La pesca a strascico è un killer per la flora e la fauna dei nostri maridi Marco ArezioI problemi del mare e degli oceani non sono solo le isole galleggianti di rifiuti plastici che si decompongono in microplastiche, entrando nella nostra catena alimentare. Ci sono altri sistemi di distruzione sistematica dell’habitat dei pesci e delle piante acquatiche, con la produzione di quantità impressionanti di CO2 che si riversano in atmosfera. E’ la pesca a strascico, che è una delle più catastrofiche invenzioni dell’uomo per distruggere i mari e gli oceani, colpendo i fondali, le tane dei pesci, favorendo la pesca indiscriminata di specie protette o non commestibili e il rilascio in atmosfera di tonnellate di CO2, che in parte viene anche mischiata nell’acqua creando acidità dei mari. E’ noto infatti che i mari e gli oceani assorbono un terzo dei gas serra immessi in atmosfera, facendo depositare il carbonio nei sedimenti marini, che sono degli enormi stoccaggi per la terra. Stiamo parlando di circa un miliardo di tonnellate di CO2 annue, una quantità paragonabile alla somma delle emissioni del traffico aereo mondiale, che la pesca a strascico rimuove dai fondali, facendoli riemergere a danno per la nostra salute. Ma come avviene questo tipo di pesca? La pesca a strascico comporta la stesura di una rete a sacco molto grande, trainata da due pescherecci, con una parte della rete piombata in modo che possa lavorare sul fondo. Lo spostamento di trascinamento simultaneo, comporta un movimento a strascico che causa l’estirpazione di tutto ciò che incontra, distruggendo in modo indiscriminato i fondali e raccogliendo qualsiasi cosa. Nella rete rimangono pesci commestibili e non commestibili, specie protette, coralli, specie in estinzione come lo squalo mako, lo smeriglio, la ventresca e le tartarughe, che vengono tirate a bordo, molte volte già mortalmente ferite nel tentativo di fuggire. Inoltre la tecnica della pesca a strascico comporta spesso la rottura delle reti che sono fatte da fili di nylon, materiale non degradabile, che finiscono trasportate dalle correnti insieme agli altri rifiuti in plastica e con lo stesso destino, cioè finire sulla nostra tavola attraverso i pesci che ci mangiamo. Le reti abbandonate sono i peggiori nemici per i delfini, le tartarughe, i cuccioli dei grandi pesci, che vi finiscono dentro restando impigliati, con la conseguenza di una morte quasi certa. Secondo i dati della Fao, nei mari ci sono circa 640.000 tonnellate di reti in plastica abbandonate, costituendo il 10% dei rifiuti plastici che galleggiano o si spostano a media profondità sospinte dalle correnti. Ci sono alcuni paesi che hanno regolamentato la pesca a strascico in modo da vietare che le reti raschino il fondo, distruggendo tutto, ma permettendo questa tecnica a medie profondità, salvaguardano l’habitat delle specie viventi. Inoltre la dimensioni imposte delle maglie delle reti hanno una larghezza tale da permettere la fuoriuscita di pesci di piccola taglia, assicurando che il pesce di quelle dimensioni possa continuare a vivere e a riprodursi. Purtroppo molti altri paesi non si curano del problema, lasciando libera la pesca o controllando poco o niente le conseguenze di questa attività che, tra l’altro, comporta una quantità di scarto di pescato pari a circa 5 milioni di tonnellate all’anno, pesci morti inutilmente. Arare il fondale con questo sistema è sicuramente più vantaggioso economicamente per chi pesca, in quanto intercetta circa il 20% di pesce in più, ma lascia danni all’ambiente incalcolabili minando, nel tempo, la pesca stessa.
