scusiamo per eventuali inesattezze. Articolo originale in Italiano. Fonte: Alpla
SCOPRI DI PIU'Saponi, detersivi, shampoo, sono solo alcuni esempi di composti che contengono i tensioattividi Marco ArezioCome ogni medaglia esiste un lato brillante e uno scuro, nel nostro caso, oggi, parliamo sia del lato brillante, cioè i prodotti della pulizia che assolvono un compito nobile e doveroso, che del lato scuro, che riguarda l’impatto ambientale dello scarico dei tensioattivi nei fiumi, laghi e mari. Cosa sono i tensioattivi I tensioattivi, noti anche come surfattanti, sono composti chimici che vengono utilizzati comunemente nei detergenti, come lo shampoo, i saponi, i detersivi e molti altri prodotti per la pulizia personale e domestica. La loro principale funzione è quella di abbassare la tensione superficiale tra due fasi immiscibili, come ad esempio l'acqua e l'olio, permettendo loro di mescolarsi in una soluzione omogenea. Questa capacità li rende efficaci per disperdere grasso e sporco, facilitando la pulizia e l'eliminazione delle impurità. I tensioattivi possono essere di diversi tipi: - come anionici - cationici - non ionici - anfoteri ciascuno con proprietà specifiche a seconda dell'applicazione desiderata. Categorie e differenze tra i tensioattivi I tensioattivi possono essere suddivisi in diverse categorie principali in base alla loro polarità e carica elettrica. Le principali categorie di tensioattivi sono: Tensioattivi anionici Questi tensioattivi hanno una carica negativa quando si dissolvono in acqua. Sono comunemente utilizzati nei detergenti per lavanderia e piatti, oltre che nei saponi. Gli esempi includono il solfato di sodio laurile (SLS) e il solfato di sodio laurilsolfonato (SLES). Tensioattivi cationici A differenza degli anionici, i tensioattivi cationici hanno una carica positiva in ambiente acquoso. Sono spesso usati come additivi per ammorbidenti, balsami per capelli e detergenti per tessuti. Esempi di tensioattivi cationici includono i cloruri di ammonio quaternario. Tensioattivi non ionici Questi tensioattivi non hanno cariche elettriche e sono spesso utilizzati in detergenti delicati, come detergenti per pelli sensibili o detergenti per lavastoviglie. Gli esempi includono gli alcoli grassi etossilati (AEO) e i nonilfenoli etossilati (NPE). Tensioattivi anfoteri Possono avere sia cariche positive che negative in diverse condizioni di pH. Sono comunemente utilizzati nei prodotti per capelli, come shampoo e balsami. Un esempio comune di tensioattivo anfotero è il cocamidopropil betaina. Le differenze tra i tensioattivi riguardano principalmente le loro cariche elettriche e le proprietà che queste conferiscono ai composti. Inoltre, il tipo di tensioattivo utilizzato può influire sulla sua efficacia per specifiche applicazioni, come la rimozione di grasso, la schiumosità e la capacità di essere stabile in diverse condizioni di pH e temperatura. La scelta del tensioattivo dipenderà dalle esigenze specifiche del prodotto e dalla sua finalità d'uso. La storia dei tensioattivi L'uso di tensioattivi naturali, come il sapone, risale a migliaia di anni fa. I primi tentativi di pulire e lavare gli oggetti hanno spinto l’uomo all'utilizzo di miscele di oli e grassi di origine animale e vegetale, che contenevano già composti tensioattivi naturali. Questi tensioattivi presenti nel sapone permettevano di ridurre la tensione superficiale dell'acqua, facilitando la pulizia. Tuttavia, la produzione su larga scala di tensioattivi sintetici, come quelli utilizzati oggi, è iniziata nel corso del XX secolo, con importanti sviluppi nella chimica industriale e delle materie prime. Infatti, i primi tensioattivi sintetici furono sviluppati durante la prima metà del XX secolo e vennero utilizzati principalmente nell'industria