IFAT India è una fiera per le tecnologie ambientali e le soluzioni sostenibili INFAT India riunisce professionisti di vari settori come quello dell'acqua, delle fognature, dei rifiuti e del riciclo per mostrare i loro prodotti e servizi innovativi. L'evento fornisce una piattaforma per lo scambio di conoscenze, il networking aziendale e la collaborazione tra operatori del settore, responsabili politici ed esperti ambientali. La fiera ospita espositori provenienti da tutto il mondo, che mettono in evidenza le loro ultime tecnologie e soluzioni per affrontare le sfide ambientali affrontate dalla regione. Data: 17-19 ottobre 2023 Luogo: Centro espositivo di Bombay, NESCO, Goregaon, Mumbai, Maharashtra 400063Orari di apertura: Martedì 17 e mercoledì 18 ore 10:00 - 18:00 - Giovedì 19 ore 10:00 - 17:00 Maggiori informazioni sul sito: https://www.ifat-india.com/
SCOPRI DI PIU'LDPE Riciclato da Post Consumo: 60 Tipologie di Odori Ostacolano la Venditadi Marco ArezioLa raccolta differenziata degli imballi della plastica, specialmente per quelli in LDPE, è una conquista moderna che permette, attraverso il riciclo, il riutilizzo degli imballi esausti con il duplice vantaggio di ridurre l’impronta carbonica e il prelievo di risorse naturali dalla terra per creare nuovi prodotti. Molto si deve ancora fare però nel settore del riciclo in quanto la quota di plastica che viene raccolta e riutilizzata è ancora largamente inferiore a quella che viene prodotta ogni giorno. Questo scompenso quantitativo tra quanto si ricicla e quanto si produce di nuovo ha molte cause: • Limitata diffusione della raccolta differenziata nel mondo • Difficoltà nel riciclo di molti imballi plastici multistrato • Bassa qualità della materia prima riciclata • Mancanza di una cultura del riciclo Nei paesi dove la raccolta differenziata è avviata e funziona stabilmente, la produzione di materia prima riciclata soffre di un giudizio abbastanza negativo sulla qualità della stessa, causata da fattori che dipendono anche, ma non solo, dalla filiera del riciclo meccanico. Questa valutazione negativa incide in maniera rilevante sulle vendite della materia prima riciclata, relegando il suo uso solo ad alcuni settori di impiego, riducendone quindi i quantitativi vendibili e abbassando il prezzo medio per tonnellata, che comporta, a sua volta, un basso margine economico per le aziende che riciclano. Inoltre, meno granulo riciclato si vende, meno rifiuto plastico si può riciclare e più grande diventa il problema del suo smaltimento, rischiando di far finire in discarica la preziosa materia prima che potrebbe essere riutilizzata. Tra i problemi di cui soffre la materia prima riciclata, nonostante l’enorme sviluppo impiantistico del settore, quello dell’odore è tra i più sentiti dai clienti che potrebbero utilizzarla per produrre film, imballi rigidi, materiali per il settore edile, per l’automotive, giardinaggio, mobili e molti altri prodotti. Ad oggi la percezione dell’odore di una materia prima plastica proveniente dal post consumo è affidata, in modo del tutto empirico, ad una sensazione nasale di chi la produce e di chi la utilizza, che valutano in modo estremamente soggettivo sia la tipologia che l’intensità degli odori presenti nella plastica riciclata. Valutazione che poi si può scontrare con il cliente finale che comprerà il prodotto realizzato e darà un’ulteriore valutazione, personale, dell’odore. Il naso umano è sicuramente uno strumento eccellente ma ogni persona percepisce le sollecitazioni odorose in modo del tutto personale, ed è per questo che, in casi particolari, si assoldano gruppi di persone che insieme fanno valutazioni sugli odori da intercettare. Se prendiamo ad esempio la filiera del riciclo delle materie plastiche, partendo dalla raccolta differenziata, si è visto che i sacchi in LDPE e gli imballi flessibili che vanno al riciclo, portano con sé un numero elevatissimo di sostanze chimiche che generano odori nella filiera del riciclo. La rilevazione delle fonti degli odori non è stata studiata attraverso metodi sensoriali empirici, quindi attraverso il