Pratiche di marketing per costruire informazioni ingannevoli od omissive sui prodotti di Marco ArezioIl Greenwashing è il marketing mirato alla costruzione di un’immagine vicino alle aspettative del cliente, in fatto di ambiente, sostenibilità e riciclabilità, che attribuisce al prodotto o al servizio, valori che in realtà non ha. La storia di questa parola, Greenwashing, nasce negli Stati negli anni 60 del secolo scorso quando iniziò il dibattito pubblico in merito all’ecologia e ad una vita più in sintonia con la natura. In quel periodo alcune aziende, cavalcando l’onda ecologista, si diedero in modo artefatto, un’immagine green senza comunque modificare processi e prodotti. L’espero pubblicitario Jerry Mander definì questa pratica come “ecopornografia” in quanto riteneva esserci una similitudine di comportamenti, nei confronti delle persone, tra ciò che si proponeva rispetto a ciò che in realtà veniva offerto. Ma fu a partire dagli anni novanta che, all’interno delle politiche e delle strategie di marketing, si affermò l’uso di una comunicazione che, talvolta, era meno veritiera ed esaustiva sul al prodotto o servizio stesso, ma più mirata a far apparire ciò che si voleva offrire vicino a ciò che la gente si sarebbe aspettata di ricevere. Il greenwashing non è stato applicato solo all’industria o al commercio, ma se ne è impossessato anche la politica, attraverso slogan e marchi che, per esempio, raffigurassero la tutela dell’ambiente, del lavoro, della sicurezza o di altri messaggi. A partire dal 2012 la FederalTrade Commission ha emanato negli Stati Uniti precise norme a tutela dei consumatori, nel tentativo di prevenire queste pratiche di marketing scorrette. In Italia, per esempio, l’antitrust ha sanzionato l’Eni con una multa di 5 milioni per la promozione pubblicitaria, ritenuta ingannevole ed omissiva, sulle qualità bio, presunte, del proprio carburante EniDiesel+. Le pratiche di greenwashing sono numerose e rivolte a canali differenti, acquisendo appellativi differenti: Greenwashing: indica una strategia di alcune imprese, organizzazioni o istituzioni politiche che mirano a costruire un’immagine diversa da quella che è in realtà, incline alla tutela per l’ambiente, seguendo le esigenze della gente a cui si rivolge. Pinkwashing: indica una comunicazione che tende ad ammaliare un pubblico femminile lanciando un messaggio quale l’emancipazione femminile, distogliendo l’attenzione del consumatore sulle qualità dei prodotti stressi. Genderwashing: indica una comunicazione che tende a coinvolgere il pubblico maschile con chiari riferimenti all’abbattimento di differenze di genere, allontanando il consumatore sul giudizio del prodotto stesso. Raibowwashing: indica una comunicazione che tende a proporre prodotti sostanzialmente simili alla concorrenza sui quali vengono esercitati messaggi forti che mettono in secondo piano il prodotto stesso. Nel campo del packaging un esempio lo possiamo vedere sul marketing dei flaconi del detersivo, molti ancora fatti con HDPE vergine, negli ultimi tempi abbiamo visto comparire sulle etichette parole come “riciclabile” o “green” quando il flacone è sempre fatto con materie prime da fonti fossili e non usando materiali riciclati. Ovviamente il flacone è riciclabile, ma lo era anche prima, quindi il messaggio è un greenwashing. Tuttavia, queste pratiche, in generale, non sono applicabili solo a ai prodotti o ai messaggi politici, ma trova largo impiego anche nelle comunicazioni societarie, in cui i numeri, i valori e l’immagine dell’azienda, per esempio, di carattere ambientale, potrebbe incidere sul valore della società stessa. Crearsi un’immagine “green” in modo artificioso, vicino a ciò che il cliente richiede, ha grandi impatti sui consumatori, sugli azionisti e sul mercato.Vedi maggiori informazioni sul greenwashing
