PLASTIMAGEN ® MEXICO Si stima che la domanda globale di prodotti in plastica continuerà ad aumentare, come risultato di uno sviluppo industriale dinamico, di nuovi standard di vita e di accesso ai beni di consumo più elevati da parte della popolazione. Pertanto, senza apportare cambiamenti profondi nel settore della della plastica, come l'economia circolare, la crescita della domanda si tradurrà in un aumento delle emissioni di carbonio derivanti dalla plastica.PLASTIMAGEN ® MEXICO presenta oltre 870 aziende che rappresentano oltre 1.600 marchi provenienti da più di 27 paesi, 14 padiglioni internazionali e il padiglione ANIPAC (l'Associazione nazionale delle industrie della plastica in Messico). Con più di 40.000 m2 di spazio espositivo PLASTIMAGEN ® MEXICO è la fiera della plastica più completa e importante dell'America Latina, un evento progettato per soddisfare le esigenze di oltre 28.000 visitatori che cercano soluzioni innovative per le loro aziende. PLASTIMAGEN ® MEXICO è la principale fiera del settore nella regione, dove i principali fornitori mondiali si riuniscono in un unico forum per fornire ai decisori chiave soluzioni all'avanguardia per: • Macchinari e attrezzature • Materie prime • Trasformazione di materie plastiche e prodotti in plastica • Servizi per l'industria della plastica Per maggiori informazioni è a disposizione il sito internet di PLASTIMAGEN ® MEXICO
SCOPRI DI PIU'Studi recenti hanno documentato uno tsunami avvenuto nel 365 d.C.di Marco ArezioL'ultimo catastrofico tsunami è avvenuto in Giappone nel 2011 quando un terremoto, unito ad un gigantesco maremoto ha colpito le coste Giapponesi e ha messo in pericolo la centrale nucleare di Dai-ichi.Considerato il più grave incidente nucleare dopo quello successo nel 1986 a Cernobyl, classificato al livello 7 della scala INES, è stato possibile per la presenza di onde alte 14 metri che si sono abbattute sulla centrale. Il terremoto che aveva preceduto lo tsunami aveva fatto spegnere automaticamente i reattori per una questione di sicurezza, i quali dovevano essere comunque alimentari dall'acqua di raffreddamento. Infatti, quando la corrente elettrica fu sospesa, entrarono in funzione i generatori di corrente diesel che garantirono i processi di raffreddamento dei reattori anche se spenti. Dopo 40 minuti dal terremoto arrivò lo tsunami, che superò le barriere appositamente posizionate ad un'altezza massima di 10 metri, permettendo quindi di essere scavalcate dal mare. L'acqua distrusse il sistema elettrico di emergenza tramite i generatori mandando in meltdown i reattori e successivamente si crearono 4 esplosioni a causa delle fughe di idrogeno. Il mondo sconcertato giudicò queste calamità frutto dei cambiamenti climatici che il nostro pianeta sta vivendo, che portano tsunami, piogge torrenziali, siccità, onde di calore e cicloni. Se in parte possiamo dire che la situazione climatica odierna è frutto anche di irresponsabili comportamenti dell'uomo, i fenomeni naturali estremi sono stati recentemente documentati anche in epoche non sospette come quello scoperto dalla Dott.ssa Polonia del CNR risalente al 365 d.C. Un deposito di sedimenti spesso fino a 25 metri, presente nel Mar Ionio, sembra essere il risultato di un forte tsunami avvenuto nel 365 d.C., originato a Creta e che ha coinvolto Calabria e Sicilia. Le caratteristiche di questo deposito hanno permesso di identificare altri due eventi più antichi avvenuti circa 15 e 40 mila anni fa. La ricerca coordinata dal Cnr-Ismar è stata pubblicata su Scientific Reports Uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Ismar) ha ricostruito le tracce di uno tsunami che circa 1600 anni fa ha colpito le coste del Mediterraneo, incluse Sicilia e Calabria meridionale. La ricerca riguarda un’area abissale nel Mar Ionio, tra l’Italia, la Grecia e l’Africa, dove un deposito di sedimenti marini che raggiunge i 25 metri di spessore è stato deposto in modo quasi istantaneo dalla forza catastrofica delle correnti indotte dall’onda di uno tsunami. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports. Il Mar Mediterraneo ospita due sistemi di subduzione lungo il limite tra le placche africana ed eurasiatica che hanno prodotto forti terremoti nel passato spesso associati a tsunami. “Sulla base di descrizioni storiche e dell’analisi dei sedimenti prelevati dai fondali del Mar Ionio, uno di questi eventi, avvenuto nel 365 d.C., ha interessato un'ampia area geografica incluse regioni distanti circa 800 km dalla zona sorgente che si trova a Creta”, spiega Alina Polonia del Cnr-Ismar. “I campioni di sedimento analizzati hanno permesso di verificare che il materiale che si trovava in condizioni di acqua molto bassa è stato strappato dalla zona costiera e depositato a 4000 metri di profondità. L'onda dello tsunami ha prodotto molteplici frane sottomarine lungo un fronte di migliaia di chilometri, dall’Italia meridionale alle coste africane. Le correnti hanno trascinato sedimenti costieri nelle profondità abissali anche in assenza di canyon, probabilmente attraverso flussi tabulari di grandi dimensioni. Questo ha permesso la deposizione di un volume straordinario di sedimenti di oltre 800 km3 in tutto il Mediterraneo orientale”. Processi molto simili sono stati descritti anche durante il mega-tsunami del 2011 che ha devastato le coste giapponesi. Le caratteristiche del deposito hanno permesso di identificare altri due eventi più antichi che rappresentano i predecessori di quello di Creta consentendo di acquisire elementi utili per una più corretta valutazione del rischio tsunamigenico sulle nostre coste. “Lo studio dimostra che uno tsunami può scaricare volumi significativi di sedimenti e carbonio organico nelle profondità oceaniche, influenzando così il ciclo geochimico globale e gli ecosistemi dei fondali marini”, conclude Polonia. “Capire come vengono prodotti i mega-tsunami, e dove sono più probabili, richiede una migliore comprensione dei processi sedimentari secondari come instabilità delle scarpate continentali, generazione di frane sottomarine e correnti di sessa in tutto il bacino”.
SCOPRI DI PIU'Durante lo sbarco in Normandia i paracadutisti Americani avevo la poliammide, un’arma in piùdi Marco ArezioDurante la seconda guerra mondiale l’uso dell’aviazione militare aveva compiuto passi da gigante rispetto alla guerra precedente, non solo per maneggevolezza dei nuovi bombardieri ed incursori, ma anche per la notevole distanza che potevano coprire nelle fasi operative. Inoltre si introdusse una nuova disciplina, quella dei paracadutisti, che potevano infiltrarsi dietro le linee nemiche per azioni di sabotaggio, salvataggio o di logistica, a tutto vantaggio delle teste di ponte della fanteria. I paracaduti, all’inizio, erano normalmente fatti in seta naturale che proveniva dalla Cina ma, dopo l’invasione Giapponese del 7 Luglio 1937, gli Americani dovettero trovare un nuovo materiale per i propri paracaduti. Fu cosi che chiesero alla Du Pont, azienda chimica di grande importanza negli Stati Uniti, di trovare una soluzione al problema, in modo che l’esercito potesse realizzare un milione di nuovi paracaduti per il D-DAY, l’invasione dell’Europa. La Du-Pont, fornì un nuovo polimero, la poliammide 6 e 12 con cui si realizzarono i nuovi paracaduti, creando subito una superiorità tecnica del prodotto rispetto a quello fatto in seta naturale. I responsabili dell’esercito Americano si accorsero subito che il paracadute fatto con la PA era decisamente più robusto agli strappi e alle lacerazioni, rispetto alla seta, cosa che durante gli atterraggi poteva facilmente capitare. Inoltre, la capacità dinamica di contenimento dell’aria era migliore, evitando rischi di rottura delle vele in volo, ma non solo, durante i lanci con brutto tempo, il paracadute fatto con la poliammide non si riempiva di acqua, appesantendo la vela quando si trattava di navigare in volo e raccogliere della stessa all’atterraggio. Era anche possibile che durante la discesa sul campo di battaglia il paracadute potesse essere colpito da proiettili, ma le forature di piccole dimensioni non laceravano il tessuto, permettendo al paracadutista di atterrare sul terreno. I paracadutisti della 82° divisione aviotrasportata, con i nuovi paracaduti in PA, furono impiegati anche in Nord Africa, nell’Aprile del 1943, sotto il comando del generale Ridgway, e successivamente il 9 Luglio dello stesso anno sbarcarono in Sicilia e il 13 Settembre 1943 a Salerno in Italia. L’efficacia dei paracadutisti Americani dotati delle vele in PA fu annotata anche dai comandanti tedeschi, che li soprannominavano “i diavoli dai pantaloni gonfi” in segno di rispetto per le loro capacità e superiorità tecnica.Categoria: notizie - tecnica - plastica - PA6 - storia