naso umano, ma attraverso un’indagine chimica svolta da uno strumento di laboratorio che consiste in un gascromatografo con uno spettrometro a mobilità ionica. Questo strumento ha analizzato i componenti chimici, all’interno di una larga campionatura di LDPE riciclato proveniente dalla raccolta differenziata, andando ad individuare 60 tipologie di sostanze chimiche che generano odori. La campionatura analizzata proveniva dal ciclo meccanico tradizionale di riciclo in cui il materiale viene selezionato, triturato e lavato con una permanenza in acqua di circa 15 minuti. Gli odori più comuni percepiti dal naso umano, di questa campionatura sono stati:• Muffe • Urina • Formaggio • Terra • Fecale • Sapone • Caffè • Sudato • Peperone Queste famiglie di odori percepite sono create da circa 60 composti chimici che si associano durante la fase di raccolta e lavorazione della plastica riciclata. Si sono individuati alcuni punti critici: Il sacco della raccolta differenziata che contengono gli imballi plastici domestici da selezionare in cui troviamo diverse tipologie di polimeri, possono contenere residui di sostanze come detersivi, cibo, oli, disinfettanti, prodotti chimici, creme e molti altri. Questo miscuglio di elementi chimici diversi si può legare alla superficie della plastica ma, in funzione del tempo di sodalizio, potrebbe anche penetrare al suo interno. La selezione tra le varie plastiche, attraverso macchine a lettori ottici, crea una certa percentuale di errore che si traduce nella possibilità di avere quantità di plastiche miste all’interno della frazione selezionata. La fase di lavaggio del macinato plastico ha la funzione di dividere ulteriormente, per densità, le plastiche immesse e ha lo scopo di pulirle dai residui di prodotti che gli imballi hanno contenuto o sono venuti in contatto. Ad eccezione del PET, gli altri polimeri provenienti dalla raccolta differenziata, vengono generalmente lavati in acqua fredda, processo che non incide in maniera rilevante nel processo di pulizia al fine di abbattere gli odori. La fase di estrusione del materiale lavato, per la formazione del granulo, potrebbe comportare un degradamento della materia prima in cui sono presenti frazioni di polimeri diversi da quella principale che quindi fonderanno a temperature diverse. Questo può causare la formazione di elementi chimici che daranno origine ad odori. Intervenire su queste fasi porterebbe a miglioramento significativo della qualità dei polimeri da post consumo prodotti, non solo attraverso un abbattimento delle tipologie e dell’intensità degli odori, ma ne migliorerebbe anche le performace tecniche. Il controllo analitico degli odori, attraverso strumenti che ne rilevino le genesi chimiche, può aiutare non solo in fase di certificazione del livello odoroso della materia prima finale in modo inequivocabile e non più empirico, ma darebbe un importante supporto anche in fase di creazione di ricette sulle tipologie di materia prima da usare durante le fasi di riciclo del rifiuto plastico, sull’individuazioni delle fonti migliori e sui risultati dei processi produttivi nello stabilimento (selezione, lavaggio ed estrusione). Ridurre gli odori e migliorare la qualità del granulo da post consumo porterebbe all’apertura di nuovi mercati nei quali si potrebbe impiegare la materia prima riciclata al posto di quella vergine con un vantaggio ambientale, economico e industriale.Categoria: notizie - tecnica - plastica - riciclo - LDPE - post consumo - odoriVedi maggiori informazioni sul riciclo dell'LDPE
