Considerazioni sulla produzione e l’utilizzo del granulo in PO (PP/PE)di Marco ArezioI prodotti finiti non estetici, destinati prevalentemente al mercato dell'usa e getta, erano normalmente realizzati con compound di polipropilene, formati da una miscela di PP e PE (polipropilene + polietilene) provenienti dalla granulazione dei rifiuti della raccolta differenziata. Se consideriamo i bancali in plastica o i distanziatori per i ferri di armatura o le casse per ortofrutta, per fare solo alcuni esempi, il mix tra le due famiglie di polimeri ha permesso di produrre compound la cui percentuale di PP nella miscela poteva variare dal 30-40% al 60 -70%, a seconda della ricetta prevista. L'indice di fusione a 230°/2,16 kg. variava da 3 a 6 se il prodotto non aveva cariche minerali aggiunte. Le caratteristiche del granulo prodotto e, conseguentemente del manufatto finale, esprimono una buona prestazione per quanto riguarda la resistenza alla compressione ed una meno eccellente per quanto riguarda la resistenza alla flessione. Per quanto riguarda la capacità di ricevere i colori nella fase di estrusione del granulo o durante le fasi di stampaggio del prodotto finale, si può notare che la gamma dei colori medio-scuri sia quella più appropriata, anche in virtù del fatto che la base del semilavorato da post consumo da trasformare in granulo è solitamente grigio scura. Oggi il PO, che identifica la miscela poliolefinica proveniente dalla raccolta differenziata, ha assunto una composizione diversa rispetto al passato a causa delle maggiori performance degli impianti di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, che tendono a massimizzare il prelievo, dal mix PP/PE, della frazione di polipropilene. Questo succede perché la richiesta di polimeri sul mercato tende a privilegiare i composti singoli che siano essi di PP o di HDPE o di LDPE. La tendenza produttiva sopra descritta, comporta di dover lavorare su un mix PP/PE qualitativamente meno performante rispetto al passato, perché sono stati alterati gli equilibri tra le tre famiglie, PP, HD, e LD che costituivano il PO in passato. Inoltre, l'aumento della produzione sia del rifiuto da lavorare che della richiesta di un granulo da compound PP/PE, ha spinto alcuni impianti di trattamento rifiuti plastici ad accelerare la fase di lavaggio per recuperare produttività, diminuendo la qualità del densificato e del macinato necessari per produrre il granulo. Possiamo elencare alcune criticità della produzione dei compound PO: • aumento di LD% a scapito di HD nel mix poliolefinico • peggioramento della qualità del lavaggio in ingresso dovuto all'aumento dei volumi da trattare e alla diversa % di polimeri in ricetta • aumento della presenza di bioplastiche all'interno della frazione selezionata che dà problemi nella qualità del granulo • aumento dell'utilizzo sul mercato di imballaggi realizzati con plastiche miste che coinvolgono una percentuale maggiore di materiali multistrato, come alcune etichette, che difficilmente convivono con il PO tradizionale. Rispetto a questi cambiamenti nella composizione base del PO e della sua lavorazione, dovremo affrontare problematiche da gestire nella fase di produzione del granulo e nella fase di stampaggio, al fine di minimizzare gli impatti negativi della qualità di cui il granulo è composto. Per quanto riguarda la produzione, si dovrebbe intervenire: • sui tempi di lavaggio e di asciugatura del semilavorato • sulla dimensione delle vasche di lavaggio • sulla gestione dell'acqua (pulizia e ricambio) • sulla ricetta del composto PO per granulazione • sulla filtrazione Per quanto riguarda la fase di stampaggio, si dovrebbe intervenire: • sulle temperature della macchina • sulla fase di essiccazione del granulo • sulla verifica del raffreddamento dello stampo L'intervento tecnico su queste criticità porta ai seguenti miglioramenti: • maggiore resistenza alla flessione del prodotto finale • miglioramento delle superfici estetiche con riduzione o scomparsa delle sfiammature sul prodotto finito • miglioramento dell'omogeneità del colore • riduzione del cattivo odore del granulo e del prodotto finito • aumento della durata delle viti e dei cilindri in fase di granulazione e negli stampi ad iniezione • luoghi di lavoro più salubri durante le fasi di fusione della plastica