dei detergenti e dei saponi. Non esiste un singolo inventore dei tensioattivi sintetici, ma il merito va attribuito a molti scienziati e ricercatori che hanno contribuito a sviluppare e perfezionare questi composti chimici nel corso del tempo. La loro scoperta e applicazione hanno avuto un impatto significativo sulla pulizia, igiene e produzione di una vasta gamma di prodotti chimici e beni di consumo moderni. Cosa comporta lo scarico dei tensioattivi nell’ambiente Lo scarico dei tensioattivi nell'ambiente può avere diversi effetti negativi, poiché questi composti chimici possono essere dannosi per gli ecosistemi acquatici e terrestri. Vediamo alcune delle principali problematiche ambientali correlate allo scarico di tensioattivi in ambiente: Inquinamento dell'acqua I tensioattivi possono arrivare nei corpi d'acqua attraverso gli scarichi domestici e industriali. Questi composti possono alterare la tensione superficiale dell'acqua, riducendo la capacità degli organismi di planare o galleggiare. Ciò può avere effetti negativi su alcune specie acquatiche, come insetti o piccoli animali che si muovono sulla superficie dell'acqua per alimentarsi o riprodursi. Tossicità per la vita acquatica Alcuni tensioattivi, specialmente quelli non biodegradabili, possono essere tossici per organismi acquatici come pesci, invertebrati e piante acquatiche. Questi composti possono danneggiare gli organismi presenti negli ecosistemi acquatici, alterando la loro fisiologia e la loro capacità di sopravvivenza e riproduzione. Formazione di schiuma Lo scarico eccessivo di tensioattivi può portare alla formazione di schiuma sulla superficie dell'acqua, specialmente in corrispondenza di fonti di scarico come fiumi o laghi. Questa schiuma può interferire con il trasporto dell'ossigeno, creare ostruzioni e ostacoli per la fauna e diventare un problema estetico. Inquinamento del suolo Se i tensioattivi vengono assorbiti nel terreno, possono contaminare le acque sotterranee o influenzare negativamente i microrganismi del suolo, compromettendo la salute e la fertilità del terreno. Quali sono i tensioattivi biodegradabili I tensioattivi biodegradabili sono composti chimici che possono essere facilmente scomposti e decomposti in modo naturale dagli organismi biologici presenti nell'ambiente, come batteri e altri microrganismi. Questa caratteristica li rende meno dannosi per l'ambiente rispetto ai tensioattivi non biodegradabili, poiché si degradano rapidamente e si trasformano in sostanze meno tossiche. Vediamo quali sono i principali tensioattivi biodegradabili:Tensioattivi a base di zucchero Sono ottenuti da fonti vegetali come il mais, la canna da zucchero o il cocco. Sono considerati biodegradabili e spesso utilizzati in prodotti per la pulizia ecologici e sostenibili. Tensioattivi a base di amminoacidi Sono derivati dagli amminoacidi, i mattoni costitutivi delle proteine. Sono biodegradabili e comunemente usati in prodotti per l'igiene personale, come shampoo e detergenti delicati. Tensioattivi a base di oli vegetali Alcuni tensioattivi possono essere ottenuti dalla saponificazione di oli vegetali come l'olio di palma o l'olio di cocco. Sono biodegradabili e utilizzati in prodotti per la pulizia e per la cura della pelle. Tensioattivi enzimatici Sono basati su enzimi, che sono proteine naturali altamente biodegradabili. Sono spesso utilizzati in detergenti per lavanderia e lavastoviglie. Tensioattivi di origine naturale Alcuni tensioattivi possono essere estratti da fonti naturali come le saponarie (Sapindus spp.) o altri alberi e piante. Quando si scelgono prodotti contenenti tensioattivi, è sempre consigliabile cercare quelli con etichette "biodegradabili" o "ecologici" per contribuire a ridurre l'impatto ambientale del loro utilizzo.