SCOPRI DI PIU'Comunicazione: come uscire dall’anonimato con poche risorse. Le possibilità per artigiani, commercianti, piccoli imprenditori e consulenti di Marco ArezioIn un mondo iper-competitivo, dove la comunicazione è diventata un’arma dirompente, chi ha le capacità e le risorse finanziarie per imporsi sul mercato, può fare la differenza. E le piccole aziende? Le attività di comunicazione, nel mondo interconnesso di oggi, possono fare la differenza tra chi le utilizza e chi no. Le piccole aziende, strettamente impegnate nel business quotidiano, non hanno a volte il tempo per promuovere la propria attività, far conoscere le capacità di creare valore aggiunto al proprio lavoro. Le dimensioni stesse dell’impresa non contemplano, spesso, la presenza di una figura che si occupi di mettere in luce le prerogative aziendali, attraverso le quali attirare nuovi potenziali clienti ed avere una programmazione del lavoro su un più lungo orizzonte. Inoltre, il flusso finanziario, tipico delle micro o piccole aziende, spesso non permette di assumere una risorsa umana interna che si occupi della promozione dell’attività. Ma per l’artigiano, il parrucchiere, l’estetista, il bar, il piccolo produttore, il consulente, l’impresa di pulizie e, potremmo andare avanti a citare mille altre figure professionali, emergere dall’anonimato o vincere la concorrenza, diventa sempre più un’esigenza di sopravvivenza e di rilancio. Ma come si raggiunge l’obbiettivo? La comunicazione è un’attività che punta a creare empatia con i potenziali clienti e un mezzo per fidelizzare quelli già acquisiti dall’impresa. L’empatia è quello stato d’animo, da parte del potenziale acquirente, che sceglie te invece che un tuo concorrente vicino o viene a conoscenza della tua attività e decide che potrebbe essere interessante provare a servirsi da te invece che dal suo solito fornitore. Nell’empatia sono racchiuse molte sensazioni che non dipendono direttamente dal prodotto che vendi o dal servizio che offri, ma è un insieme di valori trasmessi al potenziale cliente che fanno pendere la scelta verso la tua attività. La comunicazione non deve mai essere considerata un mezzo di vendita diretta, finalizzata nel breve periodo ad aumentare il fatturato, ma un’attività che favorisce la fidelizzazione del cliente sul lungo periodo, la cui conseguenza potrà essere l’aumento del fatturato. Perché ordinate una coca cola e non un’altra bibita con il caramello del tutto simile? Il prezzo? La qualità? Non credo proprio. La suggestione del prodotto che crea la giusta empatia in ognuno di noi. Perché una persona deve venire a comprare il pane al tuo negozio o andare a riparare il telefonino da te e non dalla grande catena distributiva o fare realizzare le tende per il la tua casa nel tuo negozio invece che da un altro o affidarsi ad un consulente finanziario invece che al suo concorrente? E’ una questione di empatia che, attraverso la comunicazione locale o su ampia scala, porta a compiere delle scelte che esulano dal prodotto, dando per scontato che si abbia una qualità attesa e non inferiore a quella del tuo concorrente, ma non per forza migliore. Questo vale anche nelle forniture all’ingrosso, dove un piccolo imprenditore può produrre ombrelloni o vasi o appendini o pattumiere o reti ortopediche, per fare alcuni esempi, a parità di qualità di prodotto e servizio, deve poter creare una chiave per farsi preferire e per farsi conoscere da una platea più vasta. Ma creare l’empatia non è come comprare o vendere un prodotto di uso comune, non raggiunge lo scopo in un lasso di tempo breve, è un percorso che necessita tempo ma soprattutto costanza. Chi sposa la comunicazione per far crescere la propria azienda deve essere soprattutto costante nel tempo, sia che le cose, nel breve periodo, vadano male o meglio. Con quali risorse e come fare? La costruzione di un percorso comunicativo oggi non necessita di investimenti onerosi, in quanto si può affittare il lavoro e calibrare le ore settimanali del consulente in base alle esigenze e le disponibilità finanziarie dell’azienda. Ogni attività ha una sua storia, un suo ambito, una sua situazione finanziaria e un suo obbiettivo. Partendo dall’analisi di queste informazioni si costruisce, con l’imprenditore, un piano di lavoro che permetta a lui di dedicarsi al proprio lavoro e al consulente di far emergere l’azienda e creare quell’empatia necessaria per far preferire un’azienda ad un’altra. Se desideri ulteriori informazioni scrivi a: info@arezio.it o visita il sito internet www.arezio.it
