Le scoperte nel campo chimico avviarono produzioni industriali in molti campi e con esse la necessità di riutilizzare i rifiutidi Marco ArezioLa rivoluzione chimica, che a partire dal 1700 interesserò le nazioni europee più progredite, pose in evidenza i primi problemi ambientali creati dagli scarti delle produzioni chimiche. Iniziò in quel periodo, insieme alle nuove scoperte, la ricerca di riutilizzo dei rifiuti prodotti dall’uomo. Il primo processo chimico industriale, in senso moderno, è stato quello inventato nel 1791, dal chimico francese Nicolas Leblanc (1742-1806), per la produzione del carbonato sodico in due passaggi. Leblanc ebbe, tuttavia, una vita lavorativa travagliata in quanto le sue ricerche furono finanziate inizialmente dal Duca di Orleans Filippo Egalité, con la speranza di poter vincere il premio messo in palio dall’Accademia delle Scienze Francesi per poter iniziare quindi una produzione industriale. Tuttavia nel 1793 il Duca venne giustiziato e i brevetti di Leblanc non furono riconosciuti validi, ricevendo anche la confisca dello stabilimento di produzione e il rifiuto del premio sperato. Nonostante Napoleone nel 1802 gli restituì la fabbrica, senza premio in denaro, Leblanc non ebbe le forze economiche per ripartire e nel 1806 di suicidò. La prima fase del processo di produzione del metodo Leblanc consisteva nel trattare il cloruro di sodio con acido solforico, il quale si formava in solfato di sodio, creando un rifiuto sotto forma di acido cloridrico gassoso, che per molto tempo fu rilasciato in atmosfera con gravi problemi verso le popolazioni che abitavano nelle vicinanze delle fabbriche e con la distruzione della vegetazione circostante. Il secondo passaggio consisteva nello scaldare il solfato di sodio con carbone e carbonato di calcio, miscela con la quale si otteneva il carbonato di sodio e il solfuro di calcio, poco solubile in acqua, che rappresentava il rifiuto solido del processo e veniva scartato costituendo mucchi all’aria aperta. Durante l’esposizione alle piogge, si liberava idrogeno solforato, gas nocivo e puzzolente. Gli abitanti iniziarono forme di protesta degne di nota contro l’inquinamento atmosferico, creando di fatto le prime contestazione ecologiche, che spinsero gli industriali della soda a cercare delle soluzioni al problema. In quell’occasione l’industria chimica scoprì che dai rifiuti era possibile recuperare qualcosa di utile e vendibile, infatti dall’acido cloridrico era possibile ottenere cloro, una merce che si capì che aveva un suo mercato finale e dal solfuro di calcio era possibile recuperare zolfo, che sarebbe stato vendibile alle fabbriche di acido solforico. Nel XIX° secolo, periodo in cui iniziò a fiorire l’industria pesante dell’acciaio, l’inventore francese Pierre Émile Martin (1824-1915) nel 1865 mise a punto un forno che poteva decarburare la ghisa su larga scala e poteva essere caricato con ghisa fusa ma anche con i rottami di ferro. Nel corso dell’Ottocento infatti, tali rottami si stavano accumulando a seguito della sostituzione dei vecchi macchinari con quelli nuovi, cosi questi rifiuti diventarono materie prime seconde, come le chiamiamo oggi. Il XX° secolo ha visto il progresso industriale crescere in modo continuo e vorticoso, passando da due guerre mondiali, una grande crisi economica-industriale, la conquista dello spazio, le nuove tecnologie, il benessere diffuso, la guerra fredda con la corsa alla creazione degli arsenali atomici, lo spostamento per lavoro e per turismo di grandi masse di persone attraverso l’industria aeronautica, lo sviluppo dei satelliti e le tecnologie legate alla comunicazione hanno alimentato un nuovo mercato di apparecchi, spinti anche dalla nuova intelligenza artificiale che ci fa comunicare attraverso i computers. Tutto questo progresso ha creato un numero crescente di rifiuti che nel passato erano abbandonati in modo superficiale nelle discariche, sulle quali venivano create graziose collinette cosparse di alberi, ma nel sottosuolo non ci si preoccupava di sapere se i rifiuti interrati continuassero a rilasciare i loro veleni. Si capì, più tardi, che molti rifiuti pericolosi continuavano a vivere e ad interagire negativamente con l’ambiente, per cui si iniziò a creare delle linee guide su come isolare le discariche da eventuali perdite di liquami tossici. Qualsiasi sforzo fatto per “nascondere” i rifiuti sembrava vano visto la continua crescita di merce dello scarto e, quindi, si iniziò a parlare di riciclo e termodistruzione. Se la strada di bruciare i rifiuti sembrava fosse comoda e “purificatrice”, ci si