SCOPRI DI PIU'Globalizzazione del Marcato della Plastica Riciclata: Il Dado è Tratto (Alea iacta est)di Marco ArezioC’era bisogno di scomodare Giulio Cesare per dare l’idea che non c’è un momento più propizio come questo per agire? Forse si.Non è solo la Plastic Tax che spinge l’Europa a riconsiderare i polimeri riciclati, ma una serie di movimenti dal basso in cui i consumatori, preoccupati dalle condizioni ambientali del pianeta, richiedono produzioni più sostenibili anche nel mondo della plastica. Anche molti altri paesi, fuori dal confine Europeo, stanno adottando politiche restrittive per disincentivare l’uso della plastica vergine nelle produzioni massive, con lo scopo di aumentare il riciclo e diminuire i rifiuti plastici. La società S&P Global Platts Analytics prevede che la plastica riciclata, prodotta attraverso il sistema di riciclo meccanico, sostituirà oltre 1,7 milioni di tonnellate di polimeri plastici vergini entro il 2030, rispetto alle 688.000 tonnellate del 2020. Come sostituire la plastica vergine con quella riciclata a livello globale C’è ancora molta diffidenza sui polimeri plastici riciclati, specialmente nei paesi meno industrializzati, dove troppo spesso l’acquisto di questa materia prima è visto come un affare economico, volto a ridurre il costo di produzione. Questa richiesta di realizzare un’importante differenza di prezzo, rispetto a quella vergine, diventa per alcuni acquirenti l’unico metro di valutazione per l’impiego di un polimero riciclato. Ma come abbiamo visto nell’articolo pubblicato nel portale Arezio, anno dopo anno il prezzo dei polimeri riciclati si sposteranno verso il prezzo di quelli vergini e, in molti casi lo supereranno, questo per ragioni di carattere economico, ambientale e industriale. La globalizzazione del marcato dei polimeri riciclati deve passare verso una standardizzazione dei processi produttivi, in cui la filiera di trasformazione offra a tutti i clienti e in tutti i continenti dei processi di trattamento del rifiuto plastico comparabili dal punto di vista qualitativo. Oggi, in molte parti del mondo, la produzione di polimeri riciclati è un’attività localizzata dove non vengono sempre espressi valori di qualità, ma principalmente la necessità più o meno impellente del riuso del rifiuto in entrata. Bisogna acquisire la consapevolezza che l’utilizzo dei polimeri riciclati deve essere prioritario rispetto a quelli vergini, indipendentemente dal loro costo, in quanto il risparmio delle risorse del pianeta e la riduzione dei rifiuti che vengono prodotti giornalmente sono di gran lunga il fattore principale. La pressione dei governi Come abbiamo visto molti stati stanno applicando legislazioni disincentivanti all’uso della plastica vergine, attraverso una serie di tasse o imposizioni di utilizzo nelle miscele di percentuali variabili di plastica riciclata. In Gran Bretagna, per esempio, la produzione di un articolo che non contenga il 30% di plastica riciclata, per i prodotti rientranti in alcune categorie, subisce una tassa di 200 GBP/Ton, rendendo meno vantaggioso il costo finale del prodotto fatto solo con plastica vergine. Queste normative devono, da una parte disincentivare l’acquisto non deferibile della plastica vergine ma, nello stesso tempo, devono tendere, non solo ad aumentare la quota di produzione dei polimeri riciclati a livello mondiale, in modo da compensare la diminuzione dell’uso del vergine, ma devono anche portare a una filiera produttiva più uniforme per creare similitudini nei polimeri riciclati esportabili. Queste attività legislative stanno aumentando la richiesta di plastica riciclata che spesso, come in Europa, non corrisponde all’aumento dei volumi offerti. Principio di standardizzazione dei polimeri riciclati Quando si acquista un Polimero vergine con una specifica caratteristica da un fornitore è possibile, se le condizioni di mercato lo rendessero necessario, acquistarne uno molto simile prodotto da un altro fornitore, senza avere grandi differenze sui valori tecnici o di colore. Nel campo dei polimeri riciclati, non sempre questa alternanza esiste, in quanto ci possono essere delle differenze che potrebbero rendere un elemento diverso da un altro. Vediamo come: • Differenti fonti di approvvigionamento • Differente ciclo di vita del prodotto da riciclare • Differente di sostanze