SCOPRI DI PIU'Porsi il problema di come trattenere le migliori risorse umane è indice di attenzione verso la propria aziendadi Marco ArezioIl mondo del lavoro si sa è sempre stato fluido, sia in situazioni di prosperità che di crisi, in quanto sono sempre le persone che traghettano le aziende, in qualsiasi condizione si trovi il mare, calmo o tempestoso. Se da un lato le professionalità meno qualificate o meno collaborative sono un po' in balia delle situazioni economiche interne ed esterne, quelle potenzialmente migliori possono essere una risorsa in qualsiasi condizione si possa trovare l’azienda. Ma i futuri leaders sono capricciosi, attenti alle dinamiche interne, ambiziosi, sono facilmente disposti a sgomitare, ma anche a sacrificarsi infondendo all’azienda spinte importanti. Sono sempre un po' irrequieti, giudicano e fanno paragoni, mettono sotto esame i collaboratori e i diretti superiori, possono essere fuori dagli schemi e assetati di sfide, sono dinamici e competitivi. Sono persone ricche di potenzialità, ma devono avere un contesto lavorativo che li comprenda, li faccia crescere, gli dia soddisfazioni e riconoscimenti, costantemente nel tempo, perché sono un po' narcisi. I managers da cui dipendono devono accorgersi delle loro potenzialità e devono saper valutare, caso per caso, i rischi di perderli, perché queste figure professionali cercano soddisfazioni nel mercato. Non tutte sono uguali e non tutte sono alla ricerca di affermazioni con la stessa intensità. C’è chi cerca la progressione del proprio stipendio come autocertificazione delle proprie qualità professionali, chi cerca maggiori responsabilità, chi cerca entrambi, chi un percorso di formazione manageriale di alto livello. Tutte aspettative che non si possono soddisfare sempre con il vecchio adagio dell’incremento di stipendio, in quanto non tutti lo mettono in cima alle proprie priorità, anzi direi che se un manager punta solo su quello può incorrere in diversi rischi. Come si sa, gli ambiziosi che rincorrono salari sempre più alti e ne fanno una priorità della loro vita lavorativa, difficilmente si accontentano, nel tempo, dei gradini che hanno raggiunto. Sono gli elementi più difficili da trattenere in quanto hanno, normalmente, un ego piuttosto importante e la soddisfazione del raggiungimento di un aumento, muore dopo poco tempo, in quanto l’aumento stesso certifica in loro il riconoscimento della “necessità” dell’azienda nel trattenerlo. Si possono sentire indispensabili e riconosciuti come elementi importanti e quindi ne possono fare una questione di continua trattativa con l’azienda, sondando anche il mercato per valutare quando o come richiedere il prossimo aumento. Le risorse umane che cercano maggiori responsabilità sono quelle che ricavano dal proprio lavoro una soddisfazione personale, alimentano la loro autostima nella consapevolezza del loro ruolo nella società. Si riconoscono utili, ma non per forza indispensabili, al progresso dell’azienda e considerano le loro competenze un collante nei rapporti con la società, ricercando all’interno della stessa, o sul mercato se non ve ne fossero le opportunità, posizioni di prestigio. Sono persone normalmente meno impulsive, più equilibrate, ma sempre ambiziose e necessitano di trovare quello che cercano, in un arco di tempo ragionevole, difficilmente barattano il loro futuro e, se delusi, sono disposti a rivolgersi al mercato. Esistono poi elementi che cercano uno sviluppo professionale legato al miglioramento delle competenze manageriali, che sono disposti a barattare delle affermazioni economiche nel breve-medio periodo con un percorso di formazione, anche internazionale, che possa diventare un biglietto da visita indiscutibile per il futuro. Anche queste sono figure professionali che si possono perdere facilmente se, assunti, non gli si offre un percorso di crescita di un livello importante, con il conseguente rischio di perderli in breve tempo. Come abbiamo visto le risorse umane da assumere o presenti in azienda hanno esigenze diverse e i managers, se vogliono trattenerli in azienda devono incominciare a capire come sono di carattere, quali siano le loro ambizioni e quali strade da prendere, per creare loro un clima di soddisfazione per trattenerli.