accorse ben presto che l’inquinamento espresso da un rifiuto solido pericoloso non sublimava con il fuoco, ma veniva solamente trasformato da solido in fumi, andando ad inquinare l’aria e, a cascata con le piogge, i terreni. Si dovette arrivare alle nuove generazioni di termovalorizzatori per risolvere questo problema ambientale e creando nello stesso modo energia elettrica rinnovabile. Il riciclo meccanico fu allora il solo mezzo per recuperare e riutilizzare i rifiuti che si accumulavano, ma ci volle molto tempo perché i governi e la popolazione capissero che si doveva iniziare con la raccolta differenziata e che l’industria aveva bisogno di normative precise per produrre arrecando i danni minori possibili all’ecosistema. Il futuro del riciclo si raggiungerà con l’integrazione tra processi meccanici, chimici, coadiuvati dalle energie rinnovabili.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - storiaImmagine: Vernet, Claude Joseph – Seaport by Moonlight – 1771
SCOPRI DI PIU'I polimeri plastici non solo sono ottimi isolanti elettrici ma possono essere anche conduttoridi Marco ArezioE’ universalmente risaputo che, normalmente, gli oggetti realizzati con i polimeri plastici sono degli ottimi isolanti elettrici, tanto che in presenza di apparecchi o accessori in cui vi sia la presenza di un passaggio di elettricità, possiamo facilmente trovare un elemento in plastica. Per isolamento elettrico di un corpo in plastica si intende la sua capacità, di ridurre drasticamente o bloccare completamente il passaggio di una corrente elettrica all’interno della sua massa, evitando il pericolo alle persone o alle cose. Per questo motivo troviamo molti oggetti come gli interruttori, cavi elettrici, impianti di illuminazione e circuiti stampati in cui vi è la presenza di elementi in plastica. Per determinare il grado di isolamento elettrico o la sua capacità di inibire il passaggio della corrente, si usa un parametro chiamato CTI (Comparative Tracking Index), ottenibile attraverso uno specifico test, che fornisce una valutazione della resistenza all’isolamento elettrico di un materiale alle scariche superficiali. Di contro, può anche essere necessario che questo flusso di corrente elettrica, che normalmente viene impedito dai materiali plastici, debba passare in modo controllato, attraverso il corpo polimerico, con lo scopo, per esempio, di ridurre le cariche elettrostatiche, per schermare parti in plastica dalle onde elettromagnetiche, per produrre elettrodi, diodi luminosi e molti altri prodotti. Per fare questo è necessario affidarsi a polimeri, che per loro natura o formulazione, possano permettere il passaggio di elettricità, mantenendo invariate le altre caratteristiche chimico-fisiche tipiche delle materie plastiche. Per creare o potenziare i compound termoplastici conduttori ci si affida a specifiche cariche o degli agenti di rinforzo che conducono l’elettricità, creando appunto, un polimero conduttore. Lo studio dei polimeri conduttori ha dovuto bilanciare, nel tempo, le caratteristiche di conducibilità elettrica con quelle di lavorabilità e produttività degli elementi, fattori che a volte erano in aperto contrasto tra loro. Infatti, i primi polimeri conduttori erano insolubili e fondevano con difficoltà, portando così la ricerca a trovare il giusto equilibrio tra solubilità, caratteristiche termiche di fusione e conducibilità elettrica. Il principio della conducibilità elettrica si basa sull’inserimento, nelle miscele, di donatori o accettori di elettroni, atomi o molecole, che cedono o accettano elettroni aumentandone notevolmente la mobilità. In virtù di questa elevata mobilità, si ritrovano dei singoli elettroni liberi, cioè non legati al corpo dell’atomo, che scivolando sulle molecole trasportando la carica elettrica. Un’altra caratteristica dei polimeri conduttori è l’elettroluminescenza, intesa come la capacità di emettere luce quando viene applicata una tensione elettrica, permettendo lo sviluppo di diodi organici che emettono luce, definiti OLED (Organic Light Emitting Dios). I principali polimeri conduttori sono: - Poliacetilene (PAC)- Polifenilene - Poliparafenilvinilene (PPV) - Polieteroaromatici - Polianilina (PANI) - Polifenilenammina - Polietilendiossitiofene (PEDT) - Polietilendiossitiofene – Polistirensolfanato (PEDT – PSS) - Polifenilensolfuro (PPS) - Polifenilenbutadine (PPB) - Poliparapirridina (PPYR) - Poliparapirridinvinilene (PPYV) - Polipirrolo (PPY) - Politiofene (PT) - Polifurano (PFU) - Polietilendiossitiofene (PEDT) - Poliacene Le applicazioni più comuni sono le seguenti: - Dotazioni antistatiche - Nastri per resistenze - Fusibili - Sensori - Batterie - Condensatori elettrolitici - Strati conduttori su vetro e plastica - Strati trasparenti antistatici su pellicole fotografiche, vetro, diodi luminosi Categoria: notizie - tecnica - polimeri conduttori - luminescenza