contenute nel prodotto se è un imballo • Differenti tecniche e metodi di riciclo nella filiera • Differenti macchinari utilizzati • Differente qualità della filiera del riciclo • Differenti mix di input per la creazione delle ricette • Differenti tecniche per il controllo di qualità dei polimeri Queste sono solo alcune alternative che possono implicare ad un polimero riciclato di essere differente da un suo simile. La standardizzazione non è sempre facile, in quanto il materiale in entrata può avere caratteristiche, a volte, più vicino al rifiuto che alla materia prima, ma lo sforzo comune di caratterizzare sempre meglio i polimeri finali permetterà una maggiore diffusione degli stessi. Nel mercato Europeo il lavoro di standardizzazione di alcuni polimeri come rPET o il PVC ha portato buoni risultati, conferendo a queste due famiglie regole qualitative, all’interno delle quali il prodotto è normato e di più facile diffusione nel mondo, potendo ripetere, lotto per lotto gli stessi valori. Anche l’rPET riciclato negli Stati Uniti sta diventando più uniforme e mostra riduzioni dei livelli di contaminanti. Questa spinta è guidata dalla California, dove dal 2022 si applicherà un contenuto minimo di plastica riciclata nelle bottiglie in PET, a partire dal 15%. Ma le produzioni di macinati trasparenti rPET della California sono in gran parte dominate da materiali con un livello di contaminanti in PVC fino a 100 ppm, questo significa che il settore dell’rPET statunitense è orientato verso mercati finali di qualità inferiore, come i mercati delle fibre e dei tessuti. I grandi marchi internazionali delle bibite stanno installando produzione di rPET nei paesi dove trovano fonti di approvvigionamento abbondanti e continuative, creando una spinta alla standardizzazione del polimero nel mondo. L’inquinamento globale procurato della plastica abbandonata a causa di comportamenti scellerati dell’uomo può essere risolto, dando valore al prodotto da riciclare in tutto il modo.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - business - internazionalizzazioneVedi maggiori informazioni sull'argomento
SCOPRI DI PIU'Sedie, tavoli, armadi, lampade, scaffali in plastica, legno, metallo, sughero tutti riciclati di Marco ArezioIn Ufficio ha bussato da tempo l’economia circolare, sotto forma di progettazione e costruzione di collezioni di arredo per l’ufficio e la casa, che siano pienamente in linea con il rispetto dell’ambiente e il riciclo dei rifiuti che produciamo. Le collezioni di arredamento per gli uffici erano sempre partite dall’utilizzo di materiali vergini, sia in plastica, che in metallo, che in legno che in altri materiali, senza preoccuparsi dell’impatto che queste materie prime avevano sull’ambiente, in fase di produzione, né cosa succedesse al termine del loro ciclo di vita come rifiuto. Le cose negli ultimi anni sono molto cambiate e i clienti che vogliono comprare sedie, tavoli, lampade, scaffali, pareti fonoassorbenti e altri accessori, sono attenti a ricercare prodotti che siano ecologicamente sostenibili. Preso atto di queste richieste del mercato, i progettisti e l’industria del settore dei mobili hanno cambiato la loro mentalità progettuale e produttiva, mettendo le materie prime riciclate al centro dei loro progetti. L’inizio è sicuramente stato un po’ timido, in quanto i produttori hanno iniziato a sostituire, per esempio in alcune sedie, le strutture interne degli schienali e delle sedute, stando ben attenti a inglobare, quasi nascondere, le parti riciclate alla vista dei clienti. Dichiaravano che i prodotti erano fatti con l’ausilio di parti in materie plastiche riciclate, ma avevano paura che l’abbinamento del loro prodotto ad una materia prima riciclata potesse sminuirne la forza commerciale o la qualità del marchio. Successivamente la richiesta da parte del mercato di componenti riciclati si è fatta sempre più forte, spingendo così i designers a firmare collezioni con espressa evidenza contribuiva dei prodotti riciclati. Si sono adottati quindi plastiche provenienti dal post consumo per i pezzi non estetici, come il PP, l’HDPE e i mix PP/PE, mentre per le parti estetiche si è optato per le plastiche provenienti dagli scarti post industriali come l’ABS, il PA 6 e 66, il PS, il PC e il PP. Una gamma di prodotti che possono soddisfare in pieno le esigenze dei