SCOPRI DI PIU'I musicisti, la musica e la filantropia musicale nella storia recentedi Marco ArezioPossiamo essere giovani o vecchi, di destra o di sinistra, filo musicali o anarchici dei suoni, classici o rock, freddi o partecipativi, ottimisti o pessimisti ma, se sentiamo la parola Woodstock credo che ci siano poche persone che chiedano: cos’è? Perché l’impegno dei musicisti verso le cause sociali iniziò proprio da quel concerto, nell’Agosto del 1969, nella cittadina Americana di Bethel dove si riunirono per tre giorni circa 400.00 giovani, c’è chi dice fino a 1 milione, richiamati da 32 musicisti che si sarebbero esibiti a rotazione. Erano gli idoli delle nuove generazioni: Joan Beaz, Santana, The Who, Neil Young, Grateful Dead, Jimi Hendrix solo per citarne alcuni che, attraverso un concerto oceanico, volevano protestare contro la segregazione razziale, la guerra in Vietnam e contro il sistema capitalista Americano. Woodstock fu certamente uno spartiacque storico, ma anche sociale dove nulla, dal punto di vista della comunicazione musicale, fu come prima e dove la gente si divise tra chi era pro o contro il sistema Woodstock. Chi vedeva in questa mobilitazione il mezzo per rompere i rigidi schemi morali dell’epoca, utilizzando un nuovo mezzo di comunicazione musicale, facendo trionfare apertamente la cultura Hippy, nonostante qualche eccesso, e dall’altra parte chi vedeva in questi rumorosi assembramenti di giovani un decadimento morale della società. Ma ormai il seme era stato gettato in un terreno fertile, così il 13 Luglio del 1985 venne organizzato un altro evento mondiale, il Live Aid, con la creazione di due palchi, uno a Philadelphia e l’altro a Londra, collegati in diretta mondiale attraverso la televisione. Era l’occasione per raccogliere fondi a favore dell’Etiopia che fù colpita da una tremenda carestia. La qualità degli artisti che si esibirono fu di grandissimo livello: i Queen, con Freddy Mercury che ipnotizò la platea, gli U2, David Bowie, i Led Zeppelin, Tina Turner, Madonna, Bob Dylan, i Rolling Stones e tanti altri. Il concerto fu visto in televisione da oltre un miliardo e mezzo di persone, raccogliendo 70 milioni di dollari, dimostrando che la musica era diventata a tutti gli effetti un fenomeno mediatico che poteva muovere le coscienze e avere un peso sociale da tenere in considerazione. Anche in questo caso ci furono polemiche, tra chi ne apprezzava la nuova forza dirompente di una espressione che veniva dalla gente, e chi vedeva in queste manifestazioni una vetrina narcisista degli artisti. Polemiche rinfocolate dopo che una parte dei fondi destinati all’Etiopia furono rubati da Mengistu Haile Mariam. Il modello Live Aid si ripropose in altri concerti tra il 1996 e il 2001 per la causa dell’indipendenza del Tibet. Le problematiche sociali nel corso degli anni e i concerti benefici si moltiplicarono, ricordiamo il concerto nel 2001 “a Tribute to Heros” che voleva ricordare i caduti delle Torri Gemelle a New York, dove i cantanti si esibirono su un palco spoglio, adornato solo di candele in ricordo delle vittime. Possiamo ricordare anche il concerto organizzato da George Clooney “Hope for Haiti” a seguito del devastante terremoto che colpì l’isola e trasmesso da Mtv. Non solo il Rock scorreva nelle vene dei cantanti che negli anni si sono trasformati in filantropi musicali, ma si cimentarono anche personaggi di primissimo livello come Pavarotti, che organizzò vari “Pavarotti and Friends”. Pavarotti, nel corso degli anni riunì molti personaggi famosi per diverse iniziative: il sostegno ai bambini bosniaci, la lotta alla talassemia, alle popolazioni Afghane e molte altre. Oggi, dove il problema dei cambiamenti climatici è di grande attualità, i musicisti vogliono testimoniare la loro preoccupazione e il loro sostegno alla causa ambientalista. Per esempio i Coldplay hanno deciso di interrompere tutti