SCOPRI DI PIU'Come influisce la scelta del pallet in legno o in plastica in un magazzino a bassa o bassissima rotazionedi Marco ArezioIl manager della logistica aziendale ha ben presente i flussi dei materiali che arrivano dalla produzione o dai fornitori, e i tempi di sosta nei propri magazzini prima che vengano venduti.Conoscere il movimento delle merci in un magazzino non è fondamentale solo per l’ufficio acquisti, per programmare l’ingresso delle materie prime o dei semilavorati o dei materiali commercializzati, ma diventa importante anche per l’ufficio commerciale, per sapere quale prodotto è in pronto per la vendita e in quanto tempo il cliente potrà ricevere ciò che ha comprato. Inoltre, l’ufficio amministrativo vede i flussi di magazzino trasformati in liquidità circolante o non circolante, con conseguenza sugli impegni finanziari dell’azienda. Molte cose girano intorno alla logistica di un’azienda e la velocità di rotazione del magazzino implica alcune considerazioni importanti per chi si occupa di questa attività. Oggi vorrei analizzare un aspetto che riguarda la durabilità degli imballi dei prodotti in un magazzino a bassa e bassissima rotazione, specialmente per quelle aziende che devono produrre ampi stocks di merce, secondo campagne stabilite o per determinati impegni sugli impianti o per avere una gamma di prodotti disponibili molto ampia. Non potendo generalizzare, considerando la grandissima quantità di articoli imballati diversi tra loro, prendiamo in considerazione un bene durevole, contenuto in un Big Bag su bancale in legno. Supponiamo, inoltre, che il materiale prodotto o acquistato venga depositato in un’area esterna, non coperta, esposto agli agenti atmosferici. Per motivi economici spesso si prendono in considerazione i bancali in legno, nuovi o usati, per depositare in magazzino i big bags con la merce da vendere, senza preoccuparci troppo dell’origine del legno e della sua situazione fitosanitaria, a meno che non venga espressamente richiesta per spedizioni in determinati paesi. In un magazzino a media od alta rotazione, la qualità del legno che compone il bancale è normalmente controllata principalmente per una questione di resistenza meccanica del bancale. Si controlla la robustezza a discapito della durata, in quanto, in questa condizione di magazzino, è un parametro non totalmente necessario. Se, invece, il magazzino ha una bassa o bassissima rotazione delle merci, la durabilità del bancale in legno diventa un aspetto da controllare attentamente. Infatti, la permanenza dei pallets in magazzino, non solo sono soggetti agli agenti atmosferici, ma può succedere di dover anche considerare la presenza di funghi, batteri o insetti che potrebbero vivere all’interno del bancale, riducendone la qualità. Soprattutto è da tenere presente la dimensione del magazzino, espresso in numero di bancali depositati e la permanenza degli stessi nel tempo. Maggiori saranno questi due numeri e maggiori saranno i rischi sulla durabilità del legno. I bancali in legno sono soggetti all’attacco di numerosi elementi che tendono a nutrirsi del legno stesso, o a colonizzare la struttura con il pericolo di infettare i pallets ancora sani. I più comuni organismi e parassiti che possiamo incontrare sono: Lictidi Bostrichidi Buprestidi Nematodi Curculionidi Anobidi Siricidi Cerambicidi Edemeridi Isoptera Scolitidi L’acquisto di pallets non trattati dal punto di vista fitosanitario, comporta il rischio, con il tempo, di rendere possibile una contaminazione generale del magazzino, con un possibile aumento dei costi di stoccaggio e movimentazione per l’eventuale sostituzione dei bancali ammalorati, senza contare la probabilità di non poter garantire la stabilità del big bags al momento della sostituzione. Il problema si può risolvere acquistando, sempre, bancali a cui è stato effettuato il trattamento fitosanitario termico, o chimico (a spruzzo, ad immersione o a pressione), o la fumigazione o altri interventi previsti dalla certificazione IPPC. Se l’acquisto di bancali trattati dal punto di vista fitosanitario aiuta ad aumentare la loro durabilità rispetto ai parassiti e gli insetti, c’è anche da considerare la variabile della pioggia, della rugiada, del gelo o di tutte quelle condizioni atmosferiche che permettono al bancale in legno di assorbire l’acqua. In questi casi, in un magazzino a bassa o bassissima rotazione, può essere consigliabile prendere in considerazione un bancale di plastica, che non è soggetto alle problematiche meteorologiche, escludendo il gelo e il sole. Per ovviare a questi due inconvenienti è importante informarsi sulla qualità della plastica utilizzata per iniettare il bancale, che dovrà avere una sufficiente elasticità, oltre che una buona resistenza alla compressione e flessione. Inoltre, per questo tipo di magazzino, è consigliabile acquistare bancali in plastica che contengano un master anti U.V. di almeno 12 mesi, che si può ottenere inserendo, durante la produzione, specifici additivi o con aumentando il carbon black nell’impasto polimerico, se il bancale sarà nero.