SCOPRI DI PIU'La plastica ha straordinarie doti che hanno reso la nostra vita, attraverso le sue applicazioni, decisamente più comoda, sicura ed economicadi Marco ArezioNon sono sensazioni ma dati chiari e inconfutabili quanto la plastica sia economica, resistente, durevole, adatta agli alimenti e al medicale, impermeabile, elettricamente neutra, malleabile, modellabile, leggera, colorabile e con un impatto carbonico in fase di produzione molto basso. Il polverone mediatico sollevato da più parti, a volte spinto da interessi non cristallini e da persone che non hanno conoscenza del settore, anche a livello politico, attribuisce alla plastica colpe che non ha, come quella di inquinare il pianeta. Il problema esiste, non si deve negare, ma la questione è da ridurre a due fattori: il principale è l’abitudine dell’uomo a sbarazzarsi comodamente dei propri rifiuti, qualsiasi, nell’ambiente e la seconda è che i tassi di riciclo della plastica, come per altri prodotti, sono ancora molto bassi, per svariate ragioni che vedremo in questo articolo realizzato dalla Basf. I temi sono trattati attraverso l’intervista al Prof. Dr. Helmut Maurer, Giurista principale presso l’Unità Gestione Rifiuti e Riciclo della Commissione Europea, Direzione Generale per l’Ambiente e a Patricia Vangheluwe, PhD, Direttore Affari Consumatori e Ambientali presso PlasticsEurope. Il successo della plastica è indiscusso, contemporaneamente i suoi aspetti negativi come lo smaltimento dei rifiuti sono oggetto di molte discussioni. Il Prof. Dr. Helmut Maurer e Patricia Vangheluwe, PhD, due esperti nel settore delle materie plastiche, discutono le loro idee su come affrontare questa sfida globale. Le materie plastiche interessano quasi ogni settore delle nostre vite, apportando miglioramenti, comodità e risparmi sui costi. Da oltre 100 anni questi materiali altamente versatili contribuiscono a plasmare il nostro mondo e nuove materie plastiche sono sempre in fase di sviluppo. Ma poiché i rifiuti plastici si accumulano nelle discariche e negli oceani, il loro smaltimento costituisce oggi un serio problema ambientale. Patricia Vangheluwe, PhD, di PlasticsEurope, e il Professor Dr. Helmut Maurer della Commissione Europea per la Gestione dei Rifiuti e il Riciclo, discutono del dilemma dinanzi al quale ci troviamo. Per alcuni la parola “plastica” è diventata sinonimo di cultura usa e getta, tuttavia il materiale fornisce un enorme contributo alle nostre vite quotidiane. Ritenete che la plastica abbia un problema di immagine? Helmut Maurer: La plastica è vittima della sua versatilità e del suo grande successo. Cosa non facciamo con la plastica? Ce l’abbiamo persino nei nostri corpi come parte delle applicazioni medicali. Non c’è motivo di demonizzare la plastica. Il problema, dal mio punto di vista, è che è ampiamente abusata. La commercializziamo e la produciamo il più possibile ma poi non disponiamo degli strumenti per gestirla adeguatamente. L’obsolescenza programmata è diventata un principio industriale. Patricia Vangheluwe: Concordo che le materie plastiche soffrano di un problema di immagine e che dobbiamo cambiare questa situazione. Ad esempio dobbiamo fare molto di più per utilizzare i rifiuti plastici post-consumo come risorsa e far capire alla gente che la plastica è un materiale prezioso. Come società dobbiamo affrontare questo problema perché la plastica offre enormi possibilità per affrontare le sfide sociali ed è uno dei materiali più eco-efficienti in circolazione. Il consumo crescente ha creato problemi poiché gli stati fanno ogni sforzo possibile per gestire grandi quantitativi di materiale plastico come rifiuto. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), tra il 22% e il 43% dei rifiuti plastici finisce nelle discariche di tutto in modo invece di essere riutilizzato o riciclato. Come possiamo risolvere questo problema? Maurer: Nei paesi in via di sviluppo, la plastica viene praticamente sempre buttata via, in discarica o nella natura. Anche in Europa circa il 50% finisce in discarica. È chiaro che dobbiamo intervenire urgentemente. Quello di cui abbiamo bisogno è un divieto globale di collocamento in discarica. E abbiamo milioni di tonnellate di plastica decomposte in microparticelle che galleggiano nei nostri oceani – un flusso di altri 10 - 15 milioni di tonnellate raggiunge l’ambiente marino ogni anno. Dobbiamo parlare a livello globale – gli oceani non hanno confini. Dobbiamo inoltre lavorare sulla composizione chimica dei materiali. È necessario realizzare prodotti con materiali progettati per essere riciclati ed evitare additivi tossici che ne rendano difficoltoso il recupero. È una grande sfida per l’industria della plastica. Vangheluwe: Condivido l’opinione di Helmut che dobbiamo incoraggiare un divieto di collocamento in discarica a livello globale. Quando si arriva ai rifiuti post-consumo, l’intera catena di valore – dalle aziende produttrici di materie plastiche ai produttori, rivenditori e consumatori finali dei prodotti – può fare di più. Dobbiamo progettare prodotti per garantire l’eco-efficienza, che non è esattamente la stessa cosa della progettazione per il riciclo, e nel fare questo dobbiamo tener conto di quello che succederà con il prodotto alla fine della sua vita. Le società produttrici hanno sempre preso molto sul serio i rifiuti, perché dal punto di vista economico ha senso usare le risorse all’interno della produzione nel modo più efficiente possibile. Tutti gli sviluppi di prodotti e di applicazioni che stanno portando avanti sono destinati a rendere i prodotti più leggeri, più duraturi e più funzionali. Questo contribuisce a risparmiare risorse, il che ha effetti positivi simili alla prevenzione dei rifiuti. “Dobbiamo fare molto di più per utilizzare i rifiuti plastici post-consumo come risorsa e far capire alla gente che la plastica è un materiale prezioso.” Spesso per i paesi industrialmente avanzati risulta più economico spedire le materie plastiche via nave a migliaia di chilometri di distanza piuttosto che rilavorarle nel luogo in cui sono state usate. Non sarebbe opportuno rendere il riciclo vicino a casa più economicamente sostenibile? Vangheluwe: I riciclati di qualità dovrebbero essere considerati prodotti, così come qualunque altro prodotto in commercio. In un mercato libero i prodotti possono essere scambiati; domanda e offerta regolano il mercato. Ma sarebbe bene che i riciclatori procedessero di pari passo con la catena del valore vicino a casa per ricavare un valore maggiore da questi materiali riciclati. I produttori di materie plastiche possono aiutare i riciclatori perché hanno la conoscenza del materiale stesso. Queste informazioni possono contribuire a determinare a quali mercati possono essere destinati quei prodotti e come effettuare i controlli di qualità. Maurer: Come giustamente dice Patricia, i produttori conoscono meglio il loro materiale ed è estremamente importante che i riciclatori abbiano quella stessa conoscenza. C’è ancora molto da fare per semplificare questo trasferimento di conoscenze. Ci sono parecchie cose che possiamo fare per migliorare il riciclo interno delle materie plastiche. Innanzitutto possiamo fissare obiettivi per riciclare molto di più. Quindi dobbiamo anche agevolare i mercati. Possiamo definire criteri di cessazione della qualifica di rifiuto e creare una domanda del mercato verso il riciclo di alta qualità. Anche bruciare i rifiuti plastici per generare energia è un’industria. Poiché i tassi di riciclo della plastica a livello mondiale sono bassi, molti affermano che è una componente fondamentale del mix energetico. Ritenete che gli schemi di recupero di energia dai rifiuti utilizzando la plastica abbiano un ruolo a lungo termine? Maurer: In linea di massima, la combustione della plastica dovrebbe essere evitata perché nella combustione perdiamo l’energia di processo necessaria per produrre la plastica. La combustione rallenterà mano a mano che il riciclaggio diventerà più allettante. Ma la realtà è che molta plastica post-consumo non è adatta al riciclo – in parte a causa dei materiali nocivi immessi dai produttori, come alcuni ritardanti di fiamma o ftalati. Ma stiamo parlando di un obiettivo in movimento perché la plastica di domani – la plastica meglio riciclabile – porterà naturalmente a un riciclo maggiore. Un altro argomento importante contro la combustione della plastica