SCOPRI DI PIU'Riduzione dell’inquinamento, mitigazione delle ondate di calore, obbiettivi socialidi Marco ArezioChe le aree metropolitane stiano diventando sempre più un aggregato di popolazione crescente, nei numeri e nelle esigenze, è evidente in molti paesi del modo dove non si arresta l’incremento delle migrazioni interne verso le grandi città. I motivi che spingono le persone a muoversi sono principalmente economici, essendo la città un ambiente in cui le occasioni di trovare lavoro sono sicuramente più alte rispetto alle aree rurali. L’incremento massiccio della popolazione ha portato negli scorsi decenni ad una cementificazione “urgente” e smodata, sia dal punto di vista architettonico, che ambientale, che sociale, creando interi quartieri senza identità e senza un’anima, attraverso un’edilizia economica e con una spiccata essenzialità urbanistica. Questo modo di creare quartieri “dormitorio” ha creato disgregazione sociale, generazionale e una mancanza di integrazione tra il costruito e la natura. I bambini nati in questi contesti faticano a riconoscere un’alternativa ambientale ai palazzi, le strade asfaltate e ad ambiti diversi dai piccoli parchi di quartiere, se esistono. Inoltre, l’inquinamento crescente causato dal traffico veicolare, dal riscaldamento delle abitazioni e dalle conseguenze delle ondate di calore estivo, creano delle condizioni di vita non salubri e stressanti per la popolazione. Molte amministrazioni cittadine si sono convinte che il verde sia la chiave per lenire alcune problematiche legate all’inquinamento e, attraverso l’incremento della forestazione cittadina, la possibilità di creare condizioni di vita e una socialità più umana. Milano ha fatto suo questo obbiettivo, con il proposito di piantare tre milioni di alberi entro il 2030 e, attraverso questa operazione, riqualificare alcune aree per incrementare l’aggregazione sociale. La piantumazione ha anche lo scopo di inserire nel bilancio ambientale della città un elemento mitigatore degli inquinanti e del calore insistente, durante l’estate, sugli edifici meno preposti a difendere gli utenti da questo fenomeno in crescita. Parliamo soprattutto di edilizia scolastica, ospedali e centri per anziani, che riceveranno i primi interventi volti a rendere più vivibile l’ambiente cittadino. Il problema climatico nelle città tende ad acuire le disuguaglianze sociali, economiche e sanitarie, specialmente nelle periferie, dove la qualità delle costruzioni dal punto di vista dell’isolamento temo-acustico crea situazioni di disagio evidente. Inoltre gli alberi portano un aiuto nella lotta alle polveri sottili, al riscaldamento degli edifici con un risparmio nell’uso dei condizionatori. Milano ha messo in campo anche iniziative “green” attraverso la realizzazione di edifici, in cui il verde è parte integrante della loro struttura e attraverso l’organizzazione di eventi aperti a tutta la popolazione da vivere in nuove aree destinate ad un nuovo rapporto tra la popolazione cittadina e la natura. Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'La collaborazione tra produttori di polimeri riciclati e soffiatori di flaconi per una migliore qualità del prodottodi Marco ArezioOggi la produzione di flaconi di HDPE, utilizzando totalmente o solo in parte granuli da post consumo, è un'attività ampiamente utilizzata dai produttori, a causa dei prezzi delle materie prime, per una questione ambientale e di marketing. Ma l'utilizzo di granuli in HDPE da post consumo potrebbe causare alcuni inconvenienti produttivi, se non si rispettassero determinate regole durante la produzione e il soffiaggio dei granuli. I problemi più comuni sono: - fori sulla superficie dei flaconi - Irregolarità superficiali - Basso valore di compressione - Bassa resistenza alla saldatura - Odore di detergente del prodotto finale - Bassa resistenza alla compressione verticale - Elevato scarto durante la produzione, il soffiaggio e il test visivo Per evitare questi inconvenienti dobbiamo intervenire nella produzione dei granuli attraverso alcune fasi: - scelta del materiale in ingresso - selezione - lavaggio - selezione ottica dei granuli - corretta analisi degli odori attraverso il test della gascromatografia a mobilità ionica - corretta filtrazione in fase di estrusione - gestione termica del processo - creazioni di ricette in base alla resistenza meccanica richiesta - controllo dell’umidità durante le fasi di imballo - corretto stoccaggio del prodotto Inoltre vi sono alcune accortezze da seguire durante le fasi di soffiaggio e confezionamento: - verifica miscele polimeriche in base alla forma e alla dimensione del flacone - controllo della fase di estrusione del polimero in macchina - controllo delle temperature - tempi Parison - verifica dei punti di incollaggio ed eventualmente modifica della miscela riciclata - test sulla qualità delle superfici e identificazione dei problemi e delle cause - controllo della corrispondenza dei colori richiesti e modifica delle ricette - test sulla resistenza del flacone pieno e sotto carico ed eventuale soluzione dei problemi - controllo della trasparenza o semitrasparenza dei flaconi, se richiesto, con eventuale modifica delle ricette Come abbiamo detto, la produzione di flaconi in HDPE (polietilene ad alta densità) riciclato, derivante da materiale post-consumo, è diventata una prassi sempre più diffusa tra i produttori. Le motivazioni dietro questa scelta sono molteplici: dal risparmio economico derivante dall'uso di materie prime meno costose, agli innegabili vantaggi ambientali, fino all'impatto positivo in termini di immagine aziendale. Nonostante questi benefici, la trasformazione di HDPE riciclato in flaconi di qualità non è priva di sfide tecniche. Uno dei problemi principali riscontrati nella produzione di questi contenitori include la presenza di fori e irregolarità sulla superficie, che possono compromettere l'integrità del flacone. Questi difetti sono spesso causati da impurità non adeguatamente separate nel processo di riciclo o da una miscelazione non ottimale del materiale. Altri problemi comuni includono una bassa resistenza alla compressione e alla saldatura, problematiche che possono essere direttamente correlate alla degradazione del materiale durante le fasi di lavorazione e riciclo. Un'altra problematica importante è la gestione degli odori: i flaconi possono acquisire un odore di detergente, residuo delle sostanze chimiche utilizzate in precedenza nei contenitori, se il processo di lavaggio non è eseguito con la dovuta attenzione. Inoltre, la resistenza alla compressione verticale può risultare insufficiente, e lo scarto di produzione durante il soffiaggio e i test visivi può aumentare notevolmente se il processo non è attentamente monitorato e ottimizzato. Per affrontare questi problemi, è fondamentale un controllo rigoroso e metodico del processo di produzione. Inizia dalla selezione accurata del materiale di scarto, che deve essere il meno degradato e il più pulito possibile. Il lavaggio deve essere eseguito meticolosamente per eliminare tutte le impurità e i residui chimici, mentre la selezione ottica dei granuli consente di scartare quelli di qualità inferiore. È altrettanto importante l'analisi degli odori, per la quale si utilizza la gascromatografia a mobilità ionica, una tecnica che permette di identificare e quantificare le molecole responsabili degli odori indesiderati. Durante l'estrusione, una filtrazione efficace può rimuovere le ultime impurità, e una gestione attenta della temperatura impedisce ulteriori degradazioni del polimero. La creazione di ricette personalizzate in base alle resistenze meccaniche richieste dai diversi tipi di flaconi è un altro passo critico. La corretta gestione dell'umidità durante le fasi di imballaggio e un adeguato stoccaggio sono essenziali per mantenere la qualità del materiale fino alla sua trasformazione. Il soffiaggio e il confezionamento richiedono ulteriori accortezze: la verifica delle miscele polimeriche in base alla forma e alla dimensione del flacone è cruciale, come lo è il controllo delle temperature e dei tempi di estrusione. I test sulla qualità delle superfici e sulla resistenza del flacone pieno e sotto carico aiutano a identificare problemi e cause, permettendo interventi tempestivi. Infine, una stretta collaborazione tra i fornitori di granuli di HDPE riciclato e i produttori di flaconi è vitale. Questo rapporto consente di affinare continuamente la qualità del materiale riciclato e di anticipare problemi che potrebbero compromettere il prodotto finale. In conclusione, sebbene l'utilizzo di HDPE riciclato presenti sfide notevoli, con un attento monitoraggio e ottimizzazione dei processi, è possibile produrre flaconi non solo economicamente vantaggiosi ma anche di alta qualità, che rispondono alle esigenze del mercato e contribuiscono significativamente alla sostenibilità ambientale.