i concerti dal vivo finchè non si potesse trovare una soluzione per suonare ad impatto 0. Altri cantanti come Michael Stipe, ex R.E.M, ha diffuso in rete una nuova canzone “Drive To The Ocean” i cui proventi andranno all’associazione “Pathway To Paris”, associazione che riunisce diversi artisti che si battono per diffondere l’accordo sulla riduzione delle emissioni di CO2 deciso a Parigi. Non è possibile citare tutte le iniziative per l’ambiente che i musicisti stanno sostenendo oggi, ed è per questa impossibilità data dai numeri che fa capire il movimento musicale è sempre in prima linea a fianco delle cause che stanno a cuore alla gente.Vedi maggiori informazioni
SCOPRI DI PIU'Come scegliere e produrre una membrana bugnata performante con un granulo in HDPE riciclatodi Marco ArezioLa funzione delle membrane bugnate protettive, in HDPE riciclato nel campo dell’impermeabilizzazione edilizia è conosciuta da molti anni anche se probabilmente non tutti conoscono le molteplici opportunità di utilizzo di questo utile elemento separatore-protettore-impermeabilizzante. Le membrane si dividono: Per conformazione geometrica delle bugne Per altezza delle stesse rispetto alla suolaPer spessore della suola Per grammatura al metro quadratoPer resistenza meccanica a compressione e a trazionePer gli eventuali accoppiati che si possono installare in fase di produzioneTessuti non tessuti in poliestereTessuti non tessuti in polipropileneTessuti in polietilene reticolatoReti porta intonacoFogli lisci in PE di scorrimento Per utilizzo in edilizia Non ci soffermeremo in questa sede sui vari utilizzi ai quali la membrana si presta per migliorare tecnicamente il lavoro, ma su aspetti legati alle materie prime che vengono utilizzate per la produzione del manufatto e al risvolto qualitativo dello stesso, producendo il prodotto con macchine da estrusione a testa piana. In passato si producevano membrane bugnate standard, di comune utilizzo, da 600 grammi al mq. utilizzando resina in HDPE vergine che dava prestazioni tecniche costanti e qualità fisica del prodotto eccellente. Verso la fine degli anni 90 e gli inizi degli anni 2000, la forte crescita della domanda del prodotto ha spinto l’incremento dell’offerta sul mercato con conseguente tensione sui prezzi, spingendo i produttori ad un uso massiccio e quasi esclusivo di granuli in HDPE rigenerati per la produzione. Parallelamente, sempre nell’ottica di una accresciuta conflittualità dei prezzi, si sono offerte membrane bugnate con grammature al mq. da 500-450 e 400. La riduzione di grammatura e l’utilizzo di granuli rigenerati può portare ad una performance meccanica decisamente sotto le attese relativamente agli impieghi per cui i progettisti li hanno prescritte. Per ovviare a questo duplice problema, in relazione alle materie prime da impiegare nella produzione, si deve fare attenzione ad alcuni punti basilari: • L’input normalmente usato è composto da bottiglie e flaconi in HDPE proveniente dalla raccolta differenziata nei quali si trovano tappi in PP che ha un comportamento peggiorativo nella qualità della membrana. Una % di PP elevata porta ad una marcata fragilità del manufatto, specialmente in fase di resistenza all’ancoraggio nella fase di re-interro del piano di fondazione. La riduzione delle % di PP si risolvono attraverso l’uso di macchine separatrici a lettura ottica. • La fase di lavaggio del macinato proveniente dai flaconi di HDPE è importante in quanto il permanere di piccoli residui rigidi nello stesso, in quantità elevate, potrebbero non essere fermati completamente dai filtri in fase di estrusione e quindi essere inglobati nei granuli che, impiegati per la produzione di membrane con spessori di 0,4-0,5 mm., potrebbero facilitare la formazione di buchi sulla superficie del prodotto con la conseguenza di una perdita di impermeabilità e resistenza alla trazione. Quindi un buon lavaggio per decantazione e a rotazione, unito alla scelta di filtri e cambia-filtri in continuo, aiuta ad avere un granulo pulito. • L’utilizzo di cariche minerali per aumentare la resistenza meccanica delle