SCOPRI DI PIU'Scopri come la plastica ha plasmato le iconiche musicassette, contribuendo alla loro portabilità, resistenza e impatto culturale nel panorama della musica registrata del XX secolo di Marco ArezioLe musicassette, una volta icona della portabilità musicale e della cultura degli anni '80 e '90, hanno una storia affascinante che affonda le radici nel passato e attraversa rivoluzioni tecnologiche. Ma cosa c'è dietro la produzione di queste piccole cassette di plastica che hanno dominato il mercato musicale per decenni? Storia delle Musicassette La storia delle musicassette ha inizio negli anni '60, quando la Philips, azienda olandese, introdusse per la prima volta questo nuovo formato audio. Il concetto alla base delle musicassette fu sviluppato da Lou Ottens, ingegnere presso Philips, che aveva l'obiettivo di creare un sistema di registrazione e riproduzione musicale più pratico e portatile rispetto ai dispositivi esistenti all'epoca, come i registratori a bobina. Origini e Sviluppo1963 l'introduzione delle musicassette: Philips presentò al mondo la sua innovativa invenzione, la musicassetta. Questo nuovo formato consisteva in un piccolo nastro magnetico avvolto all'interno di un contenitore di plastica compatto, che poteva essere utilizzato per registrare e riprodurre musica. Standardizzazione: Nel corso degli anni '60 e '70, Philips lavorò per standardizzare il formato della musicassetta, rendendolo compatibile con una vasta gamma di dispositivi audio. Questo contribuì notevolmente alla diffusione e all'adozione delle musicassette da parte dei consumatori. Popolarità e DiffusionePortabilità e Versatilità: Le musicassette divennero rapidamente popolari grazie alla loro portabilità e versatilità. Per la prima volta, le persone potevano portare la loro musica ovunque andassero e ascoltarla su dispositivi come i walkman portatili. Mercato di Massa: Negli anni '70 e '80, le musicassette divennero uno dei principali formati per la distribuzione commerciale di musica registrata. Le etichette discografiche iniziarono a pubblicare album su musicassette, consentendo agli utenti di acquistare e ascoltare la loro musica preferita in questo nuovo formato. Innovazioni TecnologicheRegistrazione Stereo: Con il passare del tempo, le musicassette divennero sempre più sofisticate, introducendo funzionalità come la registrazione stereo e la riproduzione Hi-Fi, che migliorarono significativamente la qualità audio. Dolby Noise Reduction: Negli anni '70, venne introdotta la tecnologia di riduzione del rumore Dolby, che aiutò a migliorare ulteriormente la qualità audio delle musicassette riducendo il rumore di fondo durante la riproduzione. Declino e EreditàNonostante il loro enorme successo durante gli anni '70 e '80, l'avvento dei CD e dei formati musicali digitali portò gradualmente al declino delle musicassette. Tuttavia, nonostante la loro obsolescenza tecnologica, le musicassette continuano a godere di un certo culto tra gli appassionati di musica vintage e i collezionisti, che apprezzano il loro carattere retro e il suono unico che offrono. La storia delle musicassette rimane quindi un capitolo affascinante nell'evoluzione della tecnologia audio e nella cultura musicale del XX secolo. Produzione delle Musicassette La produzione delle musicassette coinvolgeva diversi processi e materiali, ciascuno dei quali era fondamentale per creare un prodotto funzionale e di qualità. Ecco una panoramica approfondita degli aspetti chiave della produzione delle musicassette: MaterialiPlastica: La plastica era il materiale principale utilizzato per la realizzazione del guscio esterno della musicassetta. La plastica doveva essere robusta e resistente agli urti per proteggere il nastro magnetico all'interno. Materiali comuni includevano il polistirene e l'ABS (acrilonitrile butadiene stirene).Il guscio esterno della musicassetta era realizzato principalmente in plastica e svolgeva diverse funzioni cruciali. La plastica forniva una robusta protezione per il delicato nastro magnetico all'interno della musicassetta, proteggendolo da danni fisici, polvere e umidità. Questo garantiva che il contenuto registrato rimanesse al sicuro e intatto nel