SCOPRI DI PIU'VO2 – è l’abbreviazione chimica del biossido di vanadio metallico, un super metallo che conduce elettricità ma non il calore, che apre nuove applicazioni di Marco ArezioIl biossido di vanadio metallico (definito come il metallo che conduce elettricità) non è un composto scoperto di recente, in quanto la sua conoscenza è da attribuire al mineralogista Andrés Manuel che nel 1801, a città del Messico, lo classificò come sale di piombo e non come elemento chimico. Fù solo nel 1830 che lo svedese Sefstrom lo riconobbe come elemento, dandogli poi il nome di Vinadio, ispirandosi alla dea Scandiva della bellezza, in relazione alle colorazioni che il composto aveva. Ma bisognò aspettare fino al 1869 quando l’inglese Roscoe realizzò il metallo riducendo il cloruro di vanadio attraverso l’idrogeno. Negli ultimi anni si è riaccesa l’attenzione per questo composto in quanto si è studiato, in modo più scientifico e con apparecchiature di ricerca più moderne, il principio di trasmissione dell’elettricità attraverso il metallo e della sua scarsa trasmissione del calore. I due fattori sono sempre stati legati e regolati dalla legge Wiedemann-Franz, che afferma che i conduttori di elettricità sono normalmente anche conduttori di calore, cosa che si evince quando si usa un elettrodomestico, notando il riscaldamento dell’apparecchio in prossimità del motore suo elettrico. Attraverso gli studi di un team di ricercatori americani si è potuto stabilire scientificamente come il biossido di titanio metallico non rispetti questa teoria, in quanto ha la capacità di passare da un isolante ad un elemento conduttivo a determinate temperature. Lo studio si è concentrato sulle implicazioni che potrebbe portare questa nuova conoscenza nel comportamento elettronico dei conduttori. Le conoscenze che si hanno nel campo dei conduttori sono rimesse in parte in discussione da questo nuovo composto, ma soprattutto si sono aperti nuovi scenari di impiego che potrebbero essere molto utili. Pensiamo alla possibile conversione del calore disperso dei motori elettrici in elettricità o migliorare l’isolamento termico degli infissi. Infatti, la caratteristica del biossido di vanadio è quella di diventare conduttore a temperature superiori a quelle dell’ambiente, perciò si è voluto analizzare il principio secondo cui gli elettroni si muovono all’interno del reticolo cristallino del prodotto, verificandone anche la quantità di calore prodotto. Questo test ha potuto dimostrare che la conducibilità termica degli elettroni nel composto fosse di circa 10 volte più bassa rispetto a quello che la legge Wiedemann-Franz avrebbe previsto. Ulteriori tests sono stati fatti con lo scopo di capire quali e quanti materiali si possano unire al biossido di vanadio per modificare la quantità di calore e di elettricità che, il nuovo composto ottenuto, potrebbe esprimere. Nelle possibili nuove applicazioni che si possono immaginare attraverso l’uso di questo prodotto, c’è da tenere presente che il biossido di vanadio ha la caratteristica di essere trasparente fino ad una temperatura di circa 85° e riflettendo la luce infrarossa a dai 140°. Nel campo della costruzione di edifici, che tengano in considerazione il risparmio energetico, l’emissione contenuta di C02 e il risparmio di corrente, si può ipotizzare di utilizzare il biossido di vanadio per il rivestimento di infissi dove l’alta conduttività termica sarà apprezzata d’estate, in quanto terrà freschi gli ambienti e la bassa conduttività termica, in presenza delle basse temperature, aiuterà l’isolamento degli edifici.Categoria: notizie - tecnica - metalli - riciclo
SCOPRI DI PIU'Come Riciclare il Supporto delle Etichette nel Settore del Packagingdi Marco ArezioRecuperare e riciclare non significa solo occuparsi del prodotto a fine vita che è stato acquistato dal consumatore, portato per esempio a casa, utilizzato il suo contenuto e poi buttato nei rifiuti.Questo è il concetto tradizionale di un prodotto che deve essere avviato al riciclo, ma i consumatori non vedono altre tipologie di rifiuti che vengono generati per produrre quell'imballo. Per esempio i supporti delle etichette che vengono applicate ai prodotti, generano, in maniera continuativa, rifiuti che possiamo definirli non di consumo ma di produzione. Come ci racconta Tiziano Polito di un'iniziativa portata avanti dalla società Americana Avery Dennison, che recupererà i rifiuti dai materiali adesivi che immette sul mercato in otto paesi Europei nella prima metà del 2021. 