bugne, riducendo l’impiego, in peso, del polimero in HDPE, al fine di ridurre il costo della materia prima, può essere virtuoso fino ad una soglia, conosciuta, oltre la quale il prodotto aumenta in modo importante la fragilità e la vetrosità riducendo le caratteristiche meccaniche richieste.In relazione all’impiego nelle opere edili della membrane bugnate si elencano alcuni fattori fondamentali: • Per la posa verticale come la protezione della guaina impermeabile e per la funzione di drenaggio verticale in fondazione, si richiede principalmente una resistenza a trazione rispetto a compressione • Per la posa orizzontale come gli stati separatori nei pavimenti è preminente la resistenza meccanica verticale • Per la posa di membrane con rete porta intonaco per la deumidificazione dei muri è preminente la qualità di resistenza a trazione della membrana rispetto ai tasselli di chiodatura • Per gli strati separatori e drenanti nelle gallerie e tunnel sono necessarie sia una buona resistenza meccanica che di trazione • Per la posa di membrane per l’isolamento acustico la sollecitazione meccanica è molto contenuta nelle abitazioni civili. Con questi punti non si vuole esaurire l informativa, sia gli impieghi, che sono innumerevoli ma che per questione di spazio non si possono trattare in questa sede, sia per i risvolti produttivi nei quali si devono anche considerare l’impatto della qualità delle membrane in relazione ai parametri macchina relativi all’estrusione.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - membrane bugnate - edilizia
SCOPRI DI PIU'L’alpinista è prima di tutto un fautore della conservazione integrale dell’ambiente. Chi sono questi “signori”? di Marco ArezioI Cinesi sono stati impegnati in una campagna di pulitura dei campi base dell’Everest dove una discarica faceva compagnia alle maestose pareti. Hanno raccolto 8,5 tonnellate di rifiuti lasciati sul posto dalle spedizioni commerciali, turisti alpini improvvisati, che si arrogano il diritto di violentare la natura per il solo fatto che hanno pagato per poter dire: c’ero anch’io. Si è molto parlato dei mari invasi dai rifiuti che vengono abbandonati dall’uomo sulle spiagge, dalle navi, nei fiumi e che arrivano tutti nei mari e negli oceani. Ci siamo molte volte indignati nel vedere le tartarughe impigliate nelle reti abbandonate, nelle plastiche trovate negli stomaci dei pesci, nel tappeto di microplastiche che galleggiano, formando isole infernali. Ma poco si è parlato di un altro ecosistema sottoposto alla violenza e all’inquinamento: le montagne e in particolare le catena Himalayana, che viene percorsa ogni anno da un’orda di spedizioni commerciali che vengono organizzate per portare aspiranti alpinisti in vetta agli 8000. Queste spedizioni reclutano un numero sempre più consistente di partecipanti assicurando loro vitto e alloggio, trasporto dei pesi, il tracciamento della via verso la vetta, attrezzando tutta la salita e assistendoli con un “rinforzo” di ossigeno quando cominciano ad ansimare. La velocità delle spedizioni, data anche dalle finestre di tempo stabile, dai permessi concessi per salire le montagne, dalla convivenza degli spazi con altre spedizioni e dal reclutamento di nuovi partecipanti per nuove salite, ha comportato, negli anni, l’abbandono continuo di rifiuti di tutte le tipologie, da quelli umani a quelli tecnici a quelli di supporto logistico. I cinesi, che sono coinvolti per le salite dal loro versante, si sono posti il problema ambientale dei campi base ai piedi delle montagne. Hanno organizzato un gruppo di raccolta della spazzatura abbandonata che ha portato a valle 8,5 tonnellate di rifiuti. Di questa quantità 5,2 tonnellate erano rifiuti domestici, mentre 2,3 erano rappresentate da feci umane. Anche il Nepal e l’India si stanno ponendo il problema dell’inquinamento crescente nelle zone di alta quota, ma fanno fatica a rinunciare ai fiorenti compensi che derivano dai permessi delle scalate. Il Nepal ha imposto una cauzione di 4000 dollari, per spedizione, se i partecipanti non riportano a valle almeno 8 Kg. di rifiuti a testa, ma sinceramente, sono