clienti in termini di robustezza, qualità estetica e rispetto per l’ambiente, in un’ottica di economia circolare. Mentre i compounds realizzati con le plastiche da post consumo non si prestano in modo spinto alla variazione delle performance tecniche, come l’MFI, il Modulo, l’Izod e le colorazioni chiare, i compounds realizzati con gli scarti post industriali possono replicare facilmente le esigenze tecniche ed estetiche ottenute con le materie prime vergini. Queste tipologie di plastiche riciclate possono provenire dalla raccolta differenziata domestica, dalla pulizia della plastica presente negli oceani o nei fiumi e dagli scarti delle lavorazioni industriali, potendole utilizzare anche nella costruzione, non solo di sedie, ma anche di scrivanie, tavoli, lampade, scaffali, archivi e pannelli divisori isolanti. Nell’ottica dell’economia circolare, non esiste solo la plastica riciclata come elemento costruttivo per l’arredo dell’ufficio, ma anche il legno, specialmente quello naturalmente caduto o frutto di una coltivazione a ciclo continuo, oppure il metallo che proviene dalla raccolta dei rifiuti ferrosi e non ferrosi rimessi in circolo e il sughero. I designers ci hanno abituato anche a sfide estreme, come il progetto realizzato dall’architetto Danese NikolajThrane Carlsen che ha progettato e fatto costruire sedie di arredo e da ufficio, attraverso l’uso delle alghe del mare. Oppure il progetto dell’architetto Islandese Solvi Kristjansson che ha progettato una sedia utilizzando sughero e alluminio rigorosamente riciclato.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - riciclo - rifiuti - arredamentoVedi il prodotto finitoVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Una vita passata a raggiungere degli obbiettivi materiali o professionali senza sostaFino dai tempi dei filosofi Greci ci si interrogava su come raggiungere la felicità o un equilibrio tra delusioni e successi, facendo, possibilmente, pendere l’ago della bilancia verso quest’ultimi. Non è affatto deprecabile che l’uomo cerchi di migliorare se stesso, raggiunga un benessere materiale commisurato alle proprie inclinazioni, abbia una vita relazionale soddisfacente e, per fare tutto questo, si impegni ogni giorno. Questo sforzo deve poi essere ripagato con il piacere di usufruire dei successi raggiunti, cioè, significa impiegare del tempo per godere, tranquillamente, di ciò che abbiamo raggiunto. Creare quindi un equilibrio tra sforzo e soddisfazione, che devono mischiarsi in modo che uno elida l’altro, per poter poi ricominciare ad avere obbiettivi commisurati con le soddisfazioni ambite. Altro aspetto riguarda l’esclusiva centralità dello sforzo per raggiungere i propri obbiettivi, come fosse quello il risultato stesso dello sforzo, come fosse quello a determinare l’unico motivo per compierlo. La ricerca continua di obbiettivi e i sacrifici per raggiungerli, possono lasciare amarezza una volta conquistati, scoprendo che il desiderio tanto anelato non è sufficiente per appagare la ricerca di soddisfazione. Si vive in un continuo desiderio di avere qualche cosa di ambizioso, di essere in qualche posizione di prestigio ma, una volta raggiunte, ci si scopre poco interessati nel godere di ciò che si è faticosamente cercato. Proiettare la propria vita in un futuro continuo, logorante, spendendo il tempo della propria vita, che non tornerà mai più, trascurando il quotidiano, come se il tempo non avesse fine. Ci sono ambizioni e desideri che non finiscono mai e possono tenerti legato per sempre, come un bue al giogo per pompare acqua da un pozzo. L’ambizione della ricchezza, espressa sotto forma di denaro o di beni simbolici da esibire, l’ambizione della politica che rende mediaticamente importante la propria figura, l’ambizione di esistere sui social attraverso i quali ci si pone degli obbiettivi infiniti di followers, l’ambizione del sesso che consuma i rapporti per le persone senza avere un limite, l’ambizione del lavoro che esprime una ricerca di affermazione lungo una scala che non finisce mai. Una corsa, il più delle volte, che ricomincia sempre da capo, obbiettivo dopo obbiettivo, con un carico sulle spalle di insoddisfazione sempre maggiore, finchè un giorno questa potrebbe schiacciarti. La vita, tuttavia, si potrebbe vedere in un modo anche differente, iniziando a capire che ha, essa