è costituito dai cambiamenti climatici. Fino al 2050 abbiamo un budget massimo di 1.000 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2 da rispettare se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 2°gradi Celsius. Ma come già sappiamo le riserve globali di combustibili fossili sono pari a 2.900 miliardi di tonnellate di CO2. Se dovessimo lasciarle nel terreno, questo ci obbligherebbe a riciclare di più. Vangheluwe: Il recupero energetico costituisce a volte la soluzione più eco-efficiente, soprattutto per i rifiuti misti. Quando questo avviene da una prospettiva di ciclo di vita, il recupero dell’energia ha senso come una delle opzioni di gestione dei rifiuti. Si spera che un giorno ci sarà un’innovazione che ci consentirà di decomporre le materie plastiche miste che non possono essere riciclate in maniera sostenibile in materie prime che possono essere riutilizzate per produrre plastica in maniera economica ed ecosostenibile – questa sarebbe una conquista che contribuirebbe ad aumentare il riciclo della plastica. “Anche in Europa circa il 50% della plastica finisce in discarica. È chiaro che dobbiamo intervenire urgentemente. Quello di cui abbiamo bisogno è un divieto globale di collocamento in discarica.” Come ritenete si evolveranno i prodotti in plastica nei prossimi 50 anni? In quali settori vedete le maggiori opportunità e sfide? Maurer: Vorrei che la plastica si sbarazzasse della sua immagine negativa di materiale onnipresente, economico e facilmente scomponibile. Ma vorrei mettere in guardia dal ritenere che il futuro dipenda solo da una maggiore tecnologia. Dobbiamo affrontare il fatto che un tasso di crescita annuo globale del 5% nella produzione della plastica significherebbe raddoppiare la produzione ogni 14 anni, cosicché entro il 2043 produrremmo 1.200 milioni di tonnellate all’anno. Questo ovviamente non sarebbe sostenibile. Già oggi la plastica nell’ambiente marino è totalmente fuori controllo. Penso che stiamo producendo troppe cose di cui non abbiamo realmente bisogno. Vangheluwe: Vedremo sviluppi continui nell’imballaggio intelligente e negli accoppiati barriera, applicazioni medicali come protesi e anche materiali compositi più leggeri che possono essere usati nelle applicazioni strutturali per i mercati automobilistici e delle costruzioni. Le materie plastiche a base biologica continueranno ad essere sviluppate e credo che avremo materie plastiche miste che verranno utilizzate come flusso di materie prime per la plastica nei prossimi 50 anni. Assisteremo anche a un impiego crescente di CO2 come materia prima chiudendo in questo modo l’intero ciclo del carbonio. È quello che sta avvenendo ora per la produzione dei poliuretani. Se la plastica è destinata a continuare a fornire tutti i benefici che ha offerto fino ad ora, tutti noi dovremo continuare a lavorare alla sfida della gestione dei rifiuti come spazzatura e alla plastica nell’ambiente. Ho sempre ritenuto che la tecnologia e l’innovazione possano fare la differenza. Con una crescente educazione alla corretta gestione dei rifiuti e innovazione, la plastica continuerà a fornire soluzioni a molte delle sfide sociali che ci aspettano. Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti
SCOPRI DI PIU'Come l’impatto delle temperature può influire sui valori prestazionali dei polimeri altamente reticolati di Marco ArezioNel campo dei polimeri plastici esistono quelli classificabili come reticolati e quelli definiti lineari o ramificati, i quali esprimono differenze sostanziali nella distribuzione e nel collegamento tra i punti delle molecole. Si può quindi definire un polimero “reticolato” se esistono due o più linee che collegano due punti qualsiasi della sua molecola, mentre si può definire un polimero “lineare” o “ramificato” se non esistono catene laterali intestate in due o più punti. La caratteristica delle catene reticolate è che sono unite tra loro da legami covalenti, aventi un'energia di legame pari a quella degli atomi sulle catene e non sono perciò indipendenti le une dalle altre. Per questo motivo un polimero reticolato è generalmente una plastica rigida, che a seguito di un’azione di riscaldamento, si decompone o