SCOPRI DI PIU'Invecchiamento e Degrado dei Polimeri Riciclatidi Marco ArezioSi parla spesso di degrado dei polimeri riciclati dovuti a fattori che riguardano le fasi di trasformazione e riciclo delle materie prime, con conseguenze negative sul prodotto finale.Meno si parla dei fenomeni di invecchiamento dei polimeri che riguardano quelli amorfi e la parte amorfa dei semicristallini, al di sotto della temperatura di transizione vetrosa. Mentre per l’invecchiamento le condizioni di temperatura possono incidere o recuperare uno stato ideale del polimero, il degrado è, di per sé, una questione più complessa perché riguarda, non solo i componenti della ricetta dei polimeri riciclati, ma anche i processi di impiego dei polimeri stessi. Non potendo analizzare i comportamenti di invecchiamento e degrado di tutte le composizioni delle plastiche riciclate, specialmente per quanto riguarda quelle che provengono dal post consumo, ci limitiamo a illustrare le cause principali che possono determinare i fattori sopra descritti. La Temperatura Se prendiamo la temperatura convenzionale a 20° possiamo dire che le variazioni, positive o negative della stessa, generano nel polimero modifiche significative sulle caratteristiche meccaniche e sui loro comportamenti, che da duttili possono trasformarsi in fragili. In particolare il degrado termico può essere chimico, con la determinazione delle rotture dei legami delle catene, o fisico, con variazioni comportamentali rispetto allo status in corrispondenza della temperatura di transizione vetrosa. Mentre il degrado fisico è sempre reversibile, per quello chimico si parla sempre di irreversibilità del fenomeno. Il degrado termico può essere espresso visivamente con l’ingiallimento del prodotto o nella perdita parziale del colore. Il Fuoco La maggior parte delle materie plastiche sono combustibili e quando vengono in contatto con alte temperature possono bruciare e sviluppare gas nocivi. Quando si realizzano i prodotti si deve tenere in considerazione il comportamento al fuoco che, oltre ad influire sulla stabilità del manufatto, può creare pericolosi fenomeni di tossicità. In alcuni materiali però la combustione è ritardata o addirittura inibita grazie alla presenza in essi di quantità significative di cloro (come nel PC) o di fluoro (come nel PTFE o ETFE). Rapido Raffreddamento Come abbiamo visto precedentemente un cambio repentino di temperatura può creare un invecchiamento nei polimeri. Per esempio, un raffreddamento troppo veloce in fase di produzione del manufatto, può creare nelle molecole una fase di disequilibrio rispetto allo stato neutro di partenza. Tuttavia, con il tempo, le macromolecole tendono a portarsi verso una condizione di equilibrio provocando però una leggera diminuzione di volume, l’aumento di rigidità e l’addensamento del materiale. I Solventi I polimeri come il PE, il PVC, il PTFE o l’ETFE, non si corrodono per via elettrochimica come i metalli, offrendo normalmente una buona resistenza agli acidi su base inorganica, ma possono reagire con solventi organici (ad esempio l’acetone) e talvolta con l’acqua (ad esempio il nylon). In questa situazione possiamo trovare come effetti negativi la rottura dei legami intermolecolari, la diminuzione del modulo elastico e il rigonfiamento dei materiali. Ossidazione La riduzione delle proprietà meccaniche può essere determinata anche dall’ossidazione: i radicali liberi provenienti dalla rottura di legami chimici delle catene fissano l’ossigeno. Particolarmente sensibile a questo tipo di degrado è il polipropilene. I raggi Ultravioletti L’azione dei raggi ultravioletti risulta dannosa nel lungo periodo, perché non solo deteriora l’aspetto del materiale decolorandolo o imbrunendolo, ma riduce anche le sue proprietà meccaniche. Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - polimeri - invecchiamento - degrado
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