SCOPRI DI PIU'La piattaforma passa di mano in un’ottica di riorganizzazione della comunicazione tecnica PlastiCare, nata nel 2018 come portale specializzato nel mondo della plastica riciclata, ha allargato i propri orizzonti privilegiando la comunicazione su ambiente, economia circolare, energie rinnovabili e articoli tecnici. Nel corso degli ultimi due anni PlastiCare ha assunto un ruolo centrale nel proprio business nel campo della comunicazione e della formazione sul mondo del riciclo, mondo che contemplava aspetti informativi generali, tecnici, applicazioni, ricerca e progettualità. Il portale PlastiCare era nato, inizialmente, come portale di interscambio di offerte e richieste sui polimeri, macchine, stampi, servizi conto terzi, prodotti fatti in plastica riciclata e lavoro, basato su una piattaforma multilingue in cui i clienti postavano le loro offerte e richieste nelle 5 principali lingue (I, ENG, D, F, ESP) e chi leggeva i posts lo faceva nella loro lingua madre, così da ridurre le barriere linguistiche e facilitare i rapporti cliente/fornitore. Nel corso del tempo le attività di comunicazione hanno incrementato il valore del portale diventando, per qualità e argomenti, prioritarie nell’interesse dell’utenza, potendo contare su migliaia di iscritti che usufruivano degli articoli presenti sulla parte delle NEWS. Una specializzazione che ha coinvolto la struttura aziendale nella creazione giornaliera di argomenti e di approfondimenti per un’utenza sempre più attenta alla qualità dell’informazione e alla competenza settoriale. PlastiCare si è quindi creato un target di lettori quotidiani, che è risultato lontano da quello per cui il portale è stato fondato nel 2018, cambiando così l’indirizzo del business e gli obbiettivi iniziali, sviluppando un’informazione specifica nel settore dell’economia circolare, della plastica riciclata, dell’ambiente e delle energie rinnovabili in 154 paesi nel mondo. La decisione dei soci è stata quella di cedere l’attività ad una società di consulenza e comunicazione nel medesimo settore, in modo che dall’unione delle utenze delle rispettive società si potesse creare un bacino informativo maggiore e un mantenimento degli standard del servizio. La cessione di PlastiCare alla società di consulenza e comunicazione sull’economia circolare e sulla plastica riciclata Arezio Marco, ne ha garantito la continuità comunicativa richiesta dai clienti. Il portale verrà, nei prossimi mesi, integrato con il sito della società di consulenza Arezio Marco, che porterà avanti i servizi di comunicazione e di informazione tipici dell’attività di PlastiCare con i servizi di promozione come banner, newsletter e articoli sponsorizzati. Inoltre, attraverso rMIX, è possibile postare offerte e richieste in modo gratuito, inerenti il settore della plastica, legno, metalli, vetro, carta, gomma, tessuti, macchine, prodotti finiti, servizi e lavoro. Per ogni ulteriore informazione potete visitare il portale www.rmix.it.it o scrivete a info@rmix.itCategoria: notizie - plastica - economia circolare - PlastiCare
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