470.000 tonnellate: questo è il volume del supporto per etichette prodotto in Europa nel 2019 secondo la società di consulenza AWA. Solo un terzo di questa quantità viene riciclato. I dorsi - chiamati da alcuni "liner" o "protector" sono usati, per veicolare l'etichetta, chiamata "front", diventano poi rifiuti una volta applicata l'etichetta sul prodotto. Da diversi anni i produttori di materiali adesivi si propongono di recuperarli nell'ambito di programmi che rispondono ad un approccio di economia circolare. Avery Dennison è uno di loro. Il produttore americano lancia, con AD Circular, un nuovo progetto di recupero e riciclo per i paesi europei. Con un inizio previsto nella prima metà del 2021 in Francia, Spagna, Belgio, Polonia, Danimarca, Svezia, Germania e Regno Unito, il programma coinvolgerà altri paesi europei nella seconda metà dell'anno. Il progetto riguarda il recupero e il riciclo del supporto in carta e il film plastico. Per realizzare il progetto, Avery Dennison cha reato un sistema semplice: le aziende hanno a disposizione un'applicazione Web per pianificare la raccolta dei propri rifiuti. Inoltre fornisce loro dati utili sotto forma di analisi e certificati, quantità di materiali riciclati, quantità di emissioni di CO2 evitate, ecc.Categoria: notizie - plastica - economia circolare - rifiuti - etichette - packagingVedi maggiori informazioni sul riciclo
SCOPRI DI PIU'Lo Pseudomonas è un batterio, che potrebbe decomporre i legami della resina termoindurente come il poliuretanodi Marco ArezioTra le varie attività di studio, sulle strade alternative nella gestione dei rifiuti, la microbiologia si sta sforzando di trovare e testare batteri per scomporre quei legami chimici definiti irreversibili, come quelli del poliuretano. Le resine termoindurenti, di cui fa parte il poliuretano, è un materiale molto rigido costituito da polimeri reticolati nei quali il moto delle catene polimeriche è fortemente limitato dall’elevato numero di reticolazioni esistenti. Durante il riscaldamento subiscono una modificazione chimica irreversibile. Le resine di questo tipo, sotto l’azione del calore nella fase iniziale, rammolliscono (diventano plastiche) e, successivamente, solidificano. Contrariamente alle resine termoplastiche, non presentano la possibilità di subire numerosi processi di formatura durante il loro utilizzo. Le resine termoindurenti, sono materiali nei quali il moto delle catene polimeriche è fortemente vincolato da un numero elevato di reticolazioni esistenti. Infatti, durante il processo di produzione, subiscono modifiche chimiche irreversibili associate alla creazione di legami covalenti trasversali tra le catene dei pre-polimeri di partenza. La densità delle interconnessioni e la natura dipendono dalle condizioni di polimerizzazione e dalla natura dei precursori: generalmente essi sono sistemi liquidi, o facilmente liquefacibili a caldo, costituiti da composti organici a basso peso molecolare, spesso multifunzionali, chimicamente reattivi, a volte in presenza di iniziatori o catalizzatori. Il poliuretano è un composto largamente usato come isolante termico, nel settore dell’edilizia, dell’industria dell’auto, negli elettrodomestici, nelle celle frigorifere, nel settore navale e ferroviario, nei mobili, nel settore calzaturiero e in molti altri settori industriali. Ogni anno, nella sola Europa, si producono circa 3,5 milioni di tonnellate di poliuretano che, alla fine del ciclo di vita, non trova una corretta destinazione nel settore del riciclo e vanno a finire normalmente in discarica. La difficoltà che oggi incontra questa tipologia di rifiuto plastico nel processo di riconversione, finchè il riciclo chimico non avrà preso piede, hanno spinto le ricerche biologiche a tracciare nuove strade. Un gruppo di ricerca Europeo chiamato P4SB sta studiando materiali provenienti dalla biologia sintetica che siano in grado, tramite dei catalizzatori batterici, di creare bio enzimi che possano depolimerizzare il poliuretano, ma anche il PET. Lo studio ha identificato un batterio, chiamato Psneudomonas, che opportunamente ingegnerizzato, sia in grado di metabolizzare i componenti del poliuretano, che verranno poi resi, all’interno della massa batterica, sotto forma di bio plastica. Questo batterio ha la capacità di sopravvivere in condizioni estreme ed è molto resistente alle sostanze tossiche, infatti è un nemico per eccellenza nel campo medico in quanto resiste facilmente agli antibiotici. Fa parte della famiglia dei batteri gram-negativi che colpisce normalmente le persone con barriere immunitarie basse o con problemi alla pelle e alle mucose. Il batterio nell’uomo scatena malattie associate alle infezioni, come i problemi respiratori, la polmonite, l’endocardite, meningiti, problemi agli occhi, alle articolazioni, gastrointestinali, dermatologici e altre forme di reazione del corpo. Questo dimostra che è un batterio da prendere sul serio e il suo utilizzo nel campo microbiologico, applicato al riciclo delle plastiche come il poliuretano, fa capire il grado di colonizzazione e decomposizione che potrebbe mettere in campo se trattato con le dovute attenzioni.Categoria: notizie - plastica - batteri - riciclo - rifiuti - poliuretano
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