corso del tempo. Inoltre, la leggerezza e la resistenza della plastica rendevano le musicassette estremamente portatili, consentendo agli utenti di trasportarle facilmente ovunque andassero. Questo ha contribuito alla popolarità delle musicassette come formato musicale mobile e pratico. Il guscio di plastica era progettato in modo da essere compatibile con una vasta gamma di dispositivi di riproduzione, come lettori stereo, walkman e autoradio. Questo ha facilitato la diffusione e l'adozione delle musicassette come formato standard per la distribuzione commerciale di musica registrata.Parti Metalliche: Le musicassette includevano anche parti metalliche, come le bobine interne e i meccanismi di azionamento, che permettevano al nastro di scorrere correttamente durante la riproduzione. Processo di ProduzioneStampaggio della Plastica: Il processo di produzione iniziava con la fusione del materiale plastico, che veniva quindi versato in stampi appositamente progettati per creare la forma della musicassetta.Inserimento del Nastro Magnetico: Durante la produzione, il nastro magnetico veniva accuratamente inserito all'interno del guscio di plastica, assicurandosi che fosse posizionato correttamente e che non ci fossero piegature o intasamenti.Assemblaggio delle Parti: Una volta che il guscio di plastica e il nastro magnetico erano pronti, le varie parti della musicassetta venivano assemblate insieme. Questo includeva l'inserimento delle bobine interne, dei meccanismi di azionamento e di eventuali altri componenti necessari.Etichettatura e Confezionamento: Infine, le musicassette venivano etichettate con le informazioni sul contenuto e sull'artista, e confezionate per la distribuzione. Le etichette potevano essere stampate direttamente sul guscio della musicassetta o su etichette adesive.Controllo Qualità: Durante tutto il processo di produzione, venivano eseguiti controlli qualità per garantire che le musicassette fossero prodotte secondo gli standard richiesti. Questi controlli includevano ispezioni visive, test di funzionalità e controlli della qualità audio per assicurare che il nastro magnetico fosse registrato e riprodotto correttamente.InnovazioniNel corso degli anni, sono state introdotte diverse innovazioni nel design e nei materiali utilizzati per il guscio delle musicassette: Colori e Stili: Le musicassette venivano spesso prodotte in una varietà di colori e stili per soddisfare le preferenze estetiche dei consumatori. Questo ha aggiunto un elemento di personalizzazione e individualità al formato delle musicassette. Materiali Avanzati: Con il tempo, sono stati sviluppati materiali plastici avanzati che offrivano migliori proprietà di resistenza, flessibilità e protezione. Questo ha contribuito a migliorare la durata e la qualità delle musicassette nel corso degli anni. La produzione delle musicassette era un processo complesso che coinvolgeva una serie di materiali e operazioni per creare un prodotto funzionale e di qualità. Nonostante la loro obsolescenza nel mercato attuale, le musicassette continuano a essere apprezzate da appassionati e collezionisti per il loro carattere nostalgico e il loro contributo alla storia della musica registrata.EreditàNonostante l'avvento di formati musicali digitali come CD e MP3 abbia reso le musicassette obsolete, il loro impatto culturale e il loro fascino retro continuano a essere apprezzati da appassionati e collezionisti. La plastica utilizzata nei gusci delle musicassette ha svolto un ruolo essenziale nel rendere questo formato iconico della cultura musicale del XX secolo, fornendo protezione, portabilità e compatibilità che hanno contribuito alla sua diffusione e popolarità. Quantità di musicassette prodotte nel MondoÈ difficile fornire un numero preciso sul totale delle musicassette prodotte nel mondo durante il loro periodo di massima popolarità, principalmente a causa della mancanza di dati accurati e della vasta gamma di produttori e marchi. Tuttavia, nel corso delle loro diverse decadi di dominio nel mercato musicale, si stima che siano state prodotte miliardi di musicassette.