brucia, anziché rammollirsi e fondere come un polimero lineare o ramificato. Infatti, mentre un elastomero, soggetto ad una normale temperatura ambiente esprime il punto di rammollimento, i polimeri reticolati rimangono rigidi in condizioni termiche ambientali, ma anche a temperature superiori, fino a giungere un livello termico che causa la sua degradazione. Di conseguenza, se si sottopone un polimero reticolato a temperature superiori ai 200 °C, è facile che si crei il fenomeno di degradazione che rende il polimero difficilmente utilizzabile, nello stesso tempo, si è notato che l’aggiunta di cariche migliora la resistenza termica del compound. L’influenza della temperatura agisce facilmente sui polimeri lineari, ma non trova grande riscontro su quelli reticolati, questo a causa della fitta reticolazione che caratterizza la struttura polimerica che impedisce qualunque movimento molecolare che possa coinvolgere grandi deformazioni. A temperatura elevata, i polimeri densamente reticolati possono accennare a mostrare fenomeni viscoelastici ma, allo stesso tempo si manifestano reazioni chimiche, che alterano la struttura del materiale. Il motivo per cui spesso si creano legami reticolati è che i polimeri lineari non sono abbastanza resistenti per alcune applicazioni che richiedono una speciale robustezza, o una grande elasticità. In questi casi vengono creati dei legami incrociati tra le catene per ottenere polimeri reticolati più forti, ma che non sono più rimodellabili per fusione. Per quanto riguarda i comportamenti meccanici di un polimero densamente reticolato, come può essere le resine fenoliche, questi avranno delle reazioni differenti ed opposte, per esempio, rispetto agli elastomeri. Il diagramma sforzo-deformazione a trazione dei polimeri densamente reticolati indica, quindi, sempre un comportamento fragile, con piccoli allungamenti a rottura e alti carichi a rottura. In realtà bisogna anche considerare che i polimeri densamente reticolati che sono in commercio, possono contenere anche quantità di cariche di varia tipologia, come la cellulosa, i cascami di cotone, la farina di legno, la fibra di vetro e molte altre, per cui lo studio del comportamento meccanico non è sempre di facile intuizione.
SCOPRI DI PIU'Cosa succederà al mercato del PVC in India dopo la caduta dei prezzi di Luglio?Secondo gli esperti del settore, dopo una caduta di circa il 16 % sul prezzo del PVC in India, pari a circa 130 $/tonnellata all’inizio del mese di luglio, sembra che un rimbalzo sia possibile. Infatti il prezzo medio del PVC si è attestato intorno a 1400 $/Ton CIF India per la prima volta dall’inizio di Febbraio, con dei distinguo sulle tipologie di PVC che compongono il paniere di riferimento. Secondo i dati del Price Index di ChemOrbis, la media settimanale dei prezzi del PVC K67, su base CIF India, ha registrato un calo totale di $/Ton 280/ dall'inizio del trend ribassista a fine aprile. Tuttavia i prezzi medi rimangono a circa 780 $/Ton superiori ai livelli visti nel maggio 2020, data in cui iniziò il più lungo rally rialzistico della storia delle materie plastiche. La spiegazione di questa discesa dei prezzi potrebbe essere individuata nella seconda ondata di COVID 19 che ha investito il paese, con la conseguente riduzione della produzione a causa della scarsa richiesta di prodotti finiti. Questo fenomeno ha calmierato i prezzi facendo scendere le quotazioni del PVC, in relazione anche al fatto che una minore produzione significa un numero minore di salariati al lavoro e, di conseguenza, una minore capacità di spesa delle famiglie. Ma nel breve periodo si ipotizza un rimbalzo dei prezzi del PVC a causa della probabile domanda post-monsone. I mesi piovosi monsonici da giugno a settembre sono in genere una stagione a bassa domanda per il mercato degli utenti finali del PVC in India. Gli acquirenti tendono ad iniziare a fare scorta per la stagione post-monsonica ad agosto, quando la domanda inizia a salire. "Gli acquisti per la stagione post-monsonica iniziano ad agosto e questo è un altro motivo per cui i prezzi dovrebbero aumentare", ha affermato il commerciante con sede a Mumbai.
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