solo palliativi, in quanto il costo globale di una spedizione commerciale può assorbire senza il minimo trauma questa multa. Forse, a questo punto ci dobbiamo chiedere se la montagna deve essere per forza accessibile a tutti, con tutti i mezzi e, inoltre, chi è un alpinista? Le aree di alta quota sono state tra l’inizio degli anni 70 e la fine degli anni 80 del secolo scorso, il campo d’azione delle aspirazioni dei giovani alpinisti di allora, che sperimentavano, dopo l’epoca degli anni 50 e 60 fatto di un alpinismo “militare” e massicciamente organizzato, un confronto leale con la montagna e le sue estreme difficoltà, senza l’uso di centinaia di portatori, senza l’uso dell’ossigeno e senza l’uso di alpinisti che attrezzavano la salita a chi sarebbe andato in vetta. Si era sviluppato un alpinismo che rispettava le montagne, dove la misurazione dei propri limiti era leale e l’ambiente solitario e intonso, creava un nuovo mondo, fatto di riscatto personale e venerazione per le ultime aree sfuggite alla manipolazione umana. L’8 maggio 1978 Reinhold Messner e Peter Habeler hanno incarnato le speranze del nuovo alpinismo ecologista, raggiungendo la vetta dell’Everest senza ossigeno e con una spedizione leggera. “Ci dicevano che eravamo matti con tendenze suicide – ha ricordato in un’intervista all’Ansa Messner – con la nostra impresa abbiamo smentito la scienza, che sosteneva che oltre gli 8.500 metri fosse impossibile resistere, che saremmo di certo morti. Noi, invece, siamo saliti a quasi 8.900 metri, per poi scendere al campo base sani e salvi“ Messner continuò il suo alpinismo alla ricerca dei suoi limiti fisici e psicologici riuscendo, per primo, a salire tutte le vette oltre gli 8 mila, portando nel mondo un messaggio chiaro: con la montagna non si deve barare, la sfida è tra te e l’ambiente naturale, senza aiuti esterni. Le montagne in quota dovrebbero essere come le riserve naturali marine, chiuse al pubblico pagante, e accessibili solo ad esperti che ne ripettino la storia, l’ambiente e si preoccupino del loro futuro. Approfondisci l'argomento
SCOPRI DI PIU'A volte il capitalismo e l’imprenditoria privata non sono le risposte più adatte alla collettivitàdi Marco ArezioLa raccolta differenziata, nell’ambito delle linee guida sull’economia circolare, è un processo che in molti paesi ha assunto una chiave strettamente imprenditoriale, con una commistione tra pubblico e privato, allo scopo di trarre il massimo profitto possibile. Oggi questo sistema fa intravedere delle crepe evidenti. Da quando è stato istituito l’obbligo della raccolta differenziata, le famiglie e le imprese hanno imparato il valore (e l’onere) della responsabilizzazione ambientale tramite il lavoro di separazione grossolana dei rifiuti domestici. Un passo fondamentale che ha permesso l’avvio della separazione meccanica industriale dei rifiuti e la creazione di una nuova materia prima che potesse essere reimpiegata nell’industria per creare nuovi articoli senza l’impiego di materie prime vergini. Fino ad allora i rifiuti, non separati, venivamo conferiti in discarica o andavano all’incenerimento, perdendo preziosa materia prima, aumentando in maniera esponenziale l’inquinamento e non ricavando nessun vantaggio dalla combustione del rifiuto. Nel corso degli anni, si è affinata tutta la filiera del riciclo che riguardava la raccolta, la separazione, la vendita del rifiuto separato, la trasformazione in materia prima e l’impiego della stessa nelle produzioni di articoli di consumo. Il riciclo meccanico ha fatto così grossi passi avanti nelle tecnologie di separazione, di lavaggio, di triturazione e di granulazione, potendo incrementare i volumi complessivi, migliorare la qualità del rifiuto trasformato, ridurre lo scarto di quelli non separabili, trovare nuove vie di utilizzo della frazione non riciclabile come per esempio la creazione di energia elettrica tramite i termovalorizzatori e creare nuove materie prime più performanti. Il paradigma del business industriale vede, normalmente, negli enti statali preposti, la responsabilità della raccolta del rifiuto