SCOPRI DI PIU'Da molti anni gli alimenti possono essere porzionati attraverso un imballo costituito da una pellicola in PVCdi Marco ArezioE’ ormai nostra abitudine acquistare porzioni di cibo che il negoziante o la grande distribuzione confeziona attraverso una pellicola in PVC. Anche nelle nostre case, lotti parziali di cibo, vengono comunemente avvolti in queste pellicole per aumentare la durata della conservazione e salvaguardarne la qualità.Sebbene oggi esistano anche diverse pellicole per alimenti in PE, il mercato del PVC è ancora quello più importante per via di numerosi fattori tecno-economici. L’uso del polimero di PVC permette di realizzare una pellicola molto resistente, con una bassa permeabilità all’acqua e all’ossigeno, con una buona resistenza agli acidi e agli alcali diluiti. Inoltre, per un fatto del tutto pratico, le pellicole alimentari in PVC hanno una ottima capacità di confezionamento, saldandosi facilmente ad un piatto o ad una ciotola o su se stesso. Dal punto di vista economico, la presenza del cloro nel composto in PVC, fondamentale per la sua struttura chimica, riduce in modo sensibile il costo del prodotto finito, questo perché si configura un risparmio di etilene pari a circa il 50% rispetto all’uso del PE a parità di prodotto. Utilizzando il PVC è possibile inserire una serie di additivi che ne possono modificare le caratteristiche prestazionali, avendo la possibilità di creare, con un unico polimero, prodotti differenti. Vediamo gli additivi principali che vengono usati nell’industria del packaging: • Agenti anti blocking: riducono la tendenza all’adesività • Agenti anti appannamento: promuovono la formazione di un velo di liquido omogeneo e continuo • Antimicrobici: prevengono la crescita di microrganismi • Antiossidanti: Prevengono la degradazione del film dovuta all’atmosfera • Antistatici: Riducono l’accumulo di cariche elettriche che attraggono la polvere • Agenti rigonfianti: vengono impiegati per produrre schiume da materie plastiche • Catalizzatori: fanno iniziare la polimerizzazione nella produzione di resine plastiche • Coloranti: permettono la colorazione delle pellicole • Agenti accoppianti: favoriscono l’accoppiamento tra i pigmenti e i polimeri • Ritardanti di fiamma: riducono l’infiammabilità dei materiali che sono combustibili • Stabilizzatori di calore: riducono la degradazione del PVC in acido cloridrico • Lubrificanti: Riducono adesività tra il PVC e le parti metalliche • Plastificanti: migliorano la flessibilità, la lavorabilità e la dilatabilità Tutti questi additivi, ma specialmente i plastificanti, sono soggetti ad una strettissima normativa per permetterne l’uso in ambito alimentare. C’è da considerare che in commercio esistono circa 300 tipologie di plastificanti e quelli approvati per l’uso alimentare, sono soggetti alla normativa di disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d’uso personale. Le sostanze che potrebbero trasferirsi dall’imballo all’alimento possiamo dividerle in tre categorie: • Sostanze aggiunte: sono principalmente rappresentate dagli additivi del PVC sopra elencati • Residui: rappresentano parti di materiale polimerico con incomplete reazioni (monomeri, catalizzatori, solventi, adesivi ecc.) • Prodotti di neo formazione: sono sostanze che si originano dalla decomposizione spontanea dei materiali o durante le operazioni di trasformazione in manufatto Queste sostanze definite di neoformazione, sono molto variabili tra loro, in funzione di molti fattori chimico-fisici che si possono presentare e che possono influire sull’eventuale trasferimento di sostanze all’alimento di difficile gestione e risoluzione.Categoria: notizie - tecnica - plastica - pellicole alimenti - PVC - packaging
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