stessa, un limite e che sprecare il tempo per produrre illusioni ed insoddisfazioni non sia il migliore dei modi per percorrerla. Viverla appagati o insoddisfatti la si percorre sempre allo stesso modo, forse con un risultato intimo diverso, evitando che nella nostra vecchiaia la nostra mente ci presenti un conto guardandoci indietro. Considerare ciò che è utile per noi e per la nostra famiglia è un fatto fondamentale, aggiungerei utile e necessario, in quanto tutto ciò che non lo è verrà evitato, riducendo i nostri sforzi e proteggendoci da insoddisfazioni future. Ciò che sarà necessario e utile, da condividere, lo raggiungeremo per godercelo, utilizzando il tempo necessario senza pensare ad altro. Categoria: Slow life - vita lenta - felicità
SCOPRI DI PIU'I Prodotti in Plastica Riciclata Puzzano? Si, No, Forse, un Po', Ogni Tanto, Spesso…in questo campo vige l’incertezzadi Marco ArezioLa plastica riciclata da post consumo sta entrando in modo sempre più nelle produzioni degli oggetti che quotidianamente utilizziamo e che troviamo sugli scaffali dei negozi, nelle catene distributive di mobili od oggetti per la casa, negli interni delle nostre auto e in molti prodotti che maneggiamo ogni giorno. Non sempre l’uso della plastica da post consumo è stata una scelta volontaria da parte dei produttori di articoli in plastica, in quanto la sua provenienza dalla raccolta differenziata, porta con sé delle problematiche odorose che, se non gestite bene, possono compromettere i prodotti finali creando fastidi ai clienti. Ma la necessità impellente di riutilizzare la quantità più alta possibile di plastica riciclata nelle produzioni di articoli, al fine di ridurre i rifiuti, ha imposto un nuovo modo di vedere le miscele per fare i prodotti plastici. Le grandi catene distributive di articoli per la casa, per esempio, si sono indirizzati alla produzione dei loro articoli con una percentuale di plastica riciclata da post consumo, ma impongono che la materia prima non porti con sé odori molesti. La verifica dell’accettabilità o meno della materia prima viene fatta, normalmente con un sistema di tests compiuti da persone che mettono a diposizione il loro naso per avvallare gli acquisti della materia prima e la messa in commercio dei prodotti. Normalmente sono valutazioni empiriche, soggettive e personali che lasciano ampi spazi di discussione su ciò che è un odore molesto e quello che può essere una fragranza. Tra il produttore di materia prima e il distributore di prodotti per la casa vige una costante incertezza tra cosa sarà vendibile in termini di materia prima e cosa sarà acquistabile dal cliente finale se l’odore dovesse essere percepito in modo diverso rispetto ai testers. E’ necessario, quindi, stabilire in modo scientifico ed analitico i gradienti degli odori e la loro provenienza chimica per stabilire, tra le parti, un range che tuteli sia la produzione ma anche la vendita finale dei prodotti per la casa. Oggi la tecnologia ci viene incontro attraverso una macchina da laboratorio che intercetta, in modo analitico, le sostanze odorose dei campioni liquidi, solidi o in polvere, restituendo una valutazione esatta dei componenti chimici presenti e delle loro quantità, confrontati con un archivio di 80.000 sostanze odorose. Il sistema di controllo è utile al produttore di materia prima, non solo alla fine del processo, attraverso l’analisi tecnica dei livelli odorosi dei granuli plastici che andrà a vendere, ma sarà molto utile anche per analizzare la materia prima d’ingresso, per classificare in modo esatto il suo comportamento nelle successive ricette. Il conoscere in modo certo l’apporto odoroso del rifiuto o del semilavorato in entrata, permette di gestire in modo più semplice le ricette che porteranno alla produzione di un granulo con i gradienti odorosi stabiliti. L’utilità della macchina è tangibile anche per chi acquista la materia prima e la trasforma in prodotti finali, in quanto ha la certezza di immettere nel circuito un granulo certificato dal punto dell’odore e può realizzare un controllo di qualità, dal punto di vista dell’impatto odoroso, sui prodotti che andrà a proporre al pubblico. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - post consumo - certificazione odoriVedi maggiori informazioni sul riciclo
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