e la sua separazione per famiglie di prodotti, attraverso appalti con aziende private e la gestione della vendita, principalmente tramite aste, del materiale separato ed imballato. L’asta ha lo scopo di trarre il massimo profitto possibile dal rifiuto in vendita, il cui ricavato serve a finanziare a cascata le organizzazioni comunali che appaltano a privati la raccolta fisica dei rifiuti casa per casa. Una volta finita l’asta, i trasformatori che hanno partecipato, trasferiranno i rifiuti selezionati nei loro stabilimenti per trasformarli in materia prima. La cessione dei rifiuti selezionati da una struttura pubblica ad un’impresa privata permette l’inizio del business di trasformazione e vendita sul mercato della materia prima riciclata. Questo sodalizio apparente tra pubblico e privato rappresenta, a grandi linee, la colonna portante del sistema del riciclo dei prodotti provenienti dalla raccolta differenziata, soprattutto nel settore della plastica, assicurando lo svolgimento di un compito sociale che riguarda l’igiene pubblica e la sostenibilità ambientale e di un compito imprenditoriale che è quello di ricavare valore economico dall’attività connessa ai rifiuti. Nel corso degli anni questo matrimonio ha mostrato molte volte le sue debolezze e le sue contraddizioni, quando per esempio la parte pubblica operava in modo che le aste dei rifiuti potessero salire liberamente a dei prezzi talmente alti da non permettere agli acquirenti di avere una corretta remunerazione sull’attività di impresa. Oppure l’accesso al libero mercato internazionale dell’acquisto dei rifiuti, indebolendo molte volte l’industria di trasformazione nazionale, mettendo in competizione operatori privati di diverse nazioni i quali lavoravano con costi di produzione differenti. Logiche, queste, tipicamente da impresa privata di un soggetto a vocazione sociale che mal si conciliava con lo scopo e il principio generale dell’economia circolare. Oggi, questo matrimonio è entrato in crisi in quanto ha scoperto alcune inefficienze del sistema di cui si è sempre parlato, in particolare l’incentivazione o l’obbligatorietà dell’uso della materia prima riciclata per dare compimento alla circolarità del processo. Con il costo del greggio a livelli così bassi e la crescente richiesta da parte dei consumatori di prodotti più green, il costo delle materie prime vergini hanno raggiunto ribassi molto forti, nel tentativo di recuperare mercato a discapito di quelle riciclate. Se la situazione dovesse perdurare il sistema del riciclo può rallentare o fermarsi, come sta già succedendo nel settore della carta, in quanto l’anello finale della catena del riciclo, i produttori di materie prime riciclate, non avranno margini economici per competere con i prezzi delle materie prima vergini. Quindi, facendo il percorso a ritroso si può facilmente intuire come i riciclatori diminuiranno gli acquisti alle aste dei rifiuti e gli enti preposti alla raccolta domiciliare non potranno continuare a garantirla perché andranno in over stock. Se consideriamo la circolarità dei rifiuti come un’attività imprenditoriale possiamo dire che questo problema fa parte delle logiche di mercato, ma se la consideriamo un impegno sociale e morale nei confronti della popolazione contribuente, così strutturato il business non può funzionare. La gestione dei rifiuti dovrebbe essere un servizio pubblico, come l’istruzione, la sanità o la sicurezza in modo che la filiera possa produrre dei profitti o la copertura dei costi di servizio, ma possa anche garantire l’efficacia dell’economia circolare in presenza di oscillazioni importanti di mercato attraverso investimenti pubblici. La filiera a valle della raccolta dovrebbe avere la giusta remunerazione del lavoro svolto, accedendo all’acquisto dei rifiuti selezionati in una logica di continuità dei prezzi, escludendo le aste al rialzo che creano debolezze del sistema di trasformazione e mettono in pericolo la filiera.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiutiVedi maggiori informazioni sul riciclo
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